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Autore: Poetessia    16/02/2015    1 recensioni
PREMESSA: non sono certa che sia la sezione adatta, ma mi sembrava la più idonea. Attendo comunque ragguagli!
Leonardo Scaniglia è un giovane istruttore di volo di bell'aspetto, intelligente, sicuro di sé e dal solido patrimonio economico, tanto da riuscire a comprare una casa propria prima dei trent'anni. Dopo pochi giorni dal trasloco iniziano però a verificarsi strani fenomeni legati al fuoco: corti circuiti, fornelli dimenticati accesi ed esplosioni di piccoli elettrodomestici iniziano a trascinare Leonardo nella paura, rendendolo pirofobico e incapace di vivere con serenità. Non trovando una spiegazione razionale, Leonardo si rivolge a Barbara, esperta di occulto, immaginando che la casa sia stata maledetta dalla sua ex, appassionata di wicca e stregoneria. Sarà realmente così?
«La paura è come un albero che cresce dentro di me silenziosamente.» [Open My Eyes - The Rasmus]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando ebbi modo di conoscere Leonardo Scaniglia non vidi l'ombra di ciò che era stato o l'accenno di ciò che è ora e, in tutta onestà, non l'avrei mai saputo riconoscere se non avessi visto alcune vecchie fotografie in precedenza. Lo conobbi in un periodo strano e oscuro, e posso vantarmi di averlo conosciuto a fondo, più di alcuni amici o partner passate o future, poiché tutto ciò che so proviene da lui stesso o dai suoi diari, dove sviscerava le proprie emozioni senza freno alcuno. Nel rivederlo, nonostante il mio lavoro mi imponga un certo distacco, ho provato un bizzarro miscuglio di sensazioni tra tenerezza e fierezza, e sono certa che l'esperienza a lui legata (così balzana finanche per me) rimmarrà scolpita nella mia memoria fino a che la mia anima non sarà libera. Per questo ho deciso di condividerla.
Meglio sbrogliare la matassa dall'inizio.

Leonardo Scaniglia era figlio di genitori piuttosto facoltosi e noti nella sua cittadina: figlio unico, era cresciuto in quella bambagia tipica dei nonni, che, dato che i genitori erano colmissimi di impegni, lo viziavano come un sultano. Nonostante ciò si era dimostrato presto ben educato, maturo e dedito allo studio come allo sport, arrivando ad una maturità scientifica con un ottimo voto e prendendo la decisione di proseguire gli studi matematici iscrivendosi ad ingegnieria aeronautica, impressionato da un volo in deltaplano fatto durante il viaggio di maturità. Lungo la sua carriera universitaria aveva macinato esami con discreta facilità, dedicandosi all'organizzazione di grossi gruppi di studio e alla stesura di riassunti e schemi per facilitare l'apprendimento degli altri: da lì aveva deciso che la sua strada era l'insegnamento.
Laureatosi con lode, aveva dimostrato un impegno tale che a soli venticinque anni possedeva ciò che per molti suoi coetanei era una chimera o un mito del passato: un posto di lavoro fisso, come insegnante di fisica in un'importante scuola di volo.
La vita gli sorrideva su ogni fronte: era circondato da cari amici e non aveva mai dovuto sperimentare sensazioni spiacevoli, se non piccole amarezze dovute alle scaramucce con gli amici o nervosismo causato dalla vita quotidiana; ovviamente era un bel ragazzo.
Ciò di cui però sentiva il bisogno per sentirsi realizzato era possedere una casa di proprietà e, non avendo esigenze particolari e preferendo appartamenti di dimensioni ridotte, non aveva faticato molto a trovare una casa che potesse permettersi e poco distante dal luogo di lavoro, pronto ad iniziare una nuova vita.
Si può certo dire che, se non a partire dal trasloco perlomeno poco dopo, la vita di Leonardo cambiò realmente e in modo violento: per questa ragione, un giorno, Leonardo fece trillare il mio cellulare, pregandomi di accorrere al più presto.

La prima cosa che mi colpì di Leonardo furono gli occhi: rossastri, le iridi di un azzurro spento e slavato, segnati da occhiaie viola scuro tanto profonde che parevano tatuaggi; poi balzò agli occhi la barba mal curata, cresciuta male e a chiazze; infine arrivò alle mie narici una mistura di odori che mi risultavano indecifrabili, ma sgradevoli.
«Sei Barbara?» disse con una voce baritonale e profonda, dandomi immediatamente del "tu": annuii. La prassi, comunque, era non utilizzare forme di cortesia durante i colloqui che facevo lavorando.
«Perfetto, entra. Vuoi qualcosa da bere?» chiese, con una parlantina faticosa e tremolante.
Mi addentrai in casa declinando gentilmente l'offerta: ad accogliermi, vicino ad uno svuotatasche sistemato accanto alla porta, campeggiava una fotografia più grande della media, di un ragazzo sorprendentemente somigliante a Leonardo, col braccio sulla spalla di un uomo dall'aspetto vagamente familiare, forse visto in TV. Iniziai a temere che fosse a causa di quel tale che Leonardo mi avesse contattata: non sarebbe stata la prima volta che mi cercavano per una seduta spiritica.
«È Robert Sheehan.» mi spiegò Leonardo vedendomi incuriosita dalla foto «È in un paio di serie TV che mi piacciono.» Non disse nulla sull'altro ragazzo, quindi annuii, sperando che proseguisse.
«L'ho incontrato in vacanza a Memmingen l'anno scorso. Non so neppure cosa ci facesse in Germania, gli ho giusto rubato un momento per una foto ricordo e un autografo. Ci ha fotografati Michela, la mia ex, di cui ho intenzione di parlarti più tardi.»
Rimasi sorpresa per un momento.
«Ti spiace se la guardo meglio? Perché ho già visto lui, ma non ricordo dove... voglio vedere se la mia memoria funziona ancora.» campai in aria, pur di non far trapelare il mio stupore: lui acconsentì, e io presi il portafoto, senza considerare minimamente l'attore.
Effettivamente, prestandovi attenzione, era piuttosto palese che fosse Leonardo, ma differiva molto dal tale vicino a me: il Leonardo della foto era di bell'aspetto, dal piglio fiero e dagli occhi di un azzurro vivido e brillante, come quello di un lapislazzulo; la barba era curata al millimetro, le occhiaie erano sparite; la pelle era abbronzata e sana.
La fotografia mostrava un giovane uomo. Davanti a me c'era un ragazzo anziano.
«Non sembro neppure io, lì.» disse lui, impassibile «O meglio, non sembro neppure io qui.» si corresse, indicando la propria figura.
«Sarò sincera,» confessai «credevo si trattasse di tuo fratello.»
Rispose con un lieve cenno di diniego con la testa e una vaga ombra di un risolino «Sono figlio unico.»
Interiormente tirai un sospiro di sollievo: non avrei dovuto dire che non potevo metterlo in contatto con i morti.
Leonardo mi invitò a sedermi e io lo esortai a parlare: iniziò subito parlando del proprio passato, dei suoi successi scolastici e sportivi e di quanto la vita fosse stata clemente con lui fino ad allora; ogni tanto però si interrompeva, annusava l'aria come un predatore e mi chiedeva se avessi sentito odori strani, con ansia malcelata, domanda a cui rispondevo sempre con un breve e pacato cenno di diniego. Pur non riuscendo a comprendere il senso della mia presenza, lo ascoltai paziente sopportando le sue pause, fino all'arrivo di una svolta: l'acquisto della casa.
«Ho finito il trasloco e mi sentivo davvero felice, credimi. Solo che poi me ne sono capitate di tutti i colori.»
«Per esempio?» indagai.
«Una decina di giorni dopo il trasloco mi è scoppiato il caricabatterie del cellulare; il giorno dopo il tostapane ha preso fuoco; il giorno dopo ancora si è incendiato dell'olio bollente che avevo in una padella.»
Annuii lentamente, senza però comprendere ancora il senso della mia presenza lì.
«Senti, puoi venire al sodo?» domandai. Leonardo mi fissò con i suoi occhi spenti, intensamente.
«Quanto tempo hai?»
«Non ho altri appuntamenti.» svelai, augurandomi che il consulto con lui non mi portasse via l'intero pomeriggio: lui in risposta mi fece cenno di aspettare, alzandosi e portandomi poi un quaderno con alcuni adesivi colorati che sporgevano da pagine precise.
«Ho iniziato a tenere un diario.» mi svelò «Da quando ho notato che gli incidenti erano aumentati mi sono messo di buona lena a scrivere. Ce n'è stato almeno uno al giorno, ma ho segnato i peggiori, altrimenti faremmo notte.» mi disse. Aprii il primo quaderno, in corrispondenza del segnalibro, e lessi ad alta voce «5 aprile: senza una ragione precisa mi è esploso in mano il cellulare, bruciandomi e rischiando di farmi saltare qualche dito. Ringrazio che non fosse in tasca.»
«Puoi evitare di leggere ad alta voce, per favore? Perché devo sentire bene i rumori.» mi redarguì lui, invitandomi a leggere una delle ultime pagine segnate e consigliandomi di proseguire da lì in poi.
"Rumori?" mi chiesi, tacendo comunque e immergendomi nella lettura:
"24 giugno.
I miei allievi hanno fatto l'esame pratico superandolo tutti: sono davvero fiero di me, e ho deciso di festeggiare degnamente invitandoli a cenare tutti insieme e poi uscire a bere qualcosa in un locale chic: abbiamo optato per una tranquilla pizza a cena, ma poi siamo andati a sfondarci di alcool, finendo per girare tutti abbracciati cantando a squarciagola le canzoni di Battisti fino alle tre.
Mi ha portato a casa Mattia, ma quando sono entrato in casa ero lucido. Comunque ho mangiato una banana, ho preso una pastiglia e bevuto parecchia acqua.
Prima di andare a dormire, però, ho notato un bagliore strano dalla cucina: mi aspettavo il solito incidente, ormai ci sono quasi abituato, anche se mi preoccupano sempre, ma non mi aspettavo di sicuro quello che ho visto: il microonde era acceso, il piatto girava a vuoto e il vano del forno era già pieno di scintille, mentre alcune fiamme avevano già iniziato a farsi strada al di fuori. A pensarci ho ancora i brividi."
Notai effettivamente la grafia farsi sghemba.
"Ormai sono attrezzato e ho tirato fuori lo spegnifuoco, ma la mia mira è stata malferma. Le fiamme si propagavano rapide, e stavano arrivando ai fili della corrente. Non so ancora come ho fatto a bloccarle in tempo, ma dopo questa ho davvero paura. Ho trovato una forza sovrumana da chissà dove, e ho strappato il microonde dai fili e l'ho fracassato a terra, distruggendolo e strappando i cavi elettrici, in preda all'isteria della paura.
Mi sono svegliato credendo di aver fatto un brutto sogno dovuto all'alcool, ma la carcassa del forno mi ha ricordato che era vero. Il mio sangue è ghiaccio."
Benché, per lavoro, fossi abituata a ogni genere di assurda fenomenologia, mi stupii anch'io. Arrivai al segnalibro successivo, il penultimo: la grafia era nervosa, storta e l'inchiostro era sbavato in alcuni punti, come se fossero cadute delle gocce sulla pagina. Iniziai a temere che si trattassero di lacrime.
Sforzandomi di decifrare quella grafia incomprensibile, notai che anche la grammatica non era curata come nella pagina precedente.
"13 luglio.
Ho paura, paura da morire. Paura DI morire.
Da quando ho lasciato Michela mi sono preso troppa pausa, quindi sono andato in un locale infighito per trovarmi una ragazza: ho trovato una bella, coi capelli biondi e gli occhi azzurri, ci ho parlato e stavo bene, mi sembrava proprio a posto, così l'ho portata a casa. Non avevo voglia di scopare subito, così ci ho riso e scherzato. Stavo bene. Tanto che ho scordato l'ansia che vive con me da quando vivo qui.
Ci siamo sparati un film sul PC, poi siamo finiti a letto, e andava tutto bene finché non ho sentito quella sensazione alla nuca che mi prende quando c'è qualcosa di brutto, ma ho provato a non farci caso, e lei mi fa "sento una puzza strana".
Sul divano c'era ancora il portatile che stava sputando fumo nero, la coperta era già incendiata e"
La narrazione si interrompeva bruscamente con uno scarabocchio a fine pagina, realizzato con tanta violenza da aver bucato la pagina. Alzai lo sguardo, incontrando gli occhi spenti di Leonardo.
«C'era tutto lì.» confessò con la voce rotta «Le mie slide, le mie foto con gli studenti, anni di vita. In fumo. Letteralmente in fumo.»
Chiusi il quaderno, mantenendo il solito distacco necessario per me.
«Fammi capire bene.» dissi, cercando di riordinare le idee «Ti sei trasferito qui e nel giro di poco tempo si sono sviluppati una serie di strani fenomeni...»
«Tutti legati al fuoco.» concluse lui, pronunciando l'ultima parola in un soffio, spalancando gli occhi «Nell'ultima pagina ho scritto che ho notato che succede tutto quando sono a casa, e tanto più sono felice, tanto più è atroce l'incidente. Ho paura, Barbara. Un fornello acceso, un accendino, addirittura un odore strano o un rumore che sembri un crepitio, mi distrugge. Ho paura del fuoco. E di essere felice.» concluse «Non è assurdo temere di essere felici?» chiese infine, piangendo. Lo fissai, mantenendo l'obbligatorio distacco.
«Cosa posso fare per te?» chiesi, il più dolcemente possibile. Lui si asciugò le lacrime, sospirando e tentando di ritrovare una voce ferma.
«Tu sei un'esperta dell'occulto, giusto?»
Annuii calma: «Credi che la casa sia maledetta? Che so, da uno spirito?»
«No.» mi spiegò lui, con foga ma educatamente «Michela, la mia ex di cui ti dicevo prima, era appassionata di wicca, magia e tutte quelle cose lì. Ho sempre creduto fossero tutte stronzate, ma gli incidenti così strettamente legati alla mia felicità non possono essere un caso. E quando ho portato qui un'altra ha preso fuoco il mio bene più prezioso, soprattutto a livello affettivo, e Michela lo sapeva.»
Risposi con piccoli cenni, incoraggiandolo a proseguire.
«L'ho lasciata io.» mi spiegò «E lei l'ha presa male, malissimo. Mi ha pregato, ma quando ha visto che non cedevo mi ha picchiato, ma le botte non hanno di nuovo risolto niente. Così credo di essere stato maledetto.» mi disse infine, come se non credesse neppure lui a ciò che stava dicendo «Credimi, mi sembra assurdo.» confessò infatti «Io sono un ingegniere, non sono tipo da credere al malocchio, ma non so davvero come interpretare tutto questo. Cosa devo fare?» mi chiese, con tono di supplica.
Contrariamente alla mia etica, gli presi una mano, cercando di infondergli forza.
«Trovala.» dissi senza mezzi termini «E dimmi com'è stato il suo atteggiamento. Le maledizioni lanciate quando si è arrabbiati generalmente, se si realizzano, durano poco e quasi non si notano, ma una cosa così...»
Lasciai la frase in sospeso, lasciandogli intuire cosa intendessi. Lui mi fissò intensamente, una luce lontana che iniziava a rischiarare i suoi occhi.
«Ti farò sapere.» promise, abbozzando l'ombra di un sorriso speranzoso.
  
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