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Autore: Elisium    12/02/2015    4 recensioni
Bella e Edward, appartenenti a due famiglie rivali l'una dell'altra, si ritrovano ad essere vicini di casa e a comunicare dai loro balconi, posti l'uno di fronte all'altro, come dei moderni Priamo e Thisbe.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Per chi non sapesse chi cavolo sono Priamo e Thisbe, vi basti sapere che è il mito greco da cui il mio caro Willy prende spunto per Romeo e Giulietta (già, i Greci erano moooolto più avanti).
So che sto già scrivendo un'altra storia, ma essendo questa la settimana dell'amour, oggi mi sento particolarmente cuorosa e questa "storia" (perchè in realtà doveva essere una One-shot, ma io mi faccio sempre prendere la mano) mi ha colpito come un fulmine su un povero alberello incendiandomi le mani e così ho iniziato a scrivere dall'inizio fino alla fine. Credo di non aver neanche preso fiato nel frattempo. Cooomunque, bando alle ciance, vi lascio al primo capitolo!







«Cullen! Dannatissimo figlio di-»

«Charlie! Non davanti alla bambina per l’amor di Dio!» aveva sbottato seccata Reneè Swan all’ennesima lamentela di suo marito sul suo collega mentre la loro macchina sfrecciava indisturbata verso il loro nuovissimo appartamento.

Era stanca Reneè, di quell’assurda rivalità  nata tra il Signor Cullen e suo marito che si contendevano il posto di primario al Seattle Hospital.
Ne parlava giorno e notte, nient’altro che non fosse quanto infido e bastardo forse Curlisle Cullen.
Aveva perfino saltato il suo compleanno per racimolare più ore lavorative possibili e battere il suo nemico.
Era una causa persa.

Dietro di loro, con gli occhi curiosi e impazienti di scorgere la loro nuova casa, di vedere come sarebbe stato il loro quartiere, c’era un fagotto di otto anni appena compiuti.
Aveva imparato a ignorare suo padre quando si metteva a insultare Cu-Coll-Cull oh insomma! Quell’uomo dal cognome impronunciabile per lei.

E non fiatava, a volte suo padre la spaventava quando si metteva a gridare per quello che lei o la madre avrebbero considerato un non nulla.
L’unico motivo di ogni suo fallimento portava quel cognome.

Che fosse stata una giornata di pioggia improvvisa, che fosse arrivato in ritardo al lavoro, che gli fossero inavvertitamente cadute a terra le chiavi, suo padre ce l’aveva con quel signore.

Non le importava perché non la riguardava, e in più non voleva farlo arrabbiare quindi si limitava ad ignorare i suoi eccessivi scatti d’ira o, al limite, a rinchiudersi in camera aspettando che la tempesta fosse passata.

Dal finestrino vide un enorme grattacielo, adiacente, se non attaccato, ad un altro sulla sua destra. Non appena la macchina si fermò scese come una scheggia impaziente di scegliere la sua nuova cameretta.

Era la stanza ai confini dell’appartamento, ma la trovò perfetta, almeno per rifugiarsi dalle urla di che mamma e papà si lanciavano addosso ogni sera, quando erano convinti che lei dormisse. Ma come avrebbe potuto con quel baccano?

La camera aveva delle ampie pareti color lavanda. Quel colore le fece storcere il naso, ma passò in secondo piano quando si accorse della piccola porta finestra che conduceva all’esterno.

La imboccò trovandosi in un piccolo balcone. Di fronte a lei ce n’era un altro distante circa un metro, che però apparteneva all’altro edificio, quello che aveva visto all’inizio.
Le due inferriate erano vicinissime.
La finestra era chiusa ma dalle tende semi scostate potè notare una piccola figura con la testa china su una scrivania intenta a scrivere qualcosa. Forse era un bambino come lei!

Sentì la porta sbattere violentemente, suo padre doveva essere andato a lavoro, lavorava sempre tanto.
Si affacciò in salotto e vide sua madre, dietro lo sportello del frigo intenta a bere da un cartone rosso.

«Mammina, non si deve bere il latte dal cartone, me lo hai detto tu»

«Eh? Oh, tesoro, ecco io… hai ragione, mamma è molto stanca, bevo un po’ di latte e vado a letto ok?»

«Ok»

Trotterellò sbuffando verso la sua nuova camera, era di nuovo sola e si stava annoiando. Magari poteva chiacchierare con quel bambino.
Afferrò una gomma dalla sua scrivania e cercò di mirare alla sua finestra. Al primo colpo!
Il piccolo si alzò e aprì la porta finestra, ritrovandosi davanti una sorridente bambina dai boccoli castani soffici e delicati.

«Ciao»              

«Chi sei?»

«Sei tu quella che mi ha tirato qualcosa alla finestra, tu dovresti dirmi chi sei!»

«Io mi chiamo Isabella, ma il mio nome è troppo lungo, tu chiamami Bella» disse con un sorriso genuino, ne aveva visti davvero pochi di così belli.

«Io sono Edward»

«È un nome strano»

«Non è vero!» disse turbato

«Si invece»

«Senti, io non sto qui a farmi insultare da una marmocchia, ho dei compiti da fare» stava per rientrare indispettito quando la piccola lo richiamò

«Aspetta! Non te ne andare! Mi dispiace, ma io non ti ho insultato. Il tuo nome è strano bello»

«Strano bello?»

«Ma si, la mia mamma mi ha detto che una cosa può essere strana bella o strana brutta»

«Vuoi dire positiva o negativa?»

«Ehm si» sorrise

«Anche tu sei strana»

«Strana bella?» chiese insicura

«Si, strana bella» sorrise lui.








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Lo so è un po' cortino, ma ripeto, era nata come una One-shot.
Vorrei comunque farvi sapere che Edward, qui, è un anno più grande di Bella, così, giusto per curiosità.
Se ce la faccio completo questa pseudo storia in tempo per il giorno degli innammorati (bleah).
Fatemi sapere che ne pensate oppure no. (Sono molto per il vivi e lascia vivere)
Peace and love
Eli

 
   
 
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