Un Butei alla
Kuoh Academy
Disclaimer: Non
posseggo ne Highschool DxD ne Hiden No Aria. La storia è
scritta senza scopi di
lucro
Terza Pallottola
- Raiting Game
Nell’oscurità il
tempo non scorre, non passa, non avanza.
Secondi sembrano minuti, minuti sembrano ore, ore sembrano giorni. Dopo
un
tempo infinito iniziai a sentire la sete, poi venne la fame.
Incominciai a
pensare che quella stanza tetra e buia sarebbe stata la mia tomba,
quando fui
avvolto dalla luce.
Non ricordo bene come accadde, in
quel momento ero
leggermente confuso, ma fui certo solo che la porta si fosse aperta.
Quando i
miei occhi si adattarono e riuscì a vedere di nuovo, mi
ritrovai davanti
l’intero team di demoni che mi aveva supportato nella chiesa
più persone che mi
erano sconosciute.
Fui lasciato solo per molto tempo ed
ora ero circondato di
persone, persone alte e basse, uomini e donne, ma tra tutti risaltava
lei, la
suora, che anche in mezzo ad un branco di demoni continuava ad
indossare le sue
vesti sacre.
Anche nella mia spossatezza fui
felice di vederla. Stava
bene, era viva, era salva. Dopotutto la missione non era stato un
completo
fallimento.
Sorrisi alla ragazza dai capelli
biondi, che mi guardò
spaventata riparandosi dietro Issei, il mio compagno di classe. Ora che
facevo
più attenzione, parecchie persone sembravano trovarsi a
disagio di fronte a me.
Nelle loro menti doveva essere ancora impressa l’immagine del
mio combattimento
con l’angelo caduto.
Il sorriso si spense così
com’era andato a formarsi, ed
anche se i miei muscoli erano completamente atrofizzati cercai di
mettermi più
comodo sulla sedia.
“Non sembri
agitato.”
Rias, la bellissima ragazza dai
capelli rossi, mi parlò con
naturalezza. Lei sembrava essere una delle poche persone a non temermi.
“Cerco di risparmiare le
forze. Urlare ed inveire non mi
farebbero andare via di qui più in fretta, invece conservare
quel po’ di
energia che mi resta potrebbe farlo.”
Il mio aspetto doveva essere
orribile, non so da quanto
tempo non mi lavavo, probabilmente puzzavo un sacco.
Rias mi si avvicinò
stringendo un mazzo di chiavi, con le
quali iniziò a sciogliere tutte le cinghie e catene che mi
legavano. Sul suo
volto c’era un’espressione dispiaciuta, quasi fosse
colpa sua se mi trovavo lì.
“Toyama-kun, mi dispiace
per quello che ti abbiamo fatto, ma
dovevamo essere sicuri che tu fossi realmente umano. Abbiamo raccolti
campioni
del tuo sangue e li abbiamo fatti analizzare negli inferi,
c’è voluto un po’ di
tempo, ma ora sappiamo che non sei una minaccia per noi.”
Quando mi sciolse di tutte le catene
la prima cosa che feci
fu di massaggiarmi i polsi. Non provai nemmeno ad alzarmi, prima dovevo
riavviare la circolazione in quelle parti atrofizzate, altrimenti
l’unica cosa
che mi sarebbe successa era di cadere.
“Non devi scusarti
Gremory-san, hai fatto quello che hai
fatto per proteggere i tuoi compagni, non c’è
nulla di vergognoso in questo. Mi
dispiace solo avervi fatto vedere un lato tanto orribile di
me.”
Le sorrisi di nuovo, passando in
rassegna le persone dietro
di lei. Oltre ai membri del gruppo che già conoscevi,
c’erano altri ragazzi,
tutti con l’uniforme della scuola e tutti guardinghi. Una
donna teneva addirittura
una mano sulla spada portata alla cintura, come se tu potessi saltarle
addosso
da un momento all’altro.
“Sei molto, molto diverso
da quello che mi aspetto. Che
tutti noi ci aspettavamo. So che non hai voluto spiegare la fonte di
quel tuo
potere, ma devo chiedertelo comunque, da dove arriva? È
forse opera di Dio? Nel
tuo corpo potrebbe esserci una sacred gear, ed in quel caso dovremmo
insegnarti
ad usarla prima di lasciarti andare…”
Anche se era un demone, Rias si
dimostrò buona e
comprensiva, forse perfino troppo. Per un secondo
un’espressione di fastidio
balenò sul mio viso, ma presto anche quella fu messa da
parte.
“Grazie, ma davvero non
credo ci sia nulla che voi possiate
fare per me. Non ho idea di cosa una sacred gear sia, ma la mia
è solo… una
patologia ereditaria. Mia padre l’ha avuta prima di me, e mio
nonno prima di
lui. Tutti i maschi della mia famiglia ne sono affetti.”
Le diedi quel briciolo di
verità in cambio della sua
gentilezza, ma davvero non potevo sopportare oltre quel pubblico che mi
fissava. Facendo leva con le braccia sui manici della sedia, cercai di
rimettermi in piedi. In quel momento Issei assunse una posa
d’attacco coprendo
Asia con il suo corpo, Kiba evocò una delle sue spade ed
Akeno fece scintillare
la magia sul palmo della mano.
In tutta risposta io barcollai e
quasi caddi. Le mie gambe
non avevano ancora recuperato a sufficienza, ed ora stavo per rovinare
al
suolo, tuttavia la mia caduta fu frenata da un piccolo corpo sottile
che mi
sorresse. Mentre gli altri si preparavano a combattere, aspettandosi da
parte
mia un qualche attacco a tradimento, lei fece in modo che non mi
facessi
ulteriore male.
Io mi appoggiai completamente a lei e
quando i nostri occhi
si incontrarono le sorrisi.
“Grazie.”
Parlai semplicemente, ma di fronte a
quella semplice parola
lei arrossì e distolse lo sguardo.
“Ti abbiamo già
trattato male abbastanza. Tu hai salvato
Kiba-kun e Issei-kun ed hai aiutato a salvare Asia-chan, non meriti il
nostro
disprezzo e la nostra ingratitudine.”
Quando la piccola ragazzina
pronunciò quelle parole, una
sensazione di vergogna serpeggiò tra i demoni, che si
rilassarono e posarono le
armi. Rias, che ci era di fianco sorrise, anche se sembrava che
sorridesse più
a Koneko che a me.
“Hai detto che la tua
è una patologia? Negli esami del
sangue non abbiamo trovato nulla di simile, sei sicuro di quello che
dici? Asia
è quella che ha curato le tue ferite e qualsiasi altro
problema sarebbe dovuto
scomparire sotto il suo potere.”
Per un attimo strabuzzai lo sguardo,
cercando la suora che
mi fissava da dietro la schiena del suo eroe. E se davvero avesse
rimosso da me
la maledizione dell’Hysteria Mode? Se mi avesse curato
arrivando a cambiare
quello che c’era di sbagliato nel mio corpo? Era una teoria
che dovevo
assolutamente provare, dovevo provarla per capire se finalmente ero
riuscito ad
ottenere una vita normale.
Sempre sorretto da Koneko, mi chinai
quel tanto che bastava
per sfiorare la sua fronte con le mie labbra, carezzandole nel
frattempo il
viso. Il mio sangue gorgogliò, iniziò ad
accumularsi, ma non superò il livello
limite che mi avrebbe trasformato. La malattia era ancora presente e davvero non
c’era nulla che nessuno potesse
fare.
“Ehi! Non avvicinare le tue
brutte labbra a Koneko-chan! Lo
sapevo, sei solo un Lolicon!”
Eh?
Ah già, avevo di nuovo
sfruttato Koneko, questa volta come
cavia per vedere se la malattia era ancora presente. A ribellarsi
davanti al
mio gesto spudorato fu Issei, che gridò e si fece avanti
quasi saltandomi
addosso. Solo l’intervento di Kiba gli impedì di
colpirmi, ma anche così potevo
capire che non aveva intenzioni davvero ostili. Stava solo cercando di
proteggere la sua Kohai da quello che credeva essere un maniaco.
Koneko d’altra parte era
avvampata, ed ora aveva iniziato a
tremare.
“Disgustoso…”
Tra
tutte le cose che
avrebbe potuto dire quella era l’ultima che mi sarei
aspettato. Scrollandomi di
dosso fino a farmi ricadere sulla sedia, la piccola ragazza mi
guardò con
rabbia, allontanandosi dalla stanza.
Rias ridacchiò e lo stesso
fece la maggior parte delle
persone presenti.
“Fufu, fammi indovinare hai
voluto vedere se Asia era
riuscito a curarti. Vedendo la tua faccia direi che no, non
c’è riuscita.
Quindi la tua non è una malattia del sangue?”
Di nuovo sulla sedia, sospirai
affranto, poggiandomi allo
schienale.
“No, non è nel
sangue, è qualcosa a livello di DNA, non può
essere curato in nessun modo, ma dovete stare tranquilli, sono
diventato
piuttosto bravo a tenere a bada questa condizione, non
c’è davvero bisogno che
vi preoccupiate. Anzi, penso sarebbe meglio per tutti se cambiassi di
nuovo
scuola.”
Le mie parole tolsero il sorriso a
Rias.
“Cambiare scuola? Se sei
preoccupato per le assenze puoi
stare tranquillo, Sona-chan è la presidentessa del consiglio
studentesco ed ha
fatto chiudere un occhio ai professori.”
Rias mi indicò una delle
persone che non conoscevo, una
ragazza dai corti capelli neri ed occhiali bordati di viola.
“Rias, ti ha già
detto che a scuola devi chiamarmi Kaichou,
e sì, per questa volta il consiglio studentesco
coprirà le tue assenze, del
resto è colpa di noi demoni se hai saltato due giorni di
scuola.”
Due giorni? Contando la missione,
avvenuta nel mio secondo
giorno di scuola, ero rimasto incosciente per davvero poche ore, ed
ancora meno
erano le ore che avevo passato sigillato in quella stanza. Socchiusi gli occhi, presi
fiato, cercando di
rimettermi in piedi.
Questa volta le gambe mi ressero e
fui capace di muovere
qualche passo senza bisogno d’aiuto.
“Non è per voi,
o per le assenze, solo che sono venuto qui
per cercare una vita normale, ed è evidente che in questa
scuola non c’è nulla
di normale. Perfino il consiglio studentesco è formato da
demoni. Davvero, qui
sarei solo d’intralcio a tutti voi.”
Non senza sforzo mi tastai i vestiti,
mi guardai intorno, tornando
a Rias.
“Le mie cose? Pistola,
coltello ed anche la cintura, è
sparito tutto.”
Rias sembrava voler ribattere ancora,
convincermi a non
trasferirmi, ma dovette capire di non avere possibilità.
Alla fine si arrese
all’evidenza non senza rimpianto.
“Va bene, abbiamo
già incassato il nostro pagamento, non
abbiamo ulteriori motivi per trattenerti. Ti prego seguimi, ti
permetteremo di
fare una doccia, cambiarti e ti ridaremo le tue cose, così
sarai libero di
andare.”
La donna si fece strada, i demoni
servitori si spostarono
davanti a lei ed io mi limitai a seguirla. Mi sentì gli
occhi di tutti addosso
mentre passavo, ma la maggior parte dell’ostilità
sembrava essere evaporata ed
ora erano sguardi incerti e curiosi a cercarmi.
Una volta fuori dalla stanza,
capì dove mi trovavo, era lo
stesso edificio in cui mi ero risvegliato dopo aver perso i sensi in
camera di
Rias ed a seconda dei corridoi che stavamo attraversando e del numero
di
trascuratezza dei corridoi e delle aule, doveva essere il vecchio
edificio scolastico.
Rias mi guidò fino ad un
bagno al piano terra, che sembrava
ristrutturato a nuovo e conteneva più lussi di quanti ne
servissero. Una volta
lì fui lasciato solo e finalmente potei rilassarmi e
ragionare. Mi spogliai dei
miei logori abiti, mi immersi nella calda acqua della vasca da bagno,
grande
almeno quattro metri e profonda un metro e mezzo, lasciando che
l’acqua facesse
il suo dovere.
I muscoli si distesero, il torpore in
tutto il corpo iniziò
a svanire ed anche lo sporco che ancora avevo addosso venne lavato via.
Dopo
poco meno di mezz’ora fui sul punto di uscire, rinfrancato e
pronto ad andar
via. Dei morbidi vestiti dell’accademia erano stati lasciati
fuori dalla porta,
così che potessi indossare qualcosa di pulito.
Terminai di prepararmi, mi guardai
allo specchio e sorrisi.
Avevo un accenno di barba sul mento, ma tolto questo il mio aspetto era
passabile. Quando raggiunsi il resto del gruppo nella sala
d’attesa, notai
immediatamente i miei beni più preziosi su un tavolino.
La mia Desert Eagle, un caricatore
tolto all’arma per
lasciarla senza munizioni, il coltello a farfalla e
soprattutto… i resti
infranti del mio cellulare.
Il telefono era rotto,
inutilizzabile, eppure si trovava
comunque tra i miei effetti personali come se qualcuno si aspettasse
che io lo
rivolessi indietro. Guardi il tavolino, cercai con gli occhi lo sguardo
della
ragazzina che mi aveva accompagnato fino a Tokyo e quando le sorrisi
lei alzò
lo sguardo al soffitto.
Non mi importava nulla del telefono,
quello avrei sempre potuto
cambiarlo, ma il cordoncino che c’era attaccato con il
piccolo pupazzetto di
Aria, l’ultimo ricordo di lei, era inestimabile per me. Come
un fantasma
avanzai nella stanza, presi il telefono tra le mani, carezzando il
piccolo
Leopone.
Aria.
Aria.
Aria.
Srotolai di nuovo
l’etichetta, lessi di nuovo le sue parole.
“Se
scappi ti farò un
buco!”
E cosa stavo facendo ora se non
scappare? Ero scappato dalla
mia vecchia vita, stavo scappando dalla mia nuova vita, ovunque andassi
c’era
sempre qualcosa che mi ricordava lei. Non ero mai riuscito a vivere con
coraggio, la mia ricerca di pace e tranquillità era una fuga
dal dolore della
morte di mio fratello, ed ora continuavo a fuggire dal dolore della sua
morte.
Guardai di nuovo Koneko, questa volta
avevo gli occhi lucidi
e lei non distolse lo sguardo. Qualcuno chiamava il mio nome, ma non mi
importava. Quegli occhi dorati sembravano dirmi qualcosa che non ero
sicuro di
riuscire a cogliere.
“Toyama-kun! Mi senti? Se
vuoi andare ti conviene farlo
prima che tramonti il sole, altrimenti arriverai a casa che
è già buio.”
Rias mi parlava, mi diceva in effetti
qualcosa di sensato.
Sarei dovuto andare, ritirarmi nel mio piccolo appartamento e preparare
la
domanda di trasferimento. Da qualche parte avrei trovato un luogo dove
vivere
in pace. Da qualche parte sarebbe esistito un luogo solo per me.
“Se
scappi ti farò un
buco!”
“Gremory-san, ho cambiato
idea. Ho deciso di restare.”
Lo dissi senza distogliere lo sguardo
dagli occhi di Koneko.
Sul suo volto in genere inespressivo c’era il più
piccolo dei sorrisi. Strinsi
con forza il pupazzetto, mi promisi di nuovo di non fuggire mai
più e non solo
dalle lotte o dai miei doveri, ma dalla mia vita.
Le mie parole lasciarono di stucco
tutti i presenti, nessuno
a parte me e Koneko ci aveva capito un beneamato...
XXXXXXXXXXXX
La cerimonia di reincarnazione fu
piuttosto informale. Non
c’erano candele, ne rituali oscuri, ne sacrifici di sangue.
Sembrava proprio
che tutte le idee che gli umani avessero sui demoni fossero
semplicemente il
prodotto della propaganda corrotta della chiesa, che cercava di far
passare i
demoni per malvagi in modo da giustificare il continuo combattere con
loro.
Un pezzo degli scacchi venne posto
davanti al mio petto, una
luce intensa avvolse me e la mia padrona Rias, ed il pezzo
entrò nel mio petto
causandomi una dose minima di fastidio.
Adesso qualcuno si
domanderà sicuramente, perché asservirsi
ad un demone come Rias, se avevo solo deciso di restare?
La risposta era semplice, avevo
assistito in prima persona
ad una battaglia della squadra della principessa cremisi, ed oltre ad
approvare
i loro metodi che li portarono a non uccidere nessun umano presente,
non potei
non lodare lo spirito di gruppo e l’amore che si respirava
trai ranghi di
quella formazione.
Rias era un padrone docile, molto
affezionata ai suoi servi,
che era arrivata al punto da trovare un pretesto per combattere contro
gli
angeli caduti piuttosto che lasciar andare Issei da solo a salvare
Asia. Se
davvero dovevo ricominciare, senza più fuggire, mi sarei
immerso anima e corpo
in quella nuova avventura, accettando volentieri di diventare il
servitore di
quella persona.
Il pezzo che mi fu assegnato, per la
mia grande capacità
tecnica in Hysteria Mode, fu il cavallo, il che mi poneva al pari di
Kiba.
L’unica differenza tra noi era che le mie capacità
avevano delle restrizioni
ferree per essere attivate, mentre le sue erano naturali.
Mi aspettai un ferreo interrogatorio
riguardo queste
restrizioni, ma dopo un iniziale rifiuto di spiegazioni, tutti smisero
di
domandare, dando per scontato che nel momento di bisogno avrei mostrato
le mie
reali capacità. Questo gesto mi fece apprezzare ancora di
più i miei compagni,
che lentamente si stavano abituando a me e mi stavano accettando,
mettendo da
parte l’idea di pazzo psicotico che si erano fatti.
La mia vita cambiò
radicalmente nel giro di pochi giorni,
passai dall’essere un uomo distrutto ad essere un demone
rinato, con ancora
tanto dolore e sofferenza, ma anche un briciolo di felicità.
Iniziai a fare
volantinaggio, ad assolvere i miei doveri come servitore, passando le
mie notti
ad esaudire i desideri degli umani che volevano contrattare la loro
anima.
A differenza di Issei, con la
trasformazione in demone
guadagnai anche una piccola quantità di potere magico, utile
ad utilizzare il
teletrasporto, quindi le cose furono facili per me. O almeno furono
facili fino
a che non mi capitava di dover fare qualche commissione con Koneko, o
non
capitava per qualche strana ragione che nei due fossimo lasciati da
soli.
I membri più grandi del
club di ricerca per l’Occulto
(quella era la nostra copertura a scuola), cercavano in ogni modo di
farci
interagire e parlare tra noi, ma mentre io mi trovavo in imbarazzo per
tutte le
cose che le avevo fatto, lei si limitava a non parlarmi o a voltare i
tacchi
quando ero io a rivolgerle la parola.
Per certi versi Koneko mi ricordava
uno strano incrocio tra
Reki il cecchino ed Aria, la mia vecchia… amica. Come Reki
era perlopiù
silenziosa ed impassibile, ma se messa alle strette era capace di fare
espressioni adorabili e tenerissime, proprio come Aria.
Il mio interesse per lei era sincero,
ma non romantico,
l’unica cosa che volevo era appianare le divergenze che si
erano create tra
noi, riprendendo la nostra vita come compagni di club e compagni
demoni.
Tuttavia avevo rinunciato ad una vita
tranquilla divenendo
un demone, ed i primi imprevisti erano dietro l’angolo.
Avvenne tutto senza che
me ne rendessi conto, un giorno durante la riunione del Club.
L’aria era tesa,
Issei era rosso in viso e nella stanza oltre a noi membri
c’era una strana
donna dai capelli argentei, vestita come cameriera.
Come noi anche lei doveva essere un
demone, ed in me iniziò
a crescere la convinzione che non esistessero brutte donne
all’inferno, perché
fino a quel momento tutte quelle che avevo incontrato erano
estremamente
avvenenti. La donna che si trovava davanti a noi non faceva eccezione.
“Sembra che tutti siano
qui. Prima di iniziare con il club,
c'è qualcosa che ho bisogno di dirvi.”
“Ojou-sama, vuole che
spieghi io la situazione?”
La Buchou rifiutò
l'offerta della cameriera, con un cenno
della mano.
“La verità
è...”
Nello stesso momento in cui la Buchou
iniziò a parlare, un
cerchio magico brillò sul pavimento. I disegni e le rune del
cerchio
cambiarono, formando un simbolo diverso da quello del clan Gremory,
cosa che mi
lasciò perplesso. Mi voltai verso i miei compagni, molti dei
quali avevo
espressioni confuse come la mia, solo Kiba ed Akeno sembravano sapere
chi fosse
in arrivo.
“....Phenex”
Ecco ciò che disse Kiba,
che stava accanto a me. Non avevo
mai sentito il nome dei Phenex, ma era evidente
dall’espressione del suo viso
che non fosse qualcuno con cui di raccomandabile.
La luce esplose, c'erano delle fiamme
che provenivano dal
cerchio magico e che si scatenarono in tutta la stanza. Caldo! Le
scintille mi
stavano bruciando la pelle. Dietro le fiamme c'era la sagoma di un
uomo. Quando
mosse il suo braccio di lato, le fiamme scomparvero.
“Fuu. Era un po’
che non venivo nel mondo umano.”
Dal cerchio magico apparve un uomo
con abiti casual rossi,
con la camicia aperta sino al petto e nessuna cravatta a fare
compagnia. Non
fui impressionato dalla sua apparizione, ma il modo in cui si
atteggiava ed il
suo modo altezzoso di porsi, me lo fece diventare subito antipatico.
Appena
dopo aver fatto un passo fuori dal cerchio magico iniziò a
guardarsi intorno, i
suoi occhi vagarono su di noi servi a cui non parve interessato. Mi
fece
irritare il modo in cui i suoi occhi si soffermarono qualche istante su
Koneko,
ma poi la vera destinataria di quegli occhi voraci si fece avanti.
“Mia amata Rias. Sono
venuto a prenderti.”
I miei occhi si restrinsero e per un
momento rimasi
interdetto cercando di leggere l’atmosfera. Il nuovo
arrivato, con l’aria del
tipico bullo da liceo, si rivolse alla mia padrona, che di suo
socchiuse gli
occhi prendendo un profondo respiro. Non sembrava che lei gli stesse
dando il
benvenuto, anzi al contrario sembrava irritata dalla sua presenza. Con
un
movimento lento della mano sbottonai la giacca a prova di proiettile e
sganciai
la sicura della fondina.
“Allora Rias. Andiamo a
dare un'occhiata alla sala della
cerimonia. La data della cerimonia è decisa quindi dobbiamo
controllarla prima
di allora.”
L’uomo continuò
ad avvicinarsi, non diede conto a noi, e
nemmeno a Rias, che si lasciò afferrare il
bracciò, ma non si mosse di un passo
dalla sua posizione.
“……Lasciami
andare, Raiser.”
Rias gli spostò la mano
stringendola e lo disse con una voce
seria e profonda. In quel momento sembrava davvero arrabbiata,
probabilmente
neanche lei apprezzava i modi dell’uomo davanti a lei. Lo
sconosciuto che
rispondeva al nome Raiser, dal canto suo, non sembrò per nulla impressionato, ed
al contrario
sorrise.
Io ero pronto ad intervenire se il
nuovo arrivato avesse fatto
una mossa azzardata contro il mio padrone, ma altri meno pazienti di me
scattarono.
“Oi, tu. Ti stai
comportando male con la Buchou. Pensi che
questo sia accettabile?”
Issei parlò con foga,
alzandosi in piedi per fronteggiare
l’uomo. Da come fu guardato in risposta, era facile intuire
che Raiser lo
considerava spazzatura. Da lì iniziò un
battibeccò interminabile, una sequela
di frasi senza senso e situazioni imbarazzanti che non voglio nemmeno
ricordare.
Troppe nudità e cose vergognose per la mia povera mente,
dunque eviterò di
richiamarle e passerò oltre.
Il succo fondamentale del discorso
era che la mia padrona,
Rias Gremory, come erede principale della casata Gremory era stata
promessa in
sposa al bell’imbusto appartenente alla famiglia Phenex. Il
matrimonio sarebbe
stato un vantaggio per entrambe le famiglie, ma per gli spasimanti le
cose non
erano così. Certo, Raiser ci avrebbe guadagnato, del resto
chi non vorrebbe
sposare una donna formosa e bellissima come Rias mantenendo al contempo
un
harem fatto dai propri servitori?
Ma al contrario la bella Gremory
avrebbe solo perso le sue
libertà sposando Raiser, venendo costretta a tornare negli
inferi, costretta a
vivere un uomo che non amava e costretta ad avere figli da lui. Quello
che
prese peggio la notizia fu Issei, che sembrava essersi infatuato della
sua
padrona che ora voleva salvare ad ogni costo.
Quasi risi per la sua
ingenuità, ricordando il tempo in cui
anche io ero così. Non esitai ad affrontare ogni sorta di
creatura per
proteggerai Aria, arrivai addirittura al punto di cavalcare una testata
nucleare intercontinentale… ma quel tempo era passato ed ora
per quanto volessi
salvare la mia padrona, il mio non era più un fuoco ardente
che brillava di
innocenza e passione.
Per evitare ulteriori grattacapi,
alla fine Raiser e Rias si
erano accordati, con il benestare degli alti demoni
dell’inferno, per una sfida
ai Raiting Games. La squadra d Raiser avrebbe affrontato quella di Rias
e quali
delle due avrebbe vinto, avrebbe guadagnato il diritto di far valere la
sua
ragione.
Per Raiser era la volontà
di avere una donna docile ed
ubbidiente, che appagasse tutte le sue perversioni, per Rias il rompere
il
contratto matrimoniale avendo dunque la possibilità di
innamorarsi di chiunque
lei volesse.
Il che ci riporta alla settimana di
allenamento infernale
sui monti in previsione dello scontro. La nostra squadra aveva bisogno
di
migliorare, ma soprattutto Issei aveva bisogno di imparare ad usare il
suo
Sacred Gear che gli permetteva di raddoppiare ogni dieci secondi la sua
forza.
L’allenamento fu duro, mi
vennero insegnate tante cose,
soprattutto da Kiba ed Akeno (Koneko si rifiutava di insegnarmi), ma
anche io
insegnai qualcosa ai miei compagni. Senza di me il gruppo sembrava come
privo
di mente, un corpo muscolo pronto a colpire qualsiasi cosa si muovesse,
senza
una ben precisa strategia.
Resomi conto di questo mi feci carico
della situazione ed
organizzai meeting su base giornaliera per discutere e trovare un modo
per
affrontare e vincere i nostri avversari.
La nostra squadra era in svantaggio sia numerico che per
livello di esperienza
ed abilità, ma avevamo anche qualche carta vincente che
intendevamo far valere.
Per prima cosa modificammo le nostre
divise, basandole tutte
sul polimero con cui erano costruite quelle per l’accademia
Butei. Ciò avrebbe
aumentato le nostre difese rendendo ai nostri avversari più
difficile porta a
segno i colpi. A tutti vennero date siringhe ripiene con il cocktail
“Razzo!”,
utile per riprendersi dalle ferite ed evitare il ritiro forzato. Questo
ci
avrebbe dato il tempo di retrocedere per farci curare da Asia, il
nostro Jolly.
Finchè lei fosse stata
viva ed a portata di mano, una nostra
sconfitta era improbabile. Qualsiasi nostra ferita sarebbe stata curata
e l’adrenalina
avrebbe nascosto temporaneamente lo spossamento. A tutti furono
consegnate
manette a prova di abilità speciali, fumogeni e per ogni
precauzioni teaser,
che comunque avrebbero avuto poco o nessuno effetto sui demoni.
Io ordinai anche altre cose, cose
introvabili perfino per i
Butei di alto rango, ma che grazie alle connessioni della famiglia
Gremory
ricevetti a tempo di record.
E poi si arrivò al giorno
dello scontro.
Con Koneko ero ancora ai ferri corti,
ma per la fine dello
scontro le cose sarebbero molto cambiate.
XXXXXXXXXXXXXXXXX
“Rias, ti dico che
è la soluzione migliore. Ho studiato
tutte le schede di valutazione e visto i filmati, un combattimento di
questo
tipo è la nostra migliore risorsa per vincere.”
Stavo ancora cercando di fare valere
le mie ragioni. Si era
arrivati al giorno dello scontro decisivo, ed eravamo già
stati trasportati con
la magia nel luogo dello scontro. Ad occhio sembrava che non ci fossimo
dalla
stanza del club, ma in realtà eravamo passati dalla
realtà, ad un mondo
fittizio, del tutto uguale a quello di partenza, dove avremmo potuto
combattere
e distruggere quanto avessimo voluto senza trattenerci.
“Ed io ti ho detto di
ascoltare la tua padrona! Non metterai
in pericolo la tua vita in questo modo, non ti permetterò di
fare di testa tua!
Sia per te, che per i tuoi avversari! Cosa succederebbe se perdessi di
nuovo il
controllo?! Non tutti hanno superato l’incidente di quel
giorno ed al momento c’è
solo un fragile equilibrio tra di noi. Seguì la strategia
che IO ho deciso e
vedrai che andrà tutto bene.”
Digrignai i denti, presi un profondo
respiro iniziando a
giocherellare con Leopone. Era diventato un mio vizio stringere tra le
mani il
piccolo pupazzo, domandandomi in ogni momento come si sarebbe
comportata Aria
al mio posto. Ero stato un Butei, mi era stata insegnata
l’importanza della
catena di comando, ma anche così non riuscivo a tollerare un
piano con così
tante variabili imprevedibili.
“So di essere un nuovo
membro del gruppo, che quasi nessuno
qui si fida di me, ma io posso farcela. Posso porre fine a tutto questo
prima
ancora che i nemici capiscano cos’è successo. Sei
un grande Leader Rias, con
carisma ed una volontà di ferro, ma verranno giorni in cui
dovrai affidarti a
qualcun altro e non contare solo su te stessa. Sai qual è il
primo articolo di
noi Butei? Credi nei tuoi amici e proteggetevi gli uni con gli
altri…”
Ancora pochi minuti e sarebbe
iniziato lo scontro, il
dibattito tra me e la Bochou era acceso, ma nessun altro sembrava
esserne
interessato. Nessuno in quella stanza aveva appoggiato la mia idea,
alla fine
ero stato il solo a voler rischiare in un’unica mossa, tutti
gli altri
preferivano far valere la loro ragione con la forza…
…poveri sciocchi, in
questo mondo non era la forza a
prevalere, ma l’arguzia.
Rias soppesò le mie
parole, sembrò quasi sul punto di
cedere, ma poi un forte gong riecheggiò nell’aria.
Lo scontro era iniziato, non
c’era più modo di tornare indietro. Rias prese un
sospiro, si sedette sul
divano della sala del club, ignorandomi completamente.
“Avete tutti i vostri
ordini, inizierete ad andare tra dieci
minuti. Akeno, ti va di mettere su un po’ di the?”
Un fremito di agitazione mi percorse
il corpo, ma lo misi a
tacere. La strategia di una battaglia in campo aperto, con divisione a
squadre
ed assalti mirati non era male, anzi era perfino ben congegnata, ma non
ci
avrebbe portato alla vittoria.
Avevo passato l’ultima
settimana a sfruttare il difetto fatale
dei miei avversari contro di loro. Quell’unico difetto che
loro avevano e noi
invece no.
Loro erano famosi.
Erano giocatori esperti dei raiting
games ed in quanto tali
le quantità di notizie che era possibile reperire era quasi
illimitato. Studiai
i loro scontri, le loro vittorie, le loro sconfitte e le
capacità generali di
ognuno di loro, arrivando ad un unico
esito possibile.
Noi avremmo perso.
Per quanto forti, per quanto capaci,
non avremmo potuto
battere la loro regina senza sforzo. Ed anche se l’avessimo
battuta non avremmo
potuto battere il loro re.
Raiser era della casata Phenix, nel
cui sangue scorreva il
potere della mitologica creatura. Una creatura leggendaria, prolifica,
con una
potenza di fuoco invidiabile ed una resistenza quasi assoluta. Pochi
attacchi
erano capaci di danneggiarla realmente e nessuno di noi era capaci di
sferrarli.
L’unica possibile via
d’uscita era il piano che avevo
concepito durante l’Hysteria Mode della mattina, quando il
sangue affluì senza
controllo voi-sapete-dove (come in ogni maschio sano), ed entrai in
quello
stato per qualche minuto.
La trasformazione era sparita da
tempo, ma il piano era
rimasto. Mi allontanai dalla stanza dei miei compagni, mi inoltrai in
un
corridoio buio che non sboccava da nessuna parte, e li diedi sfogo alla
mia
rabbia. Un muro di mattoni fu il mio triste avversario e quando
finì con lui
era leggermente ammaccato e le mie mani erano sanguinanti.
Tornai nella stanza in tempo per
partire, ed insieme ai miei
compagni mi allontanai dall’edificio scolastico. Uscimmo in
quattro dal nostro
campo base, ma ci dividemmo subito in gruppi da due. Io viaggiai in
coppia con
Koneko, mentre Kiba era con Issei.
Le squadre vennero decise in maniera
tale che ci fosse un veterano
con esperienza (Kiba e Koneko), ed un giovane demone inesperto (me e
Issei).
Anche così era improbabile che finissi con Akeno, visto e
considerato che
ultimamente a stento riuscivamo a stare nella stessa stanza insieme, ma
la
necessità di una coppia formata da persone capaci sia nel
corpo a corpo, che in
attacchi a distanza giocò a mio favore.
Io andai con Koneko, in maniera tale
che mentre lei teneva
occupata i nemici a distanza ravvicinata, io li spazzavo via a
distanza. Stessa
cosa valeva per Issei e Kiba, anche se la loro squadra era leggermente
tendente
al corpo a corpo per via dell’incapacità di Issei
di usare la magia.
Per dirlo semplicemente, fu tutto
organizzato dalle nostre
sempai che cercavano di fari riappacificare.
Durante i primi minuti di marcia
nella fitta foresta che
divideva i due edifici scolastici, nessuno parlò. Koneko si
teneva qualche
passo di fronte a me, facendo ben attenzione a non guardarmi nemmeno
per
sbaglio.
“Andrà avanti
ancora per molto?”
Parlai con voce stanca, quasi spenta
e lei mi rispose nel
suo solito modo freddo ed atono.
“Il gioco è
appena iniziato.”
Non si dilungò, ne cerco
di trovare un modo di conversare,
fui io a cercare di far chiarezza.
“Non sto parlando del
gioco, sto parlando di noi.”
Il corpo della mia kohai si
irrigidì, ma oltre a questo non
diede altro segno di tensione.
“Non esiste nessun noi. Non
esisterà mai. Sei solo un
pervertito.”
Ogni sua frase una coltellata, ogni
coltellata un dolore
lancinante. Cercai di ridacchiare per alleggerire la tensione, ma non
venne
fuori niente.
“Mi sono già
scusato per averti baciato… non volevo farlo
davvero…”
Provai ancora la stessa strategia che
non mi aveva portato a
nulla nell’ultimo mese, ma stavolta a differenza del solito,
non ricevetti la
solita risposta. La ragazza si fermò, il suo sguardo
impassibile sostituito da
un affranto.
“Proprio non
capisci… Quando mai ti ho chiesto di scusarti
per quello?”
Il mio cuore mancò un
battito, ma non ci fu tempo per dire
altro perché arrivammo alla nostra meta primaria. Davanti a
noi, oltre il
limitare degli alberi si estendeva la palestra della scuola. Quello era
uno dei
punti cruciali, in cui sarebbe stato facile sia difendere che attaccare
e
dovevamo assolutamente conquistarlo.
“Andiamo.”
Koneko si lanciò
all’assalto a testa bassa, ed io tenni il
passo dietro di lei facilmente. Grazie alla mia trasformazione in
demone, ed in
particolare alle mie specifiche di cavallo, la mia velocità
era aumentata
enormemente, rendendomi facile quel compito particolare.
Koneko sfondò la porta con
un pugno, io andai in
avanscoperta con la pistola sguainata e trovai tre persone ad
attenderci. I file
che avevo attentamente letto riconobbero le persone di fronte a noi
come una
torre e due pedoni. Nemici non troppo ostici per noi due soli.
“E così siete
arrivati. Se volete saperlo era una mossa fin
troppo prevedibile, ma non otterrete questa palestra, abbiamo ricevuto
l’ordine
di difenderla con la vita. Io presi posizione, Koneko si
spostò davanti a me
per difendermi e lo scontro cominciò.
Le torri si scontrarono tra loro
mentre io mi occupavo dei
pedoni. Lo scontro era duro, lo scontro era difficile, ma ero pur
sempre un
cavallo, ed anche senza Hysteria Mode dovevo solo tenermi a distanza e
sparare.
Molti miei proiettili colpirono il bersaglio, ma nessuno di questi fece
danni
sufficienti ad eliminare i due pezzi.
I demoni erano più
resistenti degli umani, perfino i
proiettili di una Desert Eagle avrebbero penetrato la carne per solo
qualche
centimetro, rendendo i miei attacchi decisamente più deboli
di quanto sarebbero
stati normalmente. Lo scontro si protrasse e sembrò quasi
che i nostri
avversari stessero cercando di guadagnare tempo, cosa che si
rivelò vera quando
nella palestra arrivarono altri due pedoni ed un cavallo.
Lo scontro era ora a nostro
svantaggio, con sei nemici
contro solo noi due. Ma mentre loro pensavano di averci messo sotto
scacco, la
verità era che noi avevamo messo sotto scacco loro.
“Akeno-san. È il
momento.”
“Fufu, grazie Kinji-kun,
avete fatto un buon lavoro.”
Comunicammo con la sempai tramite le
auricolari che tutti i
demoni in gioco avevano a disposizione, dimostrando ai nostri nemici
come la
loro trappola si fosse rivolta contro di loro. Corsi più
veloce che potei,
raccolsi Koneko tra le mie braccia, ed insieme ci fiondammo fuori dalla
palestra, giusto in tempo per evitare uno scoppio pauroso di magia che
investi
l’edficio.
[Quattro pedoni, una torre ed un
cavallo della squadra di
Raiser sono eliminati.]
La voce del conduttore del gioco
annunciò questo alla
squadra ancora in gara, dandoci di che rallegrarci. Con la nostra avanzata
sconsiderata, avevamo fatto
finta di puntare all’edificio, mentre tutto quello che
volevamo era raccogliere
il maggior numero possibile di nemici al suo interno.
Avevamo così sacrificato
una valida postazione in campo
nemico per 1/3 dei suoi servitori.
Akeno discese dal cielo con le sue
sottili ali da
pipistrello e ci sorrise vedendo Koneko ancora stretta tra le mie
braccia.
“Fufu…
Kinji-kun, non pensi di dover fare questo genere di
cose dopo il game? Forse la nostra piccola Koneko non è
ancora pronta a queste
dimostrazioni di pubblico affetto.”
Koneko arrossì,
tremò e quando la lasciai andare mi colpì
con un pugno che quasi mi fece volare via. Rialzandomi a fatica guardai
verso
la regina del nostro gruppo, che ancora ridacchiava.
“Akeno-san, per favore
smettila di dire cose del genere,
altrimenti finirò eliminato per colpa di un mio compagno di
squadra.”
Parlai con voce supplichevole, ma la
ragazza si limitò a
continuare a ridere, volando via. Il piano prevedeva che ora lei
andasse a fare
da supporto ad Issei e Kiba, che sentendo quanto comunicavano via radio
erano
in difficoltà.
Fu quello il momento in cui le cose
per me e Koneko volsero
al peggio.
Rimasti da soli in uno spiazzo
desolato, con pochi nemici da
affrontare, dovevamo infiltrarci nel nuovo edificio scolastico
cominciando ad
eliminare le difese che coprivano Raiser, in modo che
l’intero gruppo potesse
poi caricare il re nemico, eliminandolo.
Il nostro errore fu quello di pensare
che Raiser ce lo
avrebbe lasciato fare.
La magia venne dall’alto,
era al livello di quella di Akeno,
ed entrambi ce ne accorgemmo all’ultimo momento
perché nascosta da un’illusione.
Avverti i miei piedi alzarsi da terra, il mio corpo volare, la mia
schiena
sbattere forte contro uno degli alberi della foresta.
Respirai a fatica, mi tastai le
costole contandone almeno un
paio rotte.
Questo però era nulla in
confronto al dolore che provai
quando alzai lo sguardo sullo spiazzo davanti a me. La palestra non
esisteva
più, ma ora anche lo spiazzo che la costeggiava era sparito,
sostituito da un
grande cratere.
Al centro del cratere, coperta di
sangue, con gli occhi a
malapena aperti c’era Koneko. Era stata lei a spingermi via,
a rinunciare alla
possibilità di difendersi per mettere in salvo me. In
qualche modo si era
accorta un istante prima dell’attacco, in qualche modo lei
aveva fatto quello
che sarebbe dovuto essere compito mio.
Lei mi aveva protetto.
Dall’alto discese una
donna. Bella, fiera, imponente.
Era la regina di Raiser, venuta a
sterminarci per la nostra
recente carneficina ai danni della loro squadra.
Non mi curai di lei, non mi curai del
suo sguardo divertito
ne del modo in cui mi guardava. Scesi
nel
baratro, fui accanto a lei, la sostenni. Stava piangendo, i suoi occhi
erano
bordati di lacrime, ma non sembrava soffrisse. Tra le mani stringeva
una
siringa vuota, aveva usato l “Razzo!” per comprarsi
qualche minuto prima di
sparire.
Ma anche senza sentire dolore non
poteva impedire alle sue
gambe rotte di rimanere accasciate al suolo, ne al suo piccolo petto di
respirare affannato.
“Kinji…”
La sua voce era acquosa, senza dubbio
colpa delle lacrime.
“… non volevo
essere un peso, scusami…”
Un piccolo pezzo del mio cuore si
infranse, mentre l’altro
venne investito dalla rabbia.
“… devi vincere
per la Bochou. Promettimi che vincerai per
la Bochou.”
Una luce bianca aveva iniziato ad
avvolgerla. Il team medico
la stava teletrasportando in infermeria, dove si sarebbero presi cura
di lei. Lei
non sarebbe morta, non sarebbe stato come con Aria. Il suo pezzo era la
torre,
aveva le difese più alte di tutti in campo, anche con un
attacco del genere
sarebbe sopravvissuta.
“Io vincerò.”
Lo dissi con voce sicura, prima che anche il suo busto sparisse. E le nostre labbra si toccarono, fui lei a cercare il bacio stavolta, ed io non potei che assecondarlo. Il sapore di menta selvatica, l’odore di Vaniglia e quel gusto salato di lacrime.
[La torre del gruppo Gremory
è stata eliminata]
Il calore mi avvolse. Il calore mi
circondò.
Il calore eruppe nel mio petto.
Ero entrato in Hysteria Mode.
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