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Autore: thedgeofbreakingdown    12/02/2015    6 recensioni
Non è colpa mia ma sembra quasi che i guai mi seguano e ho anche la mezza impressione (la maggior parte delle volte) che il migliore modo per porne una fine, sia una bella rissa. Non che la prospettiva di mettere le mani addosso a qualcuno mi entusiasmi, solo è l'unico modo che ho per sfogarmi, per sfogare le mie frustrazioni e la vita di merda che mi ritrovo ad avere.
Mi aiuta anche andare al mare, stare da sola, sentire il suono delle onde sulla sabbia, ma il mare non c'è sempre.
Qualche coglione è sempre dietro l'angolo e parlo per esperienza.
Io sono Ariel Miller e ho sedici anni e -lo dico per voi- se pensate di avere una vita difficile, non avete mai conosciuto la mia.
Vivo alla Yancy Accademy nove mesi l'anno, almeno fino a che non arriva l'estate e vado a vivere a Montauk. In molti si chiedono come faccia a pagarmi la retta scolastica visto e considerato che quel cazzone di mio padre è stato solo in grado di scomparire e partire assieme ai Marins dopo essersi divertito con mia madre.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio, Percy Jackson
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
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La mia amica è una puttana
 
C'è qualcosa che non va. C'è qualcosa che non va e Onda che brucia e lo stomaco che mi fa male non sono decisamente dei segnali da prendere per buoni.

Era mesi che non avevo più quelle sensazioni, che non sentivo più le dita formicolarmi per la voglia di battaglia. Adesso, tutte le sensazioni che associo sempre a una lotta, sono tornate più forti che mai e mi prendono come un fiume in piena, costringendomi a serrare i pugni sul banco per riuscire a resistergli.

È giugno ormai, le lezioni sono praticamente finite ma ci sono ancora professori che si ostinano a spiegare per gli ultimi esami. E io, più sto qui e meglio è.

Il sole entra dalle finestre illuminando l'aula quasi con forza e Boris oggi è venuto in camera a svegliarmi ignorando le urla eccitate di quelle stupide figlie di Afrodite. Mi ha regalato un bracciale con il cinturino in cuoio e la sua iniziale. Lui ce l'ha uguale, solo che ha una “A”. Mi ha anche comprato una nuova canottiera che ho messo oggi stesso, è azzurra e dice che l'ha scelta con Matisse perché si abbina ai miei occhi.

Non so se si abbini davvero alle mie iridi, so solo che oggi è il cinque giugno, il giorno del mio diciassettesimo compleanno e io sono chiusa dentro un'aula, cercando di ignorare la voglia di combattere e le lacrime che mi pizzicano gli occhi perché nessuno dei miei amici al Campo si è fatto sentire, neanche mio fratello.

Ignoro il malessere, il magone che mi impedisce quasi di parlare e lancio un'occhiata a Matisse che sta prendendo appunti su numeri quantistici che non ho capito. Lei è bellissima e oggi ha i capelli legati che lasciano vedere il collo sinuoso e il nasino delicato. Lei è bellissima ed è anche felice perché ha Boris che, dopo sei mesi, sta ancora con lei, senza pressarla perché gliela dia. E per lui è davvero un record così tanti mesi d'astinenza.

Osservo la professoressa dai capelli scuri e l'accento del sud che continua a spiegare algebra, facendo stridere il gesso contro la lavagna e Onda, che già stava bruciando, inizia a diventare incandescente contro la mia pelle.

La ignoro per un po', stringendo i pugni sul banco e fissando lo sguardo sulla lavagna a gessetti, due banchi davanti a me.

Mi porto una mano al collo, stringendo il ciondolo con forza, digrignando i denti quando il calore si fa sempre più forte. Provo a concentrarmi su altro, socchiudendo gli occhi ma poi il caldo diventa insopportabile.

- Dei! – esclamo facendo strisciare la sedia all'indietro e quasi colpendo il banco del ragazzo dietro di me.

La classe si volta nella mia direzione e sollevo un sopracciglio scuro quando trovo così tanti occhi nella mia direzione.

- Che problema c'è, Miller? – domanda la professoressa e corrugo la fronte perché Onda sta bruciando sulla mia pelle e -cavolo- non so per quanto ancora riuscirò a resistere.

Impreco tra i denti e la testa mi va in palla. Sento ovattato e mi sembra quasi di vedere rallentato. Credo che la mia professoressa mi stia dicendo qualcosa: la sua bocca si muove, gli occhi sono rabbiosi e puntati su di me e il cuore prende a battermi velocemente nel petto, quasi volesse bucare la cassa toracica.

E capisco.

- Via! Via da lì! – grido alzandomi in piedi e l'insegnante mi guarda confusa, un attimo prima che il muro esploda alle sue spalle con un fragore che mi distrugge i timpani.

Le urla regnano sovrane e tra tutta quella confusione, ci vuole un po' per mettere a fuoco le due dracene che strisciano verso l'aula, sopra i calcinacci e oltre la polvere che loro stesse hanno causato.

Lancio un'occhiata a Matisse, dall'altra parte dell'aula rispetto a me e quando vedo che sta bene, tocco Onda, trasformandola in una spada.

Passo tra i banchi e alcuni ragazzi urlano, andando a ridosso del muro verso le ultime file. Chissà che vedono al posto di un'adolescente con una spada e due donne con lancia, armatura e code da serpente.

- Bene – sorrido rimanendo tra dei banchi, ignorando la mano smaltata della mia professoressa che spunta sotto pezzi di muro. – Mi mancava un po' di azione – confesso roteando ancora la spada nella mano, assottigliando lo sguardo e attaccando con un ringhio.

L'adrenalina mi scorre nelle vene con forza e sorrido perché era da troppo tempo che non mi sentivo così.. viva. Mi fa quasi paura quella sensazione ma poi, un brivido di piacere mi corre lungo la schiena e roteo su me stessa, lasciando che i capelli sferzino l'aria. Spezzo la lancia della prima dracena con uno splendido suono di legno andato a farsi benedire e la infilzo con forza, osservandola nelle pupille allungate da serpente, spingendo ancora più a fondo quando vedo la smorfia di dolore sulla bocca.

Ignoro le urla di terrore da parte dei miei compagni, i “click” che precedono dei video e quelli che invece precedono una foto e mi volto di scatto verso l'altra dracena che, povera arrabbiata, non fa neanche in tempo a calare la lancia, prima che possa infilzarla nel costato, trapassando con facilità l'armatura.

Solo quando si riduce in polvere, mi rendo conto di aver fatto tutto in apnea e mi chino, poggiando le mani sulle ginocchia, dandomi qualche secondo per capire cosa dovrei fare adesso anche se l'unica soluzione possibile mi sembra quella di scappare.

Il cuore mi batte forte, pompa nel petto e sorrido perché finalmente mi sento me stessa.

Distendo le gambe, pronta per alzarmi e correre via il più velocemente possibile. “BlackJack!” grido nella mia mente, certa che mi sentirà. Tutto questo, un secondo prima che una pedata al sedere mi faccia ruzzolare in avanti, sbattendo la testa al muro, sotto la finestra.

Il dolore è talmente lancinante che devo sbattere le palpebre, imponendomi di non svenire per il dolore anche se vedo a tratti nero e non riesco a distinguere la figura snella che ho davanti a me.

Vorrei stringere l'elsa di Onda ma credo che mi sia scivolata dalle mani quando mi hanno spinta. Un fitta alla testa mi spinge a portare una mano sulla fronte e quando guardo le dita, sono sporche di sangue.

Poggio la nuca al muro incredibilmente freddo, tentando di prendere fiato e chiunque mi abbia spinto, ride e quella risata è talmente tanto familiare che rabbrividisco e la consapevolezza che non sia di paura ma di delusione e repulsione, mi spinge a gemere un'altra volta.

- Ti ho fatto male, piccola dea? – domanda Matisse e il tono è talmente tanto gentile che, per un attimo, mi chiedo perché la sua voce, e il suo sorriso siano in quel corpo. La pelle di Matisse è sempre stata chiara, lucente, quasi simile a porcellana, ma adesso è pallida, quasi smorta eppure, io lo so che è incredibilmente forte. Gli occhi, normalmente nocciola, sono rosso fuoco, sembrano quasi emanare fiamme, e i capelli biondi sono più scuri e più crespi. I pantaloni si sono strappati, lasciando intravedere una gamba in bronzo e una che somiglia molto a quella di un cavallo. Le unghie laccate di rosa sono diventate artigli davvero chic e quell'unico barlume di ironia mi strappa un sorriso.

- Empusa – dico recuperando lentamente le forze per potermi poi rialzare e combattere. Il cuore mi fa male e mi dice che non può essere possibile. Mi dice che non può davvero andare così. Mi dice che quell'essere non può essere un mostro da uccidere perchè, in tutti quei mesi, io non posso essermi affezionata a un mostro che ora devo distruggere. – Come ho fatto a non pensarci? – chiedo retorica più a me stessa che a lei, dandomi dell'idiota dopo che, in tutti quei mesi, mi sono ritrovata ad ignorare Onda che bruciava sulla mia pelle ogni volta che c'era Matisse nelle vicinanze.

- E si, piccola dea. Non ti abbiamo mai persa d'occhio – mi sorride e quelle cavolo di labbra distese a mostrare i denti sono l'ennesima pugnalata. Ho passato mesi con quel sorriso. Ho passato mesi a fidarmi e a farmi confortare da quel sorriso.

- Abbiamo? – domando con l'unica intenzione di prendere abbastanza tempo per poter racimolare le forze necessarie e.. ucciderla.

Matisse annuisce un paio di volte e si inginocchia davanti a me, allungando una mano artigliata verso il mio viso e scostandomi una ciocca di capelli da davanti agli occhi. Non riesco a muovermi, forse non voglio perché tutto questo schifo mi sembra un sogno e Matisse non può davvero essere un mostro.

I polpastrelli caldi mi sfiorano la pelle e, per quanto strano, sono morbidi, quasi sbagliati se messi in quell'insieme orripilante che mi si presenta davanti. – Si, piccola dea, io e i Leviatani. Quei megalomani degli dei non te ne hanno parlato? – domanda come se fossimo sedute sul mio letto a discutere di una serie televisiva che abbiamo iniziato a guardarci assieme.

- Si – dico pensando a un modo per uscire da quella situazione che mi vede in assoluto e totale svantaggio.

- Bene, i mostri si alleano con i mostri – dice con semplicità e nei suoi occhi rossi mi pare quasi di vedere un lampo di stizza. – E i semidei che combattono sempre per la causa sbagliata, muiono miseramente.

E mi butto a destra, consapevole che sia questione di secondi prima di un attacco che non tarda ad arrivare. Il suo pugno si abbatte dove un secondo prima c'era la mia testa, lasciando una crepa sul muro.

La fronte inizia a pulsare con forza ma non ho tempo per preoccuparmene adesso, devo lottare per sopravvivere.

Mi lancio per prendere Onda, scivolando sulle pietre e sulla polvere del muro crollato, un attimo prima che gli artigli di Matisse si infilzino nei miei fianchi, facendomi crollare a terra.

Sbatto il mento sul pavimento anche se metto le mani per cercare di non farmi del male e roloto, abbattendo il palmo della mano, ricoperto di pietruzze e polvere, sul volto pallido di Matisse. – Puttana – ringhio serrando il pugno e abbattendolo sul suo naso con quanta più forza posso, scalciandola dallo stomaco quando lei geme, allentando la stretta delle ginocchia all'altezza del mio bacino.

Mi alzo velocemente con un colpo di reni e sorrido perché, anche se stavo rischiando di scivolare sulla polvere, era mesi che non lo facevo e ancora mi riesce bene.

Onda è affianco a me e la prendo, stringendo l'elsa azzurra con forza e facendo sbiancare le nocche della mano destra. Matisse ha sbattuto la testa, penso stia ancora realizzando che le è successo e io potrei ucciderla. Potrei infilzarle la mia spada in fronte e vederla diventare un falò davanti ai miei occhi eppure non ci riesco.

Tiene le palpebre serrate, la bocca schiusa per il dolore e la pelle oscilla dal solito tono porcellana a quello bianco cadaverico. Non posso ucciderla. È Matisse. È la ragazza del mio migliore amico, quella che mi offre la pizza il sabato, che mi ha comprato una canottiera nuova per il compleanno e che sa sempre regalare un sorriso a chiunque.

Lei è Matisse e io non posso ucciderla.

La guardo a terra e ho quasi intenzione di ritirare Onda, un attimo prima che lei si alzi e, talmente velocemente che neanche riesco a notarlo, me la ritrovo davanti, in un'improvvisazione reale di quei coglioni dei vampiri Cullen.

- Come amo essere un'Empusa – sorride e un suo schiaffo è abbastanza forte da farmi andare verso sinistra, sbattendo la schiena sui resti del muro.

Il fiato mi si mozza e perdo nuovamente la presa su Onda, maledicendomi in tutte le lingue che conosco per quanto sono riuscita ad essere idiota.

- Puttana – ringhio ancora e Matisse ride, guardando la mia spada vicino a lei con tutta l'intenzione di romperla.

Eh no. La mia piccola no.

La rabbia mi monta forte nel petto e mi colpisce come un pugno, come un'onda fredda. Corro e mi scaglio su di lei, un attimo prima che i suoi artigli si possano stringere sull'elsa della mia piccola.

- La mia spada no! – ringhio quando lei cade a terra con un tonfo meraviglioso, anche se la parte migliore sono io, con le ginocchia ai lati del suo bacino e le mani strette sul suo collo.

Lei si dimena sotto di me, mentre il viso da mostro si alterna a quello della mia migliore amica.

Le sbatto la testa a terra e poi mi lancio all'indietro, prendendo Onda per la lama e acchiappandola poi per l'elsa.

Mi volto di scatto, a pancia in su e punto i piedi in avanti quando il volto deformato dalla rabbia di Matisse mi si presenta ringhiante davanti. Gli assesto un calcio pieno al petto che la fa barcollare all'indietro e che mi da il tempo necessario per alzarmi, roteando la spada tra le mani.

Mando la spada di taglio verso di lei, ma Matisse salta all'indietro, permettendomi solo di strapparle un lembo della maglietta rosa pastello che porta. Con un calcio mi fa volare via la spada dalle mani e mi abbasso di scatto quando lei tenta di buttarsi su di me. Acchiappo con la mano un pezzo di muro e lo stringo nel palmo, buttandomi su di lei e colpendola con forza alla nuca.

Matisse grida e una fitta di dolore mi colpisce al petto, dritta al cuore, facendomi perdere la presa sulla pietra e su di lei. In un modo che non riesco a capire, mi ritrovo verso la porta con il mostro che tenta di prendermi le caviglie se non fosse che prendo a scalciare come una pazza, rotolando e alzandomi con una capriola all'indietro. Per un istante, i miei capelli mi coprono la visuale ed è abbastanza per Matisse per prendermi per il collo, scaraventandomi a terra dall'altra parte.

- Cosa? – esclama lei continuando a premere la mano artigliata contro la mia pelle. – Un altro? – grida e riesco a liberare un braccio da sotto al suo corpo, colpendola con una gomitata alla mascella. Scivolo sotto le sue gambe e punto le mani a terra per alzarmi, ignorando le pietruzze di cemento che mi si conficcano nei palmi.

La porta dell'aula si apre di scatto quando mi sono appena alzata, dolorante e arrabbiata. Sto per voltarmi come la prima degli idioti ma una voce, la sua voce mi blocca lì sul posto.

- No! Non ti girare, Principessa – e il cuore, razza di organo bastardo, salta un battito mentre le dita cominciano a tremare. – Sono dietro di te e ho la spada, lo sai cosa devi fare – e se inizialmente è un moto di gratitudine che mi pervade, adesso sono talmente tanto arrabbiata che guardo Matisse con il doppio dell'odio che le ho riservato finora.

La rabbia mi monta in petto, scorrendo lungo tutto il mio corpo come lava bollente. Rabbia che ho tenuto chiusa dentro di me per mesi, torna a farsi sentire e mi lancio su Matisse con un grido, bloccandole il collo nell'incavo del gomito, facendole inarcare la schiena all'indietro mentre la tengo ferma contro il mio petto.

E Carter, Carter la uccide, infilandole la sua spada nera nello stomaco, spingendomi per le spalle quando Matisse grida, diventando fuoco.

Sbatto le palpebre un paio di volte, cercando di regolarizzare i battiti del mio cuore che sono aumentati a dismisura. Carter è qui, qui davanti a me e più bello che mai. È qui davanti a me con i suoi centimetri di altezza in più, con le labbra rosee e sottili che bacerei per ore, con i capelli neri tagliati un po' più corti e gli occhi, quegli occhi che mi salvano e mi fanno morire contemporaneamente.

Voglio picchiarlo, voglio distruggergli quel bel faccino che si ritrova. Voglio gettarlo a terra, spingerlo a chiedermi pietà. Voglio che capisca quanto male mi ha fatto, voglio che capisca tutto ciò che ho dovuto passare senza di lui, tutte le emozioni che, adesso che è qui, sono tornate più forti che mai. Forse sono in un sogno. Forse Matisse mi ha uccisa e sono in una dimensione parallela perché non è possibile che dopo sei mesi Carter sia davvero qui, a meno di un metro di distanza da me.

Apro la bocca, con la sola intenzione di insultarlo in inglese, greco antico e latino ma poi, una testa castana e rasata e un paio di occhi castani, spuntano alle spalle di Carter, spingendolo violemente per un braccio. Gli occhi sconvolti di Boris mi riportano alla realtà con forza inaudita e vengo avvolta da grida, sirene, pianti e click di cellulari che vorrei distruggere.

- Ariel! – esclama con una scintilla di terrore negli occhi che mi fa rabbrividire. – Matisse? – guardo ai miei piedi, chiedendomi cosa veda lui al posto della cenere che invece mi copre le All Star. – MATISSE! – grida e la sua voce è talmente disperata che le ginocchia tremano.

Guarda me, poi si volta verso Carter che ancora tiene la spada. Torna a guardare i miei capelli scompigliati, le nocche sbucciate, la spada al mio fianco e indietreggia. – L'avete uccisa! Ariel, l'hai uccisa! – urla disperato passandosi una mano tra i capelli corti.

- No! – grido di rimando allungando una mano e facendo un passo verso di lui. La fitta che mi colpisce il petto appena indietreggia è più forte di quanto creda.

“BlackJack!” urlo nella mia testa, disperata. “Ti prego, campione, vieni qui!” – Boris, non è come sembra! Lei non..

- Tu sei pazza! – mi interrompe scacciandosi violemente via una lacrima dalla guancia. – Sei una pazza e io mi fidavo di te! Pensavo fossi la mia migliore amica ma sei solo un'assassina! – mi urla contro e non riesco a controllare le lacrime che -bastarde- mi rigano le guance, scontrandosi contro le mie labbra tremanti.

- Boris, ti prego.. – supplico facendo un altro passo verso di lui, fermandomi quando indietreggia ancora, sempre più vicino alla porta. – Ti prego, devi lasciarmi spie..

- No! Tu sei pazza, sei mala..

Ma Carter gli tira un pugno alla spalla abbastanza forte da farlo sbattere contro i primi banchi ricoperti di polvere. – Giuro, dalle ancora un'altra volta della pazza e farai anche tu la fine di quell'Empusa. Me ne fotto se sei un mortale.

- Carter..

Gli occhi di Boris si illuminano di consapevolezza mentre si massaggia il braccio che Carter gli ha colpito. Dovrebbe darmi fastidio eppure, il fatto che lui mi abbia difeso mi scalda il cuore gelido. – Lui è Carter! Lui! Allora non è vero che vi siete persi, stavi solo complottando per uccidere Matisse e tutti noi! – grida totalmente isterico e io piango ancora, asciugandomi rabbiosamente le lacrime. – Siete pazzi! Empuse? Mortali? Voi siete pazzi e per fortuna che hanno già chiamato la polizia! – grida voltandosi e dando un calcio al banco talmente tanto forte che sussulto sul posto. – Tu – mi indica e mi impongo di sostenere quegli occhi castani e gelidi. – Tu mi fai schifo – sibila e tiro su col naso, senza trovare neanche la forza per asciugarmi le lacrime.

Carter non parla, si avventa su di lui con una velocità alla quale non sono più abituata e lo solleva per la maglietta nera, sbattendolo sul banco che Boris stesso aveva calciato con una forza inaudita.

- No! Carter! – lo chiamo e mi chino per afferrare Onda, trasformandola in ciondolo e correndo verso il semidio.

Odio che Boris mi abbia parlato così. Odio che mi abbia detto tutte queste cose dopo sei mesi di amicizia così pura e vera ma lui non capisce e non capirà mai questo lato della mia vita che sono sempre stata brava a tenergli nascosto. Non capirà mai perché è cieco, perché sarà stato anche il migliore amico che abbia mai avuto ma è pur sempre un mortale.

Stringo l'avambraccio allenato di Carter chiuso dentro la manica scura della sua t-shirt. – Non capisce – gli sussurro lasciando che le lacrime mi righino ancora le guance. – Andiamo via. – E non so se sto facendo tutto questo per Boris, per Carter o per me.

Carter esita con il braccio sollevato e il pugno serrato con talmente tanta forza che le nocche sono bianche, esangui. Respira lentamente, quasi cercando di regolarizzare il battito e, anche se non so perché lo faccio, gli accarezzo lentamente il braccio, stringendolo. Lascia Boris di colpo e la testa del mio amico si sbatte contro il bordo del banco. Ignoro il gemito di protesta e osservo i suoi occhi castani, trattenendo stoicamente le ennesime lacrime che minacciano di corrermi lungo le guance.

- Mi dispiace – riesco a sussurrare prima che il rumore assordante di una sirena della polizia si faccia sempre più forte e Carter mi tiri via, afferrandomi per il polso.

- Dobbiamo andare! – esclama e io sono troppo intontita e stanca per riuscire ad oppormi.

Mi sento un automa ma le mie gambe corrono comunque lungo quei corridoi familiari, tirate da Carter che sembra aver messo il turbo.

- Sul tetto – riesco a dire mentre continuiamo a correre e gli occhi scuri del ragazzo mi osservano da sopra la spalla per qualche attimo, prima di tornare a concentrarsi sulla strada davanti a lui.

- Sono lì! – grida una professoressa che non ho mai visto e mi irrigidisco di colpo, mentre Carter continua a correre verso di lei.

Perdo un battito quando dalle scale arrivano almeno cinque poliziotti con le pistole puntate davanti a loro, verso di noi.

Carter si ferma di colpo e io mi sbatto contro la sua schiena.

Provo a guardare oltre il suo corpo ma lui mi blocca la visuale, alzando le mani davanti al petto in segno di difesa ed impedendomi di superarlo mentre mi fa da scudo davanti alla polizia.

- Cosa facciamo? – sussurro stringendo tra i pugni il tessuto della sua maglietta scura, chiudendo gli occhi per un attimo e costringendomi a non poggiare la fronte contro la sua schiena forte.

Vorrei tanto smetterla di lottare. So che, fino a pochi attimi prima ero un fiume in piena, pronta a spaccare il mondo sola con la mia spada, ma neanche la mia fervida immaginazione da semidea aveva immaginato la possibilità che Boris mi potesse guardare con così tanto disgusto. Vorrei solo lasciarmi stringere da Carter, vorrei solo farmi proteggere, dimenticando tutto, ma non posso far finta di niente, non posso far finta che tutto il male che mi ha fatto non sia mai esistito. Ho smesso di farmi trattare come se non valessi nulla e stringo i denti, cercando una soluzione plausibile.

- Guarda se la finestra qui affianco è aperta – dice con voce talmente tanto bassa che quasi non riesco a sentirlo.

Tutta la scuola ormai ci sta guardando e gli studenti delle aule che danno sul corridoio sbirciano dalle porte, mormorando tra loro, e avrei tanta voglia di spaccare i denti a tutte quelle facce di cazzo una a una.

- Si – dico quando vedo che la finestra accanto a noi, ad almeno tre metri da dove siamo, è aperta. E non c'è bisogno che Carter dica altro perché l'ho capito e, per quanto mi dia fastidio, quest'intesa mi provoca brividi lungo tutta la schiena.

- Al mio via – mi sussurra e appoggio la fronte contro la sua schiena per qualche attimo, annuendo un paio di volte.

“BlackJack! Andiamo bello, vieni qui! Mi senti?”

- Rimanete fermi dove siete e non vi sarà fatto del male! – grida una voce aspra che non conosco e che associo al viso grassoccio di un poliziotto newyorkese.

- Anche la signorina deve farsi vedere – fa un altro e mi irrigidisco di colpo, corrugando la fronte quando sento anche i muscoli di Carter fare la stessa cosa.

- Stai dietro di me.

- Ti colpiranno.

I polmoni si dilatano quando inspira e la schiena si solleva per qualche secondo, rilassandosi poco dopo. – Non mi importa. – Esita un secondo.

“BlackJack!”

- ORA!

E poi si volta di scatto verso la finestra, prendendomi per mano.

Apro la mia destra di colpo, spostando il braccio verso i poliziotti con un ringhio ed è questione di attimi prima che il rumore degli spari venga coperto da tubature che saltano e dallo scroscio di un'onda che li sommerge senza pietà. Mi sembra quasi che il potere dell'acqua mi fluisca dalle braccia e stringo il pugno, concentrando tutta la forza del mio elemento contro i poliziotti.

L'onda si chiude in un vortice sopra di loro ed è l'ultima cosa che vedo, prima di saltare via dalla finestra, tirata da Carter e dietro le urla di chissà quanti mortali.

- BLACKJACK! – urlo e precipitiamo nel vuoto a una velocità pazzesca, un attimo prima che un bolide nero sfrecci sotto di noi, mozzandomi il fiato. Scivolo dal dorso del Pegaso ma Carter continua a stringermi la mano con forza, digrignando i denti.

BlackJack nistrisce e vira a destra, dando al figlio di Ares lo slancio necessario per issarmi sul dorso del Pegaso, sbattendomi subito dopo al suo petto.

Riprendo a respirare solo quando stringo tra le dita la criniera morbida di BlackJack e mi chino su di lui, massaggiandogli il collo. – Bravo, bellissimo – sussurro, osservando New York che sfreccia sotto di noi.

“Sempre qui per te, principessa”.

Sorrido, un secondo prima che le mani di Carter possano stringersi sui miei fianchi facendo scemare tutta la felicità che mi aveva pervasa solo qualche attimo prima.

- Lasciami stare – ringhio ma lui, in tutta risposta, serra ancora di più la presa sui miei fianchi, poggiando il mento sulla mia spalla.

- Siamo solo io e te, principessa – sussurra contro il mio collo, facendomi fastidiosamente rabbrividire.

Perché cavolo non l'ho ancora dimenticato?

- Solo io e te – ripete e ringhio, assestandogli una gomitata allo stomaco, abbastanza forte da farlo gemere senza però farlo cadere dal dorso del Pegaso.

- Chiudi quella cazzo di bocca. – Ed è l'ultima cosa che dico mentre torniamo al Campo Mezzosangue. 


Angolo Autrice: 
Ehiiila<3 
Allora, sono in super orario e con un capitolo che non mi piace granché (che strano!) ma nel quale riesco a trovare anche io qualche nota positiva ahahaha dunque, riassumendo: è il compleanno di Ariel e c'è un salto temporale di ben sei mesi. Si accenna a un po' di quello che ha fatto e poi, booom! Arriva la bomba, ovvero le due dracene che hanno ucciso la professoressa (dite la verità, avete pensato che fosse la professoressa di matematica la stronza AHAHAHAH). Ariel è felice di combattere dopo sei mesi, ma non quando si tratta d Matisse che -puttana- è un'Empusa e stata solo aspettando il momento giusto per ucciderla. Ovviamente, il fatto che il volto di Matisse oscille dal volto dell'amica di Ariel a quello di un mostro, la disorienta, per quanto la uccide Carter che (chissà^-^) come mai è tornato. 
La litigata con Boris era necessaria, o almeno credo. Mi è dispiaciuto moltissimo scrivere di loro due, mentre il ragazzo le diceva tutte quelle cose, anche perché mi sono sempre figurata loro due molto dolci assieme. Comunque, dovevo farli litigare per poter far sì che Ariel smettesse di avere contatti col mondo mortale e perché avesse una ragione per lasciare la Avalon ancora più scossa del normale. 
Volevate in tantissime la scenata di gelosia, e c'è stata ahahha Carter sta per picchiare Boris e si calma solo quando Ariel lo tocca. Ha un istinto di protezione molto forte nei suoi confronti, tanto che non gli importa di venir colpito, ma gli importa solo di lei (che amoreeee*----*). 
Alla fine, BlackJack gli porta via e solo per orgoglio, Ariel non si lascia abbracciare da Carter ahahah sinceramente, ha assolutamente ragione. 
E niente, cuccioline, questo era il penultimo capitolo, quindi, appuntamento per giovedì con l'ultimissimo AHAHAHAH 
Un grazie enorme a tutti! 
Alla prossima, 
Vi adoro, 
Love yaa<3
x

P.S. a un certo punto dico "quei coglioni dei vampiri Cullen" vi prego di non prenderla sul personale o come un'offesa. Non odio la saga di Twlight in sè, bensì il contesto e il ruolo stupido e privo di fondo che gli ha dato Stephanie Meyer. Trovo che il personaggio di Bella Swan sia un insulto a tutte le eroine femminili e mi da sempre fastidio vederla al fianco di guerriere vere e proprie come Annabeth, Hermione, Theresa, Tris e Katniss che non hanno mai un ruolo passivo a differenza della vampira che, in un modo o nell'altro, aspetta sempre che arrivi qualcuno a salvarla. Certo, diamole qualche credito per la bolla di protezione durante la "chiacchierata" con i Volturi ma per il resto, a mio parere, non può di certo essere definita un'eroina, così come la saga che non può essere definita un fantasy se non un libro romantico fin troppo esasperato. 
Pace e amore:***



  

 

  
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