Un Butei alla
Kuoh Academy
Disclaimer: Non posseggo
ne Highschool DxD ne Hidan No Aria. La storia è scritta
senza scopi di lucro
Prima
Pallottola - Contratto
Quando ripresi i sensi la prima cosa
di cui mi resi conto fu
della luce. La luce mi colpiva da destra, abbagliando i miei occhi
ancora
abituati all’oscurità. Poi pian piano mi adattai
ed alzando il capo cercai di
capire dove fossi.
La stanza era grande e ben arredata,
con un letto a
baldacchino enorme in cui mi trovai sdraiato, ed ovunque guardassi
c’erano
orpelli e ninnoli preziosi. Il rosso era il colore che dominava
l’ambiente, ma
non era un rosso duro ed opaco, come potrebbe essere il colore del
sangue
venoso, al contrario era un rosso gentile, carico di bellezza, come il
colore
del sangue arterioso.
Presi fiato per quella che mi
sembrava la prima volta da
tanto tempo e tastai il retro della mia testa. Una benda mi fasciava il
capo
coprendo quella che aveva tutta l’aria di essere un bel
bernoccolo. Cercai di
ricordare e di razionalizzare, ma solo quando lei si mosse vicino a me
iniziai
a capire.
Capii che mi trovavo nudo, in un
letto non mio con qualcuno
al mio fianco. Immediatamente il mio cuore iniziò a correre
ed il dolore al
basso ventre indicò l’avviarsi dei sintomi della
mia malattia.
Senza riflettere mi trassi a sedere,
presi un cuscino per
nascondere le mie nudità e mi avviai verso la porta. Non lo
feci gentilmente, o
con la dovuta attenzione per non svegliare la mia partner, al contrario
mi
mossi in fretta, completamente nel panico, per impedire lo scatenarsi
di quel
lato di me che odio così tanto…
… se mi fossi risvegliato
in questo istante, in questa
situazione, Dio solo sa cosa avrei potuto fare a lei o a me stesso.
Cercai di aprire la porta, la tirai a
me con forza, ma
questa era chiusa e la chiave non era in vista.
“Tojama-kun? Torna a letto,
è presto ancora…”
Un brivido mi percosse la schiena,
lentamente mi voltai e
lei era lì.
Nuda, seduta sul letto mentre
stancamente si strofinava gli
occhi fissandomi.
I suoi seni enormi, con i piccoli
capezzoli rosa ad ornare
il tutto, erano puntati contro di me.
TUMP
La sentì avanzare,
sentì la malattia crescere, arrivare al
confine e quasi trasbordare, ma nell’angolo della stanza
c’era la mia salvezza.
Mi fiondai verso quella porta socchiusa che prima mi era sfuggita,
sprangandomela alle spalle.
Mi ritrovai in un piccolo bagno
signorile, con una vasca in
stile giapponese, una doccia e più spazio di quanto ne
servisse a dieci
persone. Senza pensare mi diressi alla vasca e mi tuffai dentro,
cercando di
calmare i miei bollenti spiriti.
Per un minuto sembrai riuscirci, ma
poi lei venne a bussare
alla porta.
“Tojama-kun, tutto bene?
Perché ti sei chiuso li dentro?”
La porta era chiusa, quindi lei non
poté entrare, ma la sua
presenza appena oltre un sottile strato di legno mi fece ribollire.
“Scusa!” urlai,
cercai di mantenere il controllo. “I-Io non
so come sia successo, non volevo davvero che accadesse…
p-puoi vestirti per
favore? Arriverò fra poco!”
La ragazza borbottò, ma
fece come le avevo detto, tornando però
a bussare una volta vestitasi.
“Ora puoi uscire
Tojama-kun, ho messo in dosso qualcosa…”
Io sospirai di sollievo, mi avviai
verso la porta,
raccogliendo ed indossando quanti più accappatoi possibili
lungo la via. Quando
finalmente uscì nella stanza, sembravo un pinguino
imperatore o una qualche
sorta di strano esquimese…
…e lei era lì,
con indosso l’uniforme della scuola e un
sorriso bonario in viso.
La riconobbi per il semplice fatto
che era impossibile che
la dimenticassi, era la stessa ragazza che il giorno prima avevo
incontrato
all’uscita da scuola e che rividi una seconda volta in
quell’appartamento…
Solo quando feci
quest’associazione ricordai i trascorsi
della sera prima, con lo strano prete che rapiva una suora, un cadavere
appeso
ad un muro e la luce che mi spinse ad arretrare facendomi battere la
testa
contro la ringhiera. Dentro quella luce c’era proprio lei.
Davanti alla mia espressione
sembrò risollevarsi. “Bene,
vedo che inizi a ricordare. La botta alla testa non era così
grave, ma sarebbe
stato un problema se avessi iniziato a soffrire di amnesia.”
La ragazza dai seni enormi e dai
lucenti capelli rossi si
avvicinò a me, studiando dubbiosa il mio abbigliamento.
“Mi spieghi perché ti
sei messo tutti i miei accappatoi? Con cosa mi dovrei asciugare io ora?
Se volevi
i tuoi vestiti indietro, sarebbe bastato chiedere. Sono proprio
lì, su quella
sedia.”
Mi indicò una sedia
nell’angolo della stanza, e li
perfettamente piegati c’erano in effetti gli indumenti che
avevo in dosso la
sera prima.
“I-I-I-Io non capisco,
cos’è successo i-i-ieri sera?”
Solitamente quando i sintomi della
mia malattia si
mostravano, rimanevo comunque cosciente e ricordavo cosa facevo in quel
periodo
in cui non ero io al controllo, ma questa volta… era buio
totale.
Ancora non capivo cosa ci facessi in
camera di una bellezza
simile, ne perché fossimo entrambi nudi, ne come mai lei
fosse così tranquilla
al riguardo.
“Fufu, sei così
carino quando arrossisci. Tranquillo, ti
spiegherò tutto una volta che mi sarò lavata,
quindi ti va di restituirmi un
accappatoio? A meno che a te non vada di vedermi nuda e grondate
d’acqua….”
Parlò in maniera
maliziosa, causandomi un ulteriore stimolo
deleterio alla mia salute.
“N-N-N-No, tieni
pure!!!”
Mi tolsi uno dei numerosi accappatoi
e la vidi allontanarsi
verso il bagno sorridendo.
Approfittai di quei minuti in cui lei
era impegnata per
riprendere possesso dei miei vestiti, riacquisendo almeno un sentore di
normalità. Quando finii di vestirmi, lei uscì dal
bagno. Ci mise
straordinariamente poco per essere una ragazza, cosa che mi
lasciò di stucco e
mi diede appena il tempo di tirare su la zip dei pantaloni.
Era fradicia ed avvolta
nell’accappatoio che le avevo dato,
ma anche così attraverso il tessuto bagnato si riusciva a
vedere o almeno
intravedere tutto. Diedi le spalle a quella visione peccaminosa,
gridando
arrabbiato. “Sii più consapevole per piacere! Ed
indossa qualcosa che ti
copra!”
Ero furente, eccitato, preoccupato e
stanco tutto insieme.
Era incredibile come in pochi minuti fossi riuscito a passare dalla
brace alla
merda più totale. Rimase nel mio angolo, a tremare per
qualche minuto, finché
non senti la sua mano poggiarsi sulla mia spalla. Istintivamente feci
un balzo
indietro allontanandomi da lei.
“Ehi, ti comporti in
maniera davvero strana sai? Potrei
quasi offendermi se non mi avessi offerto il tuo corpo
stanotte…”
Mi paralizzai, sbiancai
completamente, perdendo ogni
briciola di forza. Lei si accorse di questa mia situazione e mi fu
subito
accanto, ma per evitare che il peggio accadesse di nuovo, arretrai
ancora di
qualche passo.
“I-Io non volevo che
accadesse. P-Per favore dimentica di
stanotte. E-Era la mia prima volta e scommetto di essere stato s-strano
durante
il r-rapporto, ma anche così… non credo che
dovremmo….”
Abbassai il capo, cercando di
spiegare goffamente come non
avrebbe dovuto fraintendere i fatti della notte prima in quanto quello
non ero
realmente io, ma sorprendendomi per l’ennesima volta, lei
scoppiò a ridere.
“Ma cosa vai a pensare? Non
l’abbiamo mica fatto, sono
ancora vergine io!”
Continuò a ridere, ma io
ero semplicemente confuso. Forse
invece di un rapporto completo avevano passato il tempo in
attività più soft?
Magari lei aveva…. Ed io avevo…
Arrossì ancora, ma questo
non mi impedì di parlare. “Sei
davvero vergine?”
“Si lo sono.”
“Davvero,
davvero?”
“Si che
c’è, vuoi forse controllare?”
Lo disse con voce maliziosa alzando
l’orlo della gonna, ma
io scossi il capo velocemente. Non avevo la minima intenzione di
ricadere in
fallo, non ora e non con lei.
“Ora per favore, smettila
di agitarti e lasciami spiegare.
Ti ho portato qui ieri sera dopo che hai battuto la testa. Ti avrei
portato a
casa sapendo dove fosse, ma non conoscendoti così bene ho
pensato che fosse
meglio curarti da me….”
Quindi questa specie di stanza
super-lussuosa, con bagno
integrato era la sua camera da letto. I miei occhi si dilatarono alla
sorpresa.
“Allora cosa intendevi
quando dicevi che ti ho offerto il
mio corpo?”
Lo domandai con voce bassa, ma
decisa. Sembrava quasi che
quella bellissima principessa si stesse prendendo gioco di me.
“Esattamente quello che ho
detto, dopo averi curato ti ho
messo a letto, e quando ti ho chiesto se potessi abbracciarti come un
cuscino
non hai risposto. Non è consuetudine umana dire che chi tace
acconsente?”
Quasi caddi a terra di fronte a
quella rivelazione. Quindi
dopo tutto non avevo ceduto agli istinti della mia malattia, ed anzi
non avevo
davvero fatto nulla. Era stata lei ad approfittarsi del me incosciente,
abbracciandomi tutta la notte come una qualche specie di cuscino.
Nonostante mi
sentissi in parte violato, la notizia mi rallegrò, andando a
formare sul mio
viso un sorriso sghembo.
“Va bene, se è
così che è andata allora credo sia tutto a
posto, solo… solo la prossima volta non farlo.”
Stancamente mi sedetti sul letto e
lei mi seguì poco dopo.
“Tu vuoi salvare quella
suora.”
Non era una domanda, ma solo una
costatazione. Lentamente
annuì alle sue parole, appoggiando i gomiti sulle cosce ed
incrociando le mani.
“Ieri ho visto il tipo che
probabilmente era il responsabile
di quel massacro e non ho fatto nulla per fermarlo… come
Butei… anzi no, come
uomo, ho fallito ed ora devo rimediare in qualche modo. Salvarla
è l’idea
migliore che abbia.”
L’afflusso di sangue dovuto
alla malattia iniziò a
dissiparsi e lentamente tornai calmo e razionale. Ancora non sapevo
cosa la
ragazza facesse sulla scena del crimine, ne come mai fosse informata
dei fatti,
ma stranamente non mi preoccupai. Sentii intimamente di potermi fidare
di lei.
“Anche se avessi voluto,
non avresti potuto fare nulla
contro quel prete, era semplicemente troppo forte per te. Sei davvero
sicuro di
volerla salvare?”
“Lo sono.”
“Anche se questo
comportasse il mettere a rischio la tua
vita?”
Per qualche secondo rimasi in
silenzio, ma poi annuì.
“Si, è la cosa
giusta da fare. Qualche tempo fa l’avrei
fatto in ogni caso…”
La ragazza sembrò
soddisfatta dalla mia risposta, perché
sorrise radiosa alzandosi in piedi.
“Bene, allora faremo un
contratto, noi ti presteremo la
nostra forza per salvarla ed in cambio il 25% della tua anima
andrà a noi.”
Eh? EH?!
Dalle spalle di lei comparvero due
ali da pipistrello, che
sarebbero potute sembrare un costume da cosplay se non
l’avessero sollevata in
aria lasciandola a qualche piede da terra. Rimasi imbambolato a
fissarla per
quasi un minuto prima di trovare il coraggio di parlare.
“Chi sei tu?”
Lei toccò di nuovo terra e
mi porse quello che aveva tutta
l’aria di essere un contratto stampato su carta-pecora.
“Sono Rias Gremory, erede
della Casata Gremory, uno dei 72 pilastri che reggono
l’Inferno, ed
insieme ai miei servitori saremo i tuoi compagni in questa missione di
salvataggio.”
Il mondo si capovolse ed io persi di
nuovo i sensi.
Quella ragazza formosa e bellissima
era un demone.
XXXXXXXXXXXX
Quando ripresi i sensi mi trovai in
un altro luogo. Questa
volta la confusione passò più in fretta, ma
ancora mi era difficile digerire
quanto mi era stato detto.
Aprendo gli occhi mi trovai in una
tetra sala scura, con
mobili d’appartamento, una piccola cucina e decine di sigilli
mistici disegnati
al suolo. Non feci in tempo ad aprire gli occhi che uno dei sigilli si
accese
rilasciando la forma di una ragazzina dai capelli bianchi.
“Bouchou, missione
compiuta. La via è sgombra, loro sono
certamente nella chiesa.”
La ragazzina era piccola, esile, con
uno sguardo spento e
distante. Eppure sembrava trovarsi a suo agio nella stanza in cui mi
accorsi
esserci molte più persone di quante immaginassi. Oltre alla
bellezza che si era
presentata come Rias, c’erano la ragazzina dai capelli
bianchi, una formosa
ragazza dai capelli neri, il mio compagno di classe Issei e
l’idol della scuola
Kiba Yuuto, di cui mi avevano accennato durante il mio primo giorno di
scuola.
“E così ti sei
svegliato Toyama-kun? Cavolo, sei svenuto due
volte in poche ora, soffri per caso di anemia? Ad ogni modo non abbiamo
troppo
tempo da perdere, il contratto parla chiaro, dobbiamo aiutarti a
salvare quella
suora, ma il tempo scorre e non possiamo sapere per quanto ancora non
le
faranno del male….”
Io provai ad aprire la bocca, ma
intorno a me era un fervore
di attività. Più degli altri, il mio compagno
Issei si muoveva freneticamente
quasi avesse fretta, ed io non m capacitavo della cosa. Ad ogni modo mi
rimisi
in piedi e davanti a me trovai la bellissima ragazza dai capelli neri
tenuti
insieme ad una coda cavallo.
“Toyama-kun, la Bouchou mi
ha detto che non hai fatto
colazione, ti prego mangia qualcosa prima di buttarti a capofitto nella
lotta,
sarà una battaglia difficile quella contro gli angeli
caduti.”
Gentilmente mi porse una ciotola
contenente del ramen, senza
darmi il tempo di razionalizzare.
Angeli Caduti?
Esistevano anche gli angeli caduti?
Beh, mi trovavo al cospetto di un
gruppo di demoni che
frequentavano il liceo, non mi sarei dovuto sorprendere per qualcosa
come
l’esistenza degli angeli, eppure non riuscivo a togliermi il
dubbio impellente
che qualcosa fosse sbagliato.
Non avevamo un piano, non avevamo un
equipaggiamento,
nessuno di noi sembrava attrezzato per uno scontro. Io stesso non avevo
indosso
ne la mia divisa della vecchia accademia, che era a prova di
proiettile, ne la
mia Desert Eagle modificata.
Stavo rischiando grosso, davvero
grosso, quindi non potei
tacere.
“Gremory-san?”
Poggiai la ciotola vuota di ramen su
un tavolino da caffè e
mi avvicinai alla donna con la quale avevo passato la notte
(incoscientemente).
“Non possiamo andare
così, ci serve un piano, delle
informazioni, non sappiamo nemmeno dove potrebbe trovarsi. Lasciami
fare
qualche telefonata, prendere il mio equipaggiamento, non posso gettarmi
nella
mischia senza quello.”
Ad ogni parola il mio tono di voce si
fece più sicuro, cosa
che portò molti a fermarsi per sentirmi parlare. In special
modo Rias mi
ascoltò leggermente sorpresa.
“Tu intendi combattere
insieme a noi? Scusa se te lo dico
Toyama-kun, ma sei un semplice umano, ed andremo ad affrontare cose
decisamente
pericolose. Il piano è che noi entreremo, salveremo la
ragazza e te la
porteremo, in questo modo avremo salvato lei ed adempiuto al contratto,
insomma
avremo preso due piccioni con una fava.”
Ascoltai le sue parole ed aggrottai
la fronte infastidito.
Avevo affrontato streghe, principesse egizie, vampiri ed uomini
immortali
vissuti quasi un secolo prima, eppure ora veniva a dirmi che non sarei
stato al
sicuro contro degli angeli. Repressi quella parte di me che agognava
una vita
normale, formulando nella mia mente una domanda impellente.
Perché sembrava che anche
loro volessero salvare così tanto
la suora? In quanto demoni avrebbero dovuto odiare un membro del clero
quale
era lei.
“Due piccioni con una fava?
Cosa intendi? Non avrete in
mente di consegnarmi la ragazza e poi portarmela via per sacrificarla
in
qualche rito occulto. Così avreste adempiuto al vostro
contratto, ma ne sareste
usciti comunque come vincitori.”
Ok, la mia era un’ipotesi
un po’ stiracchiata, ma non ero in
grado di cogliere la preoccupazione nell’aria, ne i segnali
che i membri del
gruppo mandavano.
“Buchou, siamo
già in ritardo, potrebbero averle fatto
qualsiasi cosa! Dobbiamo andare!”
Issei incominciò ad
agitarsi, sembrava prendere la mia
richiesta di informazioni come una sorta di ostruzionismo.
“No Issei-kun, lui
è il nostro contraente, merita di sapere
cosa sta succedendo. Visto che lo hai chiesto Toyama-kun, lascia che ti
aggiorni sulla situazione attuale. La suora che tu hai visto portare
via da
quel prete è un’importante amica di Issei-kun.
Loro sono diventati amici ed ora
lui farebbe qualsiasi cosa per salvarla.”
Issei chinò il capo
stringendo i pugni, e non mancai di
notare l’ombra di una lacrima sul suo viso.
“Noi in quanto demoni non
siamo autorizzati ad intrometterci
negli affari degli angeli caduti a causa della fragile tregua che
intercorre
tra le nostre fazioni, ma piuttosto che vedere il mio servo adorato
gettarsi da
solo contro di loro, mi sono appoggiato a te. Il tuo desiderio di
salvare
quella ragazza è sincero, e formando un contratto con te,
siamo autorizzati ad
affrontare chiunque tu reputi tuoi nemici, cosa che ci permette di
violare la
tregua senza tuttavia violarla realmente. Comprendi ora? Sei il nostro
pretesto
per attaccare gli angeli caduti, senza scatenare una guerra di
conseguenza…”
La spiegazione aveva senso, ma il
modo in cui era stata
posta e lo sguardo triste che mi venne rivolta dalla ragazza cremisi,
mi fese
sentire inutile come poche volte mi era capitato.
"Regolamento
Butei Articolo 2: 「Devi rispettare il contratto in
ogni
sua parte」"
"...?"
"Ecco gli accordi che abbiamo
stipulato questa mattina:
in cambio del 25% della mia anima, tu ed il tuo gruppo di demoni mi
fare da
supporto durante il salvataggio della suora rapita ieri sera. Non
starò in
panchina a vedervi rischiare la vita, affidandomi a voi che siete
completi
sconosciuti, io sarò con voi in prima linea e
combatterò ogni volta che sarà
necessario.”
Pronunciai quelle parole con rabbia,
quasi spaventando me
stesso per il mio coraggio. Era evidente che ero cambiato dopo la sua
morte,
dopo che anche lei mi aveva abbandonato. Eppure nella mia mente la
vedevo
sorridere con trasporto. Lei avrebbe fatto la stessa cosa.
“Detto questo ho bisogno di
passare da casa mia. Vi ho visto
usare quegli strani disegni per terra per teletrasportarvi, chi mi
accompagna a
prendere il mio equipaggiamento?”
Silenzio.
Anche Issei ora mi guardava con un
sentimento non ben
identificato in viso, ma alla fine Rias sospirò, infrangendo
quel momento.
“Va bene, hai vinto. Non ho
capito se tu sia uno stupido o
coraggioso, è anche possibile che tu sia entrambe le cose,
ad ogni modo non
saremo responsabili di te. Koneko, accompagnalo a casa sua e
ritroviamoci tutti
un isolato prima della chiesa.”
“Chiesa?”
Rias mi fissò.
“Già, sappiamo
dove si nascondono, ci mancava solo un
pretesto per agire… beh, grazie per essere qui Signor
Pretesto.”
La ragazza si voltò, ed io
venni affiancato dalla stessa
ragazzina dai capelli bianchi che da poco era comparsa nella stanza.
“Andiamo Signor
Pretesto…”
La bambina cercò di
toccarmi un braccio per guidarmi verso
uno dei tanti cerchi per terra, ma d’istinto
rifuggì da lei. La sua corporatura
era troppo simile a quella di lei…
Gli occhi della ragazzina si
strinsero, ma non fece
commenti, si limitò a sistemarsi al centro del cerchio
rimanendo in attesa.
“Io fornirò
l’energia per l’incantesimo, tu pensa solo alla
destinazione.”
Parlò tenendo gli occhi
fissi davanti a se, senza rivolgermi
nemmeno uno sguardo. Dal canto mio chiusi gli occhi, immaginando
l’appartamento
che a piedi non ero in grado di raggiungere.
Un’abbagliante luce mi
avvolse e quando riaprì gli occhi ero
nel mio appartamento…
… nel mio appartamento di
Tokyo.
XXXXXXXXXXXX
Impiegai qualche istante a capire che
qualcosa non andava.
L’enorme appartamento
costruito per quattro persone era
vuoto, non c’erano più mobili, non
c’erano più elettrodomestici, non c’era
più
lei.
Shirayuki, la mia amica di infanzia,
doveva averlo svuotato
di tutto una volta saputo del mio trasferimento. Sarebbe stato tipico
di lei raccogliere
qualsiasi cosa mi appartenesse per conservarlo in un luogo sicuro,
lì dove
nessuno avrebbe mai potuto rubarlo o rovinarlo.
Feci un primo passo nella stanza
vuota ed il mio cuore
strinse. Non mettevo piede in quella casa da quando lei era morta, da
quando mi
aveva abbandonato, da quando anche lei mi aveva lasciato. Con la mano
carezzai
il muro bianco, sfiorando con le dita gli incavi circolari che
l’adornavano.
Quelli erano i segni dei proiettili
che lei aveva sparato,
nient’altro che fori coperti di stucco e messi tacere per
dare alla casa
un’aria più familiare. Spostai lo sguardo in giro
brevemente, ma nonostante
l’assenza di tutto quello che un tempo definiva
quell’appartamento come la mia
casa, la mia mente si affollò di ricordi.
Quello era il balcone dove mi
nascondevo quando Shirayuki e
Aria combattevano, lì c’era l’angolo in
cui Aria si stendeva sempre per
guardare i suoi documentari sugli animali, dall’altra parte
invece c’era il
punto in cui mangiavamo i pasti cucinati da Shirayuki.
Erano passati mesi, tanti, tanti
mesi, ma anche con tutto
quel tempo passato lontano da lì, nella casa c’era
ancora un vago odore di lei.
Quel misto di Gardenia e polvere da sparo.
Sorrisi amaramente.
Amaramente senti qualcosa di caldo
scivolare lungo la mia
guancia.
Non mi accorsi di essere in ginocchio
finché il demone, che mi
aveva accompagnato in quella spedizione, non mi sfiorò la
guancia intercettando
la lacrima che era arrivata quasi sul punto di cadere.
“Stai
piangendo…”
“Io non sto
piangendo.”
Con forza mi strofinai gli occhi
rimettendomi in piedi.
“Qui è successo
qualcosa. Qualcosa che ti ha cambiato. Per
questo piangevi?”
Diedi le spalle alla ragazza, per non
darle modo di vedermi
in viso.
“Ho detto che non stavo
piangendo! E poi abbiamo sbagliato
posto, siamo finiti a Tokyo… ma non è un
problema, dovrebbe essermi rimasto
qualcosa anche qui.”
Avanzai a passi pesanti per
l’appartamento, aprendo le porte
con forza come se ogni singola anta in legno fosse colpevole di avermi
fatto un
torto.
“Io sono Koneko
Toujou.”
La ragazzina parlò ancora
mentre raggiungevo la camera da
letto. Al suo interno avrei dovuto trovare due letti a castello, ma
anche
quelli erano spariti lasciando la camera vuota e desolata.
“Piacere, Tojama Kinji.
Puoi chiamarmi solo Kinji se vuoi.”
Arrivai lì dove una volta
c’era il mio letto, controllai le
assi del pavimento, costatando che quelle non erano state rimosse.
“Cosa stai cercando, non
c’è più nulla qui.”
Feci pressione con le dita, premendo
un nodo nel legno, che
subito affondò di un pollice rivelando una piccola botola.
“Un butei deve essere
sempre pronto a tutto, qui ho il
necessario per la missione. Io e…. Io, tenevo sempre
qualcosa qui per i momenti
di difficoltà.”
Rovistai all’interno della
botola, ne estrassi uno zaino, un
paio d cinture, qualche lacrimogeno e dei caricatori. I caricatori
erano divisi
a seconda se fossero per la mia pistola o per quelle di Aria, ma
chissà come io
li presi tutti ugualmente, mettendoli nello zaino.
“Voi Butei siete strani
umani…”
Ignorai le sue parole, recuperando la
divisa da Butei, che
appariva leggermente sporca dopo mesi passati a prender polvere.
Osservai per
un momento il tessuto con fili al carbonio ed alluminio, non
preoccupandomi
troppo della sporcizia, che non avrebbe potuto far nulla ad una divisa
creata
per resistere alle pallottole.
Quando finì di raccogliere
tutto il contenuto della cassa
del tesoro, raschiai per bene il fondo nella speranza di non dover
tornare
indietro a prendere nulla. Quello era il posto che più di
tutti volevo evitare,
ed invece ci ero tornato senza volere. Che triste ironia.
Fu durante quest’ultima
ricerca che le mie dita sfiorarono
qualcosa di piccolo, soffice ed inaspettato. La riconobbi subito dopo
averlo
tirato fuori e per poco non persi di nuovo il controllo.
“Puoi lasciarmi per favore?
Devo indossare la mia divisa…”
Parlai con voce lenta, continuando a
fissare quel piccolo
oggetto che mai avrei pensato di trovare. Koneko annuì alle
mie parole, uscendo
dalla camera e chiudendosi la porta alle spalle.
Un piccolo peluche.
Uno di quei peluche che si attacca al
cellulare e si vince
in sala giochi.
Aria lo chiamava Leopone ed ero
convinto che fosse andato
perso quando lei stessa era andata persa, invece quel piccolo
portachiavi era
ancora lì.
Ricordo perfettamente le circostanze
in cui entrò in mio
possesso. Eravamo in sala giochi ed Aria continuava a provare a
vincerlo senza
risultati, allora le diedi una mano e con mio grande stupore,
riuscì a
prenderne due uguali in un solo colpo. Come ricompensa per il mio buon
lavoro,
io tenni uno dei pupazzetti ed Aria l’altro.
Purtroppo il mio ora non esiste
più, lo bruciai quando le
morì.
Non aveva senso tenerlo se lei non lo
possedeva insieme a me…
Voltai il piccolo pupazzo, srotolando
l’etichetta su cui
sapevo che lei vi aveva scritto qualcosa. Qualcosa che non volle mai
farmi
vedere mentre era ancora in vita. Sorrisi vedendo la sua calligrafia
infantile.
“Kinji
X Aria”
Dal lato opposto
dell’etichetta altre parole, altre memorie.
“Se
scappi ti farò un
buco!”
Risi leggendo quelle parole, risi
pensando a quante volte mi
erano state dette, a quante volte la minaccia era stata portata a
compimento, a
quante volte ci eravamo divertiti, ed avevamo pianto, ed eravamo stati
felici.
“Aria, io non
scapperò…”
Indossai la mia divisa da Butei tra
le lacrime, legai il
portachiavi di Aria al mio cellulare e quando finalmente uscii dalla
camera fui
pronto.
“Siamo in
ritardo.”
Koneko mi aspettava.
“Questa cosa è
difficile da indossare.”
La ragazza mi squadrò
inclinando il capo, sempre con
l’espressione impassibile.
“Non sembra molto diversa
dall’uniforme della nostra
scuola.”
Sospirai, sorridendo.
“Fidati lo
è.”
“Tu hai pianto.”
Mi voltai un’ultima volta
guardando la stanza che avevamo
condivisa.
Era vuota e spoglia, così
come il mio passato. Non mi
sarebbe servito a nulla nascondermi lì dentro, lei non
l’avrebbe voluto.
“Forse, ma ora dobbiamo
andare. Come hai detto tu, siamo in
ritardo.”
La ragazza continuò a
fissarmi incuriosita, guidandomi nel
punto in cui eravamo comparsi.
Da lì ci spostammo,
tornando nella mia nuova città.
Strinsi Leopone tra le dita quando
ricomparvi in un vicolo e
vidi davanti a me le schiere dei demoni pronte ad agire.
Estrassi la mia pistola,
inserì il caricatore e spostai un
colpo in canna.
Ero pronto anche io.
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX