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Autore: Koira    12/02/2015    1 recensioni
"Nessuno aveva intenzione di rifiutare la proposta del proprietario, e, quando ci chiese cosa avevamo deciso, firmai quel contratto, convinto di fare la cosa più giusta che potessi fare.
O almeno così pensavo".
Genere: Horror, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Zombie

 

Another head hangs slowly,

child is slowly taken …

and the violence caused such silence

who are we mistaken?

La mia canzone preferita mi diede il buongiorno. Guardai la radiosveglia: erano le sette. Scelsi un paio di vestiti da indossare e mi diressi verso il bagno (il mio bagno!). La prima doccia nella nuova casa fu più lunga del previsto. Avevo intenzione di godermi appieno il nuovo bagno tutto mio, e così feci. Mentre mi sciacquavo i capelli, non potei fare a meno di pensare alle parole di “Let it be” scritte sul foglietto nel davanzale della mia finestra.

 Benché essi siano separati,ci sarà sempre una possibilità che loro vedranno …”.

Cavolo, Giacomo doveva essere proprio cotto di me. E forse pensava che anche io, nel profondo, fossi perdutamente innamorata di lui. Che brutta situazione … quando non ricambi l’amore di qualcuno, è quasi più difficile per te farglielo capire che per lui sentirselo dire.

Specie se quel lui ha un disturbo dissociativo d’identità e potrebbe perdere il controllo da un momento all’altro.

Altro che Edward Cullen, pensai amaramente. Bella poteva pure lamentarsi del suo lui, ma il disturbo di Giacomo era decisamente più temibile che avere a che fare con un vampiro vegetariano buono e inoffensivo, per giunta con i modi di un signorino dei primi del Novecento.

«Mely, sono quasi le sette e mezza».

Era mio padre.

«Ho quasi finito!» mentii.

Stavo diventando brava con le bugie. Un corso accelerato di spionaggio e avrei potuto fare l’agente segreto.  Il tempo di asciugarmi i capelli ed ero già in cucina.

«A qualcuno piace fin troppo la sensazione di avere un bagno tutto per sé» osservò mia madre, porgendomi il pacco di cereali.

«Potrei abituarmici, in effetti» risi.

Tra lei e mio padre doveva essere successo qualcosa la sera prima: notai che evitavano di guardarsi in faccia.

«Allora, come è andata ieri sera a cena?» domandai, improvvisando un tono neutro.

«Benissimo, cara» si limitò a rispondere mia  madre.

«Certo, benissimo. Abbiamo imparato a memoria tutte le malattie della vicina, ma è andata comunque benissimo» intervenne mio padre.

Ed ebbi la certezza che avevano litigato.

«Anche Davide si è divertito» puntualizzò mia mamma.

Avevo seri dubbi che fosse vero, conoscendo mio fratello da (ahimè) ormai molti anni.

Finimmo la colazione in silenzio e mio padre ci accompagnò a scuola.

«Vai piano» furono le uniche parole che gli disse la mamma.

Dovevano aver litigato seriamente, visto che di solito al mattino si baciavano come minimo tre volte, prima di uscire di casa.

«Melissa».

Eravamo quasi arrivati a scuola, quando mio padre si rivolse a me.

«Non mi piacciono i nuovi vicini».

Davide era già sceso da un paio di minuti.

«Ok» fu la mia risposta.

Non capivo cosa volesse da me.

«La signora Dorotea è strana. E suo nipote … bè, strano è un eufemismo, rivolto a lui».

Capii dove voleva arrivare.

«Papà puoi stare tranquillo».

Sembrò sorpreso da quella mia affermazione.

«Certo che posso stare tranquillo» si ricompose. «Mi preoccupo per tua madre. Adesso ha voglia di socializzare con loro, non so perché».

Avrei voluto dirgli che non ci trovavo nulla di strano nella volontà della mamma, ma lasciai perdere; conoscevo troppo bene mio padre: quando si fissava con qualcosa, era impossibile fargli cambiare idea.

«Questa è la mia fermata, comunque» dissi.

Eravamo arrivati a scuola.

«Non so cosa sia successo fra te e mamma, ma penso sia stupido che vi mettiate a litigare per così poco» aggiunsi, scendendo dall’auto.

«Fai la brava!» mi urlò alle spalle.

Come se stessi andando all’asilo.

All’ingresso dell’istituto scorsi Giada, la mia migliore amica.

«Qualcuno qui ha fatto una doccia bella lunga, stamattina» commentò, salutandomi.

«E tu come fai a saperlo? Devo preoccuparmi, hai messo delle microcamere in casa mia?».

Rise.

«Sì, e sono ben nascoste. Non le troverai mai. Dovresti smetterla di ascoltare “Zombie”, mi sta stancando».

La guardai, un po’ divertita un po’ scioccata.

«Semplicemente, sei in ritardo. E non è da te. Mi delude, signorina Martini » dichiarò, in una credibilissima imitazione della professoressa di latino.

Scoppiai a ridere. Era sempre stata bravissima, con le imitazioni.

«Mi scusi, prof. Non succederà più».

«E certo che non succederà più. Lasci stare i Cranberries, oggi la interrogo in latino» proseguì Giada.

«Dai, Giada. Sai che potrebbe succedere, e ieri non ho neppure aperto il libro, a causa del trasloco».

Entrammo in aula, mestamente come ogni mattina. Quel giorno faceva particolarmente caldo, nonostante fossimo solo a maggio. Mi venne in mente una cosa.

«Ehi, ti ricordi il falò in spiaggia del terzo anno?».

Giada mi fissò. Sembrava turbata da quella domanda.

«Giurammo di non parlarne più, dopo la tua prima – ed ultima - sbronia».

«Sul serio?».

Non lo ricordavo.

«Ti ricordi di qualche ragazzo?» chiesi.

«Di molti, in effetti».

Tipico di Giada: andava alle feste solo per rimorchiare.

«Stupida io, che ti faccio queste domande retoriche. Hai presente quel tipo che mi segue da mesi?».

«Chi? Edward Cullen?».

L’aveva ribattezzato così, più che per i capelli biondi per l’aria eccentrica e riservata.

«Cosa c’entra, adesso? Certo che mi ricordo di lui».

«Bene. E’ il mio nuovo vicino, e dice di avermi conosciuta al falò di due anni fa in spiaggia. Peccato che io non mi ricordi proprio di lui».

Sembrava divertita.

«Ma certo, è per questo che ti seguiva! Io neppure mi ricordo di lui, però. Ero più ubriaca di te» esclamò.

Non sapevo se raccontarle tutto: della sua malattia, di quanto accaduto il giorno prima, della nonna …

Ma sì, era la mia migliore amica: come avrei potuto nasconderglielo?

«Ti devo raccontare una cosa. Ma promettimi che non ti scioccherai».

«Non mi scioccherò». Era curiosissima. «Avanti, sputa il rospo».

Iniziai a raccontarle del disturbo dissociativo d’’identità di Giacomo, spiegandole cosa fosse; avevo iniziato ad accennarle al dialogo della sera prima, quando la professoressa ci interruppe.

«Martini, De Fazio, sono oltre dieci minuti che parlate ininterrottamente. Che ne dite di parlarmi di Agostino?».

Ecco, proprio quello che temevo. Rivolsi un’occhiata di supplica a Giada, che la colse al volo.

«Oggi vengo io, prof. Melissa è reduce da un trasloco».

Era proprio un’amica. Peccato che neanche lei avesse studiato, infatti l’interrogazione non fu proprio un successo.

«Grazie, Giada. Ma avresti potuto dirle che eri ad aiutarmi, ieri pomeriggio. Ti saresti salvata anche tu» le dissi, all’uscita da scuola.

«Ma sì, un quattro in più non rovinerà la mia media. E poi, ci penserai tu ad alzarla: domani abbiamo compito in classe. E io ti voglio bene».

«Te l’avrei passato lo stesso».

Ci abbracciamo.

«Io vado, Mely. O vuoi che aspetti con te tuo padre?».

Era chiaro che il racconto su Giacomo l’avesse spaventata, anche se non voleva ammetterlo.

«Stai tranquilla, non ho bisogno della guardia del corpo» la rassicurai. «Tra poco arriverà mio padre».

Non sembrava convinta, ma non insistette. Mi salutò e salì sulla moto del suo ragazzo.

Guardai l’orologio: erano ancora le cinque. Mio padre ci avrebbe messo ancora un po’ per arrivare. Mi sedetti sul marciapiede, stanca. Stavo ascoltando l’ipod, quando si fermò un’auto.

Era Giacomo.

«Ehilà» esclamò, a mo di saluto.

«Ciao».

«Cosa fai tutta sola?».

«Aspetto mio padre».

Eravamo entrambi incredibilmente imbarazzati.

«Vuoi un passaggio?» chiese. Era evidente che farmi quella domanda era stato non poco impegnativo per lui.

«Non ti preoccupare, tra poco arriverà mio padre» gli dissi.

Continuava a guardarmi.

«Dai, sta per piovere».

Era vero, dovetti constatare.

«Giuro che non ti ucciderò e non farò a pezzi il tuo cadavere» aggiunse, pentendosene subito dopo.

Mi sforzai a ridere, ma ne uscì fuori solo un sorrisetto appena abbozzato. In quel momento, mi squillò il cellulare: era mio padre. Lessi l’sms: “Mely, stasera ritardo un po’. Arriverò per le sei”.

Fantastico.

Giacomo dovette cogliere l’espressione sul mio viso, perché uscì dalla macchina in fretta e mi spalancò la portiera.

«Avanti, Sali. E non accetto rifiuti».

Così salii.

 

   
 
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