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Autore: Lady Minorin Lovelace    16/02/2015    8 recensioni
Sasuke è il nuovo arrivato nella classe di Naruto, ma lui già lo odia. Così insopportabile, così altezzoso... eppure quando se lo ritroverà al Club di Shodō, rimmarrà folgorato dal suo fascino etereo...
E Sasuke cosa pensa di Naruto? E' davvero così irraggiungibile come sembra?
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"Mentre con mano ferma tracciava ogni singolo tratto di quella parola, Naruto pensava a un solo concetto, algido e scostante, freddo e irraggiungibile, perfetto e intoccabile: il suo compagno della classe di Shodō."
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Ino Yamanaka, Iruka Umino, Kakashi Hatake, Kiba Inuzuka, Minato Namikaze | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Salve, salvino! Consiglio di dare un'occhiata veloce al glossario, perché userò spesso delle parole giapponesi come se fossero di uso comune nell'italiano. Btw... Buona lettura!

Glossario:

Shodō = arte giapponese della calligrafia.

Suzuri = pietra su cui sciogliere l’inchiostro solido.

Fude = pennello in bambù e crini d’animale.

Kanji = caratteri usati nella lingua giapponese.

Sumi-e = stile pittorico monocromatico che utilizza solo l’inchiostro nero (sumi) in varie concentrazioni.

Sensei = maestro, insegnante, professore.

Tatami = tradizionale pavimentazione giapponese composta da pannelli rettangolari affiancati, fatti con paglia di riso intrecciata e pressata.

Sutra = testi della tradizione buddhista.


Shodō Love    -    書道 Love


Raddrizzò solerte la schiena, incastonando le spalle in una compostezza lucida e serena. Il largo pennello era ormai imbevuto fino all’ultimo crine bianco di quell’inchiostro fatto di carbone. Con rilassatezza accostò la mano al bambù del pennello e lo cinse vicino l’estremità, ergendolo verticalmente e premendo la punta contro il suzuri per spremere l’ultima goccia densa di quel liquido. Alzò il fude e lo avvicino al foglio ancora vergine. Chiuse gli occhi, ricercando dentro di sé un’immagine, una luce tenue che lo guidasse, e poi comparve: il kanji di ghiaccio.

Mentre con mano ferma tracciava ogni singolo tratto di quella parola, Naruto pensava a un solo concetto, algido e scostante, freddo e irraggiungibile, perfetto e intoccabile: il suo compagno della classe di Shodō.

 

§*§*§*§*§

 

Sasuke Uchiha si era trasferito nella sua scuola qualche mese prima, a inizio anno, e Naruto ne era rimasto folgorato… negativamente. Era entrato in aula con passo supponente e arrogante, attirando l’attenzione di tutti i suoi amici e incontrando un clamore di approvazione generale dalla parte femminile della classe.

Naruto non era solito giudicare le persone di primo acchito, ma Sasuke Uchiha lo aveva urtato a pelle e, quando qualche giorno dopo se lo era ritrovato durante il doposcuola alla sua classe di calligrafia, avrebbe voluto spaccare tutto; partendo da tutti i preziosi fude del maestro Umino, completando l’opera con la mascella slogata dell’Uchiha stesso. Gli erano tremate così tanto le mani che aveva temuto di sembrare pazzo e, nonostante la furia infervorasse selvaggia in lui, si era semplicemente limitato ad annuire pacato davanti alla presentazione del nuovo membro. Si era detto che non avrebbe mai potuto rovinare le sue preziose mani solo per cancellare dalla faccia della terra il sottile sorriso beffardo dell’altro.

Tuttavia decise di concedere a quel ragazzo il beneficio del dubbio, perché non gli era sembrato giusto non dare una chance a qualcuno che è nuovo, ma nel giro di due settimane Naruto ne ebbe la certezza: lo odiava. Quel volto eburneo, dallo sguardo nobile e distaccato, lo irritava come la lana ruvida di un vecchio maglione.

Quel suo modo di camminare, distaccato e superiore, il suo sguardo, disinteressato e altezzoso, la gestualità, posata e innaturale, la parlata, controllata e forbita, e le sue mani, lunghe e affusolate. Tutto in Sasuke Uchiha urtava i sensi di Naruto Uzumaki.

Il biondo aveva deciso di non rivolgergli la parola se non gli fosse stato strettamente necessario. Non voleva svelare, con la sua indomabile sincerità nelle relazioni umane, di celare un’apparentemente immotivata antipatia per quello che, col passare dei giorni, stava diventando l’idolo più gettonato della sua scuola.

Più andava avanti, più Naruto si convinceva di tutto questo, finché non gli capitò di sedergli accanto a lezione di Shodō.

Fino a quel giorno l’Uzumaki non aveva mai sbirciato, come avevano fatto tutti gli altri, i fogli realizzati da Sasuke, perciò nella sua mente astiosa si era immaginato che la grafia di quell’essere fosse asettica e ripetitiva come una stampa, e mai aveva fatto errore di valutazione peggiore.

Mentre con il suo solito rituale di preparazione si accostava al foglio, un occhio sfuggì al suo controllo e cadde sul campo nemico.

Subito il suo sguardo fu catturato dal guizzare sinuoso dei legamenti di una mano diafana come la neve che danzava, seguendo le molteplici direzioni di un kanji complesso. I polpastrelli inconsistenti sembravano riuscire a tenere in mano il pennello per miracolo, serrandolo con una grazia che non deturpava l’inclinazione verticale delle unghie.

Una posa corretta, pensò mentre i suoi occhi scivolavano giù lungo il fude, fino a crini d’animale, fermandosi sull’inchiostro fresco.

Le sue pupille si dilatarono.

Tratti puliti ed estremi, curve pericolose e intriganti, intrecci arditi e inclinazioni esaltanti. Quella era la calligrafia di Sasuke Uchiha e agli occhi di Naruto apparì assolutamente perfetta.

Incantato dal sinuoso nero che aveva imbevuto la carta di riso, non si era accorto dello sguardo di Sasuke su di sé, finché questo non mosse nuovamente il pennello per incidere il suo nome al lato del foglio, marchiandolo come suo. Solo allora Naruto rinvenne e istintivamente guardò il volto del compagno.

Forse era condizionato dalla scrittura, forse era stato lui cieco fin dall’inizio, ma quell’ragazzo era come lo Shodō vivente. Capelli neri come d’inchiostro si muovevamo morbidi,  scandendo l’intonsa pelle alabastrina, come dei pennelli che stanno per tingere una tela bianca. Sembrava un quadro, il più bel quadro in sumi-e che avesse mai visto.

Naruto ne rimase scioccato. Stava per dire qualcosa, una qualsiasi cosa che avrebbe potuto avvicinarlo a quel ragazzo che ora gli sembrava così etereo e inarrivabile, ma quando alzò lo sguardo, incrociò i suoi occhi indifferenti e beffardi. Sasuke alzò un sopracciglio scuro e nella gola di Naruto le parole tentennarono. Subito il biondo si ritrasse e venne pervaso dall’imbarazzo del gesto che aveva svelato il suo interesse.

Con incerta velocità raccolse il suo suzuri, il fude e l’inchiostro ancora solido, che si era dimenticato di sciogliere. Si avvicinò al maestro con riverenza e con una scusa banale si defilò dalla classe.

Solo una corsa a perdifiato lo divideva da casa.

 

 

Quella notte Naruto aveva fatto il sogno più erotico della sua vita. Le sue braccia erano macchiate dell’inchiostro di numerosi dipinti. Era a terra a cavalcioni sopra qualcuno, qualcuno che gli faceva da tela. Ne poteva solo vedere la schiena, una distesa lattea e nervosa, segnata da solchi di muscoli tesi e agitati. L’ispirazione arrivò in un lampo.

Con decisione e consumata precisione tracciò tronchi di bambù e foglie allungate, stendendo su quella schiena un rigoroso paesaggio invernale. Più disegnava, più l’estasi artistica lo avviluppava e l’idea di star creando uno sfuggevole tatuaggio su pelle umana, gli faceva credere di dover assaporare quell’istante fino all’ultimo schizzo di nero.

Firmò il suo quadro vivente, posò i pennelli e aspettò di conoscere l’identità del suo modello, ma quando il suo quadro mostrò il volto, Naruto si svegliò di soprassalto con la consapevolezza che Sasuke Uchiha lo aveva intossicato.

La mattina seguente Naruto parlò con suo padre e gli chiese il permesso di abbandonare il club di Shodō, dicendo che avrebbe preferito dedicare più tempo all’arte del sumi-e e seguire le sue stesse orme, ma la magra risposta che Minato gli diede fu: “Per diventare un artista della tecnica sumi-e ci vuole pratica, lo Shodō è un tipo di pratica che io non ti posso insegnare. Che cosa turba il tuo animo, Naruto? Comprendilo e trasportalo su tela.”

Naruto abbassò lo sguardo, sentendo il profondo bisogno di sbuffare, ma si trattenne difronte al padre che in quel momento si era calato nella figura di maestro di pittura. Il biondo annuì mansuetamente alle prescrizioni del genitore, benché i suoi pugni serrati tremassero.

 

 

Sasuke Uchiha quel giorno andò a scuola con l’animo più sollevato. Finalmente aveva capito tutto.

Per giorni si era arrovellato sul perché il suo compagno di classe, Naruto Uzumaki, fosse l’unico in tutto l’istituto a non volergli rivolgere la parola, a evitare di guardarlo, a ignorarlo. Era la prima volta che gli succedeva una cosa simile. Lui era abituato ad avere il mondo ai suoi piedi e così si comportava di conseguenza, ma Naruto Uzumaki lo aveva disorientato, gettandolo nella confusione più totale. Si era sentito così fino al giorno prima, fino al momento in cui il biondo si era tradito.

Sasuke conosceva quel tipo di sguardo, il solito sguardo di chi rimaneva abbagliato dalla sua bravura indiscussa nello Shodō, di chi ammirava la sua maestria faticosamente guadagnata grazie a uno studio decennale.

Se prima Sasuke aveva provato un vago senso d’inferiorità per l’indifferenza di Naruto, dopo aver incrociato lo sguardo di quel giorno, aveva capito che si era solo illuso. Naruto era tale e quale a tutti gli altri e quindi indegno della sua attenzione. Per questo quando entrò in classe lo ignorò e salutò con i soliti cenni sommessi chi lo salutava per primo. Smise di scrutare di nascosto il suo profilo biondo durante gli intervalli delle lezioni e assunse quel capitolo breve e inutile della sua vita come chiuso e assodato. Certamente non si aspettava durante la quarta ora l’ingresso esuberante e gioioso del coordinatore della loro classe, il professor Kakashi. Il sensei posò con noncuranza il registro sulla cattedra e si schiarì la voce per fare un annuncio.

“Come tutti gli altri anni, da oggi vi comunico l’inizio degli allestimenti del festival scolastico. Tutte le attività ufficiali dei club sono sospese, a parte per quei club che decideranno di partecipare al festival.”

Dalla classe si levò un ululato di gioia, che fu interrotto dalla voce del professore: “Chi parteciperà ai progetti dei club è pregato di partecipare anche al progetto di classe, a parte tu, Uzumaki. Come gli altri anni potrò usufruire della tua completa disponibilità?”

Kakashi fermò il suo sguardo sull’allievo in questione in attesa di una risposta.

Naruto, che stava svogliatamente guardando fuori dalla finestra, voltò il capo verso il docente e sorridendo, rispose: “Certamente, sensei! Quando incominciamo?”

Sasuke arricciò il naso inconsapevolmente difronte a quella scena poi, simulando un disinteresse casuale, si voltò verso il suo compagno di banco, Shikamaru, e gli chiese: “Che attività organizza il prof?”

Con la sua solita flemma annoiata il ragazzo interpellato rispose: “La recita teatrale.”

Possibile che quel tonto fosse in grado di recitare? Fu l’istantaneo pensiero del moro, ma subito decise che non era qualcosa di suo interesse e tornò a porre attenzione alla discussione in atto.

 

 

Per Naruto i preparativi del festival erano un toccasana. I docenti diventavano più indulgenti con i voti e lui poteva dedicarsi anima e corpo all’attività che più adorava: la pittura. Il giorno stesso andò in sala insegnanti per stabilire con Kakashi di che cosa avesse bisogno quell’anno e il sensei gli spiegò nei minimi dettagli la storia, gli atti e i cambi di scena che voleva realizzare. Gli stilò uno schema completo così che Naruto avesse tutto scritto. Infatti, a lui era affidata la realizzazione delle scenografie e non c’era stato mai un anno in cui avesse deluso le aspettative di compagni, docenti o genitori. Quella volta Kakashi si era lanciato in un progetto davvero ambizioso, l’esecuzione di un horror-thriller ed era preoccupato che lo stile sereno e autentico dell’inchiostro di Naruto potesse non raccogliere la sfida.

“Non si preoccupi, prof,” fu la risposta pronta del biondo, “ci penso io a rendere spaventosa la scena!”

La sera stessa Naruto schizzò delle prove per le prime scene, così da mostrarle già il giorno dopo al sensei. Saltò la cena e s’immerse nei suoi inchiostri fino a dopo la mezzanotte. Minato non gli diceva niente, né come padre né come maestro, perché sapeva che quella era l’occasione giusta per far esplodere la sua giovane creatività che ancora doveva sbocciare.

Fu così che Naruto divenne un fantasma, una figura sfuggevole che spariva al suono della campanella per raggiungere i suoi amati pennelli. I compagni di classe erano abituati a quel cambio di atteggiamento; il ragazzo solitamente espansivo e gioviale, ogni anno per il festival si chiudeva in un raccoglimento così intenso che nessuno era in grado di penetrare. Sapevano che la sua arte avesse bisogno di dedizione.

Tuttavia Sasuke si stupì di non vederlo più a lezione di Shodō. Eppure Umino sensei non mostrava segni di preoccupazione per la sua assenza. Anche loro avrebbero preparato una dimostrazione di calligrafia, ma in verità le lezioni di Umino andavano avanti regolarmente. Non capiva perché Naruto non partecipasse.

Dopo l’ennesima lezione a cui Naruto non si presentava, Sasuke ne approfittò per fermarsi ad ammirare i fogli esemplari che erano incorniciati e appesi sulle pareti dell’aula. Li guardò uno ad uno, ammirando l’originalità e la destrezza di molti di essi, e notò che c’era una firma piuttosto ricorrente tra di essi.

Con passo felpato, Umino gli si avvicinò: “Che ne pensi, Sasuke?”

Il moro soppesò la domanda, perso nei tratti complessi di un kanji difronte a sé: “Ci sono dei talenti.” Poi fece una pausa e chiese: “Chi era Kyuubi, uno studente degli anni scorsi?”

Il sensei ridacchiò divertito: “E’ la firma di Naruto Uzumaki.”

Il cuore di Sasuke perse un colpo.

 

 

Passarono i giorni e Naruto ogni pomeriggio andava in palestra per dipingere su giganteschi teli le scenografie approvate da Kakashi ma, poiché facevano lì anche le prove teatrali, era costretto a lavorarci solo dopo le cinque.

Come sempre aveva aspettato che la palestra si svuotasse. Poi aveva disposto gli inchiostri e i pennelli di diverse grandezze ai lati della tela che giaceva maestosamente a terra, sopra un telone protettivo. Si era tolto la divisa e aveva indossato dei semplici pantaloni scuri di lino, rimanendo mezzo nudo. Si era seduto nella posizione del mezzo loto e aveva chiuso gli occhi, per svuotare la mente da preoccupazioni e pensieri e soprattutto dall’immagine invadente della mano di Sasuke Uchiha, che scriveva con eleganza su un foglio bianco.

La verità era che quella mano lo aveva perseguitato da quel giorno. Compariva nella sua mente nei momenti più disparati, lo distraeva e turbava, lo allontanava dalla sua arte. Solo qualche giorno prima era stato costretto a buttare un’intera scenografia solo per un errore di distrazione dovuto a quella maledetta mano sensuale che gli offuscava la vista.

Tuttavia Naruto si rifiutò di cedere alla distrazione. Non voleva perdere quella lotta per la sua tranquillità e sanità mentale. Combatté contro se stesso e contro il tumulto di pensieri che lo assaliva da giorni. Così cercò di liberare la mente, di far respirare l’anima, prima di approcciarsi alla pittura. Meditava sempre, prima di impugnare un pennello.

Ci era quasi riuscito anche quella volta. Si sentiva tranquillo, seduto in quella palestra vuota, e presto le sue mani si sarebbero tese verso un fude e la sua arte sarebbe scaturita dai suoi movimenti studiati, però qualcosa d’improvviso lo distrasse.

Un gemito arrivò forte e chiaro dagli spogliatoi e questo fece precipitare ogni suo sforzo di concentrazione.

Si alzò lentamente e si diresse verso il luogo da cui i rumori continuavano ad arrivare. Varcò con lentezza la soglia, sorpassò una fila di armadietti e si fermò a guardare.

La sua compagna di classe, Ino Yamanaka, era sensualmente appoggiata ad un armadietto, ma la sua visuale era bloccata da quella di un ragazzo che la sovrastava con irruenza, mentre si baciavano tra giochi di lingua e morsi.

Naruto lo riconobbe subito. Lo seppe nel momento in cui una sua mano uscì fuori da sotto la gonna della ragazza, per accarezzarle la coscia nuda. Per Naruto fu come avere aghi negli occhi vedere quella mano, percorsa da vene e legamenti in rilievo, così virile ed elegante allo stesso tempo, mentre godeva della pelle di Ino con gli stessi polpastrelli che lo avrebbero eccitato, se solo avessero stretto il bambù di un pennello, invece di quella carne debole.

Chiuse gli occhi per raccogliere le forze, poi proferì stancamente: “Scusate.”

I due si staccarono subito, l’uno impassibile, l’altra contrita.

“Sto cercando di lavorare, potreste andare altrove?” fu l’umile richiesta dell’Uzumaki.

Ino, vergognandosi tantissimo, si scusò per averlo disturbato e si allontanò frettolosamente.

Sasuke non disse nulla, non mosse nulla. Rimase solo a guardare il biondo voltargli le spalle per tornare in palestra, mentre la sua mente registrava ogni singola linea asciutta e decisa del suo petto scoperto e sporco di vecchie macchie d’inchiostro pulito male.

Qualcosa dentro di lui ribollì.

 

 

Naruto stava in piedi immobile difronte all’immensa tela bianca che aveva promesso a Kakashi di finire per il giorno seguente, ma dentro la sua testa c’era il caos più totale.

Non riusciva a smettere di pensare a quella mano e a dove avrebbe voluto vederla impegnata. Strinse gli occhi, sperando di scacciare ogni pensiero, ma il suo cuore batteva con una velocità irregolare, come se fosse impazzito. In quello stato non avrebbe mai potuto dipingere.

Si portò una mano davanti agli occhi. Incrostato sotto le unghie vi era dell’inchiostro nero, lasciato da precedenti tele, e le dita gli prudevano. Pazzamente. Volevano un pennello e forse ne sarebbe uscita una schifezza ma, nonostante la confusione, la delusione e la ripugnanza, decise che avrebbe dipinto lo stesso.

Afferrò un fude spesso e iniziò a tracciare linee brusche ed arrabbiate, le accompagnò ad ombre oblique e inquietanti. Cambiava pennelli con la rapidità di una furia repressa da anni, macchiando la tela con schizzi e sporcando i suoi stessi piedi di quella preziosa pece scura.

Quando finì, non degnò di uno sguardo la sua opera. Raccolse i suoi strumenti e riordinò tutto, lasciando l’oscena scenografia ad asciugare e ripromettendosi che l’indomani ne avrebbe fatta una nuova, giusta per Kakashi.

Si rimise la sua divisa e nell’oscurità della prima sera si diresse verso casa con passo mesto e svuotato.

 

 

Sasuke uscì dalla penombra della porta dietro cui si era nascosto. Aveva atteso, ascoltando i fruscii dei pennelli di Naruto. Aveva represso dietro a un ghigno ogni istinto furioso di attaccarlo e fargliela pagare per l’interruzione della sua oscena attività extracurricolare, ma ne avrebbe approfittato. Avrebbe svelato il segreto di quel tipo odioso le cui tavole tappezzavano l’aula di Shōdō.

Riaccese la luce della palestra e si diresse con passo pacato verso la tela abbandonata dall’Uzumaki.

Vi si fermò davanti e con calcolata tranquillità alzò lo sguardo su di essa, inquadrando millimetro dopo millimetro l’opera.

Non disse niente. Non pensò niente, ma una lacrima si perse tra le sue ciglia nere.

 

 

Il giorno seguente Naruto arrivò in classe in ritardo, subito si scusò con Kakashi sensei e non fece in tempo a parlare della tela della sera prima che il docente gli si fiondò addosso abbracciandolo.

“Sapevo che avresti capito!” gioì l’insegnante, “era proprio così che la volevo. Inquietante, inverosimile, estrema…” e altri aggettivi che Naruto dimenticò subito. Non capiva perché il professore fosse così entusiasta ma, appena suonò la campanella dell’intervallo, fu trascinato da Kakashi in palestra.

Naruto non aveva mai visto l’insegnante così conquistato dai suoi dipinti in sumi-e e fino a quel momento sospettava che in realtà non gli piacesse il genere, ma con tutto quel trambusto non riusciva a ragionare. Così si risolse a guardare finalmente quello che aveva realizzato il giorno prima e lo vide.

Quelle pareti con finestre e porte oblique, cadenti. I contorni segnati con violenza, macchie nere come di sangue rappreso. Quel dipinto era una perfetta scena del crimine, pensò il biondo, come se l’aver visto le mani pallide di Sasuke sul corpo di Ino, avessero ucciso l’idea eterea dell’arte che era sempre vissuta nella sua mente. Quel crimine era avvenuto davvero dentro il suo cuore.

Si congedò in fretta dal docente, sperando che non sospettasse nulla della verità che si celava dietro la svolta avvenuta nel suo stile. Perché quella non era la sua arte ponderata e precisa, era la sua rabbia, la sua passione e la sua voglia di divorare quelle mani.

Ogni suo sentimento, che era rimasto proibito fino a quel giorno per i suoi pennelli, era scaturito attraverso i crini, sporcando il povero foglio bianco. Nessun pensiero mondano avrebbe dovuto macchiare i suoi quadri. Suo padre glielo ripeteva sempre: “Abbandona le tue passioni, dimenticale. L’arte dev’essere pura come la luce del sole.”

E invece lui aveva sbagliato tutto. Aveva lasciato scaturire ogni cosa. I suoi sensi, che erano rimasti sopiti fino a quel momento, erano esplosi.

“Non è arte” si disse, rifiutando ogni altro pensiero dentro di sé. “Non lo è.”

 

 

Quel pomeriggio Naruto cercò di nuovo di raggiungere la calma interiore prima della pittura ma appena prendeva un pennello, la mano gli tremava. Aveva paura, una profonda e radicata paura di aver perso l’equilibrio artistico. Sapeva che se avesse dipinto ancora, avrebbe spezzato ogni linea con la sua furia interiore.

Buttò via i pennelli e corse verso casa.

Fece così ogni sera della settimana fino a venerdì. Sempre sotto un attendo sguardo nascosto.

 

 

Sasuke Uchiha conosceva la pittura tradizionale giapponese. Ne ammirava i quadri e studiava i famosi esponenti che avevano contribuito al suo repertorio. Tuttavia Sasuke non era uno di questi. Voleva diventare un maestro di calligrafia, un mero maestro.  Invece Naruto Uzumaki era diverso, era un artista.

Lo aveva riconosciuto subito e non importava se l’unica sua tela che aveva visto era confusa e spezzata, sapeva che il suo pennello era ben altro che quei tratti inconcludenti. Sasuke lo sapeva perché quel quadro, brutto e insensato, lo aveva commosso. Così aveva deciso di spiarlo, ma era rimasto deluso. Naruto Uzumaki si era bloccato.

Aveva visto Naruto spezzato, come la sua stessa tela, e sapeva che la colpa era soltanto sua.

La lezione di Kakashi era noiosa quella mattina, così Sasuke decise che avrebbe potuto permettersi di distrarsi. Chiuse gli occhi e cercò di riflettere.

Improvvisamente rivide le spalle nude di Naruto.

Era la volta in cui lo aveva spiato dipingere la sua ultima tela. Ricordò i suoi muscoli guizzare sotto la pelle, mentre scuoteva un pennello lungo un metro sulla carta. Ricordò ogni singola goccia di sudore che cadeva con lentezza, fino a perdersi nell’elastico ormai umido dei pantaloni. Con una precisione maniacale delineò nella sua mente il profilo del suo collo chino sul lavoro e desiderò sfiorare quella curva dal basso verso l’altro, immaginando le proprie dita sparire tra i folti capelli biondi.

Spalancò di poco le labbra, assecondando il respiro fattosi pesante.

Aprì di poco gli occhi, visualizzando il libro stampato, aperto sotto il suo naso, e alzandoli poi alla lavagna, ammise di avere un problema.

 

 

Sasuke aveva ricominciato a spiare di sottecchi Naruto. Approfittava dei momenti che passavano con lo stesso gruppo di amici per capire che cosa attirasse l’attenzione del biondo.

Spesso lo aveva visto incantarsi. Fissava cose, cose qualsiasi. L’astuccio rosa dei trucchi di Sakura Haruno. I polsini arancioni di Rock Lee. Le occhiaie di Gaara. Il colletto inamidato della camicia di Neji. Le punte dei capelli di Hinata. L’orlo sporco della ciotola di ramen. Poi alzava lo sguardo che si perdeva oltre le vetrate della mensa. Gli occhi cerulei si spostavano con piccoli movimenti irrequieti, mentre probabilmente seguiva il frusciare delle foglie scosse dal vento o decifrava la forma di qualche nuvola.

A Naruto piacevano i dettagli e i paesaggi e Sasuke ci mise tre giorni per capirlo.

 

 

Intanto le prove della recita andavano avanti, ma non le scenografie di Naruto.

Lui ci provava. Ogni giorno sistemava una tela vergine e preparava i pennelli e gli inchiostri, meditava. Poi, però, quando prendeva in mano il primo fude tremava. Forse non visibilmente, ma sapeva che i peli sulle gambe erano irti per i brividi.

Aveva paura di aver perso ogni controllo.

Anche quel pomeriggio buttò da parte il pennello e si accasciò in ginocchio difronte al foglio bianco, frustato per tutta la sua inconcludenza. Con le mani che tiravano a morte i capelli, come se fosse servito a qualcosa aggrapparsi senza speranza a fili così sottili e deboli, iniziò a gemere sommessamente dal profondo del suo petto, dondolandosi appena.

Si sentiva perso senza la sua tranquillità, senza la sicurezza che gli dava il suo talento.

Senza la pittura lui era nessuno.

Aveva le palpebre strette tra loro nel tentativo di non piangere vergognosamente, così non vide quando qualcuno spense le luci della palestra. Sentì solo il tonfo della porta di sicurezza che si chiudeva.

Alzò il capo e cercò di mettere a fuoco il più possibile l’ambiente, ma era quasi sera e dalle finestre alte a malapena entrava la luce dei lampioni. Sentì dei passi felpati percorrere il parquet del campo di basket. Si avvicinavano in modo flemmatico e l’inquietudine divampò in Naruto facendolo sentire ancora più inerme.

“Chi è?” domandò con un filo di voce, che rimbombò una volta sul pavimento.

L’intruso non rispose.

Un brivido scosse la schiena dell’Uzumaki, quando capì che ormai l’altro doveva essere in prossimità della sua tela.

Poi i passi si bloccarono e per un secondo non ci furono rumori.

Naruto occhieggiava inutilmente intorno a sé in cerca d’indizi. Si era alzato in ginocchio e ogni muscolo era teso, pronto a scattare in caso di aggressione, ma le sue orecchie percepirono qualcosa di insolito.

Un fruscio e un leggero tonfo sordo.

Naruto deglutì.

Un tintinnio e un tonfo.

Un fruscio.

Poi sentì il rumore della carta di riso che si staccava ad ogni passo dalla pianta nuda di piedi sconosciuti.

Sentì l’intruso raccogliere un pennello, uno piccolo, intuì l’udito di Naruto, e poi lo sentì avvicinarsi a lui e improvvisamente capì che l’altro gli si era inginocchiato davanti.

Un mano gli accarezzò il dorso del polso, un pollice cercò il suo palmo e glielo fece aprire. Poi sentì il freddo liscio del legno di bambù vicino ai suoi polpastrelli e d’istinto afferrò il fude.

La mano ignota afferrò il suo polso e lo portò ad altezza petto, poi la sentì scivolare lungo l’avambraccio e fermarsi sul gomito, spingendolo verso l’altro, finché i crini del pennello non si scontrarono contro qualcosa di solido, piegandosi.

Naruto tremò. Aveva paura. Non della persona, ma di quello che stava per fare.

Lo sconosciuto condusse la sua mano a tracciare una linea lungo il petto svestito, come un invito a studiarlo. Naruto si morse un labbro, incerto, ma poi capì. Percepì perfettamente in che punto del petto si trovasse la punta del suo pennello e prese a tracciare.

Afferrò lo sconosciuto per una spalla, lo spintonò indietro fino a farlo ricadere per terra sul foglio. Lo sovrastò, mettendosi a cavalcioni su di lui, e, immobilizzandolo, puntò il fude in modo perfettamente perpendicolare a dove sapeva esserci il capezzolo. Tracciò uno cerchio intorno al bottoncino di carne e sorrise, sentendo il respiro dell’altro farsi profondo.

Passò un polpastrello dove lo aveva sporcato d’inchiostro, sentendo sotto di esso la carne contratta e ruvida per il piacere. Pulì dal dito l’inchiostro in eccesso sulla tela, poi riprese a tracciare ogni sorta di disegno astratto che il suo polso gli suggerisse. Seguiva le valli e le colline del ventre mascolino che gli sottostava, agitato da un affanno sordo.

Naruto portò la mano libera alle labbra dello sconosciuto e le percepì contratte. Le teneva serrate per evitare che fuoriuscisse un qualsiasi suono, come se avesse lui stesso paura. Cercò di risalire fino ai capelli, ma venne bloccato da una mano dell’altro e lo sentì scuotere leggermente la testa.

“D’accordo” asserì il biondo. Non voleva fargli sapere chi fosse e per ora poteva andargli bene.

Naruto tornò a sfiorare il petto liscio del ragazzo.  Portò il pennello all’ombelico e lo sporcò di tutto l’inchiostro che era rimasto sui crini.

L’altro s’inarcò verso di lui, seguendo i movimenti circolari del suo polso in senso contrario, come un quadro imbizzarrito che si rivolta contro il suo pittore, e Naruto si sentì eccitato.

“Aspettami qui” lo invitò l’Uzumaki.

Presto l’ispirazione travolse il giovane artista il quale si trasformò in una furia instancabile di pennelli, tratti veloci e inchiostri spruzzati.

Ogni volta che il suo disegno incontrava il corpo del ragazzo, prima accarezzava la pelle con le dita, poi vi passava sopra il fude, facendo pregustare a entrambi l’estasi artistica di quell’opera cieca.

Quando Naruto sentì la tela completa, tornò al corpo ansimante, sdraiato in mezzo ai tratti d’inchiostro impazzito. Tornò a vezzeggiare il ventre con la punta del pennello, disegnando delle spirali.

Sentì il ragazzo agitarsi e mugugnare. Durò un secondo il contatto tra i loro bacini, ma per Naruto fu abbastanza. Scaraventò il pennello lontano, bloccò le braccia dell’altro sopra il suo capo e come un serpente si strusciò sul busto dello sconosciuto, imbrattandosi d’inchiostro fresco e rubando a entrambi un gemito roco.

Il ragazzo liberò le proprie braccia dalla presa del biondo e affondò le unghie nella schiena dell’artista, attirandolo contro di sé. Le loro erezioni si toccarono attraverso la stoffa dei pantaloni e Naruto non ci vide più.

Con una mano afferrò il fianco magro dello sconosciuto e, puntellando bene i piedi, iniziò a muovere il bacino con foga su quello dell’altro. Il ragazzo strinse i glutei per raggiungere meglio Naruto e presto ogni cosa intorno a loro perse di consistenza: non c’erano più né tele, né pennelli. Solo i loro membri che si cercavano come folli superstiti di un incidente. E cozzavano e si sfregavano, si schiacciavano l’un l’altro, fino a far combaciare le anche. Avrebbero anche potuto soffocare per quel che poteva importare, perché loro, come due entità dotate di vita propria, volevano solo cercarsi e venire.

E vennero, mentre Naruto cavalcava l’altro con la stessa ossessione con cui avrebbe calcato un tratto.

Vennero godendo della stoffa ruvida che li avvolgeva.

Si bagnarono ringhiando un piacere che mai si erano sognati di poter provare.

 

 

Quando ripresero fiato, lo sconosciuto si rialzò. Naruto fece per seguirlo, ma fu bloccato e costretto a risedersi. Lo sentì raccattare dal pavimento i suoi vestiti e lentamente dirigersi verso l’uscita.

Il cuore di Naruto riprese a battere con forza, mentre si rendeva conto del fatto che l’altro se ne stava andando e che lui non sapeva neanche chi fosse. Si morse a sangue un labbro, ma poi gridò con decisione.

“Chi sei?”

Lo vide fermarsi per lunghi secondi che sembrarono minuti. Era indeciso.

Eppure, quando meno se lo aspettava, quando Naruto iniziava a credere che si sarebbe voltato indietro e gli avrebbe parlato, lo sconosciuto abbassò la maniglia e sparì dietro la porta. Solo per un secondo Naruto riuscì a intravedere la siluette longilinea del ragazzo, abbastanza affascinante da intrigarlo, ma non abbastanza da riconoscerlo.

Il biondo si buttò a terra spossato. Le braccia tremanti a coprirgli gli occhi.

Ancora non poteva crede a quello che era successo.

 

 

Quella sera il ragazzo si chiuse in bagno e, davanti allo specchio, accarezzò ogni singola stilla incrostata d’inchiostro che imbrattava il suo corpo. Il ricordo della sensazione leggera e piacente dei pennelli sulla sua pelle, gli contorceva le budella e scaldava il bassoventre.

“Dio.”

Se solo avesse potuto, non si sarebbe più lavato.

 

 

Naruto fece pace con la sua arte dopo quella sera.

Aveva riacceso le luci della palestra ed era tornato alla tela con passo lento. Dopo un profondo respiro, aveva trovato il coraggio di aprire gli occhi e quello che vide lo lasciò basito.

Vi era forza in quelle linee, armonia nelle macchie colate. Non era uno dei suoi cortesi paesaggi confortevoli, era molto di più. Era come aver squarciato a metà il suo cuore sulla carta e averci fatto colare il sangue pregno di ogni sua emozione e di ogni timore. Era incredibile.

Poi il suo sguardo era caduto sulla sagoma mascolina, che era rimasta in bianco, e un sussulto gli aveva bloccato la gola. Era semplicemente bellissimo e in quel momento promise a se stesso che lo avrebbe ritrovato e lo avrebbe fatto suo di nuovo.

Nei giorni successivi, tuttavia, s’impegnò al massimo per spremere ogni stilla dal suo inchiostro arrabbiato, così da consegnare a Kakashi ogni ambientazione per il palcoscenico.

Si sentiva ancora a disagio per quella nuova arte troppo irruente e imprecisa, ma cercò di tranquillizzarsi, dicendosi che era solo una fase di passaggio. “Ogni artista ne ha,” lo aveva rassicurato il padre, celando l’interesse per quel nuovo Naruto, “è indispensabile per l’evoluzione dello stile.”

Eppure, mentre sbatteva pennelli da ogni parte, Naruto non poteva non interrogarsi sull’identità dello sconosciuto.

Aveva passato giorni a scrutare i volti dei suoi compagni, cercando segni di presunta colpevolezza o vago imbarazzo. Si era anche attirato contro le sciocche battute di Kiba per quel suo strano comportamento.

Insoddisfatto delle ricerche, aveva cominciato a radiografare ogni singolo ragazzo dell’istituto, in cerca di qualcosa, un atteggiamento qualsiasi, che permettesse di svelare l’ignoto. Eppure fu tutto inutile.

Naruto si convinse che se solo avesse di nuovo potuto sfiorare col pennello quel petto sconosciuto, sarebbe riuscito a riconoscerlo anche da bendato. Avrebbe voluto potersi affidare alla sua memoria tattile, ma non poteva certo chiedere a mezza popolazione scolastica di farsi dipingere da lui. Sarebbe passato per un maniaco con inquietanti inclinazione omofile.

 

 

Il giorno del festival scolastico arrivò più in fretta del previsto.

Naruto, che aveva lavorato solo alla realizzazione delle coreografie, si poteva permettere di girare liberamente per l’istituto e godersi gli eventi preparati dai vari compagni.

Dopo aver passato tutti gli stand che preparavano cibo ed aver fatto raggiungere la pace dei sensi alle sue papille, decise di passare al Maid Caffè allestito nella sua classe, per sfottere un po’ i suoi amici travestiti in modo improbabile con gilerini che lasciavano scoperti braccia e fianchi. Ovviamente gli era sfuggita anche qualche occhiata poco fugace alle ragazze in costume da cameriera sexy, ma presto venne l’ora della recita.

Insieme a Chouji, che era in pausa dalla preparazione di sandwich al Caffè, andò a vedere come era venuta la piccola opera in cui Kakashi sensei metteva l’anima ogni anno.

Tra risate e colpi di scena, Naruto si divertì tantissimo nel vedere Shikamaru nel ruolo di detective.

A fine spettacolo fu chiamato anche lui sul palco, per prendersi gli applausi, e dopo, mentre gironzolava per i corridoi, la gente lo fermò spesso per congratularsi con lui.

Alle cinque ci sarebbe stata la dimostrazione di Shōdō, così decise di raggiungere il maestro Umino per vedere se avesse bisogno di due braccia in più per preparare il pavimento della palestra.

Subito fu messo sotto torchio dal sensei per aiutare i compagni a sistemare i tatami su cui avrebbe lavorato, per dare un tono più tradizionale alla performance.

I suoi compagni di corso, divisi in piccoli gruppi a seconda della bravura, si inginocchiarono a turno difronte agli scrittoi preparati apposta. Ognuno tracciava i kanji in cui meglio riusciva e i migliori riportavano anche per intero citazioni famose.

I passanti spesso si fermarono ad ammirare i lavori creati dagli studenti, complimentandosi con il professor Umino, il quale sorrideva imbarazzato.

E finalmente Naruto lo notò.

Seduto in disparte, in attesa del suo turno, c’era Sasuke Uchiha, avvolto in un elegante kimono da uomo.

Naruto assottigliò lo sguardo, chiedendosi perché Sasuke vestisse in modo diverso dai suoi compagni. C’era davvero bisogno di sfoggiare tutta quella superiorità? Improvvisamente il profondo astio che aveva provato per lui nei primi giorni, si riaccese come una vampata di fuoco sputata da un drago.

Era così borioso che a malapena Naruto si trattene dal pestarlo.

E quando arrivò il suo turno, lo vide avvicinarsi ai tatami con passo studiato, come a voler evitare un qualsiasi sforzo fisico. Si sedette con grazia davanti a un tavolino e con lentezza esasperante posizionò il foglio, l’inchiostro e il fude.

Per Naruto Sasuke si stava esibendo da solo come un pallone gonfiato, credendosi migliore di tutti, in un modo così irrispettoso che Umino non avrebbe mai dovuto lasciarglielo fare. Tuttavia, se Naruto non fosse stato accecato da tutta quella rabbia, forse si sarebbe accorto della massima precisione dei movimenti del moro, dell’eleganza estrema di ogni sua movenza, della perfezione del suo pennello o della piccola goccia d’inchiostro che Sasuke aveva lasciato cadere sul tavolo quasi accidentalmente, quasi fosse un indizio.

Se Naruto avesse notato tutte quelle cose, forse la sua bocca non sarebbe stata deformata da una smorfia di disgusto e forse non avrebbe fatto finta d’ignorare Sasuke alla fine della sua esecuzione.

Se non fosse successo quello, forse Sasuke non si sarebbe sentito preso in contropiede. Perché quella smorfia di disgusto fece più danni di un veleno fatale.

 

 

Erano passate ormai due settimane dal festival scolastico e Naruto era tornato a frequentare il Club di Shōdō, ma non tutto sembrava andare per il verso giusto.

Le lezioni di Umino erano diventate invivibili. Non tanto per colpa del sensei, quanto per colpa di una muta, ma accesa competizione nata tra i suoi due pupilli.

Se Naruto tracciava un kanji complesso, Sasuke ne tracciava uno ancora più difficile e mettendoci ogni stravaganza possibile nella grafia. Invece se Sasuke sembrava aver messo tutto se stesso nel suo inchiostro, Naruto doveva fare assolutamente qualcosa per superarlo.

Continuavano a ricorrersi a suon di fogli imbevuti di nero e colpi di pennello. Ma i risultati erano perlopiù degradanti per il professor Umino, il quale si dispiaceva non poco nel vedere i suoi due studenti migliori perdere la loro particolare via artistica in quel modo così cieco.

Un pomeriggio, finita la lezione, Naruto gli si avvicino con un foglio su cui svettava nel centro un elegantissimo kanji di bellezza . Nonostante l’impostazione fin troppo precisa per lo stile, l’ideogramma sembrava molto sentito e carezzò l’idea di appenderlo al muro insieme agli altri.

Tuttavia Sasuke, che aveva osservato di sottecchi la scena prima di andarsene, si bloccò sull’uscio e, infastidito, tirò fuori dalla borsa una pergamena su cui aveva ricopiato la sera prima parte di un sutra.

Con sicurezza si avvicinò ad Umino, sfoderando un sorrisino beffardo.

“Sensei,” aveva chiamato, “vorrei mostrarle una cosa.”

E con quelle semplici parole si era procurato la completa attenzione del docente e ovviamente il suo stupore e la sua riconoscenza per quel pezzo che nessun’altro avrebbe potuto replicare. Era quasi fin troppo facile battere Uzumaki.

Naruto fuggì dall’aula di Shōdō senza dire una parola.

 

 

Il giorno dopo avevano educazione fisica al pomeriggio e Naruto stava parlottando in disparte con Kiba.

“Lo detesto.” Il biondo digrignò i denti nel dirlo.

“Si è comportato da stronzo,” gli diede man forte l’Inuzuka, che era diventato il quotidiano confidente per quella faida che ormai non passava più inosservata a tutta la classe.

“E’ così borioso… mi vien voglia di pestarlo ogni volta che apre bocca!”

“E cosa aspetti?!” Kiba ammiccò in modo furbesco e sulle labbra di Naruto si disegnò un ghigno.

Quel giorno il professor Gai li avrebbe introdotti al rugby ma il docente, dopo una veloce spiegazione delle regole, li divise subito in squadre, confermando le sue preferenze per l’insegnamento pratico.

“Su, su, ragazzi! Fatemi vedere un po’ di vita in quei giovani arti!” incitò il sensei, mentre le due squadre in cui si era divisa la classe prendevano posizione sul campo.

Ovviamente Naruto era riuscito a finire nel gruppo avversario dell’Uchiha e si era messo a fare il diavolo a quattro per fare meta.

Presto Sasuke si accorse di tutti gli sforzi del biondo e, galvanizzato dalla competizione, marcò con ferocia la squadra avversaria fino ad ottenere la palla.

Con uno scatto fulmineo corse per fare punto, ma non fece in tempo a registrare la presenza di una zazzera bionda in avvicinamento, che qualcosa lo colpì forte allo stomaco.

Ruzzolò a terra, colpendo la testa, ma questo non gli impedì di serrare con forza le braccia intorno alla palla e resistere ai furiosi strattoni dell’avversario. Nessuno osò avvicinarsi.

“Mollala!” imprecò Naruto, a cavalcioni sul compagno, mentre cercava di rubargli la palla.

“Fuori dalle palle, Uzumaki!” fu la risposta del moro.

“Come ti permetti? Bastardo!” urlò Naruto. Poi, senza pensarci, caricò un pugnò e lo sferrò nel fianco dell’avversario.

Sasuke tossì per il dolore e la sorpresa.

Tutto si sarebbe aspettato, tranne un attacco così diretto dal biondo. E se pensava al fatto di averlo pure aiutato col suo blocco del pittore, gli veniva voglia di mangiarsi le mani. Ma decise che poteva usarle in modo migliore e in un secondo le sue nocche colpirono il mento del biondo. La palla scappò via dai due, ma loro non se ne accorsero, perché ormai se le stavano dando di santa ragione.

“Io ti uccido” si sentì urlare uno.

“Di te non rimarrà neanche il ricordo” disse l’altro.

Non si capì come, ma tra un pugno e l’altro Sasuke riuscì a capovolgere le posizioni e nella foga ricadde sopra Naruto.

Poi tutto si fermò.

Naruto sgranò gli occhi. Sasuke si rialzò con uno scatto fulmineo e si allontanò.

Eppure ormai era troppo tardi. Naruto lo aveva sentito. Aveva riconosciuto nella collisione quel combaciare di petti unico e inconfondibile.

Sasuke era il ragazzo della tela.

Il ragazzo il cui corpo avrebbe voluto dipingere ancora, e ancora, e ancora…

“S-sasuke” bofonchiò protendendo una mano da terra, ma era troppo tardi. Il moro aveva già voltato le spalle e se ne stava andando.

 

§*§*§*§

 

Naruto cominciava a capire cosa stesse succedendo alla sua arte.

Quei colori accesi e sconnessi, quei tratti insicuri e imprecisi. Quelli erano sentimenti e Naruto non ne aveva mai provati prima di così forti e così incisivi da disorientarlo.

Erano passati giorni dalla partita di rugby e la classe si godeva la quiete scaturita dalla fine di quell’insensata faida intestina. Sasuke e Naruto adesso s’ignoravano.

Sembrava esserci un muro che divideva i banchi, era invisibile ma palpabile. Sembrava che tutti potessero valicarne il confine, tutti a parte loro due.

Anche le ore di Shōdō trascorrevano nella placidità di quell’armistizio involuto.

Ma quella domenica mattina Naruto si era svegliato insofferente per quella situazione. Aveva sospirato e aveva afferrato una valigetta con degli inchiostri e un album da disegno e lentamente si era incamminato lungo la strada di casa sua.

Gli ci volle un’ora per arrivare e altri dieci minuti per decidere di suonare il campanello di quella graziosa villetta.

Eppure lo fece e andò un secondo nel panico perché, nonostante fosse andato lì, non sapeva che cosa dire.

Dopo poco la porta d’ingresso si aprì e l’algida figura di Sasuke, avvolto in una camicia immacolata di lino, apparve difronte a lui.

Il moro lo guardò senza riuscire a celare la perplessità, ma Naruto sorrise. Lui sorrideva sempre.

“Ho sentito che in giardino avete dei fiori rari” buttò lì il biondo.

Sasuke continuò a fissarlo, fece per parlare ma si fermò. Allora Naruto riprese: “Sono un pittore.”

E magari avrebbe dovuto continuare dicendogli che era stato uno sciocco a essersi comportato così, ad averlo ignorato prima e preso in antipatia poi. Che anche quella faida era stata insensata e che non aveva avuto motivo di esistere.

Che dietro a una smorfia si cela ammirazione. Desiderio.

Ma Sasuke non aveva bisogno di quelle parole.

“Li coltiva mia madre.” E si fece da parte per farlo entrare.

Naruto non si guardò intorno, come si sarebbe aspettato il moro, guardava solo lui, mentre si affacciavano al giardino. Su un tavolo Sasuke si stava esercitando con i pennelli e Naruto gli si mise difronte, pronto a ritrarlo.

Era primavera e i fiori profumavano con forte dolcezza. Ma Naruto vedeva solo il bianco della sua pelle e il nero dei suoi capelli, bianco e nero, come la carta e l’inchiostro che tanto amava.

 

NdMinorin:

E' una vita che non pubblico!! Ma sono qui per rimediare!

Questa OS è piuttosto diversa dal mio solito... che ne pensate? Vi è piaciuta? O devo preparare scudi ed elmi di protezione per uova marce e pomodori acerbi?!

Spero di non avervi annoiato e beh... alla prossima (spero presto)! Un bacione!

Minorin

PS: Piccolo approfondimento... Perché Naruto medita prima di dipingere?

Attraverso la meditazione, Naruto si approcia all'atto artistico con una più profonda consapevolezza e ne scaturisce un'arte tranquilla e ragionata, in contrapposizione a un'arte più passionale, che nasce dal tumulto sentimentale (che non sa ancora padroneggiare). Ovviamente non me la sono inventata io questa cosa del meditare. Infatti, in ambito buddhista sono nati in questo modo diversi stili artistici come l’arte indobuddhista classica, l’arte della scuola esoterica e l’arte zen. Io non sono un'esperta del genere, quindi mi fermo qui nella spiegazione (e spero di non aver divulgato castronerie! In caso correggetemi ^.^).

   
 
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