Film > The Big Four
Segui la storia  |       
Autore: gingersnapped    16/02/2015    2 recensioni
“Respira. Quando non respiri, non pensi.”
Le sue parole l’avevano colpito. Quelle stesse parole, pronunciate dalla sua piccola bocca in un giorno assai lontano da quello, ma chiare come se le avesse pronunciate qualche istante prima, risuonavano nella testa di Hiccup. La ricordava ancora davanti a lui, i lunghi riccioli rossi che si muovevano con la lieve brezza del vento, l’arco (il suo arco) in mano, gli occhi acquamarina sorridenti. Sembrava così lontana in quel momento.
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost, Merida, Rapunzel, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Piccoli miglioramenti


 
(Qualche settimana dopo)

 
 
Hiccup si sentiva stanco. Era poggiato sul suo piano di lavoro, inclinato verso l’alto per disegnare meglio e ricoperto da vari disegni, più che altro schizzi di progetti e migliorie da apportare. Almeno cinque giorni a settimana Gobber lo svegliava prestissimo per l’addestramento, e i restanti due era svegliato ugualmente presto dalla principessa, che tentava di alternare lezioni di scherma con tiro con l’arco; poi, dopo ore sfiancanti di addestramento che somigliava sempre più ad una lotta per la sopravvivenza, doveva andare in armeria dove vi erano sempre problemi con i materiali, le dimensioni, la funzionalità, i fabbri che non riuscivano a comprendere bene i suoi progetti, il re che aumentava la pressione perché voleva vedere al più presto dei risultati, Gobber che cercava di aiutare ma alcune volte non sapeva fare come, e poi c’era suo padre. Suo padre era quello che lo turbava di più: certe volte assisteva durante l’appartamento o era presente quando presentava un nuovo progetto ma i suoi sguardi erano imperscrutabili. Hiccup non riusciva a capire se suo padre stesse cercando di ristabilire un rapporto con lui, oppure volesse tenerlo d’occhio. Erano stati i gemelli Ruffnut e Tuffnut a insidiargli questo dubbio. Il moro si era accorto che cercavano di evitarlo e di stargli più alla larga possibile, e aveva chiesto spiegazioni al cugino Snotlout.
“Non te la prendere ma tutti qui sanno che sei inutile, simpatico ma inutile. E anche pericoloso, calcolando che sei una calamita per guai”, gli aveva risposto il cugino, corrucciando le sopracciglia in aria di scusa.
Pericoloso?”, ripetè Hiccup in cerca di spiegazioni.
“Hai quasi fatto esplodere la bottega l’altro giorno.”
“Ma stavo lavorando per creare un esplosivo!”
“E poi hai incendiato la nostra arena la settimana scorsa.”
“Gobber voleva che studiassimo un modo per tenere i nemici lontani da noi.”
“Gobber voleva che costruissimo delle barricate. Era implicito”, lo corresse Snotlout.  “E poi Ruffnut è convinta che uno di questi giorni la tua testa sarà appesa nella Sala Grande.”
“E perché?”
“Per la principessa! L’altro giorno mancava poco che la colpissi.”
Hiccup alzò gli occhi al cielo. “Lo so, devo migliorare”, cercò di dire ma Snotlout invece scosse la testa.
“Gobber ti ha messo con lei perché sei quello che non sa proprio combattere, e in questo modo la principessa non può farsi male.”
Hiccup voleva ribattere, voleva dire che Gobber l’aveva messo con lei perché era stupido, e anche perché sapeva che Merida avrebbe potuto combattere veramente ma non ebbe il tempo perché Gobber stava iniziando un’altra delle sue lezioni.
Chiuse gli occhi, e si perse in altre sue elucubrazioni, ma un rumore incessante lo costrinse ad aprirli. Si stiracchiò un po’ e poi si diresse verso la porta, aprendola lentamente. Fu come se fosse entrata una furia. Il giovane ci impiegò più di una manciata di secondi per riconoscere la chioma ramata della principessa.
“Cosa ci fai ancora qua?”, chiese, le braccia incrociate al petto e lo sguardo severo.
“Che ore sono?”, sbadigliò il moro, stropicciandosi gli occhi.
“È tardi, dovremmo già essere nel bosco.”
“Ma..deve ancora spuntare il sole!”, esclamò Hiccup, avvicinandosi alla finestra e riconoscendo l’inconfondibile manto della notte.
“E allora?”, fece Merida.
“Non puoi essere seria”, si lamentò il ragazzo.
“Lo sono eccome invece”, ribatté lei, mettendogli l’arco in mano.
 
 

“Impegnati”, lo rimproverò, dandogli uno scappellotto.
“AHIA”, fece il giovane, massaggiandosi la testa. Aveva appena scoccato una freccia senza centrare il bersaglio, facendo scappare quel magnifico esemplare di cervo. “Perché mi hai picchiato?”
“Perché hai sbagliato! Fa’ che non diventi un’abitudine.”
“Io non ci riesco. Il tiro con l’arco non fa per me.”
Merida si girò verso di lui, molto velocemente. Era molto difficile capire a cosa stesse pensando in quel momento, un attimo prima sembrava così arrabbiata e l’attimo dopo era invece davanti a lui, sorridente, non proprio calma ma non aveva più l’espressione di quando avrebbe voluto farlo a pezzi.
“Hiccup, mi racconti una storia?”, chiese lei, sedendosi su un tronco abbattuto nel bosco, i lunghi capelli rossi che cadevano come una cascata, gli occhi rivolti in alto, a guardare il sole che, timido, si faceva largo tra le nuvole, le ciglia ramate che pettinavano l’aria.
“Una storia?”, ripeté lui, confuso, sedendosi accanto a lei in quello stesso tronco. Lei chiuse gli occhi, sorridendo leggermente.
“La tua storia”, specificò.  
Hiccup la guardò, un po’ spaesato, ma deciso comunque a parlare. “Io fino all’età di otto anni non avevo mai preso una matita in mano. Non sapevo neanche scrivere, o leggere, figuriamoci disegnare. Ero il figlio di Stoick l’Immenso-“
“Lo sei”, interruppe la ragazza, lo sguardo ancora perso tra le nuvole.
“Come?”
“Sei ancora il figlio di Stoick. Tuo padre non è mica morto.”
“Sai, anche se siamo vivi entrambi abbiamo da tempo smesso di essere l’uno per l’altro ciò che invece avremmo dovuto essere”, disse Hiccup, con voce atona.
“E perché?”
“Immagino per colpa di entrambi. Sua perché avrebbe voluto che io fossi esattamente come lui, mia perché io non sono proprio il figlio che ci si aspetta. E così successe che un grandioso giorno rischiai di perdere il mio piede sinistro con un’ascia e-“
“Cosa?”, domandò lei, di scatto, facendo saltare in aria il moro.
“È una sciocchezza, sul serio. Praticamente mio padre voleva insegnarmi ad usare l’ascia solo che un attimo prima ero al suo fianco e un attimo dopo non c’ero più. Siccome credeva mi avessero rapito ha iniziato, ehm, a cercarmi.”
“E tu dov’eri?”
Hiccup arricciò il naso al ricordo. “Prometti di non ridere?”
La principessa lo guardò a metà tra il divertita e stranita. “Perché dovrei?”
“Ero andato a caccia di troll.”
Merida si teneva la pancia dalle risate. “Tu cosa?”
“Avevo otto anni!”, tentò di giustificarsi, ma era tutto inutile, ormai rideva anche lui.
“Poi mi ha trovato, ma siccome non aveva visto che fossi io per salvarmi mi stava quasi tagliando il piede. E io ero così spaventato, e lui così arrabbiato che iniziammo a litigare. Sai, le solite cose: tu non potrai mai essere come me, io non voglio affatto essere come te, sei un inetto, tu non sei un padre per me, devi combattere e dopo il classico pretendo altro da me stesso mi ha detto di andarmene. E l’ho fatto. Sono andato da Gobber. Ci conosciamo da quando ero più.. piccolissimo, ecco. E da quel momento, ho iniziato a vivere.”
“In che senso?”
“Ho studiato, ho imparato molte più cose di quanto ne immaginassi. E pian piano sto raggiungendo tutti i traguardi possibili.”
“Dici?”
“Per favore!”, esclamò lui, facendo un sorriso sghembo. “Sono seduto in un bosco con la principessa che mi sta insegnando a non essere completamente inutile sul campo di battaglia, e sono diventato un ingegnere militare con l’intenzione di salvare questo paese che ha davvero un clima tutto sole e spasso che fa venire il congelamento alla milza. Se questi non sono traguardi!”
Merida sorrise. “Allora vediamo di raggiungerne un altro?”
“Quale?”, domandò Hiccup curioso.
“Battere la principessa ”, rispose lei, alzandosi dal tronco, un sorriso ottimista sulle labbra.
“Te l’ho detto, il tiro con l’arco non fa’ per me”, ribadì il giovane ma la rossa scosse la testa.
“Hiccup, mi hai costruito l’arco migliore che abbia mai avuto. Devi solo credere in te stesso, e sono sicura che ce la puoi fare”, disse Merida, tendendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi. Hiccup puntò i suoi occhi, verdi come quello stesso bosco, brillanti, sulla mano di lei, completamente bianca per il gelo, e la afferrò.
“Bene. Così come per tante altre cose, per tirare con l’arco c’è un’unica grande regola”, iniziò lei, mettendosi in posizione. “Respira”, disse semplicemente, come se fosse il principio regolatore della vita, del mondo intero. “Quando non respiri, non pensi.” Hiccup vide la ragazza fare un solo breve respiro, e poi la freccia andò a segno, colpendo il bersaglio. Merida si girò verso il moro, i lunghi riccioli rossi che muovevano con la lieve brezza del vento, descrivendo morbide onde, l’arco in mano, gli occhi radiosi. E in quel momento gli venne in mente Gobber. “Se smetti di pensare, sei spacciato. Sbaglia, perdi, rischia ciò che vuoi, ma non smettere mai di pensare.”
Hiccup prese l’arco che la rossa gli porgeva, e si mise in posizione. Respira, si disse tra sé e sé. Pensa.
Scoccò la freccia, dopo un paio di respiri profondi. Non fu proprio preciso come la ragazza, ma almeno quella volta aveva centrato il bersaglio.
 

 

(Finalmente qualcosa)
 

“Chi è?”, chiese una voce sgarbata. La bionda ragazza, seppur leggermente titubante rispose.
“Buongiorno signor Filottete, sono io, Rapunzel”, rispose la ragazza, con un tono estramamente cordiale.
Di nuovo”, borbottò l’uomo, ma le aprì ugualmente la porta. Si vide un uomo bassissimo, un nano, mostarsi per far accomodare la ragazza in casa, come da molti giorni.
“Fil, chi è?”, gridò una voce maschile all’interno della casa, e il nano gli rispose sempre urlando.
“Non ti interessa, continua ad esercitarti tu!”
Rapunzel abbozzò un sorriso, rimanendo alzata con un cesto pieno di frutta fresca.
“C’è Hercules che si sta allenando?”, domandò e Filottete annuì.
“Come mai?”
“Per lo stesso motivo per cui tu vuoi che io ti insegni a curare”, rispose Filottete, sedendosi e addentando una mela. “Cara la mia dama di corte, dovresti dire al tuo re che anche se non dice al popolo come stanno le cose, noi non siamo tutti stupidi. Ci sarà una guerra, e molti vogliono prepararsi.”
Rapunzel sbattè le lunghe ciglia un paio di volte. “Io non-“
“Certo che no. Comunque, anche se mi piace il fatto che mi porti del cibo buono ogni giorno, ti devo dire che non posso prenderti come assistente medico.”
“Ma signor Filottete-“
“No, niente ma signor Filottete. E non guardarmi in quel modo!”, esclamò, alludendo agli occhi tristi della bionda che erano appena diventati lucidi. “Conosco un tizio, un medico, che dicono sia talmente bravo da essere ritenuto un genio in quella disciplina”, disse poco dopo, come se fosse una notizia casuale. “Se aspetti altri cinque, dieci minuti ti scrivo una lettera di raccomandazione.”
“Signor Filottete?”, chiamò Rapunzel, costringendo il nano a girarsi. “Grazie”, disse, sorridendo caldamente. Perfino quel nano burbero sorrise. “Di nulla.”
 

 
(Beviamoci su)
 

“Stoick!”, lo chiamò un omone, molto simile a lui. L’uomo citato si girò, e si ritrovò il sovrano davanti. Sembrava molto preoccupato.
“Novità?”, chiese, e il comandante delle guardie annuì, assumendo un’espressione grave.
“Un’altra guardia è morta, all’entrata nord del palazzo. Fortunatamente avevo raddoppiato la sorveglianza e quindi non sono riusciti ad entrare, chissà per fare cosa stavolta.”
“Sicuro che fossero ancora loro?”
“Se c’è una cosa che Bludvist fa sempre, è lasciare il proprio segno. E anche stavolta..”
“Sì, certo. Ho capito”, lo interruppe il re, frustrato. “E adesso cosa possiamo fare?”
“Dobbiamo aspettare solo una dichiarazione di guerra”, rispose Stoick, dopo qualche minuto di meditato silenzio.
“Cosa?”, domandò il re, alzando la voce. Fortunatamente in quel corridoio non c’era nessuno. “E dovrei continuare a far morire inutilmente i miei uomini?”, sbraitò.
“Sembra che Mor’du ci stia concedendo del tempo, e noi lo dobbiamo sfruttare”, provò a farlo ragionare il comandante delle guardie. Sapeva  bene com’era il sovrano, e come avrebbe preferito fare un solo duello tra lui e Mor’du per risolvere la questione una volta per tutte, ma non poteva farlo.
“A me sembra solo che stiamo perdendo tempo”, commentò il re, portanadosi le mani in testa, nervoso. Hiccup ancora non aveva portato a termine una sola delle sue invenzioni, e, a quanto diceva Gobber, all’addestramento le cose non andavano certo meglio. In più, alcuni dei suoi concittadini avevano avvertito l’aria di cambiamento e stavano emigrando a Corona e ad Arendelle.
Stoick a sentire quelle parole si irrigidì.
“Non stiamo perdendo tempo. Sire, si fidi, vedrà i miglioramenti entro le tre lune.”
“Cioè fin quando non finirà questo gelido inverno e finalmente Drachma potrà dichiararci guerra?”, chiese Fergus, la voce stanca ed esausta. “Lo sai che mia moglie ha iniziato a pregare ogni giorno?”
Stoick sorrise. “Credevo lo facesse da quando si è sposata con uno scavezzacollo come te.”
Anche Fergus rise. “Sì, ma prima non pretendeva che lo facessimo insieme.”
“Andiamo a berci due pinte, Fergus. In memoria dei vecchi tempi”, propose il comandante delle guardie.  Il sovrano sembrò titubante all’inizio, ma poi accettò. “Fare sempre il sovrano consapevole mi porta via così tante fatiche..”
“Meno male che c’è tua moglie allora.”
“Già, meno male.”
 


Solo Jack!”
“Quando la smetterai di chiamarmi così?”, domandò il brunetto, scocciato, avvicinando quel boccale pieno di liquido dorato alle sue labbra. Il giovane uomo si sedette accanto a lui.
“È questo il modo di salutare un vecchio amico di ritorno da un viaggio importantissimo?”, chiese Flynn Rider, ordinando anche lui una pinta di birra. Un uomo alto e muscoloso lo servì.
“Noi due non siamo amici, tantomeno vecchi. Ci conosciamo da qualche mese al massimo”, rispose Jack.
“E non mi chiedi dove sono stato?”
“Sei stato a Corona.”
“E tu come lo sai?”
“Parlo con Rapunzel, lei sì che è una vecchia amica!”, esclamò, con le gote leggermente rosse. Flynn sorrise malizioso.
“E sai anche cosa ho trovato?”
“Secondo me hai soltanto finto che lei somigli alla sovrana di Corona per poter flirtare tranquillamente con le- per tutti gli dei che esistono in questo mondo!”, disse Jack, passando da un tono saccente ad uno meravigliato. Flynn infatti gli aveva messo sotto il naso un manifesto, su carta, che sembrava ritrarre Rapunzel, con i capelli più corti e castani, e ovviamente con un viso più invecchiato accanto ad un uomo basso, biondo, e con una barbetta ispida. Sotto vi era stampato il nome “Corona” con un invito a ballo per l’estate.
“Credi ancora che io finga?”, domandò il più grande, con un sorriso smagliante dipinto sul volto.
“Potresti”, rispose semplicemente Jack, cercando di nascondere la sua ammirazione per lui.
“Già, hai ragione, potrei”, concordò, ordinando altre pinte per sé e per Jack. Quella sera li servì sempre quell’omone canuto, che alla terza pinta si unì a loro in conversazioni profondamente culturali.
“Com’è che ti chiami, nonno?”, gli chiese nuovamente Jack, la faccia totalmente rossa e le lacrime agli occhi per il troppo riso.
“Io essere Nord”, rispose quello con uno strano accento.
“Nord? Che razza di nome è Nord? Da dove vieni, nonno?”, lo interruppe Flynn.
“Dal nord.”
Le loro risate invasero la locanda, l’omone canuto rivolse loro un gran sorriso. A dispetto del fatto che avesse barba e capelli completamente bianchi, le sopracciglia erano nere, e non sembrava un nonno, come si ostinavano a chiamarlo Jack e Flynn: era un uomo alto e muscoloso, ben piazzato.
“Nord, tutto a posto?”, chiese a quel punto un uomo, serio, spuntando da dietro il bancone.
“Sì, Aster, sta’ tranquillo”, rispose Nord, bevendo dal suo boccale.
“Aster?”, fece a quel punto Jack, drizzandosi in piedi e mettendo a fuoco il giovane uomo davanti a lui. “Io ti conosco!”
“Oh, no! Lo stupido ragazzino dell’addestramento”, commentò Aster alzando gli occhi al cielo.
“Aster? Che buffo nome”, rise Flynn, guadagnandosi un’occhiataccia da questo.
“Io non sono uno stupido ragazzino! Sei tu che sei stupido”, disse Jack, terminando la frase con un sonoro singhiozzo. Nord rise.
“Intanto sei tu quello che è ubriaco il giorno prima della prova di domani.”
“Prova di domani?”
“Sveglia! Domani dobbiamo combattere contro le guardie reali!”
Questo sembrò svegliare Jack: il giovane, infatti, sbarrò gli occhi.
“Devo andare!”
Flynn, che nel frattempo aveva continuato a bere e ridere allegramente con Nord, drizzò le orecchie.
“Dove?”, chiese, per poi scoppiare a ridere. Jack abbozzò un sorriso, ma non rispose, e uscì da quella locanda.


 
(Ti vuole morto)
 

“Che hai, Jack?”, chiese Hiccup l’indomani mattina all’addestramento. Il brunetto sembrava avere un forte mal di testa che non gli permetteva neanche di tenere gli occhi aperti. Questo pregò che quel giorno il sole fosse interamente nascosto da certi nuvoloni neri, presagi di un tremendo temporale, e guardò l’amico.
“Lascia perdere. Piuttosto, perché stiamo facendo questo addestramento?”
“Io perché sono stato costretto, tu perché sei un idiota e credi che Rapunzel in questo modo di innamori perdutamente di te”, rispose Hiccup, guardandolo sarcasticamente. “E posso dirti che stai fallendo miseramente.”
“Grazie Hic, proprio grazie.”
“Di niente.”
“Ciao Hiccup, Jack”, salutò Merida, con la spada già in mano. I ragazzi ricambiarono con qualche cenno, e la ragazza aggrottò le sopracciglia.
“Che c’è?”, chiese, turbata.
“Discutevamo su quanto Jack fosse idiota”, rispose Hiccup, alzando al cielo i suoi occhi verdi.
“Ha parlato l’altro idiota”, commentò il brunetto, facendo ridere la ragazza. Proprio in quel momento Jack si accorse che Merida non indossava il solito abito lungo, bensì un paio di pantaloni e una camicia larga. Sembrava una popolana a tutti gli effetti.
“Merida, perché sei vestita peggio di me?”, chiese Jack, ricevendo una gomitata da parte del moro. La rossa gli fece di tutta risposta una linguaccia.
“Non sono affari tuoi”, rispose semplicemente, ma poi decise di spiegarsi. “Oggi c’è la prova con le guardie reali, e con gli abiti non riesco a.. insomma, sono troppo stretti per certi movimenti”, disse, cercando accuratamente di balbettare. Jack rise. Era forse stato l’unico a non trattarla mai da principessa, prendendola in giro appena ne aveva l’occasione. E questo non faceva di certo riemergere il lato più maturo e regale della ragazza.
“Si presume che le ragazze non debbano fare certi movimenti”, commentò lui, rivolgendo alla principessa un’occhiata maliziosa con i suoi occhi assonnati.
“Ma dico, hai visto Astrid? E anche l’altra ragazza, Ruffnut? Loro sono ragazze, e fanno certi movimenti”, ribatté lei. Jack iniziò a ridere apertamente, iniziando ad innervosire la ragazza.
“Tranquilla, Jack non considera quelle ragazze, piuttosto come degli automi assetati di sangue che un giorno conquisteranno tutti i regni”, spiegò Hiccup, cercando di allontanare, senza che la rossa se ne accorgesse, la spada che Merida stava sempre più avvicinando al brunetto.
“Non che Merida sia da considerare proprio una ragazza..”, aggiunse Jack, e Hiccup, in cuor suo, sapeva cosa sarebbe successo.
Collisione.
“Non che tu sia da considerare proprio un ragazzo”, disse la rossa, e Hiccup, pensando al peggio, si contrappose ai due, evitando così che si facessero del male.
“Calma, ragazzi. Vi prego”, fece, corrucciandosi. Avvertì Jack alle sue spalle continuare a ridacchiare, mentre Merida lo fulminò con i suoi occhi acquamarina.
“Facciamo una sfida. Chi sconfigge più soldati non verrà più preso in giro dall’altro”, propose poi la ragazza, facendo tirare un sospiro di sollievo ad Hiccup.
“Ci sto!”, esclamò il ragazzo da dietro le spalle dell’inventore.
“Hiccup sarà il giudice”, concluse lei. “Buona fortuna, Frost”, disse, congedandosi per andare a parlare con Gobber.
Frost? Che significa?”, domandò Jack, leggermente spaesato. Hiccup lo guardò con un sorriso sbieco, quasi rassegnato.
“Che ti vuole morto.”


 
Sono tornata (finalmente). Lo so, lo so: ho iniziato un'altra raccolta senza essere arrivata ad un punto di svolta con questa, ma, come si intitola il capitolo, ci sono piccoli cambiamenti. Continuerò questa storia, non l'abbandonerò -anche perché nella mia mente, la storia va avanti incondizionatamente e spesso volte faccio fatica a starle dietro-. Comunque giuro che è colpa del mio computer, che continua a rompersi inesorabilmente. A quanto pare la sua ora è vicina, o almeno così sembra a me. Mio padre invece si ostina a farlo aggiustare. Di nuovo.
Comunque, spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
La vostra
gingersnapped
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Big Four / Vai alla pagina dell'autore: gingersnapped