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Autore: Clockwise    13/02/2015    1 recensioni
«Fai spesso così? Prendi dei perfetti sconosciuti e li porti via con te su per i tetti di Stoccolma?»
Emma sorrise, ma non si voltò, per quanto sentisse che Brynnel era appena dietro di lei.
«Dipende dagli sconosciuti.»
«Mi sento lusingato.»
«Non esserlo.»
Finalmente si voltò verso di lui, ancorando gli occhi ai suoi.
«Ho solamente pensato che fossi molto solo, come me. E che tanto valeva essere soli in due.»
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Die Stachelschweine

Il dilemma del porcospino



Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.

Arthur Schopenhauer, Parerga und Paralipomena 

 

La sera di Stoccolma era fredda, ma non insopportabile.

La cerimonia di premiazione durava ormai da ore ed Emma ne aveva fin sopra i capelli. Non fosse stato per lo stupido articolo che doveva scrivere, se ne sarebbe già andata da un pezzo. L'aula magna solennemente bardata a festa, pullulante di professori, ex-allievi, allievi meritevoli, scienziati, intellettuali, tutti elegantemente ingessati in completi blu scuro, la faceva sentire fuori posto, anche più del solito. Erano poche le donne, ancor meno le studentesse della sua età, e nessuna frequentava un liberale corso di lettere, come lei. Più in soggezione di così non si era mai trovata. E dire che non era affatto timida.

Sospirò, tornando a guardare annoiata il palco quando fu annunciato il nome di un altro studente, di Astrofisica. Emma lo osservò salire sul palco con un ridicolo sorriso goffo, gli occhi bassi, infagottato in una toga che era tre volte lui. Eppure Emma scorse una brillante intelligenza dietro le lenti degli occhiali e una latente malinconia da poeta nelle mani affusolate mentre ricevevano la targa. Si sedette più dritta e non lo lasciò andare.

Brynnel Sundström, l'avevano chiamato. Un nome curioso.

Brynnel non ne era mai stato particolarmente fiero, ma aveva imparato presto a lasciarsi le parole delle persone dietro le spalle, e ad alzare lo sguardo verso cose più importanti. Il silenzio cosmico lo faceva stare bene, ed era a quel silenzio che pensava, mentre riceveva la targa e stringeva mani. Tutta quella sala piena di persone, con le loro domande, richieste e parole, minacciava di mandarlo nel panico; nella sua mente, cercava conforto nella silente armonia delle sfere celesti, che tante volte aveva ascoltato. Ma quando i suoi occhi si imbatterono in una ragazza mora, con un vistoso rossetto rosso, che sedeva in disparte e si cingeva le braccia, come per farsi forza, allora il silenzio tacque, e il frastuono tornò ad invaderlo con tutta la sua gloriosa potenza.

Emma attese fuori che Brynnel uscisse.

 

 

La notte di Stoccolma era nera, dietro il fumo bianco che fuggiva dalle rosse labbra di Emma.

«Fai spesso così? Prendi dei perfetti sconosciuti e li porti via con te su per i tetti di Stoccolma?»

Emma sorrise, ma non si voltò, per quanto sentisse che Brynnel era appena dietro di lei.

«Dipende dagli sconosciuti.»

«Mi sento lusingato.»

«Non esserlo.»

Finalmente si voltò verso di lui, ancorando gli occhi ai suoi.

«Ho solamente pensato che fossi molto solo, come me. E che tanto valeva essere soli in due.»

Brynnel aggrottò le sopracciglia, scrutandola da dietro le lenti. Emma sorrise felina, gettando a terra il mozzicone di sigaretta e pestandolo con la punta della scarpa. L'altro deglutì, avvertendo con allarmante chiarezza i palmi sudati, il battito del cuore, le ginocchia tremanti. Lei si avvicinò.

«Resta con me, Brynnel. Fammi credere di non essere sola, almeno stanotte.»

Era una supplica, la sua, mascherata da invito. Brynnel lo lesse dietro le labbra scarlatte, negli occhi umidi. Indagò sé stesso e strinse i pugni.

La baciò con gli occhi stretti, con urgenza. Lei rispose con passione, con sollievo.

 

 

La notte di Stoccolma si incamminava lentamente verso l'alba.

«Non ci vedremo mai più, vero Emma?»

Le accarezzava i capelli, e lei teneva gli occhi chiusi. Scosse la testa.

«L'hai sempre saputo.»

Brynnel annuì, anche se lei non poteva vederlo. Si spinse gli occhiali sul naso e inspirò ed espirò a fondo, come per rafforzarsi, inalando la fredda aria del mattino.

«T-tu... Cosa... Perché, Emma?» chiese, sull'orlo dell'esasperazione – non riusciva a capire, davvero, ed era in grado di comprendere e scrivere equazioni pressoché impossibili sulle più astruse leggi dell'Universo. Ma quella ragazza...

«Non posso lasciarti avvicinare più di così, Brynnel. Vedi, io non ho amici, né confidenti. Sono stata delusa e ferita troppe volte, e ho finito per chiudere le porte a tutti. Ma nessuno è fatto per stare da solo, e, spesso, quando fa troppo freddo, mi viene voglia di un po' di compagnia.»

Brynnel abbassò il capo.

«Ma perché non puoi... Non tutti vogliono farti del male, Emma. Forse qualcuno... forse io potrei...»

Arrossì e tacque. Emma scosse la testa, sorridendo amara.

«No, Brynnel. È troppo difficile, non ne vale la pena. E poi, tutti mi conoscono, qui a Stoccolma, non ho un'ottima reputazione...»

«E invece ti sbagli.»

Era la prima volta che il tono di Brynnel si faceva risoluto, tremante di emozione. Emma schiuse gli occhi, in attesa, come un ghepardo che vede la sua antilope alzarsi dall'erba.

«Io sono come te. Io non lascio avvicinare nessuno. Mi-mi chiudo in un libro, o dietro un telescopio, perché gli esseri umani possono esseri così stupidi e ciechi, oh, così ciechi, loro non capiscono quello che fanno, calcano la Terra senza rendersi minimamente conto del proprio valore nell'equazione dell'Universo, e io invece sì, io l'ho studiato, e...» Prese fiato, le guance colorate, il petto palpitante. «Mi-mi chiudo in un mondo che è tutto mio, e decido io chi metterci dentro, e finora non c'era nessuno, ma adesso voglio che ci entri tu. Perché noi... non siamo uguali, ho sbagliato, ma noi... ci incastriamo. E lo so che ci faremo del male, ma meno, forse, degli altri.»

Si scostò da lei e le mise le mani sulle spalle, per costringerla a guardarlo. Lei alzò le palpebre, riluttante e timorosa.

«Non lasciarmi andare via, Emma.»

C'era tanta fede, nei suoi occhi, quella fede che Emma aveva perso da anni. Tornò ad appoggiarsi al parapetto. Guardava la stella del mattino, sentendo il ragazzo vibrare d'emozione accanto a lei.

«Die Stachelschweine

Brynnel aggrottò le sopracciglia.

«Cosa?»

«Il dilemma del porcospino, una parabola di Schopenhauer.»

Emma alzò lo sguardo limpido su di lui.

«Potrei accettare di essere punta soltanto da te, Brynnel. E non so perché, forse hai ragione, perché siamo due porcospini, e dobbiamo stare insieme. Dammi un bacio e chiedimi da dove vengo, conoscimi veramente. Ti sto mostrando la strada, e ho tanta paura.»

Brynnel sorrise, incredulo, e la baciò.

Il mattino di Stoccolma era tiepido, sotto il sole nascente.









Non studio tedesco (ma vorrei), non sono mai stata a Stoccolma (per ora) e Schopenhauer lo conosco (si fa per dire) solo perché ho letto le prime righe dell'introduzione di Wikipedia. Se siete arrivati fin qui, e se ho scritto tutto questo, la colpa è tutta della dolce H, che mi ha fatto conoscere la serie tv Sherlock, innamorare dei due attori protagonisti, tanto da guardare il primo episodio di Fargo (serie cruenta e psicopatica – non sono andata oltre il primo episodio) solo perché recitava Martin Freeman, alias il Dottor Watson; quindi ricerche annoiate su Internet hanno portato al "dilemma del porcospino" e il resto, come si suol dire, è storia.
Brynnel è antico svedese, viene da due parole che significano "armatura" e "lupo"; Emma è tedesco e significa "universale". Sì, vabbè, a nessuno importa, ma io mi ci diverto.
Critiche, insulti, pomodori? Il box bianco vi attende.
Adios!
-Clock

 

 
 
  
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