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Autore: Alcione    15/02/2015    3 recensioni
“Vedo che ti sei ripresa completamente” disse Thor sorridendomi bonario
“Si Altezza. E vi ringrazio infinitamente per la vostra gentilezza.” Loki mi guardò storto,
“Non sei stata cosi gentile con me” mi sillabò mentre dava le spalle al fratello
“Non l’hai meritato, se non erro” sillabai a mia volta, facendogli una linguaccia dispettosa
Cosa succederebbe ad Asgard se i suoi principi si vedessero improvvisamente piombare tra capo e collo, un guerriero proveniente da un mondo a loro sconosciuto?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il grande giorno si avvicinava inesorabile, e l’isterismo all’intero del palazzo era alle stelle. Gurvarth e Ado in qualche strana maniera erano andati subito d’accordo, e se questo, da un lato era il primo vero segno che qualcosa davvero era in cambiamento, dall’altro voleva dire doverli recuperare nelle taverne dove si ubriacavano come pesche sbucciate nel vino. A una settimana dall’incoronazione, avevamo convenuto che mettere Ado sotto chiave, sarebbe stata la soluzione migliore per salvare il decoro suo e dell’intero albero genealogico dei Marten.
 Dal canto mio, quella piccola, minuscola possibilità che avevo di ritornare da Loki, mi diede l’energia giusta per affrontare i giorni che mi separavano dall’incoronazione meglio di qualsiasi intruglio da fiera di paese appioppatomi da Ektor. Quella piccola fiammella di speranza fu come un falò nelle tenebre, e a mano a mano che i giorni passavano la luce diveniva sempre più grande, fino a darmi la forza e soprattutto la voglia necessaria per affrontare la folla. Non ero più spaventata, ma mi sentii improvvisamente come se Loki fosse di nuovo accanto a me. Il giorno dopo essere stata da Ballast mi vestii in maniera molto semplice, raccolsi i capelli nella solita lunga treccia e uscii diretta in città con un sorriso ebete stampato in faccia.  
Lentamente la città di Angora andava ripopolandosi,  la quantità di persone che si riversavano in città ogni giorno, la facevano sembrare sempre più piccola. Elfi, uomini, nani, ninfe, streghe, maghi, monaci combattenti, megi, vergini, guerrieri, cavalieri, ufficiali, studenti dei primi anni dell’Accademia, personaggi da ogni dove della Stella raggiunsero la capitale per vedere i nuovi regnati con le loro teste finalmente coronate. Fu molto strano, per me che non l’avevo mai visto, vedere tutte quelle razze convivere in pace, nelle mura di una stessa città, una città ferita e distrutta ma che lentamente rinasceva grazie all’impegno di tutti, e poco importava che la guerra aveva ridotto molti sotto la soglia della povertà, i gesti di bontà e altruismo verso le classi più deboli s’intensificarono, cosi come il commercio riuscì a risollevarsi tramite il semplice e antichissimo scambio di merci che permisero a tutti di avere di che sfamarsi. Altri grandi atti di umanità non tardarono a farsi notare, cavalieri, signori e persone normali offrirono cibo e lavoro a chi era rimasto senza nulla. Molti compagni dell’Accademia che erano sopravvissuti alla guerra si erano rimboccati le maniche ed erano corsi in aiuto degli Angoraniani per la ricostruzione. Riconobbi molti studenti dell’Accademia originari di Angora fare ritorno a casa, e aiutare amici e parenti nella ricostruzione di case, servizi, qualcuno aiutò nei campi, e a curare la foresta devastata dalle battaglie, altri aiutavano nella decorazione della città per la grande festa, lentamente ogni strada della capitale si abbellì con i lunghi stendardi di un frondoso albero bianco su fondo blu, il guidone dei Marten, a ogni finestra comparvero decine e decine di lanterne che durante le notti di festa si sarebbero accese andando a disegnare cosi un lungo serpente di fuoco, che sarebbe corso da ogni angolo e per ogni angolo della città, e poco importava che molti edifici erano coperti dalle impalcature per i lavori, quello fu interpretato dalla saggia Alyse come un segno che la seconda fioritura era cominciata. Saltellavo da una persona all’altra nel tentativo di aiutare chi avesse bisogno, ma tutti mi invitavano a bere e a sedermi, nel giro di un paio di ore ero già leggermente ubriaca. Barcollando mi avvicinai alla fontana della piazza centrale e ci ficcai la testa dentro: l’acqua gelida mi mozzò il fiato, ma fu un vero toccasana per la mente inebriata dall’alcool. Il cielo era azzurro sopra la mia testa, macchiato qua e la da qualche nuvoletta bianca sfaccendata, negli ultimi tempi l’avevo guardato cosi poco, eppure mi era sempre piaciuto guardare il cielo, che fosse azzurro e completamente sgombro di nuvole, o tempestato di stelle luminose, o ferito da fulmini e grondante di pioggia scrosciante. Trovavo il cielo, nel suo colore, lo strumento migliore per qualsiasi presagio divino, nel suo aspetto avevo sempre letto l’approssimarsi di qualcosa, buona o cattiva che fosse, e quel giorno mi sembrava il primo di una serie di giorni lieti e sereni. Seduta sul bordo della grande vasca circolare immaginavo il momento in cui l’avrei finalmente riabbracciato, perché ormai ne ero convinta, l’avrei fatto, avessi dovuto metterci mille anni, sarei tornata ad Asgard, magia o non magia. Intenta com’ero a rimurginare su quei pensieri, non mi accorsi dei due scellerati che si gettarono su di me a peso morto urlando come matti. Quando riemersi dall’acqua pronta a sbranare chiunque fossero, due enormi sorrisi mi si pararono davanti agli occhi,
“Oh, oh, oh, OH, OH!!” furono le uniche parole che riuscii a pronunciare tanto fu la mia felicità di vederli ancora vivi, e ovviamente loro non mancarono di continuare il coro con toni più o meno alti
“Oh mia Dea, siete vivi!!!” esclamai abbracciando i due in un unico gesto stritola costole
“Noi? Tu piuttosto!!”  Fyl e Peyp erano  due fratelli che conobbi all’epoca del mio primo anno in Accademia. Fyl era il più grande, basso e ben piazzato rispetto al fratello che era invece alto e magro, e se Peyp era biondo con gli occhi verdi, Fyl era naturalmente moro, scurissimo di pelle e dai grandi occhi nocciola. L’ultima volta che ci eravamo visti fu alla battaglia delle Cinque Punte, quattro anni addietro, dopo quella fummo spediti a dare man forte a guarnizioni ai lati opposti della Stella: loro andarono a ovest, noi fummo spediti nel freddo nord a salvare Koreka, che fu la nostra rovina; non ebbi più notizie di loro ne degli altri componenti della loro squadra.
“Dove sono gli altri?” chiesi uscendo dalla vasca ormai praticamente fradicia, ma poco m’importava, rivedere due dei compagni del mio stesso anni mi riempì di gioia.
“Lorcan è tornato dalla sua famiglia nell’ovest. Suo padre è morto in guerra, e lui deve occuparsi della madre e delle sorelle, diciamo che ha appeso la spada al chiodo!” disse Fyl mentre raggiungevamo il tavolo di una locanda all’aperto
“In realtà molti lo hanno fatto, qualcuno ancor prima della fine della guerra. ” aggiunse Peyp
“Vorresti dargli torto? Non è stata facile per nessuno.” Dissi strizzando i lunghi capelli “Ha lasciato ferite dentro di noi molto più profonde di quelle fisiche.” 
“Come Laidya” disse Fyl improvvisamente triste. Laidya era una nostra compagnia di corso, non particolarmente eccezionale ma sicuramente un buon soldato
“Cos’è successo a Laidya?” chiesi cominciando a sorseggiare il sidro ghiacciato che era arrivato
“E’ andata fuori di testa” rispose il ragazzo gravemente. Un gelò calò tra di noi quasi come se l’inverno fosse arrivato all’improvviso e ci avesse colti tutti bagnati fradici, come in effetti eravamo.  
“Definisci “andata fuori di testa” dissi
“E’ impazzita. L’assedio di Syngara è stato mentalmente massacrante. Dieci giorni carponi nel fango, per ogni metro che facevamo eravamo costretti ad arretrarne cinque. Mangiavamo sdraiati per terra, non distinguevamo più il giorno dalla notte. Quando fu il momento di riprenderci la città molti avevano dimenticato come stare su due gambe, e quando abbiamo superato i bastioni, quello che abbiamo visto non potrà mai essere cancellato. Gli Yrept avevano massacrato tutti, non avevano risparmiato nessuno, uomini, donne, bambini, anziani, animali, avevano ucciso tutti. Avevano separato le madri dai figli, le donne erano state violentate, gli uomini torturati, e i bambini erano stati bruciati vivi davanti agli occhi dei nonni. Si erano accaniti sulla gente che non poteva difendersi. Abbiamo trovato corpi dilaniati, quei bastardi avevano cominciato a mangiarli quando erano ancora vivi. Laidya è stata una dei primi a espugnare la città, quando ha visto quell’orrore ha massacrato gli stronzi in fuga. Quando abbiamo controllato le case, pensavamo che il peggio fosse fuori, e invece non avevamo ancora visto nulla. Avevano profanato il tempio nel  peggior modo possibile: le vestali non solo erano state violentate, ma le avevano impiccate ai bracieri con i loro stessi intestini, ad alcune avevano tagliato gambe e braccia e quando le abbiamo trovate erano ancora sfortunatamente vive, non so come abbiano fatto, ho solo quest’immagine di loro che strisciavano sui pavimenti lordi di sangue, come larve senza arti. Qualcuna, poverina si teneva stretta come poteva le gambe o le braccia. E’ stato li che Laidya non ha retto. Si è accasciata al suolo e ha gridato come non avevo mai sentito nessuno gridare. Poi la sua mente è andata chissà dove, e non è più tornata.” Fyl aveva raccontato tutta la storia con gli occhi persi nel vuoto e stringendo il boccale talmente tanto che le sue nocche divennero bianche, Peyp si asciugò gli occhi prima di stringere la spalla del fratello. Tutti avevamo ricordi simili, tutti, in parti diversi della Stella aveva visto lo stesso orrore. Improvvisamente rammentai di come da matricole non vedevamo l’ora di gettarci nella mischia, di saggiare il sapore del ferro e dell’acciaio del campo di battaglia, di mettere in pratica il frutto di anni di durissimo allenamento, di vedere realizzate le nostre strampalate e molto spesso suicide strategie. Morivamo dalla voglia di caricare gli schieramenti nemici urlando come ossessi il nostro odio per loro, di sguainare le spade e massacrarli tutti. Non immaginavamo nemmeno l’orrore alla quale andavamo incontro. All’epoca eravamo solo ardore e incoscienza, ci sentivamo invincibili, ma quello nella quale ci buttammo con l’entusiasmo dei giovani divenne presto il nostro peggiore incubo. Nessuno ci aveva preparato all’orrore. Quando ti raccontano la guerra, essa non ti appare mai com’è veramente, ti narrano i gesti eroici, le grandi vittorie, le perfette strategie e i migliori guerrieri, le sconfitte te le fanno sembrare cose da poco, ti lasciano credere che un paio centinaia di soldati persi in battaglia sia una perdita da nulla, solo quando ci sei dentro, quando sei immerso fino alle ginocchia del sangue dei tuoi amici, scopri che tutto ciò che ti avevano raccontato, tutto ciò in cui ti avevano fatto credere, era una bugia. Guerrieri si diventa, ci dicevano, dopo le battaglie, dopo la morte dei tuoi amici, dopo la tua città presa dagli avversari, e se riuscivi a sopravvivere senza andare fuori di testa, allora si, eri un guerriero.
“Jas?” chiesi con un filo di voce, sperando di ricevere notizie migliori, ma anche parlando di lei Peyp sospirò
“E’ morta a Farya. Siamo caduti in un imboscata, lei ci ha coperti e una picca l’ha trapassata da parte a parte.” Un altro spiacevole silenzio interrotto da un ancor più mortificato
“La notizia dei ragazzi è giunta fino a noi.” Capii immediatamente che si riferiva a Saul e agli altri, abbozzai un sorriso
“Sanna siamo cosi…” ma non permisi a Fyl di terminare la frase
“Basta parlare dei morti. Rendiamo omaggio alla loro memoria godendoci questa vita che ci siamo guadagnati!” dissi alzando il boccale e loro mi seguirono portando il loro boccali in alto e battendosi il petto a pugno chiuso. Mi venne in mente che a quanto avevo saputo, ero stata l’unica a perdere l’intera squadra.  In alcune compagnie i componenti erano morti tutti insieme, in altre erano rimasti in pochi, io ancora una volta ero una triste eccezione.
 “In compenso Hanathol sta arrivando. Con tutta la famiglia per giunta!” aggiunse Peyp sbirciando sorridente la mia reazione. Io e Hanathol ci detestavamo amorevolmente dai tempi dell’Accademia, per una volta che eravamo finiti a letto insieme perché ubriachi da fare veramente schifo, tutti pensavano che ci fosse qualcosa tra noi, e a niente erano valsi i tentativi di ucciderci a vicenda la mattina seguente mentre ancora dividevamo il letto, per mettere a tacere i pettegolezzi che ci volevano depravatamente innamorati. Sabira mi aveva tormentato per dei mesi, Kanahaan non mi aveva rivolto la parola per giorni e Saul non mancava mai di rinfacciarmi la cosa appena possibile. Meno male che c’era Elania, su di lei potevo contare su quel sostegno femminile di cui Sabira era completamente sprovvista.
“E io che ho pregato tanto perché ci rimettesse le penne” dissi roteando gli occhi al cielo. Non so come accadde, sta di fatto che nel giro di un ora le sedie attorno al nostro tavolo si moltiplicarono: molti compagni che passavano per la piazza, punto di quasi obbligo passaggio, riconoscendoci si unirono a noi. Fu quasi come se fossimo tornati ai tempi dell’addestramento, quando passavamo le nostre serate libere alla locanda di Garret, a chiacchierare, a rilassarci. Quando poi dietro alcuni di noi comparve, spuntata dal nulla, uno dei nostri insegnati, la Maestra Addam, il vino cominciò davvero a scorrere a fiumi.
 

La tempesta era cessata da giorni ormai, il mare calmo e una brezza leggera ma costante accompagnava la Moon che elegante come una sirena, solcava lo specchio d’acqua. Dopo diversi giorni di buio e tempesta, il sole finalmente tornava a fare capolino tra le nuvole che andavano diradandosi, lasciando il cielo sopra la nave sgombro e azzurrissimo. Il morale della ciurma era buono come non lo era dall’arrivo di Loki. Il ripescaggio dello straniero prima e l’attacco dei nuotatori poi, avevano fatto si che ci fosse sempre un clima di tensione tra gli uomini. Ora che la tempesta era passata e Loki si era dimostrato sfacciatamente dalla loro parte, gli animi si erano distesi. Nonostante non fosse giorno di riposo, Kirara aveva dato il permesso a chi non fosse di guardia, di poter stendere i panni appena lavati sul ponte, dal momento che nei giorni precedenti il tempo non lo aveva permesso, e mentre chi di turno svolgeva i propri compiti giornalieri, gli altri si godevano un sole finalmente caldo. Solo una persona era rimasta nella semioscurità della coperta: Loki disteso sulla sua amaca a guardare, senza vederlo davvero, il soffitto umido della nave, si era ormai abituato agli scricchiolii, allo sciabordio delle onde, al dondolio perenne e ai passi frettolosi, quasi come se ci avesse sempre vissuto su una nave. La ferita guariva rapidamente, aveva ancora qualche difficoltà nel camminare, ma nel giro di qualche settimana sarebbe tornato come nuovo. Ma la cosa che più gli dava da pensare non era la ferita, o la fine del viaggio, stava ancora lambiccandosi il cervello su come diavolo aveva fatto a far vedere parte dei suoi ricordi a Kirara. Possibile che una parte del potere di Sanna in qualche strana maniera si era riversata su di lui? E se si, com’è era possibile che lui fosse riuscito a utilizzarla se la magia stava sparendo? La domanda gli sorse spontanea, la magia stava davvero morendo o era una bufala? Se quella fosse semplicemente diminuita per uno squilibrio o per altra ragione? Se quella diminuzione fosse semplicemente un passaggio per portare la magia ad uno stadio evolutivo più alto? Quanto potere magico aveva un maestro dell’illusione straniero, in un mondo dove la magia andava scomparendo o evolvendosi? La magia non era una scienza esatta, c’erano talmente tante di quelle eccezioni, scorciatoie e trucchi che si potevano mettere in campo, che la risposta a quelle domande erano davvero moltissime. Forse Sanna gli avrebbe saputo spiegare molte cose, dopotutto quello era il suo mondo, era la sua area di competenza. C’era però qualcosa che non gli tornava, qualcosa di semplice, di ovvio, aveva la sensazione di averla sulla punta della lingua, quando fu sicuro di stare per arrivarci udì la voce di Kirara che lo chiamava dal ponte. Sbuffò sonoramente e non poco contrariato s’infilò la giacca e usci fuori
“Vorrà saltarmi di nuovo addosso” pensò con un ghigno maligno avvicinandosi al comandante. Ma il viso di Kirara era piuttosto serio quel giorno
“La vedi quella luce laggiù? Al mascone di dritta?” chiese la ragazza indicando un punto preciso. Una luce illuminava il punto, sembrava un faro. Loki annui guardando nella direzione indicata
“Sono le Scogliere di Piaf, sono talmente bianche da riflettere la luce del sole, sono cosi brillanti da renderle simili a un faro nella notte. La loro luminosità è talmente potente da generare quella che stai vedendo adesso, la Luce di Piaf, il primo baluardo naturale a protezione …”
“Mi hai chiamato per farmi una lezione di geografia?” la interruppe brusco il ragazzo
“Adesso non la vedi perché la luce la nasconde, ma li dietro c’è Angora!” Il cuore di Loki perse un battito, si voltò verso Kirara con gli occhi sgranati, e lei a quell’espressione sorrise decidendo di lasciar perdere il tono antipatico del giovane principe
“Quanto tempo ci vuole?” sussurrò Loki
“Devi soffrire altri due giorni.”   
 

Non ricordavo nemmeno l’ultima volta che mi ero sbronzata cosi. Il pomeriggio precedente era stato un continuo via vai di amici e compagni che si riunivano e si rivedevano, alcuni dopo anni, altri dopo poche settimane. L’arrivo in città oltre che di Fyl e Peyp, ma anche di Penny, Lypsia, Greg, Tiranya e molti altri mi convinsero a non sparire nell’ombra del palazzo, ma di rimanere con loro, ascoltare le loro storie, le loro avventure, gli incontri, gli scontri, perdite e vittorie, fu esattamente come tornare a casa dopo un lunghissimo viaggio, e se ben ci pensavo quello era stato un viaggio durato sei anni, ma come Ulysse, un personaggio della mitologia di Midgard, che era tornato a casa dopo un assenza di dieci anni, pochi giorni dopo il suo arrivo era ripartito alla ricerca di nuove avventure,la mia prossima avventura aveva un nome cosi dolce per le mie orecchie: Loki. Alla vigilia dell’incoronazione mi alzai alle primissime luci dell’alba, indossai un paio di aderenti pantaloni neri a al polpaccio e una canotta nera, e uscii per osservare il giorno che nasceva dal bastione più alto del palazzo. L’indomani avrebbe avuto luogo finalmente l’incoronazione e se quella che scorgevo all’orizzonte come un puntolino nero era la nave di Kirara, la mia attesa non sarebbe durata ancora a lungo. La nonna continuava a tentare di dissuadermi dal non partire, ma io ero più che mai decisa, niente di quello che avrebbe fatto o detto avrebbe mai potuto farmi cambiare idea, avrebbe dovuto passare sul mio cadavere, e non mancai di farle notare che se non ci era riuscito l’inferno intero, non vedevo quali speranze potesse avere lei.  Avevo ancora il colore dell’oceano negli occhi quando Even mi raggiunse con il fiatone
“Perché ti nascondi sempre nei posti più scomodi?” disse la ragazza premendosi una mano sul petto
“Che razza di nascondigli sarebbero altrimenti?” risposi raddrizzandomi dalla mia posizione di uccellaccio appollaiato. “Perché mi cercavi?” chiesi
“C’è una persona che vorrebbe vederti. E’ nella sala del Consiglio” Per un attimo sperai che fosse Loki, che in qualche modo mi avesse trovato, ma sapevo fin troppo bene che non era possibile. Loki era a mille mondi da li, e per quando potente non era cosi potente da coprire una distanza tale senza magia. M’incamminai cosi, un po’ rassegnata davanti a Even in direzione della sala del Consiglio, e solo quando attraversai il palazzo mi resi effettivamente conto di quanta gente fosse venuta per la cerimonia: avverti gli sguardi di tutti puntati su di me, alcuni erano pieni di ammirazione, altri semplicemente ostili ma troppo vigliacchi per farsi avanti, il giorno seguente ci sarebbe stata da divertirsi con tutti quei bambolotti in pompa magna. Le porte della sala del Consiglio furono spalancate al mio arrivo, e la cosa mi intimidì a tal punto da piegare la testa nelle spalle e accelerare il passo, ero un guerriero e come tale ero abituata alla semplicità, porte che si aprivano al mio arrivo, soldati che s’inchinavano la mio passaggio e Even come scorta, erano cose alla quale non ero abituata, ma quando vidi chi mi attendeva nella sala in piedi a rispettosa distanza dalla sedia del Comandante della Guardia Reale, ricordai tutto l’atteggiamento che doveva avere un vero guerriero. Alzai la testa e raddrizzai le spalle, il passo tornò marziale e sicuro, il volto una maschera di serietà, potevo sentire ogni fibra del mio corpo guizzare e risvegliarsi, quasi come se i muscoli si gonfiassero. La sua tunica nera dai bordi rosso fuoco era sgualcita in più punti, alla cintura in pelle e acciaio non pendeva più la sua spada, forse divenuta troppo pesante per quell’età, notai i bordi delle maniche sfilacciati e consunti, e gli stivali ormai logori dal viaggio. La testa completamente calva era coperta da una bandana nera adorna di perline colorate, e la lunghissima barba grigia era raccolta in un anello di ferro che aveva visto tempi migliori. Avvicinandomi m’inginocchiai davanti a lui chinando il capo
“Sono io a dovermi inginocchiare a te, mio Comandante della Guardia…” l’uomo malfermo sulle gambe fece per inginocchiarsi ma con uno scatto glielo impedii afferrandolo per le spalle
“Non sono il Comandante della Guardia” dissi. Il sorriso divertito che si aprì su quel viso orma ricoperto di rughe era lo stesso di sempre, gli anni avevano alla fine preso il sopravvento su quel corpo dinamico e atletico, ma la stanchezza e il tempo non avevano intaccato quel sorriso che per anni era stato il rifugio di tantissimi studenti dell’Accademia. La prima regola per un insegnante era non affezionarsi troppo ai guerrieri che forgiava, questo perché potevi accettare la sconfitta e la perdita di uno, o due studenti, ma non potevi accettare di perderne a centinaia in tempo di guerra, e tutti i guerrieri da settant’anni a quella parte era passati sotto la sferza del Maestro Ginnay. Io ero stata affidata a lui al mio primo anno perché egli era il quinto membro della squadra dei miei nonni, e non c’era persona migliore di lui per proteggermi da mio fratello.
“Ah no?” rispose fingendo stupore “Oh bè vorrà dire che ho vinto dieci Ruole da Garrett” aggiunse mentre offrendogli il mio braccio lo facevo accomodare sulla sedia che spettava al Comandante, gli sedetti di fronte come al tempo in cui lui era tutto il sapere della Stella e io una bimbetta assetata di un po’ di quella conoscenza
“Voi lo sapevate?” chiesi sbigottita
“Bambina mia, sull’Isola Galleggiante non si parla d’altro.” Un attimo di pausa prima di aggiungere “Avevo detto ad Ado che non avresti mai accettato.” Disse con il sorriso di chi ti conosceva come il palmo della propria mano
“Ho sbagliato, Maestro?” chiesi chinando il capo e fissandomi le scarpe. Lui non rispose subito si prese un attimo per osservarmi, ma con mio grande stupore mi passò delicatamente una mano sul viso, alzai lo sguardo e mi si strinse il cuore: i suoi occhi avevano perso tutta la loro lucentezza, un velo opaco era sceso a oscurare quel verde stupefacente
“Maestro i vostri occhi…”
“Non angustiarti, la vista è un senso sopravvalutato.” Ancora una volta quel sorriso che faceva capolino anche nelle situazioni più dure, “Tutti i bambini che arrivano in Accademia hanno grandi aspirazioni, chi perché mosso dall’esempio delle famiglie, chi perché non ha nient’altro in cui sperare, chiunque può divenire un guerriero, dal figlio dello stalliere, al rampollo della casa reale, e tutti vedono nel Guerriero una figura che si è riscattata. Tutti a un certo punto vogliono diventare grandi condottieri, valenti cavalieri, guardie scelte, guardie reali e comandanti della guardia. Tu sei l’unica che pur avendo rifiutato la gloria, di gloria stessa sei stata investita.”
“Non so che farmene di tutta questa gloria, Maestro. Io non mi sento un eroe.”
“E come ti senti?” chiese, presi un profondo respiro
“Mi sento come chi ha perso tutto in guerra. Non esistono vincitori e vinti, c’è solo chi è vivo e chi è morto.” Il Maestro inclinò la testa da un lato e continuò a “fissarmi”,
“Mi rendo conto che non ho più nulla da insegnarti. La gioia di ogni Maestro è vivere abbastanza per vedere il proprio allievo superarlo e riempirlo cosi d’un orgoglio senza pari. Nessun Sensei avrebbe mai potuto desiderare allievo migliore di te.”  Sbuffai e mi alzai gironzolando in tondo passandomi le mani tra i capelli nervosa
“Che cosa succede Sanna?” chiese il Maestro preoccupato. Dovetti ricorrere a tutto il mio autocontrollo per non cominciare a dare di matto
“Io..io..io non sono forte come voi credete che sia. Se sono riuscita in questa imprese è perché sono stata aiutata e affiancata da persone eccezionali. Sola, probabilmente sarei morta alla prima scaramuccia, io non sono il grande guerriero che tutti vogliono elogiare, io.. io sono solo Sanna…”
“Siediti Sanna. Raccontami.”  Appoggiò la schiena alle sedia e si mise comodo in ascolto. Gli raccontai tutto ciò che era successo dal giorno seguente in cui lasciammo l’Accademia per sempre con i colori dei Cavalieri. Gli raccontai delle prime battaglie, di Kantorka, dell’esilio su Midgard. Naturalmente era venuto a conoscenza della morte dei miei amici, ma non sapeva il perché, gli raccontai dei poteri di cui fui mio mal grado investita, dell’enorme aiuto di Ballast, delle battaglie come Comandante della Stella, della disperazione e della solitudine. Gli raccontai di Asgard e di Loki e di come Acate fosse venuta a cercarmi, dei piani scellerati di quei due psicopatici, della battaglia finale contro Marek e Argan, ma a lui potevo dire la verità, a lui potevo rivelare chi ero veramente. Mi ascoltò fino alla fine senza battere ciglio e quando ebbi finito si sporse in avanti per mettermi una mano sulla testa
“Ho sempre creduto che c’era qualcosa di eccezionale in te, e oggi me ne hai dato la prova. Il destino che si accanisce su un guerriero e senza saperlo, ne plasma al contempo il suo peggior nemico.” Si alzò e fece addirittura per inginocchiarsi ma non glielo permisi
“E questo Loki? Come ha fatto a scavalcare la tua famosa scorza?” lo guardai sgranando gli occhi
“Ma io non ho detto niente di Loki, a parte che mi ha aiutato a tornare.”
“In realtà ho semplicemente tirato a indovinare, e la tua reazione conferma i miei sospetti. Inoltre hai indugiato un paio di volte pronunciando il suo nome.”  Meno male che non poteva vedere che arrossivo come un’idiota.
“Quindi il tentativo di tua nonna di darti in sposa ad Hanathol è destinato a naufragare, che peccato…”
“CHE COSAAA?” urlai scattando in piedi
“Oh non lo sapevi? Oooh perdonami ti ho rovinato la sorpresa. Anche se credo che tua nonna abbia un piano per farti ubriacare ai festeggiamenti e indurti a firmare il contratto matrimoniale. E’ sempre stato un tipo diabolico!”  La sfuriata che ne conseguì con la nonna è entrata a pieno diritto negli annali della storia di Angora: le nostre urla si udirono quasi fino in città e durarono per un bel pezzo, richiamammo anche l’attenzione di Alyse e Ado, che insieme a Gurvarth e Even cercavano di calmare gli animi ma senza riuscirci. Il Maestro Ginnay seguiva il duello verbale accomodato su uno sgabello imbottito e sembrava non essersi mai divertito tanto in vita sua
“MA SI PUO’SAPERE CHE COSA TI DICE IL CERVELLO? COME HAI ANCHE SOLO POTUTO PENSARE CHE IO VOGLIA SPOSARMI?” gridai con tutto il fiato che avevo in gola
“Non stiamo a giudicare il mio cervello qui, ma il tuo! Che diavolo vuoi fare nella vita? Hai rifiutato la massima carica per un guerriero, una carica per la quale molti sudano anni senza mai arrivarci. Non hai intenzione di fare parte del consiglio, ne della Guardia, ne del concilio ristretto, non vuoi tornare in Accademia, e ora nemmeno sposarti e mettere al mondo altri guerrieri…”
“Ma ho l’aspetto di una giumenta per caso?” dissi esasperata. Come diavolo dovevo farglielo capire, che qualunque cosa lei avesse deciso per me, non l’avrei mai accettata?
“Che vuoi fare Sanna? Devi prendere posto in questo mondo e devi farlo adesso!!” disse lei sempre più irata contro di me
“Nonna il tempo degli ultimatum è finito. Come devo dirtelo che ora sono padrona della mia vita? Non ti basta quello che ho già dato per la Stella? Che altro dovrei sacrificare?” dissi ormai sull’orlo di una crisi di nervi
“Tu sei una guida per tutta la gente della Stella. Quando hai un potere, hai anche un dovere, e tu nipote mia hai un enorme potere, non l’hai scelto tu, e di certo non l’ho scelto io, ti è stato affidato perché solo tu puoi portarlo, e dovrai farlo volente o nolente!”
“Le tue parole sanno di minaccia, nonna. Ma io non ho più dieci anni, non puoi più prendermi e scaraventarmi in Accademia. Per tutta la vita ho scelto tra ciò che era giusto e ciò che era facile, e ti posso assicurare che resistere alla morte di Saul e continuare a combattere non è stato per niente facile. Dopo la cerimonia di domani partirò, e il mio compito sarà definitivamente concluso, e niente di quello che farai potrà farmi cambiare idea.”
“E se venissimo attaccati di nuovo? Se la guerra non fosse finita?” disse aggrappandosi sugli specchi
“Stavolta sarebbe un problema solo vostro.”
“Sei un egoista Sanna!!” gridò lei,
“Sono stata egoista con me stessa tutta la vita. Un po’ per uno!”

Non è il capitolo che desideravate lo so. La mia intenzione era quella di pubblicare tutto insieme, ma oltre ad aver superato abbondantemente le dieci pagine, mi sono accorta che stavo arronzando la parte più bella, e quindi....dovrete soffrire un altro pochino, ma vi prometto che il prossimo capitolo sarà quello che tutti aspettate!!! Spero solo di rendergli giustizia! Un abbraccio  :)
  
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