È un’iniezione di adrenalina pura, che schizza dritta in vena e gli fa battere forte il cuore. Sugawara ride, il suono cristallino che si disperde nello scroscio del diluvio, e Kageyama per un istante s’incanta a guardarlo, con la borsa che gli preme goffa sulla testa e la pioggia che gli inzuppa i vestiti. Niente ombrelli, niente ripari: e loro, che sono rimasti ad allenarsi su alzate e battute più degli altri su richiesta del coach, ora sono fradici come pulcini, sotto questo acquazzone improvviso e inaspettato.
E c’è qualcosa nel modo in cui le spalle del sempai vibrano, scosse da quello scoppio ilare, che lo fanno improvvisamente caldo, caldissimo, come se avesse di colpo preso fuoco, e gli formicola la pancia, e gli tremano le gambe. Non ci pensa nemmeno, quando allunga la mano per afferrargli la manica, quando inizia a correre tra le pozzanghere e Sugawara esclama il suo nome ma poi corre con lui. Non ci pensa, quando arrivano alla pensilina del bus più vicina, e non pensa nemmeno quando si volta, e le sue mani trovano il volto arrossato di Suga, il pollice che sfiora quel neo sotto l’occhio prima di coprirlo.
Koushi annaspa, sopraffatto dalla sorpresa, ma poi si tuffa lo stesso a baciarlo, le labbra che scivolano tra loro mentre i capelli colano sulla fronte e l’acqua s’intrufola giù per il colletto, facendolo rabbrividire.
O forse sono le mani di Tobio, quando si chiudono sui suoi fianchi, a strappargli un tremito di perfezione.