Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Thelooking    16/02/2015    0 recensioni
Genere: Commedia, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO DUE.

-DL, non è un modo cortese di accogliere una vedova-

 

























 

*

Al mio risveglio al numero 56 di Manatthan, in casa mia c'era chiaramente odore di pancake. Chris sta' cucinando i pancake con uova e pancetta. Le mie preferite. Annusai nuovamente quella prelibatezza dalla camera matrimoniale, ancora assonnata. Scesi furtivamente le scale, per non farmi scoprire da mio marito che lo stavo osservando per l'ennesima volta mentre preparava la colazione all'inglese. In casa aleggiava il suono di una canzone data alla radio locale, e lì per lì non riuscii a riconoscerla fino a quando non arrivai a cantare mentalmente le note del ritornello di 'Without you' di David Guetta. Arrivata alla porta, strabuzzai gli occhi più e più volte prima di trovare ai fornelli Katerine, e mio padre seduto a capotavola nella mia cucina. Katerine aveva appena appoggiato il terzo, ed ultimo piatto appena caldo di colazione: uova, pancetta, bacon ed un cucchiaio di Nutella. Appena entrata nella sala, mi assalì improvvisamente il terrore per poi rammentare che Chris, in quel momento non era lì. Prima ancora di dire 'buongiorno genitori' o di ricevere il buongiorno, scaraventai la colazione per terra, macchiando d'olio il parquet. E senza rendermene conto, adesso, me ne stavo accovacciata sul pavimento a cercare di scacciare la canzone che tanto mi assillava.
<< ERA LA NOSTRA COLAZIONE PREFERITA! SMETTILA! >> urlavo in preda al panico tappandomi le orecchie. Katerine lasciò stare tutto, fiondandosi sul mio corpo, dandomi dei buffetti sul viso cercando di farmi recuperare il senno che i ricordi avevano devastato. Pochi minuti dopo, mi ero calmata, ma papà e Katerine erano piuttosto incerti se mi fossi davvero ripresa. Dopo la morte di Chris, mi risvegliavo e pensavo che fosse ancora al mio fianco, anche nelle cose più semplici e quando mi accorgevo che non mi era accanto improvvisamente incominciavo a risentire quella canzone. La canzone mi assillava in ogni momento della giornata anche nella clinica, tanto che la odiavo avevo severamente proibito alle infermiere di venire con gli auricolari, gli mp3 o qualsiasi altra cosa che avrebbe potuto farmi avere un crollo emotivo. E la maggior parte delle volte succedeva, nonostante non sentissi direttamente la canzone. La prima volta che successe, era la seconda settimana di Ottobre, ed era il secondo mese che trascorrevo lì dentro. La segretaria aveva acceso la radio per una paziente poco più vecchia di me, ed improvvisamente dopo poche canzoni avevo iniziato ad udire il pianoforte e poi i cori, fino ad arrivare alla cantante. Ed una volta riconosciuta la canzone, mi ero alzata per pregare di cambiare stazione, ma il pulsante era bloccato.. così mi ero gettata addosso alla donna che aveva implorato di mettere su la musica. L'avevo riempita di pugni nel ventre, le avevo tirato i capelli fino a ritrovarmi intere ciocche nelle mani. Poco dopo ero stata sedata e mi ero ritrovata nella mia stanza a fissare il soffitto, mentre sentivo pulsare la testa per la colluttazione. Così da quel giorno per almeno due mesi mi toccò essere costantemente scortata da almeno due infermiere robuste, e soprattutto portare al piede un collare che suonava ogni volta che mi avvicinavo troppo ad uno dei compagni presenti alle attività ricreative.
<< Tesoro! TESORO! >> urlò Katerine riportandomi sulla terra ferma.
<< Tutto okay? >> chiese papà squadrandomi ed aiutandomi ad alzarmi dal pavimento.
<< Si. Ora voglio prepararmi, voglio andare in agenzia prima di andare oggi dallo psicologo >> dissi salutandoli per abbandonarli in cucina. Salii le scale, fermandomi più e più volte sui gradini per poi arrivare sana e salva al secondo piano, dove mi fiondai in bagno ed una volta chiusa la porta entrai in doccia per lavarmi. Katerine e papà bussarono un paio di volte, solo per assicurarsi che fossi ancora viva. Da me si aspettavano di tutto. Una volta lavata e profumata, mi asciugai i capelli con il phon e poi tornai in camera mia, dove indugiai un paio di minuti prima di scegliere dalla cabina armadio un tailleur color pesca abbinato ad una t-shirt bianca ed un paio di pantaloni neri lucidi, con un paio di Mary Janes del medesimo colore dei pantaloni. Raccolsi i capelli in un'acconciatura complicata, che avevo imparato a fare grazie ad un film che avevamo visto in clinica e poi presi la prima borsa che trovai appesa ad una delle grucce. Scesi le scale, questa volta senza indugiare, fino a ritrovarmi i miei genitori al piano terra: Katerine stava pulendo il pavimento, e stava tirando fuori i piatti dalla lavastoviglie, mentre papà era seduto sulla poltrona reclinabile intento a leggere il giornale locale, probabilmente leggendo la sezione dedicata allo sport.
<< Ehi, sapete dove sono i miei raccoglitori con i progetti? >> chiesi lasciando cadere la borsa su uno dei divani.
<< Si cara. Nell'ufficio al piano di sopra. Vicino al bagno >> disse Katerine accompagnandomi. Dovevo ammettere che Katerine si dava da fare per badare a me, ed assomigliare sempre più a quella che lei volesse assomigliasse ad una figura materna. So che desidera con tutto il cuore che io mi avvicini a lei, e che diventassimo amiche, o anzi, che iniziassi davvero a prenderla sul serio come matrigna. Insomma, non la considero ancora la segretaria di papà, per me lei è okay, ed è davvero la mia matrigna. Le voglio bene, quindi, potrei seriamente iniziarmi ad impegnarmi nel dimostrarle affetto e gratitudine nel fatto che si è sempre presa cura di me, ed è rimasta sempre legata a mio padre, nonostante avesse una figlia disturbata che aveva trascorso un periodo piuttosto lungo in una clinica di riabilitazione. Ma se avessi mostrato il mio lato gentile, sarei andata fuori dai parametri che mi ero imposta una volta rivisitato il luogo di sepoltura di Chris, perciò una volta trovati i documenti e scortata da Kat al piano di sotto, non proferii parola.
<< Beh, vi ringrazio per aver badato a me in questi primi giorni. Ma, al lavoro voglio pensarci da sola. Vorrei solo uno strappo fino in agenzia >> dissi guardandoli negli occhi. I due coniugi si guardarono l'un l'altro per quelli che sembravano minuti, decidendo se fosse davvero una buona idea.
<< Okay tesoro. Ora ti accompagno >> disse papà alzandosi dalla sedia per prendere il cappotto. Pochi minuti dopo, io e papà sfrecciavamo a quasi cinquanta kilometri orari sulla sua bella macchina. Senza dirci niente. Adesso dalla sua macchina, a differenza di un anno prima, mancava la radio cosa che forse era stata un'idea di Katerine oppure dello 'psicologo'. Credo che tra me e lo psicologo non ci sarà mai un bel rapporto: mi limiterò probabilmente a restarmene zitta per tutto il tempo fissando o il pavimento o il soffitto. Sarebbe stato epico, non credo che io e lei avremmo potuto parlare di quanto fosse bello il tempo fuori dalla clinica oppure di quale smalto della KIKO le donne andavano maggiormente a comprare nei negozi. Sarebbe stato assurdo, come quando dici ai bambini che Santa Claus esiste. Tutti sappiamo che non esiste. Arrivati all'agenzia immobiliare, papà mi fa immediatamente scendere, ma quando credo che rimetta immediatamente in moto l'auto, lui si limita ad affiancarmi fino ad entrare nell'edificio, dove i ragazzi hanno preparato un enorme striscione con su scritto un 'Bentornata Georgia!'. Drew e Jonathan mi vengono in contro, abbracciandomi nuovamente, mentre una ragazza con corti capelli castani cioccolato, con occhi marroni e un vestito che le arriva fino al ginocchio. Non l'ho mai vista, si limita a tenere le distanze fino a quando i due non si staccano.
<< Salve, io sono Patricia, la nuova stagista >> dice la ragazza tendendomi la mano. Gliela stringo, per poi rimanere ferma nella stessa posizione a guardare per svariati minuti Jonathan che discute con me e Patricia su un grande progetto su cui hanno messo le mani. Ma non ascolto molto la conversazione, sono troppo presa ad osservare mio padre che parla a voce bassissima con Drew. Entrambi hanno il nulla proiettato negli occhi, e mentre uno annuisce, l'altro continua a parlare di qualcosa che sconvolge ambedue. Probabilmente sono io. Non c'è dubbio.

*

<< Georgia! Vieni >> mi incita Jonathan. Patricia è andata via da una decina di minuti, e credo che la rivedrò solo domani mattina. Ho scoperto che è stata assunta poco dopo il mio ricovero in clinica, nessuno ha mai rimpiazzato il mio posto perché i due gemelli speravano con tutto il cuore che io un giorno uscissi e potessi nuovamente riprendere a lavorare. E così è stato. Jonathan adesso è fermo sulla porta del mio ufficio, mentre ha già indossato il suo cappotto e tiene in mano il portafogli e le chiavi della macchina. Mi aiuta ad infilare il mio cappotto e poi mi mette la borsa in mano portandomi fino ad un ristorante lì vicino.
<< Abbiamo venti minuti.. Quindi mangi tutto e poi ti devo portare dallo psicologo >> dice spingendo verso la mia direzione un piatto fumante di ravioli ai funghi. Mangio tutto, assaporando il gusto dolce della salsa con la panna, fino a finire di scolarmi un'intera lattina di Sprite. Dopo aver avuto la pancia piena, Jonathan si rimette a guidare, cercando più volte di incoraggiare una conversazione tra noi due, ma nonostante avessi voglia di parlare con un amico, in quel momento volevo restarmene sulle mie a pensare in quale modo avrei potuto prendere in giro un estraneo ovvero lo psicologo. Arriviamo ad una zona ricca, piena di grattacieli e qua e là qualche villetta nuova di zecca, con una bella piscina incorporata. Lo studio del mio psicologo si trova al cinquantaduesimo piano di un bel grattacielo, con enormi finestre di vetro, dove si riesce a vedere tutto il paesaggio. Jonathan mi congeda con un bacio sulla fronte, ed un augurio prima di promettermi che rimarrà nei paraggi nel caso la seduta finisse troppo tardi o troppo presto, poi mi lascia sulla soglia dello studio con una me stessa piuttosto impaurita. Prima di venire mi sentivo sicura di me stessa, perfino credevo che oggi avrei potuto osare con i commenti cattivi, ma appena leggo la targhetta con su scritto 'Victoria Woolder' inizio a sentire le gambe tremolare, il fiato corto e sinceramente avrei molta voglia di ritornarmene in ufficio, fare qualche nuovo progetto e sorseggiare caffè fino all'orario di chiusura. Ma chissà come, il mio dito finisce sul campanello e poco dopo alla porta si presenta una donna con un auricolare nell'orecchio destro, che mantiene in mano una cartellina ed un caffè. Senza parlare mi incita ad entrare, mentre lei esce in fretta e furia, e sbirciando da dentro trovo un uomo sulla cinquantina intento a parlare al telefono per programmare un appuntamento. Le trenta sedie nella prima saletta, sono tutte occupate da donne con enormi occhiaie e una brutta cera, con genitori che le tengono per mano cercando di sopprimere le lacrime. Decido di sedermi su una sedia appena liberata da un vecchietto che è andato a riprendere il figlio da dentro lo studio
Un uomo dalla pelle scura, mi si avvicina toccandomi leggermente la spalla.
<< La sua seduta avrà inizio tra due minuti, Miss Rose >> dice prima di riaccomodarsi sulla sua sedia d'ufficio per ritornare a guardare delle scartoffie. Mi rilasso sulla sedia, cercando di prepararmi mentalmente per la seduta con Victoria. Credo di essere tesa. Ho il cuore in gola, e non riesco a smettere di tremare. Poi accade qualcosa di inaspettato: nella sala inizia a diffondersi un leggero tocco di pianoforte, poi arrivano le voci e in pochi secondi sono già saltata giù dalla sedia verso l'uomo in divisa.
<< LA SPENGA! LE ORDINO DI FERMARLA! >> dico urlando, mentre gli altri mi fissano. Non m'interessa, so solo che quella canzone mi sta uccidendo.
<< Non posso >> dice.
Mi sfogo buttando giù tutte le carte della scrivania, buttando i giornali ordinati sul tavolino a terra e contro le pareti immacolate della sala d'attesa, fino a sentirmi strattonata da due paia di mani che mi riportano alla realtà. Una donna sulla cinquantina, occhiali da vista e un bel vestito nero mi tiene le braccia e mi sorride mostrando i suoi denti perfetti. Non riesco ad ascoltare le voci che mi circondano, ma in poco tempo mi ritrovo in una saletta molto illuminata, e poi vengo appoggiata ad un divanetto in pelle. La donna di prima si siede davanti a me su una sedia pieghevole sempre in pelle, prima di munirsi di tablet ed un nuovo paio di occhiali da vista. Ha l'aria rilassata, capelli freschi di parrucchiere e nonostante l'età avanzata mi fa sentire davvero brutta.
<< Come stai, Georgia? >> mi chiede mettendosi comoda sulla poltrona.
<< Secondo lei? DL non è un buon modo per iniziare la nostra prima seduta. Sa, sa cosa credo? Che con questo suo scherzetto si è giocata la mia voglia di diventare sua amica >> dico alzandomi dal divano, ma la donna fa pressione sulla spalla e mi fa ritornare distesa.
<< Scusa. Dovevo assicurarmi quale fosse la tua reazione, ma vedo che è rimasta la stessa. E comunque qui dentro non possiamo essere amiche. Io sono la tua psicologa, e comprendo in pieno la tua scelta. Sarei arrabbiata anch'io se la mia psicologa mi avesse fatto uno scherzo del genere >> dice scrivendo sul tablet.
<< Bene, perché io non ne ho più voglia. Io, io e Chris eravamo perfetti, cazzo, e poi ad un tratto è finito tutto. E probabilmente già sa della mia condizione psicologica, altrimenti non mi troverei qui. Sono sicura che l'hanno informata del fatto che ho delle attitudini da vera e propria troia perciò non c'è motivo che lei finga con me. Lo hanno fatto fin troppe persone negli ultimi tempi >> dico fissando il vuoto.
<< Ma io non sono qui per giudicarti. Sono qui solo perché tu possa riuscire a non cadere nuovamente nei tuoi errori passati, e comunque si, sono stata informata di questa tua 'attitudine' come l'hai chiamata tu, ma sono sicura che tu fossi solo sconvolta e non eri consapevolmente d'accordo per quello che facevi con i tuoi ex colleghi >> disse togliendosi gli occhiali e portandoseli in grembo.
<< E sa invece cosa hanno dimenticato di dirle? A me piaceva fare quello che facevo, e se fosse per me non cambierei nulla. Certo, forse mi sarebbe piaciuto non andare in quella cazzo di inutile clinica, perché tutti mi trattavano come una lebbrosa, e continuavano a bisbigliare 'chi mai se la farebbe con tutto l'ufficio? Solo una puttana' oppure 'è vedova e pensa come se non lo fosse', ma la cosa più terribile di tutte era che arrivavo a crederci anch'io.. ma mi dispiace deludere lei e i suoi inutili colleghi perché ho una nuova filosofia di vita >>
<< Ah davvero -dice raddrizzandosi meglio sulla poltrona- E, uhm, mi dica. Quale sarebbe? >>
<< Sono adulta e vaccinata, e credo che questo non sia argomento che la riguarda. Mi sono ripulita, sono ritornata a lavorare e se voglio avere una relazione l'avrò. Okay? Okay >> dico.
<< Non credo che lei per la sua 'nuova filosofia di vita' abbia trovato un modo di evitare che le scoppi il cervello quando viene trasmessa De.. >> dice, ma la interrompo.
<< Non pronunci il suo nome. Questi sono i miei termini per presentarmi in questo inferno che lei chiama 'ufficio', quindi la smetta di renderla peggiore di quanto non sia già stata. Lei per caso ha perso suo marito? >> chiedo guardandola negli occhi.
<< Uhm, io veramente.. no >>
<< E allora non può certamente capire cosa ho provato, e cosa provo ancora. E non faccia la moralista, le odio. Ci vediamo la prossima settimana >> dico alzandomi, e prima ancora che lei riesca a parlare io mi sono congedata da sola e me ne sono uscita dal suo studio. Non saluto nemmeno l'uomo che mi ha accolto all'inizio, semplicemente preferisco andarmene via da lì. Ho bisogno di non pensare a DL e ai ricordi che rievoca. Il palazzo era pulito e mi dava una sensazione di libertà, tranne per il fatto che a qualsiasi piano che scendevo era ovunque la scritta della mia psicologa, e poco a poco mi sentivo un po' in colpa, anche se a dirla tutta non avevo torto. Insomma, mio marito era morto e lei giusto per vedere se ci tengo ancora riproduce la 'canzone maledetta', che tanto odio. Ma non ci saranno più lacrime a farmi dubitare di me stessa, stasera non voglio pensare più a niente. Me lo merito, non voglio soffrire. Credo di averlo fatto per un bel po' di tempo. Quando l'ascensore si ferma al piano terra, trovo Jonathan seduto su una poltrona a conversare con una donna poco più giovane di lui che ha gli auricolari e tiene in mano un cappuccino marcato Starbucks. Probabilmente se in quel momento Jonathan non ci provasse lo avrei dichiarato 'gay' dalla testa ai piedi. La donna sorrise alle sue battute un bel po' di volte, poi dopo svariati minuti mi avvicinai alla coppia, picchiettando sulla spalla del mio amico interrompendolo.
<< Andiamo tesoro? >> dissi accennando ad un sorriso.
<< Non mi avevi detto che tu eri fidanzato >> disse arrabbiata la ragazza.
<< Infatti, non è la mia ragazza! È la mia collega di lavoro >> disse Jonathan cercando di riparare la situazione.
<< Vogliamo andare? Non voglio aspettare altro tempo! >> continuai io insistente.
<< Almeno chiamami una di queste volte! >> disse Jonathan prima di aprirmi la porta e di andarcene via da lì.
<< Non credo che lo farà >> dissi gelida dandogli una pacca affettuosa sulla spalla.
<< Sii più buona Georgia! >>
<< Mi dispiace, quella Georgia buona che ricordi è morta ed è seppellita accanto alla tomba di suo marito >> dissi tranquilla, continuando ad andare avanti in direzione della macchina, mentre lui per pochi secondi era rimasto imbambolato. Entrammo in macchina e per tutto il tragitto fino a casa non regnò anima viva, non che la cosa mi dispiacesse. Quando arrivammo davanti a casa mia, Jonathan prima di farmi scendere mi diede un pacchetto.
<< Aprilo! >> disse divertito.
<< A patto che tu e Drew domani, mi farete partecipare al 'grande progetto segreto' >>
<< Andata! >> disse con enfasi.
In mano sembrava piuttosto pesante, certo un gioiello non poteva di certo essere, e neppure qualcosa di decorativo per la casa. Dopo un po' che ci pensavo e Jonathan che continuava a fissarmi con aria interrogativa, decisi finalmente di scartare il regalo: due libri. Uno intitolato 'Noi siamo infinito' ed un altro chiamato 'Il diavolo veste Prada'. Dal secondo libro avevano tratto il film con Anne Hatway, ma preferii non dirglielo, insomma si era impegnato tanto a riuscire a trovare qualcosa che potesse piacermi.
<< Ne hanno prodotto anche la versione cinematografica! >>
<< Wow. Davvero, non ne sapevo niente! >> dissi accettando i regali, fingendo di non sapere nulla al riguardo.
<< Chiamami o vienimi a trovare quando li hai finiti. Magari possiamo vederci insieme il film! >> disse salutandomi dalla macchina. Feci uno dei miei sorrisi più forzati possibili, ed annuii mentre entravo in casa mia. Gettai i libri sul divano e rimasi ad ascoltare la tranquillità che regnava nella casa. Con Chris non era affatto così, e ancora adesso rimpiango di non essere stata la moglie perfetta che avrebbe meritato. Insomma, tenevo in ordine la casa, cucinavo (beh, la maggior parte delle cose erano surgelate e riscaldate al microonde) ma avrei voluto essere migliore. Se non fosse stata per quel piccolo errore, se solo gli avessi detto di essere incinta a casa, forse entrambi tutti e due sarebbero vivi. Magari entrambi a giocare a calcio in giardino, oppure tutti e tre allo zoo, oppure a fare una gita in qualche città europea, a scattare foto buffe come farebbe una vera famiglia. Mi alzai dal divano, fino ad arrivare in cucina: volevo un the. Uno di quelli buoni, quelli che mi fa sentire ancora la sua presenza. Scaldai l'acqua e nel frattempo cercai negli scaffali una bustina, fino a trovare l'English Tea. Uno dei miei preferiti. Qualche minuto dopo, ero seduta sul tavolo della mia cucina a sorseggiare da sola un the, come una vecchietta londinese. Non è un buon modo di spassare la vita.

 

***

Papà e Katerine si erano fermati a cena, ovviamente sotto consiglio psicologico. La nuova compagna di mio papà aveva preparato l'arrosto con delle patate dolci, e mentre loro conversavano tranquillamente degli affari allo studio dentistico, io mi ero limitata a sferrare delle brutte occhiatacce ad entrambi e a distanziare le patate dolci dall'arrosto. Odio l'arrosto.

Dopo aver assunto le medicine, papà e Katerine decisero comunque di restare ancora qualche ora con me, così mentre loro sparecchiavano e lavavano i piatti (compito che avrei dovuto svolgere io, da brava padrona di casa) io ero spaparanzata sulla poltrona, sorreggendo il libro che mi aveva regalato Jonathan. Lettura prettamente adolescenziale, insomma questo ragazzo casualmente incontra questa coppia di fratellastro e sorellastra e diventa un cattivo ragazzo indipendente al fatto che la sua situazione famigliare non sia delle migliori. La sorella è una vera troia, il padre e la madre sono dei veri bastardi ipocriti, e Sam l'unica ragazza con cui il protagonista sogna davvero di avere una storia seria lo congeda solamente con un 'non pensare a me in quel modo'. Assurdo.
Alle due di mattina, papà e Katerine sono ancora abbracciati sul divano a guardare un film che danno alla TV, e dopo un bel respiro leggo le ultime righe del libro di Stephen Chbosky.
<< Oh, cazzo >> dico prendendo il libro in mano. Senza dare spiegazioni mi avvio verso la porta di casa, e mentre Kat e papà mi pregano di rientrare in casa perché sta diluviando, io accelero ancora di più il passo cercando di raggiungere la mia meta. Arrivata sul giardino di casa di Jonathan, prendo un bel respiro e fregandomene se il proprietario è sveglio o dorme, busso e citofono più e più volte fino a quando vedo l'uomo mezzo addormentato che mi apre la porta.
<< Vaffanculo! Si può sapere perché tu mi hai comprato questo libro, Jonathan? >> dico infuriata.
Mezzo rimbambito, lui mi guarda incerto sul da farsi. << Credevo che ti sarebbe piaciuto e che l'avresti letto! >> dice.
<< Certo, l'ho letto. Fino alla fine. E cazzo! L'inizio non era niente di che, solo questo sfigato che improvvisamente diventa amico di questa coppia di sorellastra e fratellastro. E fin qui tutto bene. Loro diventano amici per la pelle, e Sam quella brutta idiota gli dice che lui è troppo più piccolo di lei per stare insieme e Patrick è gay. Poi Sam e Charlie finalmente riescono finalmente a stare insieme dopo che lui era stato fidanzato con un'altra della compagnia e cosa succede? Lei deve partire per il college. E sai cosa succede? Pensi che adesso sia tutto perfetto, ma la famosa zia Helen che lui tanto ha amato da bambino.. beh, quella troia bastarda cagna ha abusato di lui. Quindi Jonathan, la prossima volta informati prima di regalarmi un libro! >> dico tirandogli il libro addosso.
<< E tu sei venuta fino a qui per dirmi questo? >> chiede perplesso.
<< Si. Così che la prossima volta non succeda più. Sono stata chiara? >> dico minacciosa. Lui a quel punto rientra in casa, e quando credo che se n'è andato, torna con una coperta in mano.
<< Avanti, non fare la mocciosa. Torniamo a casa! >> dice avvolgendomi.
<< No! No! No! >> dico, ma incosciente crollo addormentata tra le sue braccia, e tutto quello di cui sono sicura è che è quasi l'alba.

 

***

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Thelooking