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Autore: RoranForteMartello    12/02/2015    2 recensioni
Dopo un incidente all'Accademia Butei di Tokyo, Toyama Kinji decide di realizzare il suo sogno di una vita normale, trasferendosi in una città di provincia dove frequenterà una scuola normale. Peccato che gli istinti appresi in anni di addestramento siano duri a morire, e che la scuola in cui si è trasferito sia tutto tranne che normale. Tra demoni, angeli e la sua fastidiosa malattia, Kinji si troverà coinvolto in eventi molto più grandi di lui, ai quali però non potrà sfuggire pur volendo.
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Storia Cross Over tra [Hidan No Aria] e [Highschool DxD]
Gli eventi sono basati dopo il quinto volume della Light Novel di Hidan No Aria e durante il primo volume di Highschool DxD.
Genere: Avventura, Commedia, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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cane

Un Butei alla Kuoh Academy

Disclaimer: Non posseggo ne Highschool DxD ne Hidan No Aria. La storia è scritta senza scopi di lucro

Ricarica: Il Dovere di un Butei

Finalmente ne ero scampato. Lotte, odore di polvere da sparo, botti assordanti  e morte, tutto questo era il mio passato, ed ora un futuro luminoso si spalancava davanti a me. Ne fui certo nel momento stesso in cui misi piede nella nuova scuola, in cui varcai i suoi vasti cancelli ed i miei occhi incontrarono studenti normali, sereni e tranquilli, senza nessun pensiero al mondo.

Era finita l’era delle divise scolastiche a prova di proiettile, dell’obbligo di portare sempre con me una pistola, del dovere di servire un paese che non aveva fatto altro che tradire la mia fiducia, finalmente ero libro. Mi imposi di essere felice, di sorridere preparandomi ad incontrare i miei compagni di classe, ma nonostante fossero passati mesi ancora non riuscivo a superare la sua morte.

Ignorando i suoi occhi, che mi fissavano rancorosi nella mia mente, imboccai il corridoio del terzo piano, presi il primo corridoio a destra, dirigendomi verso la sezione C del secondo anno. Il professore, un uomo allampanato sulla trentina, mi aspettava fuori dalla classe con il suo miglior sorriso di circostanza.

“Oh, sei arrivato, tu devi essere Tōyama Kinji, dico bene? Io sono il professore responsabile della classe, mi chiamo Akira Muto, ma per te sono Akira-sama o semplicemente sensei, tutto chiaro?” L’uomo sorrise, ed io feci altrettanto. Non era la peggior persona che potessi incontrare, sembrava gentile ed ispirava immediatamente fiducia, cosa che mi portò ad annuire energicamente.

“Si sensei, sono Toyama Kinji, appena trasferito dall’accademia Butei di Tokyo, abbia cura di me.” Dissi quelle parole per togliermi il pensiero, aspettandomi una qualche reazione sorpresa o a seconda del caso spaventata, ma l’uomo si limitò ad annottare su un block notes la notizia.

“Va benissimo, spero che riuscirai ad ambientarti bene. Alcuni tuoi compagni di classe sono… eccentrici, ma sono anche degli idioti bonaccioni, quindi non dovrebbe essere troppo difficile legare con loro…” Ripensai ad Aria, Reki, Jeanne d'Arc e tutti gli altri strambi individui della mia vecchia scuola e sospirai.

“Non potranno mai essere peggio delle persone che mi sono lasciato alle spalle, si fidi. Cercherò di fare amicizia in fretta sensei…” L’uomo annuì sempre sorridendo, incominciando ad aprire la porta dell’aula. “Appena chiamerò il tuo nome tu entrerai e ti presenterai, mi raccomando niente discorsi, giusto nome, cognome ed una frase a tua scelta che attiri l’attenzione della classe.”

L’uomo lasciò la porta socchiusa, ed io mi misi in attesa, preparandomi ad entrare. Mi sentivo stranamente eccitato ora che finalmente ero riuscito a trasferirmi da quell’accademia infernale, ma più di questo avevo paura di fare brutta impressione. I Butei, o chi aveva studiato alla loro accademia, non erano mai ben visti dalla popolazione. Certo, erano necessari, quasi indispensabili per affrontare la criminalità crescente, ma nonostante questo una scuola che permettesse a dei ragazzini di girare armati ed insegnasse loro ogni sorta di strategia o arte marziale, era comunque spaventosa.

“Ed ora, vorrei che deste tutti il benvenuto ad un nuovo studente, appena trasferitosi dalla capitale per studiare nella nostra piccola scuola. Toyama-kun, prego accomodati.” Con molta più delicatezza di quanto mi aspettassi, l’insegnante omise di dire da che scuola mi fossi trasferito, dandomi modo di evitare il clamore che ne sarebbe conseguito, ma la sua gentilezza fu inutile, dato che un altro difetto mortale dei Butei era che finivano in televisione…

Io in particolar modo ero parecchio famoso per aver sventato il piano terroristico di Riko Mine Lupin la IV°, salvando un centinaio di passeggeri su un aereo di linea, effettuando un atterraggio d’emergenza su una zona brulla ed abbandonata, senza quasi nessun aiuto o contatto visivo da terra. Considerato questo non fui sorpreso quando una volta in aula sentì molti trattenere il fiato ed iniziare a parlottare. Per quanto il sensei avesse cercato di evitarmi quel momento di impaccio, ero pronto da settimane ad affrontarlo.

“Ciao a tutti, mi chiamo Tōyama Kinji e sono un vostro nuovo compagno di classe. Spero avrete cura di me.” Goffamente mi inchinai, sentendo il professore richiamare la classe all’ordine. Era un evento raro che uno studente si trasferisse a metà anno, ancora più raro, era che questo fosse un Butei.

“Toyama-kun, puoi sederti nel posto libero che desideri, e mi raccomando voi della classe, non tormentate il nuovo arrivato con domande inopportune, altrimenti dovrò mettervi in punizione.” L’uomo lo disse con il sorriso, ma immediatamente la classe si sedò. Evidentemente non era una minaccia da poco la sua.

Rincuorato, ma ancora gli occhi di tutti addosso, mi sedetti al primo posto libero che trovai lungo la fila di banchi. I miei compagni mi guardavano quasi tutti spaventati, tranne qualcuno che sembrava sinceramente interessato a me.

Beh, non potevo dare loro torto, del resto un ‘Butei’ era una qualifica nazionale che aveva il compito di combattere contro il preoccupante dilagare della criminalità nel paese. Le persone che possedevano questa licenza erano abilitate ad armarsi e ad entrare in una scena del crimine per catturare i criminali, proprio come un organo di polizia, ma, a differenza della polizia, un ‘Butei’ era motivato da denaro e poteva assolvere qualunque tipo di incarico consentito dal Regolamento Butei, senza preoccuparsi di quanto fosse pericoloso o al contrario futile.

Per dirlo chiaramente, era un mercenario legalizzato…

All’Accademia Butei, gli studenti potevano seguire materie specifiche riguardanti l’attività di un Butei, ma anche le materie ordinarie che studiavano gli studenti normali. Quando intendevo materie specifiche, volevo dire che vi erano differenti divisioni che uno studente poteva scegliere, ad esempio la  divisione Inchiesta in cui venivano insegnati i metodi standard di investigazione e di logica.

Probabilmente era la più sensata fra tutte le divisioni.

Subito dopo l’Inchiesta c’era Comunicazioni e Scientifica. Queste divisioni non erano poi così male perché portavano ad una strada tutto sommato pacifica e non violenta.

Ma tra tutte, quella che più risaltava era la famosa divisione Assalto, a cui ero stato assegnato per i miei primi due semestri del mio primo anno.

In silenzio ascoltai la lezione del professore, rallegrandomi nel costatare quanto poco fossi indietro rispetto  loro. Pensavo che a causa delle missioni e degli addestramenti mi fossi perso almeno un semestre di concetti, ma erano poche le lacune che mi restavano da colmare. Diligentemente presi appunti, ascoltai la lezione e rimasi in attesa del momento in cui tutti mi sarebbero venuti addosso.

Non dovetti aspettare poi tanto visto che non appena suonò la campana della ricreazione fui sommerso di domande. Molti mi chiesero se avevo armi con me, se ero venuto per una qualche indagine, addirittura se avessi mai ucciso qualcuno, ma a tutti risposi di voler solo dimenticare del tempo trascorso in quella scuola. Nel bene o nel male era tutto finito, e non mi restava che il coltello a farfalla di mio fratello a testimoniarlo.

Quella particolare arma era l’unica che avessi continuato a portare con me nonostante tutto, e questo non per una questione di praticità o perché ci fossi abituato, ma semplicemente perché non potevo separarmi dall’ultimo dono che mio fratello mi aveva fatto prima di morire.

Sospirai di sollievo quando venni etichettato come chiuso e venni finalmente lasciato in pace, ma quello che non sapevo era di come viaggiassero veloci le notizie all’interno di una scuola comune. Per quando le lezioni terminarono e mi fu permesso di lasciare l’aula, una folla tutta nuova di studenti mi attorniava e molte di queste erano ragazze.

Vidi le loro gonne svolazzanti, i loro seni premere contro il tessuto della camicetta. Mi avevano quasi chiuso all’angolo, stavano per stringersi intorno a me con quella carne peccaminosa ed invitante che mai avrei dovuto assaggiare.

Chiusi gli occhi, mi avvicinai alla finestra del terzo piano e saltai. Grida spaventate mi raggiunsero da dietro, ma non stavo cercando di suicidarmi, il mio era solo un riflesso della mia vecchia vita. Il gancio alla cintura era stato fissato alla finestra ed ora scendevo dolcemente il muro esterno della scuola come se fosse una parete rocciosa, grazie al filo ultrasottile in carbonio che proveniva dalla mia cintura.

Ok, anche se non avevo più le armi, non avevo abbandonato tutta l’attrezzatura in dotazione di un Butei, avevo ancora qualche piccolo gadget pensato per occasioni come queste, in cui potevo scegliere solo tra essere attorniato da ragazze o scappare da una finestra.

Vi domanderete il perché di questa scelta ridicola, che mi porta a scappare da donne eccitante preferendo un salto nel vuoto a loro, ma purtroppo per me sono afflitto da una terribile malattia che ho ereditato da mio padre.

Un’orribile, orribile malattia…

Una volta al sicuro a terra, sganciai il cavo in cima alla scuola con l’apposito comando della cintura, e riavvolsi il filo da traino facendo attenzione a non tagliarmi. Quel piccolo cavo, sottile come un capello, poteva reggere il peso di centinaia di chili, ma se usato impropriamente era più tagliente di una lama affilata.

“Bella prova quella, per un momento ho pensato ti volessi suicidare.”

D’istinto sobbalzai, portando la mano all’interno della giacca per estrarre la pistola, solo che quest’ultima non c’era. Non ero più un Butei, dovevo farmene una ragione.

“Non mi sarei mai suicidato… volevo solo evitare… delle persone.”

Davanti a me trovai l’equivalente di una principessa. Aveva lunghi capelli vermigli, bellissimi occhi azzurri, ed un’espressione curiosa. Dietro di lei sostavano un gruppo eterogeneo di studenti e tra questi potei riconoscere un mio compagno di classe, Isei o qualcosa del genere.

Lui era uno dei pochi che non mi aveva bombardato di domande durante la pausa pranzo, per questo non mi fu difficile riconoscerlo.

“Il mio caro Issei mi diceva che sei un nuovo studente trasferito e devo ammettere che sei piuttosto curioso. Tieni, prendi questo, potrebbe tornarti utile prima poi.” La ragazza trasse a se la cartella e da uno dei libri di testo estrasse un foglio ripiegato con sopra il disegno di un pentacolo. Scritte in lingue sconosciute lo circondavano, ma nonostante questo era solo un foglio, niente di più, niente di meno.

Per qualche momento fui riluttante ad accettare qualcosa di offerto da una ragazza così bella e soprattutto formosa, ma poi l’educazione prevalse e facendo attenzione a non sfiorare la sua mano, lo presi. “Ehm… si, grazie…”

Non sapevo bene come reagire visto che non sapevo bene cosa fosse, ma lei si limitò ad annuire con un sorriso, facendo segno agli altri di seguirla. “CI vediamo suicida-kun, cerca di non morire troppo presto, ok?”

“Ehi, non sono un suicida!” Provai a ribattere, ma le mie parole si persero nel vociare del gruppetto, che sembrava molto affiatato ed unito. Almeno non mi avevano chiesto nulla del mio passato, ne avevano cercato ti tirare in ballo l’addestramento da Butei, che perlopiù era riservato.

Sbuffai sconsolato, alzando appena lo sguardo ai compagni di classe che si sbracciavano dall’alto verso di me, allontanandomi lentamente dalla scuola.

Di certo perdere tutte le abitudine acquisite negli anni da Butei era impossibile, ma prenderne le distanze era consigliabile.

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Il tragitto che feci per tornare a casa fu lungo e noioso. Era nuovo della citta, non avevo una bicicletta, che era esplosa durante un dirottamento (si, fui vittima di un raro caso di dirottamento di bicicletta), e come se questo non fosse sufficiente non avevo alcuna indicazione. A memoria ricordavo l’indirizzo della mia abitazione, ma senza una cartina o un GPS, potevo fare ben poco, dunque camminai per le vie sconosciute, cercando di evitare le zone malfamate o oscure, convinto che prima o poi sarei arrivato alla meta.

Era arrivata la sera senza che riuscissi a trovare la strada di casa, quando incappai in quell’uomo solitario. Avanzava a tentoni, barcollando come un ubriaco, indossava vesti da prete, ma più che questo fu la spada macchiata di sangue che portava legata alla cintura ad attrarre la mia attenzione. Quella e la forma accasciata sulla sua spalla con indosso panni da suora…

“Ah, gustoso, gustoso, così gustoso. Le sue grida erano incredibili, piangeva quel profano… indegno del signore… feccia indecente….” L’uomo farfugliava, continuando a camminare, era evidente che avesse commesso qualcosa di illegale, e fui quasi sul punto di parlare quando mi ricordai di non essere più un Butei.

Non avevo obblighi verso la società, verso i civili, verso nessuno all’infuori di me. L’uomo mi passò accanto,  tutto il mio corpo combatté la voglia di fermarlo, ma non feci nulla. Quando fu lontano e non potei più sentire i suoi inquietanti borbottii, mi concessi il lusso di respirare.

Aria non l’avrebbe lasciato andare, lo avrebbe inseguito, gli avrebbe sparato, lo avrebbe minacciato con le Kodachi e poi lo avrebbe arrestato, ma lei ormai era morta e non c’era niente che potesse farla tornare indietro. Il suo sguardo dispettoso baluginò un attimo nella mia mente, ma lo scacciai con forza.

Non dovevo cedere, non potevo farlo. Ripresi a camminare, ancora alla ricerca della strada verso casa, ma come guidato da una forza invisibile seguii le scie di sangue che il prete si era lasciato dietro. Non che volessi farlo, non che avessi scelta, semplicemente le seguii arrivando in un condominio, da lì mi feci strada su una stretta scala antincendio, che correva in alto per tutto l’edificio raggiungendo tutte le finestre.

Trovai quello che cercavo dopo soli pochi minuti. Una stanza diroccata, con i vetri della finestra infranti ed un odore inconfondibile, che avevo sentito fin troppe volte. Odore di ruggine, odore di morte, odore di sangue.http://i59.tinypic.com/69q3bk.jpg

Mi affacciai alla finestra dell’appartamento, feci attenzione a non lasciare alcun tipo di impronta e per poco non vomitai. La stanza era pregna di sangue, al muro era appeso un uomo crocifisso, il corpo era capovolto e delle scritte inquietanti adornavano la parete.

“Colui che uccide nel nome del Signore…”

I riferimenti biblici e le ferite d’arma da taglio, oltre all’ovvia scia di sangue che avevo seguito a ritroso, designavano il fantomatico prete come colpevole. Un uomo era morto e non avevo fatto niente per fermarlo...

…Anzi avevo fatto meno di niente, perché nonostante non fosse un problema mio fermare un sospettato, avrei comunque potuto avvisare la polizia, che forse, improbabilmente, sarebbe riuscita a prenderlo. I sensi di colpa iniziarono a rodermi lo stomaco, ma più di questo mi sentivo in colpa per la suora.

Cosa le avrebbe fatto quel pazzo? Quale sarebbe stato il prezzo che lei avrebbe pagato per la mia codardia?

Respirai a fatica e dovetti appoggiarmi contro il muro per non cadere. Il mio corpo tremava, era madido di sudore, e quasi non credevo di aver lasciato la mia vita all’accademia Butei solo per arrivare a questo.

Carta Butei, Articolo 3
Dovete diventare forti, ma soprattutto dovete supportare la giustizia.

Non ero più un Butei, non mi sarebbe dovuto importare del codice, delle parole che mi era stato insegnato a rispettare, ma anche così il fuoco della giustizia ardeva dentro il mio petto. Dovevo adempiere alla missione, dovevo farlo per quell’uomo non più in vita, con il corpo deturpato dalle ferite e per quella suora che era rimasta incastrata in una situazione del genere a causa mia.

“Io… Io adempierò ai mei doveri di Butei, io lo farò!”

La mia tasca iniziò a brillare, il foglio che la principessa dai capelli rossi mi aveva donato alla fine della lezione splendeva più che mai.

“Hai determinazione….”

La luce iniziò ad affievolirsi e da quella stessa luce parve comparire proprio lei.

“… non  pensavo che tra tutti i posti ti avrei trovato qui, ma il tuo desiderio è forte e la tua anima può essere contrattata per un ottimo prezzo. Vuoi aiutarci a salvare quella la suora? La preziosa amica del mio servo adorato?”

Non capì cosa stava succedendo, mi limitai ad arretrare fino alla finestra…

Fu quello il momento in cui inciampai, perdendo l’equilibrio vicino la scala antincendio e finendo col battere la testa contro la ringhierà.

Il mondo si appannò, divenne opaco e poi fu inghiottito dall’oscurità.

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Note: Questa è la mia prima storia in questo fandom e spero davvero che vi piaccia. Come avrete capito è una cross-over tra due serie di Light Novel davvero belle. La prima è Highschool DxD, la seconda Hidan No Aria.

Visto che Hidan No Aria è perlopiù sconosciuto, vi lascio il link di wikipedia dove se ne parla, anche se spero vogliate aspettare il prossimo capitolo, quando si scopriranno la maggior parte degli altarini.

Vostro: ForteMartello!

 http://it.wikipedia.org/wiki/Hidan_no_Aria#Personaggi_principali

  
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