Serie TV > Da Vinci's Demons
Segui la storia  |       
Autore: Chemical Lady    15/02/2015    3 recensioni
[Seguito di No Good Deed]
Passò gli occhi da una cartina all’altra, soffermandosi un istante sull’astrolabio che l’uomo davanti a lei le stava mostrando, fino ad arrivare alla pelle conciata dell’abissino.
La prese fra le mani, passandovi sopra le dita e saggiandone i rilievi, prima di alzare gli occhi in quelli di Leonardo. Il momento era giunto e lei si era preparata per quel giorno sin dalla sua nascita.
Aggirò il letto, andando verso quel piccolo scrigno che aveva sempre portato con sé, in ogni suo spostamento, quasi come se in esso vi fosse il più prezioso dei tesori.
Invero, era proprio così: Il diario di suo nonno, la chiave, il libro di Bologna e tutti i suoi appunti. Ore e ore passate a tradurre, interpretare e cercare di comprendere ciò che volevano dire.
Poi era arrivato lui, quell’artista folle dall’intelletto unico e tutto si era svelato: i pezzi di quel intricato puzzle erano finalmente disposti davanti a loro, ancora sparsi, ma pronti a rivelare la loro celata trama.
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Girolamo Riario, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
modellostorieefp

Chiedo scusa, as always, per il ritardo, ma la storia la finisco non temete! Capitolo di transizione, dal prossimo si balla!

 

Amor onni cosa

vince

 

Parte prima:

Raro cade, chi ben cammina.

Capitolo Quinto:

La tana delle maguste.

 

 

*

 

 

 

It's so quiet here

And I feel so cold

This house no longer

Feels like home.

(So Cold – Ben Clocks)

https://www.youtube.com/watch?v=ga94wVeFBac

 

 

 

29 Marzo 1478, Firenze

Festa in onore dei Riario.

 

 

 

C’era un odore buono nell’aria.

Doveva provenire dalle cucine e risalendo repentino le scale, s’era insinuato nelle narici del conte di Fontenera, inebriandolo.

Come da protocollo, Levi sentì la pancia borbottare per la fame “Deve essere arrosto di vitello.” Considerò ad alta voce, tanto per rendere partecipe il giovine accanto a lui, che nemmeno alzò il capo per guardarlo “Quando le cuoche iniziano a spignattare e portare le pietanze nella sala, significa solo una cosa. Siamo in ritardo.”

Le labbra di Raffaele smisero di accarezzargli la pelle del collo, permettendo così al cardinale di rispondere “Noi siamo sempre in ritardo, che sia per lussuria o per permetterti di abbinare correttamente il cappello alla camicia.”

Levi roteò gli occhi, indeciso se infastidirsi o lasciar perdere come ogni volta.

Alla fine, ovviamente, lasciò stare.

Con un gesto fiacco, scostò la trapunta lavorata ad arabeschi che lo copriva dalla vita in giù e si alzò seduto, passandosi una mano sulla nuca.

Fuori era buio e loro avevano oziato a letto tutto il giorno.

Non sapeva cosa gli fosse passato per la testa, ma quando si voltò per chiederlo a Raffaele ci arrivò in un istante; la pelle candida del cardinale romano si sposava alla perfezione col bianco profumato delle lenzuola del baldacchino.

Senza pensarci due volte si ributtò famelico sulle sue labbra, lambendole con baci sempre più sospirati e sentiti, fino a che non fu lo stesso Riario-Sansoni  a fermarlo.

Appoggiò entrambe le mani sulle sue spalle, distanziandolo da sé per scrutarlo negli occhi, “Dici bene, quando parli di ritardo, ma poi come tuo solito tergiversi. Dovremmo alzarci e vestirci, non abbiamo il tempo per questo.” E senza attendere oltre gli buttò la trapunta sul viso, alzandosi in piedi.

Quando Levi riabbassò i lembi morbidi della coperta, Raffaele aveva già addosso una camiciola  bianca.

Uno sbuffò contrariato e un’imprecazione dopo e anche lui era in piedi, alla ricerca della sua camicia rosso sanguinaccio e della giacca di broccato blu che si era fatto cucire prima della partenza da Fontenera. Fonterossa.

Fontenera, suonava ancora così male che il povero conte storse il naso.

Levi Bacci conte di Fontenera e tante grazie Girolamo.

Doveva aggiungere una postilla ai suoi titoli.

“Sono felice di rivedere tuo cugino” disse con tono più ironico che altro Levi, “Non credo però sia ricambiata, la mia cortesia.”

“Sì, figurati.” Rise Raffaele, infilando una camicia a merletti e una giubba nera di broccato orientale, prima di sistemarsi il caschetto castano che s’era spettinato circa un’ora prima, mentre a quattro zampe pregava il Signore come il buon cristiano che era “Girolamo non è contento di vedere nessuno. Nemmeno sé stesso.”

Il giovane conte ridacchiò, prima di accorrere ad aiutare l’amante con i lacci della giubba. Tornò quindi ai suoi calzoni bluastri, tirando un bel sospiro poco entusiasta mentre li allacciava “Nemmeno una moglie e il primo erede l’hanno reso più dolce.”

“Nemmeno il Signore in persona ci riuscirebbe.”

Un ultimo sguardo fugace, poi Raffaele uscì dagli alloggi di Levi. Si sarebbero rivisti di lì a pochi minuti, ma già bramava di poterlo riavere su di sé.

Beatrice dormiva in quelle che erano le stanze di quando era bambina.

Lo ripeteva sempre a Raffaele, che amava quel luogo perché le dava serenità, riportandole alla mente tanti dolci ricordi.

Quella sera, però, Beatrice pareva tutto men che serena.

Il cardinale bussò alla porta e quando ebbe licenza entrò, trovandosi di fronte la contessa di Forlì, che mai prima dall’allora l’era sembrata tanto bella.

Addosso aveva un abito abbastanza semplice, di un tessuto chiaro dei colori dei raggi della luna. Un argento particolare, appena lucido e opalescente, che le donava molto visto l’incarnato delicato della giovane donna. La gonna era liscia, con un leggero strascico dietro, e puntellata qua e la di rose gialle che dovevano essere state cucite quella sera stessa visto quanto parevano vive e fresce. Il bustino era stretto ed evidenziava la vita esile e, seppur i fianchi paressero più larghi da quando aveva dato alla luce Alessandro, non pareva esser mai stata gravida.

La ragazza gli dedicò un sorriso tenue, alzando la mano per salutarlo e Raffaele vide sbucare quella piccola e delicata meraviglia da sotto alla manica di pizzo,  larga e lunga più del normale, ma che non stonava affatto con le linee dell’abito. A contornare il tutto, le spalle magre della contessa spuntavano dalla scollatura, delicate anch’esse e pallide.

Sembravano morbide.

Raffaele, se fosse stato un uomo dedito a certi piaceri, si sarebbe innamorato di Beatrice.

Si chiedeva come fosse possibile non farlo, visto che non era solo bella, ma dotata di una certa astuzia, mista a tanto buonsenso che mancava a tutti, in quell’ultimo periodo.

Come accennato prima, però, non pareva affatto felice.

“Cosa ti atterrisce, cugina? Sei così bella stasera che farai di certo invidia alla luna. Se poi sorriderai, nemmeno il sole del mattino potrebbe oscurarti.”

La Contessa sorrise tenue, ritrovando un po’ di colore alle guance. “Chiudi la porta, cugino. Devo dirti una cosa.”

Velocemente, Raffaele esaudì quel desiderio, andando poi a sedersi sul fondo del letto il più vicino possibile a Beatrice, che sedeva allo scrittoio.

“Che accade, dunque? Girolamo ne ha fatta un'altra delle sue?”

La ragazza sospirò, scuotendo il capo “No, Girolamo per una volta non c’entra.” Abbassando la voce, la contessa iniziò a spiegare “Mio fratello Lorenzo è in collera con me e Giuliano perché insiste nel dire che mi ha rivelato dettagli importanti circa…. Beh, qualcosa di cui non posso parlarti ora.”

“L’ingegnere bellico?” si informò il cardinale, suscitando lo stupore di Beatrice “Ne parlano tutti a corte. Se mio cugino voleva far vedere che è ben informato senza metter te nei pasticci, doveva solo aspettare un paio di ore. Ne parlano pure le cuoche nelle cucine.”

“Il fatto, comunque, non cambia di gravità; Giuliano mi ha taciuto una cosa importante e Lorenzo non mi crede!” insistette Beatrice, prima di portare una mano alla fronte “Io non sono stupida, dannazione. Son bene di esser donna, ma non mi limita sul piano politico. Se Forlì è florida è grazie a me, è così complesso capirlo?”

Raffaele avrebbe voluto dire che no, non lo era, ma così facendo avrebbe posto in pessima luce i fratelli de’Medici, come se essi non conoscessero affatto la sorella minore o non la considerassero abbastanza.

Si limitò a fissare i merletti del baldacchio, con  interesse. “Questo è broccato veneziano?” chiese con un filo di voce, non ricevendo ovviamente risposta.

L’arrivo di Girolamo fu poi provvidenziale.

Entrò senza bussare, guardando il cugino seduto sul letto e salutandolo con un cenno del capo. Aprì la bocca per parlare, ma Beatrice lo aggredì con una domanda quindi la richiuse piano.

“Dove sei stato??”

Il conte la guardò, sospirando e sopportando, prima di avvicinarsi a lei per appoggiarle le mani sulle spalle, scostando i capelli acconciati da esse “Parlavo con Lupo, nulla di che. Dobbiamo scendere alla festa. Sei pronta?”

“Si, lo sono.”

“Anche io, per la cronaca.” Si intromise Raffaele, strappando un altro sorriso a Beatrice e alzandosi dal letto, porgendole con eleganza il braccio. “Volete farmi la cortesia di accompagnarmi, madonna?” domandò con tono cencioso, strappando un piccolo sorrisetto anche a Girolamo.

Beatrice accettò, appoggiando una mano sul suo braccio e tirandosi su, mentre il profumo delle rose si sporgeva nell’aria attorno a loro.

 

Beatrice pensava di essere una persona molto tollerante, visto che al mondo non sopportava la vista solo di tre personalità poco apprezzabili.

La prima era Porpora di Vallesanta, ma di lei non si sapeva più nulla da un pezzo. Dopo ciò che era successo ad Orso –che non appena messo piede alla festa, iniziò a mancare a Beatrice, visto che l’aveva incontrato ben due volte in quelle ricorrenze a corte- era sparita dalla scena.

Un'altra era il Papa, ma fin qui nulla di sorprendente. In pochi adoravano Sua Santità e essi si potevano contare sul palmo di una mano aperta. Compreso il diretto interessato, ovviamente.

La terza persona le era appena passata d’innanzi, salutandola con un sorriso di circostanza e una profonda riverenza, prima di sparire nella folla a braccetto con suo marito.

“Lucrezia Donati.” Aveva detto Raffaele, sussurrandole nell’orecchio, mentre gli occhi della contessa fissavano la schiena delle fiorentina. “L’amante di tuo fratello.”

“La sua puttana, intendi?” domandò Beatrice stringendo appena i denti. Lucrezia aveva poco più di quattordici anni, un paio di più lei, quando era entrata nelle grazie di Lorenzo. Le scriveva poemetti, poesie e odi. Poi si sa, Lucrezia era sbocciata e allora s’era fatta più furba, aprendo le gambe per aprirsi più porte.

“Odio quando una donna usa ciò che ha fra le gamba per ottenere quello che desidera.”

Il cardinale ridacchiò, sentendo la mano di Beatrice stringersi attorno al suo braccio “Si beh… Tu non l’hai mai fatto?”

La contessa sbuffò “Girolamo è troppo intelligente per cedere a certe cose. Lo renderei solo di buon umore, ma non otterei niente di più di quello che potrei ottenere a parole.”

“Anche la bocca vuole la sua parte, dopotutto.” Ridacchiò Raffaele, ricevendo un buffetto sulla spalla e una risata da Beatrice.

A loro si unirono anche Levi di Fontenera e la famosa Bianca Ordelaffi, che Raffaele aveva chiamato ‘la tardona’ per tutto il pomeriggio.

Non sprizzava energia ne intelligenza, dopotutto. Il nomigliolo le calzava bene, anche se fu un’ospite squisita con cui parlare.

Molto più della Donati, la quale si era attaccata a Leonardo da Vinci non appena esso aveva messo piede nella sala. Beatrice si perse un attimo a guardarlo scribacchiare sul suo quadernino, con quella gatta morta a ridacchiare e cinguettargli attorno.

Non era gelosia, quella che la contessa provava.

Solo, le mancava la sua spada.

“Vorrei salutare messer da Vinci, ma ha una mosca appoggiata sulla spalla.”

Raffaele e Levi colsero subito, mentre sul viso di Bianca si dipinse un’espressione confusa. Comunque sia non chiese.

“Vai e cacciala.” Disse con semplicità Raffaele, passando casualmente la mano sul braccio di Bacci, che era così tanto vicino al prelato da non riuscire a capire dove iniziasse uno e finisse l’altro.

Beatrice non avrebbe mai fatto una cosa del genere, perché così facendo avrebbe dato alla Donati un’importanza che non aveva.

Lei e Leonardo, però, si scambiarono diversi sguardi e un paio di sorrisi.

I loro occhi erano calamitati, ma nessuno dei due cercò mai di raggiungere l’altro, così Beatrice rimandò la chiaccherata.  Si limitò a prendere un calice di vino, quando Levi glielo porse, cercando con gli occhi il marito che si aggirava per la sala, guardando tutti quanti dall’alto in basso e studiando in modo particolare proprio l’artista del momento.

Beatrice guardò curiosa il modo in cui Girolamo non levava gli occhi di dosso a Leonardo e iniziò a farsi delle domande…

Mentre, impensierita, osservava quella scena, qualcuno di sua conoscenza ma che non doveva trovarsi lì attirò la sua attenzione.

Per poco non si versò il vino addosso per lo stupore.

“Con permesso.” Disse agli amici e a Bianca, congedandosi e camminando a piccoli passi verso quell’inusuale ospite. Quando arrivò da lui, notò che sul viso aveva una maschera di penne nere, ma gli occhi erano assolutamente inconfondibili “Sei vestito da corvo…. Non credi di essere caduto nel banale?”

Il giovane le sorrise, facendo una bella riverenza e mostrando anche il mantello, anch’esso ricoperto di lucenti penne corvine “Non mi trovi nel personaggio?”

“Ho visto di meglio, Corax. Poi se tutti avessimo avuto l’obbligo di rispettare il personaggio, ci sarebbero più porci e cagne che cervi e lupi a questa festa.” I due si scambiarono un sorriso complice, poi si scostarono verso uno degli ingressi, così da non attirare su di loro gli sguardi delle persone che li circondavano, presi dallo sfarzo della festa. “Come mai sei qui? Anzi, come sei entrato, per iniziare.”

Corax alzò le spalle, appoggiandosi con una mano allo stipite della porta “Mi ha fatto entrare il Conte di Fontenera. Basta solo solleticarlo nel punto giusto.” Sussurrò lascivo, ricevendo una pacca sul petto come ricompensa.

“Se il cardinale Riario Sansoni dovesse venirlo a sapere…”

“Io non voglio rovinar idilio alcuno. Volevo solo entrare ad una festa dei de’Medici. Biasimami pure, se lo desideri, ma mi è sempre piaciuta la corte fiorentina.” Nella voce del giovane c’era una certa malinconia, che subito Beatrice colse.

“C’eri già stato?”

“Sì, ma mi ricordo Lorenzo diverso…”

Mistero, sempre mistero nella voce di quello strano fanciullo, dalla cadenza romagnola ma che a quanto pare aveva visitato sia l’Urbe che la bella Fiorenza.

Beatrice non chiese altro perché sapere che non avrebbe scoperto altro. Ormai aveva fatto il callo con Corax; quando non intendeva più rispondere alle sue domande smetteva semplicemente di guardare nella sua direzione.

Così si misero semplicemente a guardarsi attorno, studiando i visi degli invitati sotto alle maschere animali.

Leonardo si voltò a guardarli, interessato a Corax, il quale alzò il calice per salutarlo, ricevendo un cenno di risposta.

“Lo conosci?” chiese interessata Beatrice.

Il ragazzo sbuffò una risata “Quello è Leonardo da Vinci. Non vi sarà persona che non conoscerà il suo nome.” Rispose con la solita supponenza, prima di tirar su col naso e passare il peso da un piede all’altro “Mi piace quel tizio.”

La contessa sorrise, prima di abbassare un istante gli occhi “Anche a me.”

Lo sguardo che le lanciò Corax fu…. Intraducibile.

Avrebbe voluto domandargli perché era lì di nuovo e perché la controllava da vicino, ma non ne ebbe la costanza ne il tempo.

Lorenzo richiamò l’attenzione di tutti con l’aiuto di Giuliano e la contessa fu invitata a ricongiungersi al marito “Non sparire.” Sussurrò a Corax prima di lasciargli in mano il calice ormai vuoto.

Lui rispose con una leggerissima riverenza del capo, prima di guardarla sparire in quella moltitudine di abiti eccessivamente colorati.

“Con chi parlavi?” le domandò Girolamo, quando lei lo prese a braccetto.

“Un cugino.” Fu la risposta secca della contessa che non ammetteva ulteriori repliche.

Si scambiarono un lungo sguardo, mentre Giuliano continuava a richiere l’attenzione, agitando le braccia e rivelando a tutti un panciotto dorato che Beatrice non trovò esattamente di buon gusto.

Dio, come si stava riducendo per colpa di Girolamo…

Non era più abituata a vedere uomini che indossavano colori differenti dal nero.

Lo stesso Lorenzo, dentro alla sua bella casacca rossa damascata, le parve un pugno nell’occhio. L’intera sala addobbata lo era.

Presò attenzione al fratello maggiore quando questi prese a parlare; “Do il benvenuto a tutti voi a uno dei banchetti di Firenze” iniziò con fierezza, guardando i suoi ospiti con lo stesso sguardo di un padre coi figli. Era sempre stato carismatico e convincente, ma agli occhi di Beatrice ormai sembrava solo un millantatore di folle come molti altri. Sapeva vendersi e per quanto lei lo adorasse, sul suo viso lesse una certa falsità “Così piena di vita e di persone vivaci!” Proseguì, beandosi degli applausi della piccola folla che si era radunata nel salone. “Come il Giardino dell’Eden pieno di frutti rigogliosi, pieno di animali e giochi, pieno della grazia della natura.”

Era tutto così pacchiano che Beatrice non riuscì a non sorridere eccitata. Era tutto così famigliare….

I Medici erano sempre stati incredibilmente teatrali in tutto quello che facevano.

Le maschere, i giochi, le rappresentazioni ludiche…

Era il loro vanto e il loro pregio, saper imbastire con poco meravigliosi ed indimenticabili feste.

Ovviamente, però, Lorenzo non mancò di rovinare quella bella atmosfera, andando al centro della rappresentazione e prendendo in mano il serpente  “Quindi come l’eden, ma ovviamente l’Eden aveva degli ospiti… così come noi.” Un coretto di risa si alzò e andò amplificandosi quando Lorenzo aggiunse; “È pur vero che i nostri sono un pochino più piacevoli del serpente in effetti”.

Beatrice perse del tutto il sorriso, quando comprese, così come ogni altra persona presente che il padrone di casa si stava rivolgendo a suo marito.

Istintivamente, si strinse di più al braccio di Girolamo che non solo non si scompose, ma tirò anche un tagliente sorriso, affilato come una minaccia.

Lorenzo doveva sempre esagerare, qualsiasi cosa facesse.

“Lasciate quindi che dia il benvenuto al conte Girolamo Riario, inviato da Roma e alla sua bellissima moglie, mia sorella Beatrice, contessa di Forlì, al nostro Eden, la nostra amatissima firenze.”

Con quel discorso, Lorenzo riuscì non solo a sottolineare che Beatrice e Girolamo non erano lì per il medesimo motivo, ma anche a prendere le distanze da lei che fra quelle mura ci era cresciuta esattamente come lui.

Ferita, nuovamente, tenne lo sguardo basso.

Farla sentire una straniera in casa sua era divenuta una moda alquanto sgradevole.

Grazie al cielo fu annunciata la cena e senza più nulla da aggiungere andò al tavolo del marito.

Quest’offesa non l’avrebbe rimossa dal cuore facilmente…

 

Lei e Girolamo non erano nell’Eden.

Erano finiti nella tana delle manguste.

 

La cena non fu esattamente piacevole.

Riuscì a litigare sia con il marito, che come ebbe il coraggio di dirgli doveva solamente tacere dopo tutte quelle macchinazione, che con entrambi i fratelli.

Giuliano se ne tirò fuori, dicendo che non era il paroliera di Lorenzo, il quale le disse che dovevano aver frainteso il discorso.

“Non sono stupida, anche se sono donna! Se ti sentisse il nonno vi prenderebbe a schiaffi per ricordarvi come si ci costuma a corte!”

Non si fece grandi problemi, quando l’intera sala la sentì dire quelle parole. Lorenzo divenne rosso, mentre Clarice portava il calice al viso per non mostrare il sorrisetto divertito.

Persino la Donati parve prendere parte a quel giubilio femminile, ma la contessa ne aveva già piene le tasche.

Se ne sarebbe tornata nei suoi alloggi, da Alessandro, se Raffaele non l’avesse fermata. Rimase tutta la sera col cugino, dimenticandosi anche di Corax e danzando con lui.

Raffaele aveva un effetto calmante su di lei. L’aiutava a rilassarsi e trovare un po’ di pace, grazie al cielo.

Il suo matrimonio era una farsa, il Turco non le aveva più fatto sapere cosa fare e i suoi fratelli mortificavano la sua famiglia ad ogni occasione.

Non era davvero in vena di festeggiamenti, così si mise al tavolo, insieme a Bianca, Levi e il cugino, godendosi la loro compagnia fino a che Raffaele e l’amante non sparirono misteriosamente.

Rimasta sola con Bianca, si persero a parlare di Forlì, anche se la rossa non sembrava aver colto che Beatrice le aveva ucciso il parente per poter prendere quella città.

Tanto di guadagnato, chi non capisce non può odiare. Chi odia senza capire non è abbastanza furbo da essere una minaccia.

Il tedio finì con l’arrivo di Corax, che la invitò a danzare.

Lei non aveva una gran voglia, ma sempre meglio di sentire come Bianca si fosse ferita da giovane mentre cercava di catturare una rana.

Si congedò dalla rossa con rispetto, afferrando la mano ruvida del corvo e seguendolo al centro della sala.

“L’ultima persona che ha provato ad attirare le mie attenzioni è finita sulla ruota.” Disse Beatrice, mentre iniziavano a danzare fra gli altri “Non farti vedere da Girolamo.”

“Saprei gestirlo.” Si difese Corax, muovendosi aggraziato, mentre Beatrice rideva.

“Nessuno sa gestirlo, nemmeno io.”

Il giovane non replicò, limitandosi a guardarla  da dietro la mascherina ricca di piume. Corax aveva degli occhi unici, di un azzurro strano, screziato di verde e oro. Beatrice non aveva mai visto uno sguardo più magnetico e particolare.

Danzarono sorridendosi per diversi minuti, poi lui riprese a parlare, con tono basso, come se le stesse per svelare un segreto “Mio padre è seriamente convinto che io non troverò mai una brava moglie. Critica il mio modo di pormi col gentil sesso…. Quando nemmeno lui sa farlo. L’essere in un determinato modo è anche indicativo delle nostre origini.”

“Stai cercando di dirmi che sono come Lorenzo? Perché se è così ti zittirò con un ceffone.” Lo riprese bonaria Beatrice, prima di guardarlo divertita “Poi mi pare d’aver inteso che non sei particolarmente attratto dalle dame…”

“Quello è un discorso a parte.”

Risero insieme, applaudendo all’orchestra quando la musica terminò.

Beatrice stava per congedarsi, dispiaciuta di non aver salutato Levi e Raffaele, ma pronta a tornare dal suo bambino, quando notò un certo fermento.

Vide Lorenzo e Giuliano fissare un punto sulle scale con intensità, così si congedò da Corax, andando anch’ella e vedere cosa mai stesse succedendo.

Aveva un pessimo presentimento, che si materializzò quando vide l’oggetto di tanta inquietudine.

Ovviamente c’era Girolamo, su quelle scale.

Non era solo, però.

Stava parlando con Leonardo da Vinci e il modo in cui gli toccò la spalla, prima di strizzargli l’occhiolino come per sancire un patto non piacque a nessuno dei tre de’Medici.

Specialmente a Beatrice.

“Cosa diavolo sta architettando quel folle di tuo marito?” chiese Giuliano, prendendole il braccio, quando Lorenzo se ne fu andato con l’amaro in bocca.

Beatrice lo guardò negli occhi, prima d’esser così sincera che le credette immediatamente.

“Non lo so. Non lo so, ma ho paura…”

 

 

 

 

 

 

Oh,you can't hear me cry

See my dreams all die

From where you're standing

On your own

 

 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Da Vinci's Demons / Vai alla pagina dell'autore: Chemical Lady