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Autore: EmmaDiggory15    11/02/2015    1 recensioni
Augusta, Maine 2010
Jake Dallas sta per affrontare la prova della sua vita, da cui dipenderà il suo futuro e la sopravvivenza della sua comunità, ma non sa ancora cosa lo attende, e i suoi nemici si nascondono nell’ombra pronti ad attaccarlo.
Portland, Maine 2014
Quattro anni dopo Jake conserva ancora il ricordo di quella notte. Una chioma bionda e un vestito rosso sangue sono ancora impressi nella sua memoria, diviso a metà tra il suo dovere e i suoi desideri proibiti.
Nel frattempo, una ragazza cerca vendetta per il male che le è stato inflitto, nessuno scrupolo per chi si metterà in mezzo tra lei e la sua preda.
Nessuno è quello che sembra, dimentica ciò che hai sempre creduto di sapere: il vero nemico potrebbe nascondersi proprio dentro di te.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Unintended
You could be my unintended
Choice to live my life extended
You could be the one I'll always love

You could be the one who listens
To my deepest inquisitions
You could be the one I'll always love



«Hai freddo? Vuoi la mia giacca?»

Si strofinò la mano su un braccio. «Non c’è bisogno.»

Scosse la testa. «Prendila, dai.»

Afferrò la giacca verde scuro che le stava porgendo e la indossò, per poi sorridere. «Grazie.»

Andrew ricambiò il suo sorriso, curvando l’angolo sinistro delle labbra sottili verso l’alto e strizzando un occhio. Aveva un modo tutto suo di rivolgere un sorriso, considerando che lo rivolgeva praticamente a chiunque. Si passò una mano fra i capelli biondi, soffermandosi a stringere i ciuffi più corti sulla nuca.
Quella sera, sarebbero dovuti andare a cena fuori, ma lei aveva insistito per fare una semplice passeggiata. Non era da lui portare a cena le ragazze con cui usciva, in genere, preferiva incontrarle nei bar o addirittura arrivare al sodo la sera stessa che le conosceva, per poi chiuderla lì; non era mai stato un tipo da appuntamenti, preferiva di gran lunga il brivido di una semplice e unica notte. Non era sicuro di cosa lo avesse spinto a proporle una cena vera e propria, c’era qualcosa di diverso in quella ragazza, qualcosa che gli faceva sentire che era speciale.

Continuarono a camminare.

Il centro di Portland era davvero bello. C’erano palazzi di mattoni rossi, bassi e angolari; lampioni che illuminavano la strada, non erano i soliti lampioni che si trovavano nelle autostrade, ma erano neri, non molto alti e racchiudevano la luce bianca in una struttura dal sapore antico; le strade erano piene di vita, e le insegne dei negozi luccicavano.

Non c’erano stelle, in cielo: oltre alle luci della città moderna a nasconderle, le nubi grigie si erano addensate sopra di loro, oscurando perfino la luce. Faceva freddo, quella sera, nonostante Morgan indossasse già un coprispalle lungo, aveva avuto bisogno della sua giacca per coprirsi. Lanciando un’altra occhiata in alto, si chiese se avrebbe piovuto.

«È tutta la sera che parliamo di me, dimmi un po’ della tua vita.»

Andrew fu stupito da quell’affermazione: di solito, quando usciva con delle ragazze, l’unico argomento ammesso era su di loro. Eppure, era vero che non avevano fatto altro che parlare strettamente della vita di Morgan, lei gli aveva raccontato della sua vita, della sua famiglia, si era aperta con lui ed era solo il primo appuntamento.

«Non c’è molto da dire, in realtà.» Spostò lo sguardo da lei, in cerca di qualcosa da dire. «Sono originario di Augusta, faccio il meccanico, nulla di speciale.»

Morgan roteò gli occhi con un sorriso accennato. «È la tua vita, e la tua vita è speciale.»

Le sorrise. «Beh, sono stato un po’ in giro.»

«Tipo?»

«Sai com’è, ho visto qualche città del Maine, qualcosina in altri stati» disse, alzando le spalle.

«Come mai?» Andrew notò che spesso tendeva a premere gli incisivi sul labbro inferiore, pur continuando a sorridere.

«Piacere personale, nulla di più.» Era una bugia, ma non serviva che lei lo sapesse.

«E chi fai qui a Portland?» Non sembrava affatto intenzionata a chiudere l’argomento.

Andrew sospirò. «Mi sono trasferito un po’ per cambiare aria, un po’ per fare compagnia a Jake.»

«Sì? Vi conoscete da molto?» Si avvicinò a lui ed Andrew le mise un braccio intorno alle spalle.

«Da quando eravamo piccoli.»

Gli accarezzò un braccio. «È bello che siate rimasti amici per così tanto tempo.»

«Già.»

«Mi piace davvero molto questa città» disse.

«È vero, ma casa è sempre casa.»

«Sì, è vero.» Abbassò lo sguardo e si morse un labbro, Andrew pensò che forse era la nostalgia.

«Ti manca New York?»

Girò la testa di lato, in modo da guardarlo negli occhi. «Non tanto spesso, sai? È come se lasciando New York avessi chiuso un capitolo della mia vita, ed in effetti è così. A volte penso a com’erano le cose prima, alla mia famiglia e alla vita che avevo prima, ma poi mi ricordo di come sono ora e non sono più triste. Se potessi tornare indietro, sceglierei comunque di andare via, non mi sono mai pentita di ciò che ho fatto.»

Fu colpito da ciò che gli aveva detto. Erano passati da semplici conversazioni formali, a qualcosa di più profondo, come era normale, ma dal modo in cui aveva parlato, sembrava che avesse svelato una cosa molto importante. «Meglio così, allora. L’importante è che tu stia bene con quello che fai.»

Sorrise, ma senza mostrare i denti, questa volta. «E tu? Sei felice con ciò che sei e con la vita che vivi?»

Non ebbe alcuna esitazione nel rispondere. «A volte è complicato, ma so che è la cosa giusta da fare.»

«Per te o per gli altri?»

«Per il mondo.»

«Fare il meccanico è importante per il mondo?» Morgan ridacchiò, convinta che avesse fatto una battuta.

Scrollò le spalle. «Che posso dire, non sai quante auto ci sono da sistemare.»

Camminarono in silenzio per qualche minuto, con Andrew che stringeva le spalle di Morgan e lei che ricambiava la stretta, tenendo le dita sottili poggiate sulla sua maglietta nera. La pelle bianca di lei spiccava particolarmente contro il tessuto scuro.

«Mi piace parlare con te, sai?» Ed era vero. Non aveva mai intrattenuto conversazioni particolarmente profonde, limitandosi solamente a scoprire quelle poche informazioni essenziali per non dover chiamare qualcuna “sconosciuta”, ma con Morgan era diverso, lei era diversa. Quando aveva risposto, prima, si era reso conto di non essersi mai chiesto nulla sulla sua vita da cacciatore, non si era mai posto il problema del se fosse veramente felice o meno, eppure, lei aveva tirato fuori quell’argomento, seppur inconsciamente.

Si fermò. «Anche a me piace.»

Si prese un momento per osservarla meglio. I lisci capelli scuri le incorniciavano il viso, la pelle era pallida e liscia, le linee delicate del volto erano perfettamente completate da un naso piccolo, le labbra tinte di rosso e gli occhi scuri e profondi. A prima vista, li avrebbe definiti neri, ma se guardava meglio, poteva notare che erano di un particolare castano scuro.

Quei pochi momenti che aveva trascorso con Morgan gli avevano fatto rivalutare l’idea del colpo di fulmine. Lui non era quel tipo di ragazzo, lui non passava le ore ad osservare la foto di una conosciuta in un bar, struggendosi, ma lei aveva totalmente catturato la sua attenzione, era come se non riuscisse più a pensare ad altro, come la sua mente fosse stata del tutto svuotata e riempita solo con il pensiero di lei.

 Doveva sicuramente trattarsi di un colpo di fulmine.

Si udì lo squillo di un telefono.

«Scusa, è il mio» si affrettò a dire Morgan, immergendo rapidamente la mano nella borsa che teneva appesa su una spalla. Quando la riemerse, Andrew notò che il suo telefono era un modello piuttosto vecchio.

«Solo un secondo.» Indicò alle sue spalle con tono allusivo.

«Non c’è problema.»

Morgan si allontanò di qualche passo da lui, così si mise le mani nelle tasche dei jeans e prese a camminare avanti e indietro, per ingannare l’attesa.

Riuscì a cogliere qualche sprazzo della conversazione.

«Sei sicuro che sia quello giusto?» Da lontano, lo guardò di sottecchi e si affrettò a girare la testa. «Bene, ma non ho modo di arrivare lì. Escogiterò qualcosa. Sì, di questo sono convinta. Ok, ciao.»

Chiuse la chiamata e mise a posto il telefono, poi tornò verso Andrew.

«Scusami ancora» disse, chinando leggermente la testa di lato.

Scrollò le spalle. «Non ti preoccupare.»

«Stavamo dicendo?»

Ripresero a camminare. «La famiglia?»

«No, non era questo.»

«Davvero? Non me lo ricordo più.»

Risero.

«Dove ti va di andare, adesso?» le chiese.

«Non lo so. Tu dove vorresti andare?»

«Sicura che non ti va di prendere qualcosa in un bar o un posto del genere?»

Scosse la testa. «No, per un po’ voglio dimenticarmi dei bar.»

Andrew strinse le labbra. Ovvio che non voleva andare in un bar, forse era ancora scossa per quello che era successo con Tom qualche sera prima. Rabbrividì al pensiero dell’uomo. Era vero che era un nullafacente e guardone, ma nessuno meritava la fine che aveva fatto.

«D’accordo, allora vuoi…»

Ma non finì la frase.

Dapprima fu solo un tuono, ma presto iniziarono a cadere parecchie gocce di pioggia, che andavano sempre  più ad intensificarsi.

«Forse è meglio andare!» esclamò Morgan, sovrastando il rumore dell’acqua.

«Hai ragione.» Andrew le rimise un braccio attorno alle spalle e insieme corsero sotto la pioggia.

La pioggia batteva sempre più forte, ma Andrew poteva sentire con chiarezza Morgan ansimare rumorosamente al suo fianco e i suoi tacchi che battevano contro l’asfalto bagnato.

Avevano appena raggiunto la macchina, entrambi esausti dalla corsa. Seduti sui sedili, tremavano leggermente, così Andrew si affrettò ad accendere il riscaldamento.

«Tutto ok?»

«Sì.»

La guardò. La pioggia le aveva inzuppato i capelli, che si erano incollati alla sua fronte, così come i vestiti al suo corpo, e il trucco si era sbavato, formando dei cerchietti scuri sotto gli occhi. In particolare, le gocce d’acqua le scendevano lungo i capelli lisci, scivolando sul collo e sfiorando la pelle scoperta della scollatura.

Alzò lo sguardo e ancora una volta si ritrovò come perso nei suoi occhi scuri, c’era una forza che gli impediva di distaccarsene, non riusciva più a pensare, nella mente dominava soltanto un pensiero: lei.

«Baciami» sussurrò.

Lo fece.

Senza esitare, allungo le mani e le afferrò il viso, stringendola delicatamente e accarezzandole le gote fredde con i pollici. Premette le labbra sulle sue e scoprì che erano morbide e umide, così come le sue, d’altronde. Fece scivolare le mani su tutto il suo viso, mentre lei gli cingeva il collo, avvicinandosi il più possibile a lui. Voleva approfondire il contatto, voleva toccarla, ma Morgan si staccò prima.

«Wow.» Quello non era di certo il suo primo bacio, ma era il suo primo bacio con Morgan e non aveva mai baciato nessun’altra in quel modo, non aveva mai desiderato nessun altra in quel modo. Non ci aveva pensato fino a poco prima, era come se fosse nato tutto nel giro di pochi istanti, come se fosse stato il solo guardarla a provocargli quelle sensazioni.

«Già.» Si ricompose. «Mi riaccompagni a casa?»

Anche Andrew si ricompose, scrollando le spalle e poi passandosi una mano fra i capelli bagnati. «Certo.»

Guidò sotto la pioggia e non smise mai di lanciarle occhiate di sottecchi, anche con la chioma nera inzuppata, il trucco sbavato e le labbra arrossate era sempre bellissima. Ad un certo punto, tolse la mano destra dal volante ed afferrò la sua; Morgan, dapprima, si irrigidì, ma poi ricambiò la stretta.
Continuarono a stringersi le mani, finché non arrivarono a casa sua.

Lei sorrise.«Ci vediamo domani?»

Domani? Era più che certo di avere qualche impegno per il giorno dopo, anche in quello stesso momento si sarebbe dovuto trovare insieme ai cacciatori e non con lei, ma non aveva importanza. Tutto quello che voleva era stare con lei.

«Sì, domani.»
***

Erano quasi le tre del mattino.

Si trovava poco lontano dal centro della città e, piano piano, le luci di Portland si stavano spegnendo una dopo l’altra, lasciando posto soltanto ai bar e alle discoteche aperte fino all’alba. Non c’era anima viva in quella strada, riusciva a vedere con chiarezza le strade deserte, solo ogni tanto sentiva i passi ticchettanti di qualcuno, ma, allora, scattava in posa d’attacco, aspettandosi di incontrare una creatura dalle apparenti fattezze umane, ma dalla natura crudele e assassina. Fino a quel momento, però, tutto quello che aveva visto erano semplici uomini e donne che si affrettavano verso il locale più vicino, stretti nei loro cappotti, visto come scendeva la temperatura in quel periodo dell’anno. Li vedeva, camminare spediti, ma allo stesso tempo tremanti, mentre lui restava lì, fermo, ad aspettare. Pensandoci bene, qualsiasi persona fra quelle sarebbe potuta essere una vittima, chiunque di loro avrebbe potuto incontrare il vampiro per la strada ed essere aggiunto all’elenco di uccisi stipulato dai cacciatori. Muoveva gli occhi rapidamente da un angolo all’altro della sua visuale, vigile. Non poteva perdersi neanche il minimo movimento, anche una semplice ombra sarebbe potuta essere l’oggetto delle loro ricerche.

Più precisamente, era accucciato nello spazio fra due case, stringeva con una mano un paletto e con l’altra il suo telefono, impostato nella chiamata rapida a Thomas; se si trattava davvero di un Superiore e questo lo avesse visto, non c’era alcuna possibilità che sarebbe riuscito ad affrontarlo da solo, avrebbe avuto bisogno di contattare qualcuno per capire cosa fare. D’altro canto, se fosse riuscito ad individuarlo, avrebbe comunque dovuto chiamare Thomas, per informarlo.

In quel momento, desiderò che Andrew fosse lì con lui. Non gli era mai piaciuto andare a caccia da solo, e anche se Andrew viveva a Portland come lui, sembrava sempre essere preso da altro in altri posti, mentre lui rimaneva sempre in città da solo a cacciare. Andrew aveva sempre preferito spostarsi altrove, in altre città, sempre in movimento, e lui non riusciva a capire il perché. Lo irritava sapere che lui se ne andava in giro, lasciando a lui la responsabilità di una città intera.

C’erano delle volte in cui si chiedeva perché diavolo fosse venuto ad abitare lì. Per Jake era stata una costrizione: o rimaneva ad Augusta o vedeva sua figlia una volta al mese; Andrew, invece, era partito un giorno, senza dare spiegazioni a nessuno, si era semplicemente svegliato una mattina e aveva deciso che gli andava di trasferirsi. Non avrebbe mai capito il motivo di questo gesto, tutto quello che Jake desiderava era un po’ di stabilità, non era il tipo a cui piaceva spostarsi continuamente.

Faceva molto freddo, quella sera. Era novembre e la temperatura si stava abbassando notevolmente, era davvero difficile tenersi concentrati, dato che doveva stare immobile e vigilare l’area circostante, sempre il solito paesaggio, con il vento e, un po’ prima, anche la pioggia. Desiderò tornare a casa e dimenticarsi della missione, ma poi, con una stretta allo stomaco, si ricordò delle tredici vittime e sperò che riuscissero a trovare in fretta il vampiro, così da mettere fine a quella storia.

Scosse la testa. Anche se avessero messo fine a quella storia, dopo ce ne sarebbe stata un’altra e poi un’altra ancora, non sarebbe mai finita, non veramente.

Poi, nel silenzio della notte, il suo telefono squillò.
***

«E poi Thomas mi ha chiamato, dicendomi di tornare a casa» concluse, mentre prendeva un bicchiere dalla credenza.

«Così presto? In genere ci fa restare fino all’alba» commentò Andrew, seduto al bancone della cucina.

Si trovavano a casa di questo ed era mezzogiorno circa. Jake si era recato lì non appena si era svegliato, per fare un breve resoconto ad Andrew della serata che si era perso e di ciò che avevano scoperto, anche se non avevano concluso granché, quella volta.

«Credo che Lydia e Janelle siano rimaste, gli altri faranno un turno stasera.»

«Ma noi siamo liberi, no?»

Jake annuì. «Non abbiamo trovato nulla» disse, versandosi dell’acqua. «Niente di niente. Thomas ha detto che ha fatto anche il giro della città con la macchina, ma non ha visto nessuno.»

Andrew roteò gli occhi. «Sono troppo veloci, non lo avrebbe mai trovato con l’auto.»

«Intendevo dire che cercava anche delle vittime, beh, fortunatamente non ce ne sono state.»

«Vuol dire che non ha colpito ieri sera.»

«Pensandoci bene, potrebbe colpire in qualsiasi momento.» Si passò una mano sul viso, riflettendo. «E non solo qui, ma ovunque.»

Jake strinse le spalle. «Lo so, ma cosa possiamo fare?»

«Questa cosa del dividerci è stupida, non lo troveremo mai così.»

«Se hai qualche suggerimento migliore, sono ben accolti. E comunque, non è questo il problema.»

«E quale sarebbe il problema?»

«Che non sappiamo come affrontarlo. Avanti, Andrew, come facevamo le altre volte? Ci siamo sempre appostati per individuare il vampiro o per capire dove avrebbe colpito la volta successiva, mentre stavolta è come se non sapessimo da che parte cominciare.» Sospirò, chiudendo gli occhi.

«Hai ragione, è questo che dobbiamo risolvere.» Si poggiò contro il vetro della finestra.

«Due mesi. E tredici persone.»

«Lo so.» Aprì le tende, lasciando entrare il sole.
***

Qualche giorno prima

Dall’esterno della casa si sentivano delle chiacchiere, ma, quando Morgan aprì la porta, cessarono all’istante.

I tre erano seduti, Michael e Sophia sul divano e Selena nella poltrona di fronte a loro. Si girarono a guardarla, sorpresi.

Vivevano, almeno per il momento, in una piccola villa ai confini della città. C’era un giardinetto con l’erba appena tagliata che profumava sempre e un vaso di terracotta con delle rose al suo interno, Morgan tremava ogni volta che le vedeva; l’esterno era dipinto di giallo ocra e le ampie finestre erano prive di qualsiasi protezione contro il sole; all’interno, l’atmosfera della casa era calda e accogliente, regnavano i colori del rosso e dell’oro e aveva tutto l’aspetto di una casa normalissima; probabilmente, al piano superiore le camere da letto erano arredate con la stessa attenzione riservata al salotto, ma Morgan non vi era mai salita e non poteva dirlo con certezza. Non erano solo le rose a darle i brividi: non era normale che i vampiri prestassero così tanta attenzione ad una semplice abitazione, che avrebbero dovuto lasciare comunque nel giro di dieci anni. Certo, non era nemmeno normale che formassero a tutti gli effetti una famiglia umana. Non erano raro avere un Compagno che diventasse anche un’amante, aveva anche chiamato Famiglia i suoi precedenti Compagni, ma non una famiglia come quella, non l’imitazione degli umani.

Sophia aveva le gambe accavallate, una stretta gonna scura e una giacca grigia, i capelli castani legati in uno chignon; Michael le sedeva accanto, con una mano poggiata su una sua coscia e anche lui indossava abiti formali; Selena era quella che aveva l’aspetto che avrebbe potuto avere qualsiasi altra bambina, con i jeans chiari e una maglietta rosa, la ballerine, però, erano sempre presenti, probabilmente era stata lei a ribellarsi per indossare degli abiti comuni, stanca delle oppressioni di Sophia. Morgan non poteva darle torto: se c’era una cosa che la infastidiva, erano quei vampiri vestiti perennemente di tutto punto.

«Sono qui. Che cosa vi serve?» Lanciò un’occhiata scocciata a Selena, che rispose con una indignata.

Sophia scostò con delicatezza la gamba dalla presa affettuosa di Michael e raggiunse Morgan, che era avanzata fino al centro della stanza. «Parliamo dei tempi.»

Qualcosa si smosse dentro di lei, un piccolo scatto di terrore, ma non lo diede a vedere. «Non starete pensando di rimangiarvi la parola, vero?»

Michael raggiunse Sophia e le poggiò una mano sulla spalla. «Assolutamente no. Volevamo solo essere informati su come sta procedendo il tuo lavoro.»

Si rilassò. «Bene, credo di averla individuata, finalmente.»

Sophia spalancò gli occhi, Michael rafforzò la presa sulla sua spalla e perfino Selena, la quale era rimasta in disparte e silenziosa, mostrò un improvviso interesse.

«Ah sì? E dov’è?» Sophia lanciò un’occhiata alle spalle di Morgan, come se si aspettasse di veder saltare fuori chi cercava.

«È qui, a Portland. Credo che abbia instaurato un rapporto intimo con un cacciatore» affermò.

Michael alzò un sopracciglio. «Un cacciatore? Sei sicura?»

Morgan annuì. «Ne sono abbastanza convinta.»

«Prima dici che non riesci ad avvicinarla, poi salta fuori che sai che sta con un cacciatore. Come dovresti averlo scoperto? Sentiamo!»

Guardò Selena truce. «Ho le mie fonti.»

«Fonti?»

«Non ti è dato sapere.»

Sophia agitò freneticamente le mani. «Quindi? Quanto manca ancora?»

Morgan non aveva mai amato tutta quell’impazienza verso quell’incarico, era fermamente convinta che ci fosse qualcosa di sospetto sotto. «Non lo so con precisione. Sono riuscita ad avvicinare il cacciatore in questione ed un suo amico. Credo di piacergli.»

«A chi? Al cacciatore?» Selena si era alzata e li aveva raggiunti.

«No, il suo amico.»

«Ottimo!» esclamò Sophia. «Adesso, cerca di avvicinarti sempre di più a loro.»

«Era quello che avevo intenzione di fare.»

«Stai attenta a quello che fai, questa è una parte molto delicata.» Michael parlò in tono serio, era decisamente più diplomatico della moglie. La moglie.
«Lo so. Pensavo di guadagnarmi la loro fiducia, così avrei potuto scoprire qualcosa di più sul cacciatore, verificare se è davvero lui, entrare in casa…»
Michael annuì. «È una buona strategia, ma vedi di rendere la parte credibile.»

«Se piaci al suo amico, è una buona cosa, potrai avvicinarlo più facilmente.» Sophia fece una pausa. «Questo vuol dire che dovrai fare tutto quello che ti chiederà.»

Morgan sbatté le palpebre, confusa. «In che senso, scusa?»

Emise un respiro particolarmente profondo per un vampiro. «Vuol dire tutto. Se vuole uscire con te, lo fai. Se vuole baciarti, lo fai. E se vuole andare a letto con te, beh, lo fai.»

«Cosa?» Fece un passo indietro, indignata.

«È per il piano.» Michael lanciò un’occhiata di sottecchi a Sophia, probabilmente seccato per il tono che lei aveva usato.

«Non mi interessa un accidente il piano! Mi avete presa per una puttana?»

Selena ridacchiò, Morgan la fulminò con lo sguardo.

«E tu ci hai presi per degli aguzzini?»

«Ma vi siete proposti voi! Tutto questo piano è vostro

«Non devi prenderla alla lettera, era solo un esempio.» Michael zittì Sophia con un gesto della mano.

«Senti,» Sophia andò avanti, ignorando Michael, «fai tutto ciò che è necessario.»

«Prostituirmi non era nei piani.»

«Nemmeno andare in giro con i cacciatori era nel piano.»

Il suo desiderio di vendetta era forte, molto. Si sentiva consumare da dentro, tanto era grande, ma il rispetto per se stessa lo era di più. «Potete anche cercarvi qualcun altro, per quello che mi riguarda.»

Si voltò e camminò spedita verso la porta, ma Michael le sbarrò la strada.

«Aspetta!» le disse. «Non è necessario che tu lo faccia!»

Indicò Sophia alle sue spalle. «Mi ha dato della puttana!»

«Forse ho esagerato, ma tuo il modo di agire, tuo il controllo delle conseguenze.»

«Morgan, tu sei l’unica che può farlo.»

Tentò di fare un passo indietro, ma c’era Sophia a bloccarle la strada.

«Perdona la mia irruenza.»

«Perdono un corno!»

«Allora, ti offriamo qualcos’altro.»

Si voltò verso Selena, che si era messa al suo fianco. «Ma di che parli?»

Sophia e Michael puntarono lo sguardo su Selena. «So che sai della nostra Stanza.»

Morgan aprì leggermente la bocca, stupita. Tutti sapevano della loro Stanza.

«Selena!»

«Sophia, è colpa tua se vuole tirarsi indietro, quindi sta’ zitta!» Non era strano che Selena si rivolgesse così a Sophia, in fondo, non era davvero sua madre.
«Davvero?» Morgan era dubbiosa. Nonostante le parole di Sophia sul fatto di non essere degli aguzzini, il loro passato diceva il contrario; si vociferava che si fossero ritirati da poco da quelle attività, ma che scegliessero sempre case con un seminterrato per adibirla da camera dove nascondervi dentro le prove. Tra i vampiri, quel luogo veniva chiamato La Stanza.

«Sì.» Si voltò verso Michael, attendendo la sua conferma.

Socchiuse gli occhi. «D’accordo. Allora, che ne dici?»

Non avrebbe dovuto accettare. La cosa più rispettosa verso di sé da fare sarebbe stata uscire da quella casa e non rivederli mai più, trovare un modo di risolvere i suoi problemi da sola. Eppure, una parte di lei non poteva fare a meno di sussurrare soluzioni, avrebbe potuto benissimo evitare le parti scomode e la loro offerta era irripetibile, non sarebbe mai più capitato che le offrissero un’opportunità come quella. Inoltre, non aveva idea di come iniziare per risolvere da sola la situazione. C’era sempre quell’accanimento verso il suo obbiettivo, era una cosa che voleva con tutta se stessa, aveva addirittura abbandonato i suoi Compagni per portare a termine l’obbiettivo. C’era sempre quella scintilla che la faceva bruciare dentro, spingendola verso qualsiasi cosa sarebbe stata d’aiuto, a qualsiasi prezzo. Non si sarebbe mai spenta, lo sapeva bene.

Strinse i denti. «Va bene, ma non farò mai cose del genere.»

«Come vuoi, puoi scegliere.»

Si strinse nella giacca e andò via.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note:
Ok, questo capitolo è più corto rispetto ai precedenti, ma succedono un paio di cose importante, quindi, non va sottovalutato. Non preoccupatevi se succedono cose strane o i personaggi si comportano in un certo modo: c'è una spiegazione per tutto!
La canzone all’inizio è Unintended dei Muse, come il titolo.
Comunque, devono ancora succedere un milione di cose, ci sono ancora così tanti capitoli da scrivere e io non riesco a mettermi seduta e a farlo, bene.
A presto, spero.
  
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