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Autore: KH4    13/02/2015    1 recensioni
Estratto dal prologo:
"Io lo so…Tu non sei il tipo di persona che si lascia uccidere così facilmente. Non è nel tuo stile. Ti è sempre piaciuto essere teatrale in tutto ciò che fai, essere la svolta di una situazione prossima al fallimento. Ami essere egocentrico, vanitoso, arrogante, sai di esserlo, e non ti arrenderesti mai d’innanzi a una morte che non ti renderebbe il giusto onore. La sceglieresti solo dopo aver guardato a lungo una bella donna e averle sussurrato frasi che avrebbero fatto di te un ricordo prezioso e insostituibile. Soltanto allora, ne saresti soddisfatto." 
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Allen Walker, Lenalee Lee, Marian Cross, Nuovo personaggio | Coppie: Allen/Lenalee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I Santi Oscuri.'
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- Argh...Un moment, je suis éveillé. Ce coup...* -

Amèlie Chevalier riprese i sensi con la stessa fastidiosa e impastata sonnolenza che le si addossava quando la sua dieta a base di caffè e tequila cominciava ad esaurire il duplice effetto sedante. Una sorta di dopo sbornia coronata dall’impellenza di una dormita andante oltre i cinque giorni, dove ogni accesso alle sue stanze era punito con torture impronunciabili: tonnellate di pasticche alla menta sostituivano l’amato liquore per coprire l’alito pesante e sopperire l’acidità puntualmente salita alle stelle per uno stress tanto produttivo quanto devastante per il suo stomaco. Il lavoro alla Rosa Nera era corroborante e incessante, c’erano mesi dove le ore di sonno non si riuscivano a quantificare e il cibo diveniva un optional di superflua importanza, ma arrivare anche a bere formaldeide e sfiorare la psicosi per guidare un gruppo di suadenti prostitute includenti anche fanciulli di fisica appetibilità erano sacrifici di male minore se comparati al rischio di perdere la reputazione, prestigio o – peggio ancora – soddisfacenti entrate che ne rabbonissero lo spirito.

In quell’intervallo che precedette il completo risveglio della sua coscienza intorpidita, la francese aveva creduto per qualche istante di trovarsi immersa nelle comodità della Rosa Nera, tuttavia la strana sensazione che qualcosa le stesse rimbalzando più e più volte sulla testa – e non era il bernoccolo procuratosi con lo schianto appena rammentato -, fecero sì che mettesse a fuoco la vista da dietro la maschera di pizzo, girasse il viso all’insù e scoprisse di non essere sola.


- Tim? E tu da dove sbuchi? – La corvina puntò mani e gomiti a terra per issarsi e mettersi così seduta.

Il tenero boccino planò leggiadramente fra le pieghe della gonna. 
Era lui, in carne e ossa, con tanto di alucce, coda dalla punta arrotolata e zampine paffute. L’esatto contrario di un certo individuo scapestrato a cui preferì non rivolgere pensieri sfioranti l’omicidio. Non aveva nemmeno senso guardarsi in giro e verificare se effettivamente fosse l’unico essere umano: non appena il Gate si era richiuso alle sue spalle, aveva cominciato a scivolare lungo un tortuoso tunnel immerso nel buio più assoluto, conclusosi con un muro di granito che ancora faceva sentire la sua presenza sull’addome. Sbuffò sarcasticamente divertita: sarebbe stato fin troppo facile riuscire ad agguantarlo al primo colpo e a ben ricordare, niente con quel tipo poteva dirsi fattibile.

- Di tutte le cose o le persone che potevo incontrare, tu eri quello meno quotato. – Alzatasi in piedi e con il piccolo golem posato su una delle spalle, batté le mani sugli abiti e i guanti – Ma forse non sono l’unica a cui Cross ha dato delle direttive, per qualunque pantomima abbia in mente. Allora…Così sarebbe questa la famosa l’Arca Bianca. - Pronunciò il nome con una solennità piena di scetticismo, le sopracciglia inarcate per la delusione e le mani pressate sui fianchi ancheggianti.

Si aspettava di meglio, qualcosa di più sofisticato e ricco, che ne testimoniasse l’appartenenza esclusiva alla Famiglia Noah. Invece nulla: la realtà nemmeno si avvicinava a un immagine di dignitosa decenza, lo squallore stava provvedendo a cancellarne i tratti già evanescenti, sostituendola con pareti spoglie, di uno scadente color topo. Il corridoio dentro cui era finita si allungava con due rispettivi fondi interminabili, illuminato da file parallele di lampade impolverate a cui espresse la propria disapprovazione arricciando il naso.
Fu da quello di sinistra che, all’improvviso, giunse un lieve vibrare del pavimento, l’eco di un rimbombo molto lontano, percepibile sin da sotto la pianta dei piedi e da orecchie allenate a captare anche i più inutili sospiri. La francese gettò l’ossidiana esente da futili striature dei suoi occhi, carica di severità, verso quel buio astratto, quasi a volerlo squarciare con il pensiero


- Questo deve essere il Download di cui ha parlato Hatsue -, ricordò mentalmente, le dita impegnate a rigirare fra i polpastrelli la superficie irregolare della goccia di rubino appesa al collo - A giudicare dalla durata e dall’intensità della scossa, dovrebbe essere ancora distante da questa parte dell’Arca, ma sarà meglio procedere alla svelta. –

Difficile dimenticare di trovarsi su un vascello prossimo alla distruzione totale. L’esiguità del tempo opprimeva la libertà di riflettere con tranquillità, forgiava l’ansia di un martellio incontrollabile, soprattutto in posto come quello, di labirintica inconoscibilità, ma che si trattasse di minuti, secondi o forse di ore, la Maitresse della Rosa Nera non aveva la benché minima intenzione di farsi condizionare dal decadimento in atto o sedersi e aspettare di verificare personalmente cosa le sarebbe potuto succedere.
A dispetto dell’impellente urgenza, si concesse ancora un attimo per colmare una minuta nota di curiosità riservata a un dettaglio lasciato in sospeso; ripescando dalla tasca della gonna il foglio datole da Hatsue, lo aprì, battendo le ciglia finte non appena ebbe fatto scorrere per lungo e per largo gli occhi truccati su ogni centimetro di quella superficie spiegazzata.


- Il tuo padrone ha proprio deciso di farsi linciare da me, questa volta –, soffiò pacata a Timcampi, sportosi dalla spalla per sbirciare.

Strani graffiti e linee intrecciate fra loro apparentemente insignificanti erano tutto ciò che era stato riportato sul foglio consegnatole in fretta e furia. Simboli Alchemici. Dell’alfabeto studiato in passato riscontrò qualche comunanza, sebbene quei disegni, oltre che a esserle del tutto estranei, avevano l’aria di appartenere ad un’Alchimia di altro livello, se non addirittura maggiormente complessa di quella duramente appresa.

- Tre file orizzontali contanti quattro simboli ciascuno, ma disposti in ordine diverso. Tre file… - Il mormorio concentrato e pensieroso di Amèlie, quasi ipnotizzato da quello schema il cui senso era lì, davanti a lei, ma occultato di ironica invisibilità, la isolò dall’eco del Download imminente e da ogni altra sensazione fisica o psicologica che potesse distrarla.

I Simboli Alchemici non venivano mai disegnati senza un messaggio da decifrare o un preciso significato e quella grafia che lei aveva riconosciuto con una punta di disappunto per l’ostentata e sfacciata eleganza non faceva eccezione. Tuttavia, più li osservava e più non trovava modo di abbattere il muro che respingeva il suo tentativo di decifrarli, non vi era un solo collegamento che andasse oltre la convinzione che si trattasse di un linguaggio maledettamente elaborato. Provò allora a concentrarsi sulla struttura in generale, sperando di ricavarvi un qualche indizio. Se Cross gliel’aveva fatta recapitare, significava che aveva le capacità per decifrarne l’utilizzo.

- Tre file orizzontali contanti quattro simboli ciascuno, ma disposti in ordine diverso… - Gli archi e le linee tracciate componevano simboli il cui ordine diversificato destò una sensazione di famigliarità che, per quei esigui secondi di profonda riflessione, si divertì a sfuggirle. 

Aveva già avuto a che fare con qualcosa del genere, in più occasioni, e una volta acceduto ai meandri della sua memoria, annuì colma di calda e orgogliosa soddisfazione con le labbra rosse vittoriose.

- Chiavi Alchemiche. Tre file orizzontali contanti quattro simboli ciascuno, ma disposti in ordine diverso. – Come aveva fatto a non arrivarci prima?

Ricontrollò nuovamente per pura scrupolosità, ma senza che quei disegni suscitassero nuovi dubbi o domande su eventuali segreti non colti. Nelle sue mani giaceva un mezzo inusuale e incomprensibile ai comuni occhi mortali, ma qualsiasi affare riguardante l’Alchimia era nato per essere avvolto nel mistero, coperto da strati di enigmi che ne proteggessero il contenuto vulnerabile alle intemperie. Le Chiavi Alchemiche erano soltanto un altro pezzo da aggiungere al quadro generale, ma il loro scopo le rendeva dei mezzi di utilità ricollegabile alla presenza dell’Uovo sull’Arca Bianca ed era il loro specifico potenziale ad aver animato Amèlie. La faccenda si stava facendo sempre più interessante.

- Resta solo la direzione da prendere. – Con cipiglio corrucciato, lanciò un’occhiata sul fondo di destra, dove era visibile non un bivio, ma più corridoi identici fra loro districarsi nell’oscurità attenuata dalla luce artificiale – Se avessi un’idea del tempo che mi rimane a disposizione prima che il Download scarichi le restanti aree… -

Era l’unico problema, il più premente che in quel momento volesse risolvere. Neanche a esprimere a parole i propri pensieri, Timcampi le venne aiuto, attirando la sua attenzione svolazzandole davanti agli occhi e volteggiando verso la direzione osservata.

- Vuoi che ti segua? – Il golem annuì con un vigoroso cenno affermativo. Cross gli aveva per davvero lasciato delle direttive, tanta sicurezza non poteva essere unicamente frutto del minuto boccino – D’accordo: continuiamo a fare come vuole lui -, sospirò lei. Una cosa in più o una cosa in meno da tenere in conto, oramai, non faceva differenza. 




Road Kamelot era particolarmente allegra quel giorno. Il trotterellare infantilmente in testa al gruppetto esprimeva un’eccitazione bambinesca all’apice della sua fioritura, di inespugnabile perfezione. A ogni piccolo balzo, la gonnellina striminzita svolazzava da una parte all’altra con il picchettare delle scarpe alte a segnare un ritmo cadenzato, seguito a pari passo dalle punte nere di quei suoi capelli poco femminili, acconciati come un cespuglio spinoso pieno di sfumature bluastre che, insolitamente, riusciva ad accostarsi ai pizzi e merletti con cui la bambina soleva abbellirsi.


- Ehi, Road! Ci spieghi che cavolo hai da essere così frenetica? –
- Già! Dillo anche a noi! Jusdebi deve sapere! Ih! –

Jusdero e Debit furono i primi a parlare in mezzo a quel fin troppo prolungato silenzio scandito solamente dai loro passi di peso e andatura irregolare. Da gemelli chiassosi amanti del Punk e della matita sotto gli occhi, le loro lingue e mani si muovevano come se a comandarli fosse stato un unico cervello, un’unica volontà scissa in due corpi acerbi comunque uniti da un’attrazione che li spingeva a muoversi in sincronia, qualunque cosa dovessero fare. La pistola nero di Jusdero – riconoscibile per gli splendidi Golden Hair di cui era gelosissimo e la bocca quasi del tutto cucita da spesso filo nero - era puntata al viso di Debit, decisamente più scazzato e insanamente schizzato per chiunque volesse stabilire chi fra i due fosse quello più problematico.

Road si voltò verso di loro piroettando leggera, il largo e maligno sorriso impregnato di una radiosità da far invidia al sole estivo. La pelle di un pallido rosato contrastava quella dei suoi parenti, la coroncina di stigmate incisa sulla fronte nascosta dietro l’aspetto umano con iridi oceaniche guizzanti di scura densità.


- A-l-l-e-n W-a-l-k-e-r. – Scandì quel nome amato con le labbra di modo che il suono fosse più pulito che mai, l’indice della mano destra rivolto in avanti e che scendeva a ogni sillaba pronunciata.
- Eh? – I gemelli sbatterono gli occhi truccati due volte esatte, ingobbiti e così visivamente ebeti da non riuscire a spiccicare parola. Tornare a fissare Road fu l’unico gesto consentito da corpo e mente.
- Sta per arrivare! – Esclamò quella, imperterrita – Lui e i suoi amici! Mi devo preparare, non posso certo presentarmi così! – Corrucciata, si indicò l’abito sfarzoso, dalle balze improvvisamente inadatte all’evento di grande portata da lei decantato.
- E chi diavolo sarebbe? – Sbottò Debit, grattandosi la nuca con la canna della pistola.
- L’Esorcista che Tyki ha mancato di uccidere -, proruppe atona Lulubell.

Il Portoghese, penultimo in quella fila disomogenea, non si sprecò neppure di degnare alla suddetta una sola frecciata iraconda, esasperatamente conscio che per battere la gelida imperscrutabilità della sorella Lussuria sarebbe occorso molto più di una banale occhiataccia.

- Esorcista?!? - L’ennesimo strillo dei Noah portatori del Legame pigiò duramente sulle sue orecchie e su quel filo di nervosismo che perfino il profumo agrodolce della sigaretta non stava appianando a dovere - Quindi tu e questo falso elegantone qua ci avreste fatto salire su questa carretta per uno sporco Esorcista?!? –
- Vi ricordo che siete stati voi a insistere per venire, anziché cercare quel tale, Cross -, puntualizzò l'uomo.
- Zitto, tu! Sono dettagli insignificanti! – Starnazzò il moro, cercando di tirargli un calcio.
- Abbiamo tentato di battere quel bastardo tre volte e quando siamo tornati al suo covo per dargli il colpo di grazia era già sparito! Ih! – Lo seguì a ruota il biondo.
- Il Lord del Millennio sospetta che voglia fare qualcosa con la scatola, per questo siamo saliti anche noi! Prima o poi dovrà pur farsi vivo, quindi non farci la predica su come lavoriamo! Gli unici a bigiare qui siete tu e Dolcetto! –

Le parole lanciate a voce alta coinvolsero il fondo della fila, ma senza riscuotere una particolare reazione. Una enorme e muscolosa massa nera con indosso un cappotto marrone impolverato si era esentata dal parlare fino a quel momento per pura scelta personale, fissando il monotono paesaggio davanti a sé con occhi vuoti e la bocca impegnata a bagnarsi il palato con la solita dose giornaliera di zuccheri. All’Ira non interessava nulla che non fosse buono e dolce come i lecca-lecca che consumava con avida lentezza per assaporarne gli aromi e i coloranti, raggiungendo il culmine quando ne ingoiava intere manciate mischiate alla sua saliva. Lo sbuffo gutturale, una sorta di sibilo ringhioso per quel nomignolo scherzoso e privo di sapore, lo costrinse ad allontanare il bastoncino bianco dalle grandi e inumidite labbra per un’unica puntualizzazione sulla sua persona.

- E’ Skin Boric, non Dolcetto -, precisò con voce carnosa, staccando l’ultimo pezzo del dolciume con i denti seghettati e masticandolo fra i molari.
- Come ti pare, stupido pelato -, se ne fregò Debit – Tanto, in fatto di compiti mancati, è Tyki-pon quello che è messo peggio! -
- Ih! Già! Come fa un Esorcista morto a tornare in vita? Mica gli avevi strappato l’Innocence e fatto un buco nel cuore? – Lo derise Jusdero.
- Così avevo fatto. – Gli occhi dorati vagarono da soli verso il basso, dubbiosi come l’irritante cruccio che imprigionava ogni suo pensiero.

Lo aveva ucciso quella volta, ne era sicuro. La piccola mascella sibilante di Tease che spezzava la cassa toracica e infine inghiottiva un abbondante pezzo di carne rossa pulsante con i dentini appuntiti, il profumo del sangue sgorgato sotto la luce della luna e lo scintillio dell’ennesima vita strappata per dovere e desiderio mescolato insieme, spirata in un battito di ciglia…
Una sequenza di eventi vibranti, nel loro raccapricciante appagamento, assaporati e assorbiti con il petto eccitato nel giro di secondi esauritisi troppo precocemente. Lo aveva ucciso, Allen Walker, lo Shounen grazioso che tanto gli aveva assillato gli ormoni, ingarbugliandogli inconsciamente il Bianco e il Nero da lui tenuti divisi per vizio e capriccio, che aveva costretto lui, il Piacere in persona, a sottostare a un inesprimibile quanto doloroso desiderio di febbrile soddisfazione. Inconcepibile come un essere umano, un nemico che neppure conosceva e per cui mai avrebbe potuto provare un interesse diverso da quello della carne, fosse riuscito a turbarlo al punto da riesumare rimpianti finiti per stringergli il basso ventre con morsa accusatoria.

La resa facile non era mai andata giù a Sir Tyki Mikk e Allen Walker…Oh, avrebbe potuto fare di tutto a quel delizioso piccino. Magari gonfiarne le labbra di baci mentre ne spingeva il corpo minuto fra le ceneri di Suman Dark, con la divisa grande il doppio che facilitava l’avanzata delle sue mani. Lo avrebbe scartato lentamente, dalla giacca fino alla pelle pallida, saggiandone piccole porzioni e continuando a scendere verso il basso senza tener conto dei continui ordini di fermarsi sempre più affannati, spingendo ancora e ancora il palmo sulla stoffa umida con la fermezza che diveniva supplica. Il modo migliore per distruggere un’anima innocente, sporcarla di una vergogna intrisa di infimo piacere che soprassedeva alla ragione, inoltrandosi fra le sue più minuscole fessure. Lo vedeva, lo immaginava, così inerme da essere plasmato a ogni spinta bisognosa, le dita aggrovigliate fra i capelli lattei e il calore della pelle che si infiammava di gemiti ubriacanti i sensi; macchiato dentro e fuori, col privilegio finale di vedersi privare il cuore da lui stesso in persona, il guanto che si infangava di sangue mentre il suo spirito si infrangeva definitivamente nell’oblio.  
Invece aveva scelto diversamente, premiandone il coraggio con una fine altrettanto agonizzante e rubandogli quel bottone d’argento che custodiva gelosamente nella tasca della giacca come ricordo simbolico di quella scelta fatta. Eppure aveva fallito e il Nero e il Bianco erano tornati a ringhiarne all’unisono, a vibrare in un tutt’uno di indecifrabile frustrazione che gli stava rendendo difficile mantenere la solita noncuranza. Non finiva una sigaretta che ne cominciava un’altra e con i gemelli a rincarare la dose sulla sua inettitudine o a starnazzare su quanto la loro presunta preda si divertisse a farli correre da un paese all’altro, quell’unico pacchetto rimastogli sarebbe durato molto meno del previsto.

Ma il vero problema era Road. L’unico membro della famiglia la cui affinità col Conte del Millennio vantava un’intensità non esente da segreti e verità superiore a quella che tutti quanti loro, messi insieme, potevano affermare di possedere. Il Sogno di colorata infantilità e sadismo malizioso capace di sminuzzare e torturare qualunque spirito umano decidesse di imprigionare dentro di sé era il peggior avversario che potesse capitare a qualunque malaugurato; in confronto allo spaziare in dimensioni dove si poteva giocare con la mente di una persona fino a svuotarla d’ogni vitalità o imbottirla di follia, il suo potere di scelta aveva del ridicolo.
Allo scontrarsi con il blu notte dei suoi occhi, Tyki evitò apposta di notare come la piccola linea che divideva le labbra della bambina si fosse incurvata all’insù; trascorrendoci diverso tempo insieme aveva osservato e imparato che la spregiudicatezza della nipote non conosceva limiti. La sua mente contava più occhi e orecchie di qualunque altro lì dentro.


- Fumarti tutte quelle sigarette non accelererà il tempo, sai? Allen non è neanche vicino alla torre. – Nonostante il fracasso sollevato da Jusdero e Debit alle loro spalle, l’osservazione di Road arrivò forte e chiara.
- Parli come se fossi io quello che vuole correre a farsi bello per quell’Esorcista -, le fece notare lui.
- E tu ti comporti come se la sua resurrezione non ti abbia eccitato -, fu la pronta e ghignante replica della bambina  – Se neghi piacere al Piacere quale tu sei, finirai con il distruggerti da solo, Tyki -, gli sussurrò poi a bassa voce rimproverante, prima di girarsi e riprendere a trotterellare allegramente.

Il gruppo proseguì imperterrito senza risentire dell’abbandono dell’uomo, fermatosi e con un’importanza pari ad un’ombra quasi del tutto illuminata dal sole. La piccola e bruciante luce arancione che corrodeva la sigaretta aveva smesso di consumare il tabacco rinchiuso nella striscia di carta. Lo sbuffò che il Noah vi riversò dentro la riaccese fino al massimo delle sue possibilità, accartocciando il contenuto e lasciando che un'altra minuscola porzione dei suoi polmoni già inquinati si annerisse.
A giocare al comune essere umano ci aveva sempre tratto vantaggi e divertimenti che nella loro semplicità materiale ne sottolineavano anche la gradevole temporaneità, un vizioso egoismo a cui il Piacere si era aggrappato per prendere tempo. Tempo che aveva speso per non perdere nulla di quello che aveva da sempre posseduto e ciò che il destino gli aveva concesso. Tempo che aveva gestito bene…

Stupidate.

Lo sapeva, ancor prima di vedere riflesso nello specchio l’immagine bianca e sogghignante di un essere dalle forme vagamente umanoidi, che volere tutto portava a non avere niente, e che a fuggire o a rifiutare il proprio Io si finiva con l’andare in mille pezzi. A Tyki Mikk gli esseri umani erano sempre piaciuti, lo era stato anche lui per quei primi ventotto anni di vita, ma arrivato a quel punto, col Nero e il Bianco che ne comprimevano la coscienza, una scelta doveva farla.
E per farla, l’aveva fatta, proprio quando aveva constatato con i suoi stessi occhi che la vita scorreva ancora nelle vene di Allen Walker, così come la sua Innocence.
Lì, ogni forma, sensazione ed emozione, erano andate a collidere, esplose in un cielo di luce riversatosi in un oceano catramoso nel cui profondità aveva iniziato a scalpitare una volontà unica, famelica al solo constatare che il cuoricino del piccolo Esorcista fosse sfuggito alla trappola ordita. Una felicità malsana rimasta addormentata fin troppo a lungo, che gli infuocò le mani allo stringere con forza il freddo argento del bottone che nascondeva nella tasca della giacca. Non era desiderio carnale, pazzia o superficiale d’astinenza. Era Noah. Il Bianco soppiantato dal Nero lindo e sporco.
Quella natura fatta sua gradualmente, con abitudini e interessi sfociati in vaghi sensi di déjà-vu tenutisi ben lontani dal modificarne la personalità, limitandosi a un’espansione sensoriale che aveva incluso bisogni e fami sempre più assetate.
Leggendo il nome sul retro dell’ornamento rubato, Tyki Mikk si sentì ribollire le viscere come quando aveva saggiato gli strati muscolari dell’albino e fattone mangiare la carne pulsante a Tease. Se lo sterminio era qualcosa che bisognava attuare con la giusta motivazione, stavolta avrebbe distrutto l’Innocence del bel principino dei bari definitivamente, a modo suo, per poi stringergli le mani attorno al morbido collo e prendersi il suo ultimo alito di respiro con un romantico e mortale bacio d’addio.




Non avrai esagerato? – La voce di Lulubell spezzò il silenzio con bassa e inespressiva tonalità vocale appena percettibile.

Dei Noah lì presenti, nessuno più di lei impersonava quel sottile quanto spesso confine che divideva il mondo reale dal personale pensiero. Interpretare l’indecifrabilità aleggiante nelle pozze dorate quali erano i suoi occhi felini o scorgere una qualsivoglia forma di vago sorriso sulle labbra lucide, sempre piegate in una linea leggermente ricurva verso il basso, non era affare che concernesse alle persone di frivola mentalità: la Lussuria si mostrava con beltà delicata e sinuosa, degna del desiderio che suscitava negli animi imperfetti e ignari della sua letalità, fedele alla famiglia e a chi stava alla sua testa, ma non così indifferente alle problematiche di quei suoi fratelli così diversi e uguali a lei, il cui legame li univa sotto l’obiettivo di distruggere quel mondo già rotto di per suo. La condotta di Tyki era moralmente indecente sotto ogni punto di vista, di una turpe noncuranza la cui evidenza, però, fintanto che non ostacolava i piani del Lord del Millennio, non era mai stata motivo di interesse personale. Pertanto, l’osservare di sottecchi come il ritorno dall’aldilà di un ragazzino ne avesse sconvolto l’esistenza, si era rivelato utile al fine di constatare che dopotutto, esisteva sempre qualcosa meritevole di attenzione.

- Con Tyki? No. - La risposta di Road giunse dopo attimi che parvero secoli, gettata al vento quasi la vistosa collana gotica con cui stava giocherellando avesse più rilevanza – E’ sveglio, sa come funzionano le cose, solo che fino a d’ora ha esitato sul come affrontarle: a essere il Piacere di Noah si corre il rischio di banalizzare quello che si ha e si vorrebbe per il troppo possederlo, per questo ha sempre evitato di prendere una posizione in merito al suo potere. Ma la verità è che si è accorto che quanto ha adesso non lo appaga per niente -, pigolò con malignità sibillina e saccente la bambina – E questo perché ha finalmente trovato qualcuno che gli piace a tal punto da volerlo uccidere con tutto se stesso. –
- Cheee?!? Chi è che piace a quel barbone? – La testa scandalizzata e disgustata di Debit fece capolino in avanti dopo che il suo orecchio ebbe finito di captare quella conversazione tanto riservata che, per rigore di logica, doveva essere origliata.
- L’Esorcista di Road, l’allievo di quel dannato di Cross! Tyki-pon vuole portarselo a letto! Ih! – Squittì Jusdero.
- L’ho sentito, scemo! – Il moro tirò con forza un’ondulata ciocca dei Golden Hair appartenente all’altra sua metà, senza mancare di puntagli la pistola sotto il mento – Cavoli suoi se è tanto scorbutico perché non l’ha ammazzato a dovere o perché non l’ha scopato, ma che non si azzardi a rubarci la preda solo per alleviare l’astinenza! Quel bastardo strafottente di Cross è affare esclusivo di Debit!!! – Dichiarò il Noah.
- E di Jusdero! Insieme siamo Jusdebi! Ih! – Gli si affiancò il secondo.
- Come preferite. –

L’asserire accondiscendente di Lulubell si fece largo fra le indoli strepitanti e mal controllate del Legame, avanzando verso il primo corridoio di sinistra con passo leggero e ticchettante. Jusdebi non aveva mai brillato per il proprio Bon-Ton o l’educazione in generale, i pranzi di famiglia degeneravano in irrefrenabili baraonde ancor prima che tutti gli ospiti arrivassero, ma alla Lussuria premeva occuparsi di questioni più inerenti alla sua presenza sull’Arca Bianca, anziché dilungarsi su quanto i due adolescenti, sia da uniti che da separati, fossero incontenibili.

- Certe volte io quella proprio non la capisco… -, bofonchiò Debit, affondando le mani nella grande giacca nera.
- Uh? Ehi, Road! Dove se ne va Lulu-chan? – Domandò Jusdero. L’antenna volteggiava a destra e a sinistra con luminosità intermittente.

Erano rimasti in tre, su uno dei piani non ancora caricati e distrutti del Download in corso. Skin Boric era svanito dopo pochi attimi che Tyki era rimasto indietro, inghiottito da una rampa di scale che conduceva verso le ultime zone sane della cittadella in superficie. Nessuno di loro avrebbe dovuto trovarsi lì o, peggio ancora, dividersi e giocare come se quel vascello potesse ancora serbare una qualche utilità. In qualità di primi Risvegliati dopo trentacinque anni di mancanza, un minimo di accortezza per le loro vite era doveroso soprattutto con la famiglia ancora incompleta, ma niente vietava di impiegare il proprio tempo con azioni costruttive atte a rendere l’attesa meno tediosa. Come spulciare le già esigue file degli Esorcisti.

- A spuntare la lista degli invitati -, dichiarò la bambina, volteggiando in  punta di piedi - Ci sono decisamente un po’ troppi imbucati al nostro party. - 




Hell’s Cut: Ballata della Ghigliottina! –

Due passi compiuti con leggiadra eleganza e l’Innocence avvolta nel suo tipico splendore smeraldino aprirono la strada a uno scatto repentino. Un filo sottile avvolse le cinque teste degli ultimi Livello Tre rimasti con direzione retta; gli elmi lucidi degli Akuma si staccarono dai corpi allo schioccare delle dita di Amèlie, riempiendo la stanza di esplosioni concentrate che scemarono nel giro di pochi secondi, cospargendo il pavimento di cenere grigia e resti di armature appuntite.

- E…Sor…Ci…Sta… - Un’ultima testa inesplosa biascicò il suo ruolo con la lingua srotolata fuori dalla bocca.
- Che spreco… - La francese calciò il cranio appuntito ammirando l’operato appena compiuto con la maliziosità a illuminarle gli occhi – Che senso ha costruire delle Bambole e regalare loro un’anima se poi non la sfruttano nemmeno per inchinarsi d’innanzi alla mia bellezza? -

Non c’era niente come le decapitazioni multiple che riuscisse a ravvivarle il corpo di adrenalinico e impagabile piacere. Quegli stermini simultanei sconfinavano da ogni senso fisico concepito, erano l’apoteosi per il suo ego narcisista che raggiungeva l’estasi quando si ritrovava circondata da centinaia di nemici pronti a essere giostrati con una mortale combinazione di Alchimia e Innocence. Trovare qualche esemplare di Livello Tre così stupido da pensare di poterla fermare non aveva neanche valso la pena di attivare il secondo sprigionamento di Lucifer o il Sigillo di Caccia, ma considerata la costretta inattività per intrufolarsi nell’Arca Bianca, Amèlie non aveva potuto che gioire d’eccitazione nel vedersi concedere la possibilità di sfogarsi un po’. Quella scatola era di un’immensità paurosa, un labirinto di stanze, corridoi e scale che si snodavano in combinazioni complesse e infinite. Porte su porte che avrebbero fatto perdere l’orientamento a chiunque, tuttavia il problema non pareva sussistere per il piccolo Timcampi, che, distante da lei solo mezzo metro, svolazzava tranquillamente e si fermava solo per assicurarsi che lei gli fosse dietro. Un comportamento fin troppo sicuro di sé, per l’istinto indagatore della donna, la mente già attiva con gli ingranaggi a muoverne le riflessioni per dare un fondo ragionevole a quella stranezza sempre più evidente.

Come poteva dimostrare una dimestichezza tale in un posto mai visitato? Se anche fosse stato Cross a fornirgli una qualche mappa che poi aveva provveduto a memorizzare nella sua sconfinata memoria, ciò non eliminava la domanda, anzi, ne incrementava le dimensioni, inducendola automaticamente a domandarsi come il Generale fosse venuto a conoscenza della planimetria dell’Arca Bianca. Poteva aver ottenuto quelle informazioni in molti modi, le risorse non gli mancavano, se si teneva conto del tempo speso a Edo prima di entrare definitivamente in azione. Con un Akuma modificato, per esempio.
Eppure il suo sesto senso le impediva di crederci, di affidarsi completamente a quell’ipotesi e ritenerla possibile. Il planare di Timcampi ostentava una naturalezza priva di incertezze, un’emotività umana e nostalgica a cui mancava soltanto la parola per espandersi in tutta la sua evidenza. Oltretutto, se lui era lì…C’era la possibilità che anche Allen e gli altri lo fossero o che comunque si trovassero in territorio nemico.


- A cos’è che miri realmente, Cross? – Le dita afferrarono la goccia di rubino appesa al collo, le palpebre socchiuse e l’ossidiana degli occhi persa nella serietà dei suoi stessi pensieri mentre camminava.

A quella delicata missione affidata al Generale non riusciva a non affiancare un doppio fine nascosto, forse più redditizio dell’impianto di produzione degli Akuma, e lei ci era finita dentro in veste di pedina, il ruolo che più di tutti doveva ingoiare a viva forza per non compromettere l’esito finale. Nessuna improvvisazione: soltanto una strategia di gioco con tanto di alternative che ne impedivano il fallimento, uno schema che rispecchiava l’illeggibile mentalità di quell’uomo che muoveva fili invisibili di inconsapevoli marionette. Non potevi dirti sicura di una cosa che subito se ne affiancava una seconda, sfaldando così il lavoro compiuto in precedenza: ecco cosa significava avere a che fare con Marian Cross, fra le tante altre definizioni. L’imprevedibilità richiedeva prontezza di riflessi e adattamento, ma più che altro rassegnazione a discernere il giusto dall’impossibile. Lo aveva scelto come maestro anche per quello. Sì, scelto, non accettato, ed entrambi erano coscienti che trattarla come un qualunque altro pupazzo di carne avrebbe significato abbuonarsi un’ira senza fine. L’unica cosa da sperare, era che il troppo sakè sbevazzato a scrocco non glielo avesse fatto dimenticare.

- Aumentiamo il passo, Tim –, ordinò sbrigativa. L’eco del Download che sbriciolava le stanze avanzava, scandendo il poco tempo a disposizione con il dovere di usare ogni secondo rimasto senza superficialità.

Dalla camminata spedita si passò a una leggera corsetta che li vide attraversare in pochi minuti un sotterraneo traboccante di umidità, scuro e dal soffitto disseminato di tubi ferruginosi. Getti di vapore fischiante fuoriuscivano dalle loro fenditure, gocciolanti acqua disseminata a chiazze sul pavimento scoperchiato da piastrelle rotte. L’ennesima rampa di scale comparve davanti a loro dopo metri e metri di svolte fra cisterne dalle forme cilindriche e passaggi al limite della ristrettezza, illuminata da una luce incolore di provenienza sconosciuta dove, in cima, era situata l’uscita: un ampio quanto inaspettato portone di legno marrone. Esageratamente elaborato per condurre ad un altro sudicio sgabuzzino di pietra ruvida. Amèlie ne fissò i pomoli dorati percependo la densità dell’ambiente mutare, indurirsi e affilarsi con strascichi taglienti.

- C’è qualcuno. –

La distanza che la separava dai pomoli dorati era minuscola, un riquadro di mattonelle a scacchiera dove, sotto la linea bassa e orizzontale delle ante, si dispiegava un’aria ghiacciata che puntellò la pelle della francese come fosse stata carezzata da tanti piccoli aghi di pino. Dalle caviglie salì fino alle ginocchia, avvolgendole il busto e le braccia con armata e sospettosa vitalità, un falso tocco di velluto diverso da quello vuoto e senz’anima di una comune folata di vento: aveva un corpo concreto, come il suo, una fonte che la aspettava dall’altra parte e non era un Akuma.
Lucifer stessa scintillò, schioccando guardinga e condividendo i sentimenti della sua padrona, che risaldò la presa sul manico nero della falce. Perfino Timcampi se ne era accorto, correndo subito a nascondersi fra i capelli dell’Esorcista e avvolgendovisi con le alucce per scaldarsi.


- Tranquillo, Tim. Me ne occupo io. – Lo accarezzò con premura, rilassando i muscoli del corpo con un profondo respiro nel mentre le dita e il palmo della mano destra andavano a chiudersi lentamente sul metallo dorato di uno dei pomoli.La porta si aprì con cigolio tirato e il resto di quell’aria rigida e agghiacciante, tipica degli inverni che solevano negare la venuta del sole con cortine di nuvole nevose, la inondò disperdendosi quasi immediatamente alle sue spalle. La pelle scoperta risentì dell’abbassamento repentino accapponandosi all’istante, assieme al fiato caldo esalato dalle labbra, condensatosi in un unico sbuffo di peso inconsistente.

- Finalmente sei arrivata. – La accolse una voce di delicatezza flemmatica e immediatamente l’ampiezza e la particolarità della stanza si materializzarono dal nulla.

Specchi. Numerose file di grandi e limpide lastre tutte identiche fra loro tappezzavano le pareti in penombra della stanza chiusa a cupola; un rivestimento di lucida trasparenza che la luce del grosso lampadario di cristallo appeso al soffitto lasciava intravvedere con scarsità, ricadendo a cono nel centro della sala.
Seduta in mezzo al circolare fascio di luce, ad un piccolo tavolino occupato da una bottiglia vuota e con un piattino in mano, vi era una donna. Bellissima, disgraziatamente; il primo aggettivo venutole in mente alla vista di quell’ovale ostentante la tipica bellezza che, conscia o meno, oltraggiava la sua. Pericolosa, il secondo. Il pregiato tailleur nero le fasciava il corpo snello mettendone in risalto ogni curva perfetta, fine e aggraziata come i lineamenti delle dita affusolate che reggevano il cucchiaino e del viso cenerino dove, seminascosti da una frangetta di seta scura, spiccavano due gemme dorate che le si rivolsero con fredda indifferenza.
Non ne aveva mai incontrato uno, la loro personalità si nascondeva dietro banchi di nebbia che lasciavano intravedere giusto una scia di poteri superanti la cognizione umana, ma ben immaginando cosa segnasse la fronte di quella donna, nascosta dalla chioma legata che un grazioso fiocco lilla faceva ricadere elegantemente fino al fondo schiena, un solo nome si impresse a viva forza nella mente di Amèlie: Noah.


- Sei un’Esorcista molto più potente di quelli che il maestro ha intrappolato nei piani superiori -, declamò quest’ultima, portandosi il cucchiaino alle labbra e sorseggiando dalla posata argentata quello che pareva latte. - Hai addirittura eliminato i Livello Tre che avevo posto a guardia di quest’area e arrivata sino a qui senza alcuna fatica. –Non c’era colore nella sua voce, stupore, delusione o curiosità.

Piatto, il suo timbro vocale si espandeva inespressivo e acuminato. Non una sola nota di sorpresa deturpò la compostezza della francese, la cui mente corse ai compagni lasciati in Cina sostandoci giusto un paio di miseri secondi. Il tempo a sua disposizione non includeva quesiti o riflessioni rivelatrici e tutta la sua attenzione la stava volutamente rivolgendo alla prima Noah incontrata dopo orde infinite di macchine squilibrate, scandagliandone e fronteggiandone l’aura di disinibita sinistrosità.


- Con il Download in corso, questa scatola vivrà al massimo per un altro paio d’ore -, le rivelò la nemica, poggiando il piattino e il cucchiaino sul tavolino, per poi tamponarsi la bocca con un tovagliolo bianco – E considerando la tua volontaria intrusione, presumo che tu sia qui per conto di quel Generale che infastidisce tanto il maestro. -
- Uhm…Può darsi che sia così…Oppure che non sia così -, giocò Amèlie maliziosa, ma senza alcuna scherzosità nel tono – Io so soltanto che non si dovrebbe mai mandare dei bambini a fare il lavoro di una donna, come tu sei qua per non farmi passare. -
- Precisamente. –

Con uno schiocco di dita, la porta d’entrata fu inghiottita dal muro, lasciando soltanto uno spazio vuoto e bianco al suo posto. Rimase solo l’uscita, alle spalle dell’avversaria.

- Qualunque cosa tu e quel Generale abbiate in mente, è di ostacolo all’agire del Lord del Millennio e come Noah, questo per me non è accettabile -, asserì questa, alzandosi in piedi – Ma considerata la tua bravura nell’arrivare qui, forse potrei concederti una morte rapida. -   
- Quale onore… - Amèlie evocò l’Innocence sibilando profondamente – Sempre ammesso e concesso che non ti tagli prima la testa. – 




Note di fine capitolo:
1*: Argh...Un attimo, sono sveglia. Che botta...
E risorge dalla tomba ancora una volta. Siamo ufficialmente entrati nella saga dell’Arca, una delle più belle e piena di rivelazioni, ma io, ovviamente la trascriverò a modo mio e apro subito le danze con un Tyki Mikk che vorrebbe stuprarsi il piccolo Allen per quant’è carino e un combattimento fra donne. Ok, la prima cosa non avverrà, ma una piccola parentesi su quanto questo Noah sia complessato nel suo non scegliere ci stava e lo yaoi mi ha parecchio influenzato. Quanto al secondo punto, quale avversario migliore per la Lussuria se non la mia Amèlie, che di lussuria ne sa più della Noah scelta? Finalmente potrò dare mostra di qualche altra capacità bellica della mia Esorcista e spero di rendere la vicenda il più coinvolgente possibile. Amèlie ci va pesante sempre comunque, ma con una donna bella quanto lei vi lascio immaginare cosa potrebbe fare per mantenere il suo primato. Mando a tutti i lettori e recensori un enorme bacione (al solito, spero non ci siano errori!). Alla prossima!
  
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