Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer
Segui la storia  |       
Autore: Gens    13/02/2015    4 recensioni
La vita non è semplice. Non lo è mai.
Camille perde tutto, conquista qualcos'altro. Ma il passato è meglio del presente?
Riuscirà a mantenere ciò che ha ricevuto? O tutto scomparirà come in un sogno?
"Se non lotti per ciò che desideri, non piangere per ciò che perdi."
Genere: Fluff, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Camille aveva provato di tutto per non partire.
Aveva urlato contro gli amici dei suoi genitori per ore intere, e loro se n’erano stati zitti tutti il tempo, incapaci di proferire alcuna parola.
L’avevano abbandonata con una famiglia che non sentiva tale, che avrebbe continuato a crescerla senza sapere nulla di lei.
Aveva anche provato a chiudersi in bagno, ma il marito di Maia, Jordan, era entrato dalla finestra e senza dire mezza parola aveva aperto la porta, portandosi via la chiave.
Di scappare non se ne parlava, dove sarebbe potuta andare con tutti che le voltavano le spalle?
Era stata un intero pomeriggio tra le braccia di Isabelle, entrambe che si stringevano forte, sapendo che probabilmente quello sarebbe stato uno degli ultimi abbracci per un po’ di tempo.
In più, non ce la fece a tornare al cimitero.
I suoi genitori l’avevano lasciata sola, doveva fare ancora i conti con questo e tutto ciò che ne scaturiva.
Aveva deciso di non parlare più con nessuno, di non proferire neanche mezza parola. Questo l’avrebbe tenuta chiusa in se stessa, e a Camille andava bene.
Qualcuno bussò piano alla porta. “I bagagli sono stati caricati in macchina, stiamo andando via” l’avvisò il ragazzo, facendo capolinea nella stanza.
Camille, seduta sul letto che non era più suo, annuì.
“Andiamo via tra cinque minuti” specificò il ragazzo, e si richiuse la porta alle spalle.
Era l’unico di quella famiglia con cui non se la prendeva davvero, era così dall’inizio.
 
“Questo fine settimana sistemeremo delle cose e tu farai i bagagli di tutto ciò che devi portare via, lunedì prenderemo il volo alle undici. Casa nostra ti piacerà, e avrai una stanza solo per te” raccontava Maia che si dava da fare ai fornelli.
Camille annuì, senza aggiungere altro.
“Hai intenzione di non parlare mai più con noi?” chiese ancora, sollevando appena lo sguardo dalla padella in cui stava friggendo qualcosa.
Camille annuì ancora, e Maia sospirò.
Ad un cero punto si sentì una porta sbattere, e subito dopo un uomo e un ragazzo entrarono in cucina. Le avevano lasciate sole, con l’intenzione di fare del bene e aiutare Camille, ma a quanto pare non era servito a nulla.
“Eccovi! La cena è quasi pronta” disse lei, facendo saltare il contenuto della padella.
Camille, dopo aver sbuffato si diresse in soggiorno, abbandonandosi sul divano.
“Tesoro – parlò Maia guardando suo figlio – perché non vai in soggiorno a parlarle un po’?”.
Maia stava provando di tutto per farla parlare, magari con suo figlio si sarebbe aperta.
Il ragazzo si diresse in soggiorno, e si sedette sul divano accanto a lei.
“Io sono Ashton” si presentò il ragazzo, tendendo la mano. “Non voglio costringerti a parlarmi, non ha senso. E ti lascerò i tuoi spazi, però se vorrai parlarmi ci sono”.
Camille sorrise appena, il primo vero sorriso da un po’ di tempo, ma non gli strinse la mano.
Ashton ricambiò il sorriso, e abbassò il braccio.
Quando sua madre li chiamò per la cena, si alzò sul divano e le domandò: “Vieni?”.
Lei scosse il capo in segno di negazione e salì al piano di sopra, diretta nella sua stanza.
 
Adesso, mentre Camille scendeva le scale e si guardava intorno, vedeva solo bianco.
Il bianco dei lenzuoli che ricoprivano i mobili di casa sua, quello delle pareti bianche ormai spoglie di tutto, e quello del volto dei suoi genitori.
Fu un attimo, e in quell’ambiente li vide: fermi, immobili, morti.
E bianchi.
Camille vacillò sulle gambe e dovette reggersi al passamano per non cadere.
Ashton se ne accorse e si avvicinò a lei, cercando di afferrarle un braccio per ridarle equilibrio, ma lei si scansò: “Tutto bene?” chiese preoccupato, vedendo la faccia sconvolta della ragazza.
Lei scosse la testa perché no, niente andava bene.
“Vuoi sederti?” le chiese, dato che faceva fatica a stare in piedi.
Lei si sedette e Ashton le si inginocchiò di fronte, attendendo che si riprendesse.
“Tornerai a casa tua un giorno, sarà sempre qui per te” cercò di rassicurarla lui.
Era questa l’unica cosa positiva in tutta quella terribile situazione: Maia aveva deciso di non vendere la casa e le aveva detto che l’avrebbe mantenuta fino a quando Camille non sarebbe stata abbastanza grande per decidere cosa farne.
La ragazza annuì, e tentò di allontanare via le brutte immagini che riempivano la sua testa.
-
Maia si era accorta che Ashton e Camille andavano d’accordo, anche se lei non gli parlava. Si comportava in modo diverso con lui: non lo guardava male, non gli sbatteva la porta in faccia o semplicemente non gli mostrava il suo odio. Forse accadeva perché avevano la stessa età e riuscivano ad intendersi meglio, o perché Ashton era stato capace di prenderla nel modo giusto.
Questa cosa non la stupiva, suo figlio era sempre stato bravo con le persone. Per questo aveva deciso di farli sedere vicini in aereo, con la speranza di renderlo più leggero, per quanto si potesse con ventidue ore di aereo continuo.
“Tutto bene, ragazzi?” chiese, affacciandosi ai sedili anteriori dove erano seduti.
Ashton annuì, mentre Camille continuava a guardare fuori dal finestrino, persa nei suoi pensieri.
“Camille?” la richiamò il ragazzo. “Camille?” disse di nuovo, toccandole appena il braccio.
Lei si scansò in fretta e lo guardò, in attesa che parlasse.
Lui si morse il labbro, aveva dimenticato che non voleva essere toccata: “Va tutto bene?”.
Lei lo guardò come se avesse detto la cosa più stupida del mondo e tornò a fissare fuori dal finestrino.
L’aereo decollò e Camille disse addio al luogo in cui era nata, ai suoi amici e alla sua vecchia vita.
Cosa le riservava il destino?


Durante le ventidue ore di viaggio, Camile alternò sonno e cuffie. Maia e Jordan la controllavano in continuazione, e come se non fosse abbastanza ogni tanto sentiva su di sé lo sguardo di Ashton. Stava odiando tutta quella situazione, voleva solo scappare via da quell’aereo.
Aprì lo zaino alla ricerca di una rivista e trovò un braccialetto. Era di sua madre, e l’aveva portato via dal suo armadio quando lo aveva trovato per caso mentre cercava qualcosa settimane prima della sua morte.
Lo infilò al braccio e sentì gli occhi pungere, stava per piangere, ancora.
Così si alzò dal sedile e ignorando lo sguardo interrogativo di Ashton, in quel momento l’unico sveglio tra i tre che l’accompagnavano, corse in bagno, per stare da sola e cercare di riprendersi.
Un piccolo bracciale aveva innescato una bomba a mano di ricordi. Forse era meglio così: andare via l’avrebbe aiutata a dimenticare più in fretta.
Ma lei non voleva dimenticare.
Quindi sperò che quel cambiamento totale la aiutasse a superare tutto.
Quando ritornò al suo posto, aveva gli occhi ancora un po’ rossi, ma non gliene importava.
“Hai pianto?” le chiese Ashton, con fare ingenuo.
Camille lo guardò male. Lui le aveva promesso i suoi spazi, ma non lo stava facendo.
“Scusami” si giustificò Ashton, quando lo capì. “È solo che mi fai… preoccupare” indugiò sull’ultima parola, perché aveva paura fosse sbagliata.
Camille lo guardò negli occhi e tutto quello che vide fu sincero dispiacere e interessamento. Annuì, e tornò a fissare il nulla fuori dal finestrino, perché di certo era meglio di quegli occhi che le mettevano in subbuglio l’anima.
-
Mentre percorrevano le strade di Sydney in taxi, Camille non poté fare a meno di notare di quanto fosse diversa dal luogo in cui era nata e cresciuta.
Un po’ l’affascinava, non era mai stata in Australia, e non aveva idea di cosa aspettarsi da quel posto.
Il taxi parcheggiò di fronte una casa a due piani, con un vialetto d’accesso chiuso da un cancello e un giardino ben curato tutto intorno.
Il tassista scese le valigie dal cofano e dopo essere stato pagato andò via.
“Vieni” la esortò Maia, e la ragazza camminò per ultima, preceduta da Ashton.
Quando mise piede in casa e le luci si accesero, il rosso delle pareti l’accecò. Tutto era arredato in stile molto elegante e a dirla tutta, le piaceva.
“Ti piace?” le chiese Ashton, che le aveva visto come una scintilla negli occhi.
Lei lo guardò e annuì, continuando ad analizzare i particolari.
“D’accordo” cominciò Jordan. “Vuoi vedere il piano di sopra? È lì che c’è la tua stanza” spiegò, ed ebbe un cenno di consenso da Camille.
“L’accompagno io” si offrì Ashton, e cominciò a salire le scale.
Camille lo seguì e Ashton le indicò le stanze: “Questa è dei miei genitori che ha il loro bagno, questa è la mia e questa stanza di fronte è la tua” le disse, indicandole una porta. “Infondo da questa parte c’è lo sgabuzzino, mentre qui” disse indicando la porta tra le loro stanze “C’è il bagno che dobbiamo condividere io e te” le sorrise.
Camille annuì, ed aprì la porta della sua stanza.
Le pareti erano di un bel blu scuro e qualunque cosa si adattava ad ogni possibile tonalità di questo colore.
“Il colore l’ho scelto io, spero ti piaccia” disse passandosi una mano sul collo, imbarazzato.
Lei continuò a guardarsi intorno e non poté fare a meno di pensare che quella era la tipica stanza che aveva sempre sognato. Aveva sempre amato la sua camera a Londra, e proprio per questo non aveva mai voluto cambiarla definitivamente; ma quella lì, nella sua nuova casa a Sydney, era come l’aveva sempre immaginata.
La ragazza si voltò verso Ashton e sorridendogli, annuì.
“Sono contento che ti piaccia” le rispose. “Adesso vado a prenderti le valigie” si congedò, dirigendosi verso le scale.
Camille continuò a guardarsi intorno. Si avvicinò alla scrivania e notò che sopra di essa c’era uno scaffale pieno dei suoi libri della nuova scuola. Storse le labbra in segno di disapprovazione e continuò a guardare. C’era una piccola libreria con alcuni volumi e in un angolo un armadio color panna: lo aprì, e dentro ci trovò qualche vestito nuovo.
Alzò gli occhi al cielo, lei non voleva essere comprata in nessun modo.
“Ecco qui i tuoi bagagli” disse Jordan, lasciando le valigie e andando via. Ashton arrivò dopo poco e ne lasciò qualche altra. “Si cena tra dieci minuti” le disse, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Camille si stese sul letto, chiudendo gli occhi.
Sarebbe stato tutto difficile.
-
Quando quella mattina si svegliò, non ci mise tanto a ricordarsi dove si trovava.
La sera precedente aveva cenato il necessario e dopo si era dedicata alle sue valigie e alla sistemazione delle sue cose. Maia si era affacciata e le aveva chiesto se avesse bisogno di aiuto, ma lei aveva rifiutato con un cenno del capo.
Era stata fino a tardi, ma voleva rendere quella stanza più sua possibile, e soprattutto voleva avere tutto a portata di mano.
Doveva ancora abituarsi ai nuovi orari, ma la sveglia non sembrava della stessa idea.
Scese giù in cucina senza neanche cambiarsi, e trovò Maia ai fornelli e il resto della famiglia seduta a tavola.
“Buongiorno!” la salutò Maia. “Dormito bene?”
Camille scosse la testa e prese posto vicino ad Ashton, senza degnare nessuno di uno sguardo.
Dopo qualche minuto Maia portò loro la colazione e iniziarono a mangiare, in silenzio.
“Ho parlato con la scuola dove andrai” cominciò Maia, poggiando le posate sul piatto. “Comincerai la settimana prossima. Come hai visto ci sono già i libri, e Ashton andrà a ritirarti i corsi uno di questi giorni. Andrete insieme, non è molto distante da qui” spiegò, guardando ogni singola azione della nipote.
Lei annuì e basta, come sempre.
“Perché non posso cominciare anche io lunedì?” chiese Ashton, bevendo il suo succo di frutta.
Suo padre lo fulminò con lo sguardo.
“Non è equo, mi sento inferiore” scherzò lui, posando il bicchiere sul tavolo.
“Ashton” lo riprese severamente sua madre.
Lui annuì e non disse più nulla.
Ashton era stato il primo a terminare ed era andato di sopra a finire di prepararsi, mentre Camille, dopo aver preso qualche piatto e averlo lasciato nel lavello della cucina, fece per andare di sopra ma fu fermata da Ashton che stava per uscire.
“Come sto?” le chiese.
Lei sollevò il pollice per dirgli che stava bene.
“Augurami buona fortuna” disse roteando gli occhi al cielo.
Lei gli sorrise, ed Ashton uscì di casa, chiudendosi la porta alle spalle.












Dovevo aggiornare prima, ma me ne sono scordata... mi dispiace così tanto.
Riprenderò il ritmo, e aggiornerò di nuovo domenica pomeriggio, penso di farcela.
Vi prego, se la storia vi piace o la odiate, la schifate o vi interessa, lasciatemi una piccola recensione :(
Ora vado, a presto! :)

 
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer / Vai alla pagina dell'autore: Gens