Ciao a tutti! Ecco a voi il terzo capitolo della mia storia, fortunatamente sono riuscita a non farvi aspettare secoli come l'altra volta! E' un capitolo di transizione, quindi mi scuso in anticipo se non troverete svolte importanti nella trama, la grande svolta ci sarà nel prossimo, ma nell'attesa spero che troverete comunque questo capitolo interessante e che vi invogli a leggere il quarto :-) Ringrazio tutti coloro che hanno speso il loro tempo a leggere la mia fan fiction, coloro che l'hanno aggiunta alle seguite e un grazie particolare a the best che ha commentato lo scorso capitolo: grazie mille, davvero, spero sinceramente che "la trappola del Sith" ti piaccia e continui ad accendere la tua curiosità per il seguito!
Auguro a tutti una buona lettura e spero di sapere le vostre impressioni su questa storia :-)
3_La
trappola del Sith
La
navicella filava a velocità sostenuta da un’ora,
schivando meteoriti e
superando pianeti, passando inosservata. Il Cavaliere Jedi
all’interno
dell’abitacolo aspettava con una serafica pazienza di
giungere alla sua meta,
risparmiando le forze per la delicata missione che gli si prospettava.
La sua destinazione
era Geonosis, il piccolo pianeta quasi desertico abitato da una
popolazione
barbara, che era stato sede del Consiglio dei Separatisti.
Obi-Wan
non poteva non fare dei paragoni tra il presente e l’ultima
volta che era stato
su quel pianeta. All’epoca stava cercando di scoprire cosa
minacciasse la
Repubblica, chi fosse il misterioso pericolo che restava acquattato
nell’ombra,
ed era certo che qualunque cosa si fossero ritrovati ad affrontare,
avrebbero
saputo come fronteggiarla. Mai, nemmeno nei suoi incubi peggiori,
avrebbe
immaginato una tale disfatta. Ma soprattutto, mai avrebbe creduto che
il
tradimento che li avrebbe distrutti sarebbe giunto proprio da colui che
aveva cresciuto
come un fratello minore per tanti anni. Al Consiglio degli Jedi gli si
poteva
imputare la cecità davanti al Lato Oscuro che diveniva
sempre più forte proprio
nel cuore della Repubblica, ma Obi-Wan sapeva che a lui spettava una
colpa
unicamente sua, quella di aver fallito con il Prescelto. Lo aveva
educato
cercando di trasmettergli tutta la saggezza e la giustizia che un
Cavaliere
Jedi doveva avere, aveva cercato di instradarlo verso il suo destino,
il
destino di colui che avrebbe dovuto riportare equilibrio nella Forza, e
invece
lo aveva trasformato in un Sith. Il maestro Jedi non riusciva a farsene
una
ragione, né poteva credere a qualsiasi altra spiegazione che
non prevedesse la
sua parte di colpa in quella disgrazia.
Conosceva
il cuore di Anakin bene come pochi altri. Era lui che lo aveva visto
crescere,
che lo aveva aiutato a rialzarsi quando cadeva, che lo aveva corretto
quando
sbagliava ed elogiato quando migliorava. Ed era lui che non era
riuscito a
salvarlo dalla tentazione di quel Lato Oscuro che lo aveva traviato.
Motivo per
cui, spettava a lui correggere con ogni mezzo e ad ogni costo
quell’imperdonabile errore, partendo dal portare a compimento
con successo
quella missione.
Dal
pannello di controllo risuonò un “bip”.
Obi-Wan alzò lo sguardo e la vista di
Geonosis occupò la sua intera visuale. Avvicinandosi alla
plancia, prese il
comando della navicella e iniziò a cercare sul monitor un
posto nascosto dove
atterrare indisturbato. Individuata una piccola insenatura tra due
rocce di
rena rossa, si accinse a iniziare la manovra di atterraggio.
Una
volta a terra, con il cappuccio calato a nascondere il viso, si
incamminò verso
l’apertura che anni fa aveva sfruttato per entrare
nell’edificio principale
della capitale, posto tra le rocce. Dopo un’ora di ricerca,
riuscì a ritrovare
il passaggio ed entrò nell’edificio. Con i sensi
all’erta si appiattì contro la
parete e prestò attenzione a ogni rumore circostante,
aspettando di sentire
qualcosa che gli rivelasse la presenza delle guardie. In fondo al
corridoio
dove si trovava, dalla destra sentì provenire il rumore di
due voci che si
avvicinava, probabilmente una ronda. Il maestro si appiattì
ancora di più
contro la parete sul lato opposto alla loro direzione e poco dopo vide
oltrepassarlo due cloni, segno che Geonosis non era disarmata. Fece
mente
locale a dove fosse la stanza del server rispetto alla sua posizione.
Doveva
girare a destra e raggiungere il piano superiore, se non ricordava
male.
Facendo molta attenzione, si sporse dalla sua nicchia e, constatando
che la
strada era sgombra, si affrettò a percorrere il corridoio
facendo il minimo
rumore.
Grazie
ad una buona dose di fortuna e sensi affinati da anni di missione,
riuscì a
raggiungere l’anticamera del server senza doversi scontrare
con le guardie. Davanti
all’ultima porta che lo separava dalla sua meta
però, due cloni sorvegliavano
la zona con l’arma pronta. Lo Jedi si appiattì
contro la parete assicurandosi
che nessun altro fosse nei paraggi eccetto le due guardie, poi senza
perdere
altro tempo balzò fuori dal suo nascondiglio, la spada laser
già in mano. I due
cloni ebbero a mala pena il tempo di rendersi conto di essere sotto
attacco che
già giacevano a terra.
Un
gioco da
ragazzi.
Attaccò
un dispositivo al sistema di apertura elettronico e in breve
riuscì ad aprire
la porta della stanza del server. Trascinò i corpi inermi
dei cloni all’interno
per non allarmare chi eventualmente fosse passato dal corridoio e
chiuse la
porta.
Era
dentro, ce l’aveva fatta.
Delle
lampade rosse dovevano illuminare la stanza, ma la principale fonte di
luce
proveniva dai numerosi monitor addossati alle pareti. Si
avvicinò al computer
principale, posto in opposizione alla porta, e attaccò un
hard disk per
prepararsi a copiare i file che gli servivano. Il server ovviamente era
protetto da alcuni sistemi di sicurezza, ma dopo qualche minuto Obi-Wan
riuscì
a bypassarli ottenendo l’accesso ai dati conservati nella
memoria del computer.
Iniziò a cercare i files relativi alla Morte Nera, provando
alcune parole
chiave per affrettare la ricerca. Dopo quasi un quarto d’ora
però non aveva
ancora trovato nessun risultato collegato anche solo lontanamente
all’arma
dell’Impero. Lo Jedi batté un pugno accanto alla
tastiera per la frustrazione.
Maledizione!
Com’era possibile che nel computer centrale non risultasse
nessun file inerente
a quella dannata arma? Aveva accesso completo alla memoria di quel
server
eppure nessuna traccia dei files sulla Morte Nera. Che fossero stati
cancellati? Eppure era partito subito dopo aver ricevuto la notizia dal
loro
informatore, come avevano fatto a far sparire quei dati così
in fretta?
A
meno che…l’illuminazione gli giunse improvvisa
quanto allarmante. Quei files
non erano più lì da tempo. Le informazioni
trapelate erano false, il che poteva
dire soltanto una cosa. Era caduto in trappola.
Maledicendo
la sua avventatezza, Obi-Wan uscì fuori dalla stanza e
ripercorse il corridoio
di prima, i sensi alla massima allerta. Al momento il corridoio era
deserto, ma
il suo sesto senso gli diceva che non lo sarebbe stato a lungo. I suoi
nemici
stavano solo aspettando il momento più adatto per rivelarsi,
e probabilmente
quello era anche il motivo per cui aveva incontrato così
poche difficoltà a
raggiungere il server, gli avevano praticamente lasciato la porta
aperta.
A
pochi metri dalla nicchia dove si nascondeva il passaggio,
iniziò a sentire un
rumore di passi affrettati. Sei cloni si stavano schierando per
impedirgli di
raggiungere la sua uscita. Imprecando tra i denti, svoltò a
sinistra nel
corridoio, pensando febbrilmente ad un’altra via per fuggire
da lì. Da dove
poteva passare? Sicuramente tutti i passaggi in quel momento stavano
per essere
raggiunti dai cloni per sbarrargli la strada. Avrebbe potuto
affrontarli, un
manipolo di sei poteva batterlo senza molte difficoltà, ma
sapeva che prima che
avesse atterrato l’ultimo, ne sarebbero giunti degli altri e
in breve si
sarebbe trovato attorniato da un piccolo esercito. No, non poteva
permettersi
uno scontro frontale, doveva trovare un altro modo, ma quale?
A
un tratto un fiotto di luce proveniente da sinistra illuminò
il corridoio prima
in penombra. Obi-Wan si volse in quella direzione senza pensarci,
sperando che
portasse a un’uscita o a una finestra. La luce del sole lo
inondò e lo Jedi
dovette socchiudere gli occhi per non restare abbagliato. Si trovava
sul
balcone che dava all’arena che tempo prima era stata il
teatro della
fortunatamente mancata esecuzione di Padmé, Anakin e sua.
Obi-Wan tirò un lieve
sospiro di sollievo, pensando che era salvo, era fuori, ora doveva solo
arrampicarsi verso la sommità dell’arena e calarsi
giù. Tirò fuori il piccolo
rampino dalla tasca del mantello, ma quando iniziò a farlo
roteare, una voce
dall’interno del corridoio, lo bloccò.
“Ho
aspettato con ansia questo momento. Non vorrai andartene via
così presto,
maestro” anche senza il sarcasmo a calcare
sull’ultima parola, quella voce non
avrebbe potuto confonderla tra altre mille. Era la voce che aveva
sentito
accanto a se per gli ultimi dieci anni, la voce che aveva sentito amica
innumerevoli
volte alle sue spalle nei momenti di pericolo.
Obi-Wan
sospirò e rimise in tasca il rampino, ormai inutile. Certo,
avrebbe dovuto
immaginarlo che non avrebbero mandato dei semplici cloni per coglierlo
in
trappola. Probabilmente era stato proprio lui la mente di quel piano,
era
sempre stato molto brillante, non se ne sarebbe stupito. Con un sorriso
tra il
sarcastico e lo sconfortato per quella situazione straniante, si volse
verso la
fine del balcone.
Anakin
Skywalker, il suo vecchio padawan, lo fronteggiava a testa alta, le
mani
incrociate sul petto, gli occhi fissi su di lui. Si costrinse a
incrociarne lo
sguardo, anche se una parte di lui temeva ciò che avrebbe
visto, un odio
causato da una mole di meschine bugie. Un odio che nasceva da una
ferita
profonda che lo dilaniava, il dolore di aver perso tutto ciò
che gli era più
caro, e che, nel precipizio in cui era caduto, aveva gettato su di lui,
come se
trovare un bersaglio lo potesse aiutare a riemergere dalla
profondità in cui
era. Peccato che avesse individuato il bersaglio sbagliato, il vero
colpevole
era colui che adesso chiamava Maestro e che ancora continuava a
ferirlo,
torturando la sua anima senza che nemmeno se ne rendesse conto.
Kenobi
provò una fitta al petto a vederlo ridotto così,
ma quello che più lo ferì fu
la consapevolezza che avrebbe di nuovo dovuto battersi con lui.
“In
realtà stavo proprio per togliere il disturbo, Anakin.
Quello per cui ero
venuto evidentemente non c’è, quindi non ho altri
motivi per trattenermi, se non
ti spiace” temporeggiò simulando un tono ironico,
mentre faceva un passo
all’indietro, verso la balaustra.
Il
commento non strappò nessuna espressione al giovane. Il suo
viso sembrava fatto
di pietra, nessuna emozione trapelava dalla linea dura della mascella,
né
preoccupazione per lo scontro, né altro, eccetto una rabbia
sorda e una ferrea
determinazione.
“Te
ne do uno io allora. Devo restituire il favore dell’ultimo
scontro” ribatté il
ragazzo, sottintendendo la gamba sinistra che Obi-Wan gli aveva reciso
durante
il loro ultimo duello su Mustafa.
Lo
Jedi scosse la testa. “Non hai ancora imparato Anakin?
Conserva l’altra gamba e
lasciami andare. Non è necessario battersi”
cercò di persuaderlo.
Lord
Vader questa volta si lasciò sfuggire un sorriso caustico.
“Lo hai reso
necessario nel momento in cui hai deciso di metterti contro
l’Impero”.
Obi-Wan
fece un altro passo verso il parapetto. “Non è per
l’Impero che sei qui ora,
Anakin. Sei qui per vendetta, per combattere contro di me
perché credi ti abbia
tradito e non vedi che sei tu ad aver tradito me, il Consiglio e la
Repubblica”
l’uomo stava parlando per prendere tempo, ma mentre le parole
gli uscivano di
bocca si accorse che aveva bisogno di gridargli in faccia le accuse che
nella
sua mente gli rimbombavano da mesi. “E soprattutto, con il
tuo comportamento,
hai tradito Padmé” concluse, guardandolo con
tristezza.
Il
viso del giovane a quel nome si contrasse in rabbia e dolore. Come
osava
proprio lui rinfacciargli di averli traditi quando erano stati loro a
lasciarlo
solo, a non credere che la parte che aveva scelto fosse quella giusta?
Sentì
l’ira montargli dentro, la sentii bruciargli le vene e dargli
la spinta che gli
serviva per fare ciò che doveva. Basta ora, il tempo delle
parole era finito.
Con
un urlo di frustrazione, si lanciò contro il vecchio Jedi ed
estrasse la sua
nuova spada laser, il cui colore rosso sanciva la sua svolta definitiva
al Lato
Oscuro della Forza. Alla vista di quel colore sanguigno, Obi-Wan ebbe
un’altra
fitta, ma si riprese in fretta per non permettere al suo avversario di
sfruttarla come un vantaggio. Parlando era giunto dove voleva lui,
attaccato
alla balaustra, così anziché essere costretto a
rispondere all’assalto in
quella posizione svantaggiata nell’angolo come Anakin si
aspettava, saltò
all’indietro verso le gradinate più basse,
prendendolo in contropiede.
Sfruttando la Forza, riuscì con una capriola ad atterrare
diversi metri più in
basso, verso un altro balconcino, e da lì saltò
di nuovo verso il cuore
dell’arena. Atterrato sulla sabbia, estrasse a sua volta la
spada laser e si
mise subito in posizione di difesa, sapendo che il suo vecchio padawan
non
avrebbe esitato a lungo per raggiungerlo. Skywalker era già
sulla balaustra
pronto a inseguirlo appena aveva toccato terra. Anakin si
lanciò nel vuoto e
con un’unica capriola raggiunse il suolo. Si squadrarono per
un breve istante,
poi non ci fu più tempo nemmeno per pensare.
Anakin
partì alla carica con un affondo dall’alto, ma
Obi-Wan era pronto a riceverlo.
Parò senza difficoltà il colpo e
cominciò ad incalzarlo a sua volta con una
serie di affondi laterali. Per un qualche momento le loro forze parvero
pareggiarsi. Il loro modo di combattere era quasi identico, il che
bilanciava
gli attacchi. Ad ogni affondo corrispondeva una parata precisa e
nessuno dei
due era intenzionato a cedere terreno, finendo per girare intorno ad
una linea
immaginaria che costituiva il loro perimetro
di combattimento. Dopo una serie di attacchi
però, una differenza
cominciava a farsi notare. Mentre Anakin continuava a colpire con un
ritmo
serrato, senza risparmiarsi, Obi-Wan cominciava a respirare con
più fatica. Il
Sith se ne accorse e decise che non potendo puntare su una falla nella
scherma
dello Jedi, avrebbe allora sfruttato la sua maggior resistenza.
Scartò di lato,
cogliendo impreparato Obi-Wan, e riuscì a colpirlo con un
calcio in pieno
petto. All’uomo si mozzo il respiro e sentì un
“crack” all’altezza delle
costole. Gli si appannò la vista e quasi non si accorse di
essere stato buttato
a terra un paio di metri indietro. Cercò di rimettere aria
nei polmoni, ma una
fitta terribile lo trafisse come un pungiglione. Tuttavia, temendo che
Anakin
non gli avrebbe lasciato il tempo per riprendersi, si
affrettò a rimettersi in
piedi nonostante il dolore lancinante al petto. Si rimise in posizione
di
guardia e squadrò con attenzione il suo avversario, che
palesemente soddisfatto
aspettava la sua risposta con aria imperturbabile.
L’arroganza che
quell’espressione celava era smascherata solo dalla postura.
Anakin,
rinvigorito da quel piccolo successo, aveva abbandonato la posa di
attacco.
Ma
come aveva fatto a diventare così dannatamente veloce? Quel
calcio non lo aveva
nemmeno visto arrivare! E com’era possibile che mentre lui
iniziava ad accusare
i primi segni della fatica dello scontro, Anakin sembrasse
perfettamente
riposato? Non erano passati che pochi mesi dall’ultima volta
che si erano
scontrati, e all’epoca lui era tatticamente più
forte del giovane Sith. Com’era
riuscito ad aumentare tanto rapidamente il suo potere?
Obi-Wan
si guardò attorno, iniziando a chiedersi quale potesse
essere la strategia
migliore per combatterlo. Non voleva vincerlo, gli sarebbe bastato
disarmarlo
per poi poter fuggire, non aveva nessuna necessità
né desiderio di fargli del
male. Ma se fosse stato costretto a scegliere tra la sua vita e la
propria…non
poteva permettersi di abbandonare la Resistenza e darla così
vinta all’Impero.
E guardando lo sguardo deciso del giovane, sapeva che Anakin non si
sarebbe
risparmiato.
Un
rivolo di sudore gli colò lungo la guancia. La domanda a
quel punto poteva
essere una sola. Se avessero entrambi dato il loro meglio, chi dei due
ne
sarebbe uscito vincitore?
*
“Senatrice
Amidala! Senatrice!”
La
voce affannata di Jousha si riverberò per quasi tutto il
palazzo e raggiunse la
mia camera molto prima che il ragazzo ci si fiondasse fisicamente
dentro.
“Senatrice”
annaspò il povero giovane sorreggendosi allo stipite della
porta.
Allarmata
dal suo tono di voce, scattai in piedi dal pavimento su cui ero seduta
accanto
ai bambini e Lavel. Cosa diamine era accaduto per provocare tanto
scompiglio?
“Jousha,
cosa succede? Siamo sotto attacco?” domandai, avanzando di un
passo verso di
lui.
Il
ragazzo scosse la testa castana, diminuendo almeno un poco la mia
ansia. Bene,
non eravamo stati scoperti, ma a parte la notizia di un attacco
cos’altro
poteva essere di tanto orribile da farmi chiamare in tutta fretta?
“Senatrice,
abbiamo appena ricevuto un messaggio criptato da Ezac, Darth Vader
è partito
con un gruppo di soldati per Geonosis poco fa!”
Gelai
sul posto. Anakin…verso Geonosis? Poteva esserci solo una
spiegazione per
andare improvvisamente su quel pianeta.
Senza
chiedergli ulteriori informazioni, iniziai a correre verso la sala del
Consiglio, dove ero certa che avrei trovato il maestro Yoda e Taomar.
I
due infatti mi stavano aspettando accanto alla nostra ricetrasmittente,
la
preoccupazione dipinta sul volto.
“è
vero quindi? Anakin sta andando a Geonosis?” domandai senza
inutili preamboli.
Yoda
mi guardò, uno sguardo grave, carico di tensione e amarezza.
“Una trappola, il
giovane Skywalker, teso ci ha”.
“Una
trappola?” chiesi, confusa.
Taomar
avanzò di un passo verso di me, pallido. “A quanto
pare, le informazioni che
abbiamo ricevuto erano state fatte trapelare apposta per mandare il
maestro
Kenobi a Geonosis” rivelò.
Strabuzzai
gli occhi. “Cosa? E come…” ma la
risposta mi giunse in mente prima che finissi
la frase. Ma certo, come avevamo potuto essere così ingenui
da credere che i
piani dell’arma più potente dell’Impero
fossero stati lasciati incustoditi su
un pianeta qualsiasi? La nostra disperata ricerca di un aiuto ci aveva
reso
ciechi di fronte a quello che avrebbe dovuto essere ovvio.
“Diegora è stato
scoperto. Gli hanno passato delle informazioni false”
commentai.
Taomar
annuì. “Per fortuna, l’altra nostra spia
non è stata ancora smascherata ed è
riuscita a comunicarci che una mezz’ora fa Lord Vader
è partito per Geonosis
per catturare Kenobi”.
Mi
passai una mano sul viso e cominciai a riflettere. Obi-Wan era partito
due ore
fa, non c’era modo di avvertirlo per tornare indietro
poiché, per essere sicuri
che il radar della navicella non venisse rintracciato dalle guardie
dell’Impero,
aveva deciso di tenere spente le comunicazioni, però se
partivo immediatamente
avevo solo una mezz’ora di svantaggio rispetto ad Anakin per
raggiungere lo
Jedi per prima. Con una navicella piccola e veloce avrei potuto farcela.
“Voglio
una nave pronta a partire all’hangar tra dieci minuti con un
equipaggio di una
decina di uomini” ordinai, iniziando a dirigermi verso
l’armeria.
Taomar
mi si accostò preoccupato. “Milady, non
è una scelta saggia, se veniste
catturata anche voi, tutto quello che abbiamo fatto finora risulterebbe
inutile” obiettò.
Gli
risposi senza nemmeno fermarmi. “Non intendo discutere sulla
mia decisione. Se
prendono il maestro Kenobi, siamo comunque perduti”.
“Ma…”
cercò di protestare, ma fu interrotto dal maestro Yoda.
“La
sua decisione la senatrice preso ha. Noi solo aiutarla a salvare
Obi-Wan possiamo”
decretò.
Mi
permisi un breve sorriso di gratitudine per l’appoggio del
maestro che convinse
Taomar a non perdere altro tempo in chiacchiere e a disporre i
preparativi per
la missione. Intanto io mi diressi assieme al maestro verso il deposito
armi, anche
se in cuor mio speravo di non doverne aver bisogno arrivando prima del
nostro
nemico.
“Senatrice
Amidala, per voi più che per chiunque altro questa missione
penosa è. Se in
difficoltà vi troverete, ricordate per cosa
lottate”.
A
quel consiglio mi bloccai un istante a riflettere. Guardai il maestro e
lessi
in quello sguardo secolare i sottintesi di
quell’avvertimento. La difficoltà
più grande in cui potevo trovarmi era quella di scontrarmi
direttamente con
Anakin. Sarei riuscita in quel caso a portare a termine la mia
missione? Sarei
riuscita a mettermi apertamente contro di lui o peggio, a lottare
contro mio
marito? Al solo pensiero di uno scontro diretto, il mio cuore tremava.
Saremmo
davvero giunti a quello? Pregai intensamente che il fato non mi
mettesse
dinanzi a tale prova perché anche se avessi trovato la forza
per lottare contro
di lui, non sapevo come avrei potuto convivere con quel fatto dopo. Di
una cosa
sola ero certa però.
“Salverò
Obi-Wan, maestro, di questo non dovete dubitare”.
Esattamente
dieci minuti dopo, ero seduta al posto del co-pilota di una delle
navicelle più
veloce dell’hangar pronta ad iniziare le manovre di decollo.
Una decina di
soldati erano stati subito pronti ad accettare di accompagnarmi in
quella
missione di salvataggio mentre io mi ero limitata a prendere due
pistole laser
dall’arsenale prima di partire. Guiwo, il pilota,
inserì le coordinate verso
Geonosis mentre il tetto della piattaforma di decollo si apriva. Cinque
secondi
dopo stavamo decollando verso la nostra meta.
“Tenendo
una velocità sostenuta arriveremo a Geonosis in meno di
un’ora, Milady” mi
informò il ragazzo seduto alla mia sinistra. Annuii
soddisfatta. Potevamo
farcela, potevamo raggiungere Obi-Wan prima delle forze
dell’Impero.
Stavo
cercando di atteggiare il viso a un’espressione impassibile,
sapevo che era
necessario mostrarmi sicura di me davanti ai soldati per infondergli
fiducia
nel successo della nostra missione, ma l’agitazione mi
stringeva lo stomaco
come una morsa. Temevo di arrivare troppo tardi per salvare Obi-Wan, di
apprendere che era già stato catturato una volta atterrati
o, prospettiva
peggiore di tutte, trovarmi in mezzo ad uno scontro a fuoco. Quello era
lo
scenario che assolutamente dovevo evitare. La nostra era una missione
di soccorso,
doveva intrufolarci a Geonosis e avvertire lo Jedi passando
inosservati.
Eravamo troppo pochi per permetterci uno scontro diretto, saremmo morti
tutti
inutilmente.
Torturata
dall’ansia, mi alzai in piedi e mi diressi verso una delle
vetrate laterali della
nave che mostravano milioni di stelle e pianeti sfilarci accanto in una
scia
senza fine. Mi massaggiai le tempie con le dita, cercando di scacciare
lo
scenario di cui più avevo paura. Anakin davanti a me, con lo
sguardo carico
d’odio e rabbia come l’ultima volta che lo avevo
visto. Anakin che dava
l’ordine di uccidere i miei uomini ma che sapevo non avrebbe
mai ucciso me. Ma
una volta risparmiata cosa sarebbe successo? Come si sarebbe
comportato?
Davvero avrebbe mantenuto quella maschera terribile di odio? E ai
bambini quale
sorte sarebbe toccata? Avrebbe chiesto di loro, li avrebbe voluti con
sé?
Appoggiai
la fronte al vetro angosciata da quei mille interrogativi. No, non
potevo
permettere che si verificasse ciò. Avrei trovato Obi-Wan e
lo avrei riportato a
Giano. Fine.
“Senatrice,
siamo arrivati”.
La
voce di Guiwo mi riportò alla missione presente.
“Bene,
iniziate le procedure per l’atterraggio ma
scegliete…” fui interrotta dal
dispositivo di allarme che iniziò a suonare.
Mi
precipitai al pannello di controllo per capire cosa lo avesse fatto
scattare.
Il radar lampeggiava catturando la nostra attenzione e segnalando due
grosse
navi poco lontane dall’edificio centrale di Geonosis. Mi
morsi il labbro quasi
fino a farlo sanguinare. Poteva significare solo una cosa,
l’Impero aveva
preceduto il nostro arrivo sul pianeta. Non restava da sperare che non
ci
avessero preceduti anche nel trovare Obi-Wan.
“Rintraccia
il segnale della navicella del maestro Kenobi e del rilevatore che ha
sulla
cintura. Dobbiamo vedere se è ancora sul pianeta e
dove” ordinai. Avevo il
cuore in tumulto ma la mia voce era fredda e ferma, non era il momento
per
farsi prendere dal panico.
Guiwo
iniziò subito a rintracciare i due segnali dello Jedi
trovandoli quasi
immediatamente.
“La
navicella è depositata in un anfratto poco distante da
qui” sullo schermo
apparve l’immagine di una nicchia tra le rocce, un luogo
ideale per atterrare
senza essere visti. “Il segnale di Kenobi invece sembra venir
emesso da un
punto dell’edificio, questo” l’immagine
della navicella scomparve, sostituita
da una pianta dell’edificio di comando della
città. Un punto lampeggiante rosso
indicava la posizione dello Jedi in uno spazio circolare ampio. Ci misi
un
istante per capire dove si trovasse. Era il disegno
dell’arena dove qualche
anno prima i mercanti e il conte Duko avevano cercato di giustiziare
Obi-Wan,
Anakin e me. E un brutto presentimento mi suggeriva che anche questa
volta in
quel punto esatto lo Jedi doveva trovarsi in una brutta situazione.
“Dobbiamo
raggiungerlo. L’arena è all’aperto, se
riusciamo ad aggirare i radar delle due
navi dell’Impero finché non ci troviamo sopra,
possiamo avvicinarci al terreno
quel tanto che basta per permettere a Obi-Wan di salire su per poi
allontanarci
il più velocemente possibile.” Organizzai sul
momento, analizzando velocemente
la situazione.
Guiwo
mi lanciò uno sguardo preoccupato. “è
un piano rischioso, senatrice. Appena i
loro radar ci individueranno, ci salteranno addosso. Inoltre non
sappiamo in
che situazione sia il maestro, se fosse circondato da un esercito noi
non
potremmo fare niente” obiettò.
Sbattei
il palmo contro il sedile vuoto del co-pilota, irritata per quelle
considerazioni ovvie. “Lo so Guiwo, ma è il solo
piano che abbiamo, l’unica
possibilità per salvare Kenobi. O preferisci tornare
indietro e raccontare che
siamo venuti fin qui per scappare con la coda tra le gambe alla vista
di un
paio di navi dell’Impero?” lo sfidai.
Il
ragazzo abbassò lo sguardo, annuendo passivamente. Una
piccola parte di me si sentì
in colpa per aver sfogato su di lui la mia frustrazione, dopotutto
potevo
comprendere i sentimenti del giovane. Nessuno si butta entusiasta in
una
missione potenzialmente suicida, ma non avevamo altra scelta.
Stando
attenti a non entrare nel raggio del radar nemico, sorvolammo sopra
l’edificio
fintanto che non giungemmo in prossimità
dell’arena. Ordinai ai soldati sulla
nave di tenersi pronti a far fuoco, quattro avrebbero usato le
munizioni della
navicella, gli altri cinque si sarebbero schierati con me davanti al
portellone
una volta aperto per sparare a chiunque avremmo incontrato.
Quando
fummo pronti, con un cenno a Guiwo gli ordinai di dirigersi senza
esitazione
sopra l’arena. Da quel momento in poi eravamo visibili alle
navi nemiche,
avevamo i minuti contati. Con il cuore in gola e temendo ciò
che ci aspettava,
aprii il portellone, aggrappandomi ad una delle maniglie sul soffitto
della
nave per non rischiare di cadere. Quando il portellone fu spalancato
però, lo
spettacolo che mi accolse fu ben diverso da quello che mi aspettavo.
L’ultima
volta che ero stata in quell’arena, infuriava una guerra, la
prima dove i
droidi distruttori dei Separatisti e i cloni, all’epoca al
servizio della
Repubblica, si erano scontrati. La vita di due Jedi e la mia era stata
salvata
dall’intervento propizio degli Jedi che erano arrivati con un
esercito intero
per combattere il conte Duko.
Quella
volta però non erano due eserciti a fronteggiarsi su
quell’arena, ma solo due
uomini e due spade laser che si colpivano e schivavano con
un’abilità
consumata. Il cuore mi balzò in gola riconoscendoli. Uno dei
due, era Obi-Wan,
che si batteva con una tecnica affinata negli anni e per niente
intaccata
dall’età. L’altro, armato di una spada
rossa come la collera che lo animava,
era colui che avevo temuto di rincontrare. Anakin, anche se di lui
sembrava non
essere rimasto che l’aspetto dalla furia cieca con cui si
muoveva.
Per
ironia del destino, quell’arena sembrava aver riportato in
scena i tre
protagonisti dell’ultima battaglia che aveva visto, ma i
ruoli non potevano
essere più diversi dall’ultima volta. Il maestro e
il suo allievo, quasi più un
padre e un figlio, si battevano in un duello mortale, animati dal
rancore e
dalla delusione reciproci, ed io mi ritrovavo a fissare il mio unico
amico e
mio marito combattersi tra loro, sapendo di dovermi schierare da una
delle due
parti.
Pur
con tutta la sua bravura, Obi-Wan era visibilmente in svantaggio. Si
limitava a
parare e ad arretrare dinanzi agli assalti di Anakin, il quale non
retrocedeva
di un passo. Sgomenta, mi domandai se davvero sarebbe stato capace di
ucciderlo, giunti alla fine del duello. Il mio Anakin avrebbe rischiato
la vita
per il suo maestro, ma il Sith fin dove era capace di spingersi?
Decisi
che non gli avrei dato l’occasione per dimostrarmelo. Sarei
intervenuta prima.
Facendo appello a tutta la mia forza d’animo, alzai la
pistola mentre la
navicella si abbassava ancora di più. Sapevo che ci avevano
visto, ma i due
Jedi erano talmente concentrati nello scontro che nessuno dei due ci
aveva
analizzato abbastanza per capire chi dei due eravamo venuti ad aiutare,
il che
mi dava tempo per prendere la mira con calma. Il cuore mi tremava ma la
mano
era ferma. Doveva esserlo, avrei mirato alle gambe di Anakin, anche se
ero certa
che con i sensi sviluppati degli Jedi lui avrebbe percepito e parato il
colpo,
non avrei mai rischiato di puntare a una parte vitale. Non volevo
nemmeno
ferirlo, il mio scopo era quello di distrarlo per dare il tempo
sufficiente ad
Obi-Wan di allontanarsi, accorgersi di noi e saltare sulla nave.
Avrei
sparato a mio marito, ma lo facevo per salvare un amico e per salvare
Anakin da
se stesso. Gli avrei tolto la possibilità di compiere un
gesto per il quale
sapevo che si sarebbe pentito per tutta la vita, anche se adesso,
accecato
dalle bugie di Palpatine, non lo avrebbe mai ammesso.
Lo
faccio per
noi, Ani.
Il
colpo partì. Mi si bloccò il respiro per un
istante, mentre aspettavo di vedere
cosa sarebbe accaduto. Come a rallentatore vidi Anakin voltarsi
immediatamente
verso la direzione del colpo e, come avevo previsto, pararlo senza
difficoltà.
Allora, sicura di non averlo ferito, rilasciai il respiro, ma fu il
sollievo di
un attimo, prima di incrociare due iridi sgomente che mi bruciarono
l’anima.
I
nostri sguardi si incontrarono ed io lessi lo stupore e il dolore del
tradimento nei suoi occhi e ne fui distrutta. Dal suo punto di vista,
io, sua
moglie, gli aveva sparato per proteggere Obi-Wan. Mi resi conto che
anche se
non lo avevo ferito fisicamente, gli avevo inferto una cicatrice molto
più
profonda nell’animo. Mi chiesi se prima o poi sarebbe
riuscito a capire il
perché del mio gesto e a credere che lo avevo fatto per lui.
Sarebbe riuscito a
comprendermi e perdonarmi? Ma c’era dell’altro
oltre l’ira, lo intuivo più che
vederlo nel retro del suo sguardo. Uno struggimento, un bisogno
disperato…o mi
stavo immaginando tutto?
Il
braccio di un soldato mi circondò la vita e mi spinse
all’interno della
navicella, rompendo quel contatto visivo che mi stava scavando dentro.
Poco
dopo un rampino si attaccò alla base del portellone. Tre dei
soldati corsero ad
afferrare la corda sulla quale il maestro Jedi si stava arrampicando.
Quando
Obi-Wan fu issato sulla navicella, il portellone fu richiuso e Guiwo
inserì
senza esitazione le coordinate per Giano. Nessuno osò dire
nulla, tesi alla
prospettiva di avere le navi dell’Impero alle calcagna. Ma
dopo un quarto d’ora
di navigazione spedita verso il nostro rifugio, fu chiaro che nessuno
ci stesse
inseguendo. A quel punto tutti tirammo un sospiro di sollievo.
Lanciai
a Obi-Wan un’occhiata carica di sollievo che lui
ricambiò a pieno. Non sapevo
come, ma ce l’avevamo fatta. Eravamo riusciti a sottrarre lo
Jedi sotto il naso
dell’Impero con solo una decina di soldati. Probabilmente ci
eravamo riusciti
solo perché ci avevano sottovalutato. Nessuno aveva previsto
che saremmo stati
così avventati da correre in suo soccorso in evidente
inferiorità numerica,
pensando che avremmo lasciato lo Jedi al suo destino e questa era stata
la nostra
carta vincente.
“Stai
bene?” chiesi, facendo scorrere lo sguardo sulla figura
evidentemente provata
dell’uomo.
Obi-Wan
annuì, massaggiandosi il petto. “Solo qualche
ferita superficiale. Più che di
un dottore ho bisogno di una buona dormita.”
Minimizzò, anche se intuii che mi
stava mentendo. Prima che potessi continuare a indagare però
mi chiese come fossimo
riusciti a intervenire così tempestivamente. Gli raccontai
della falsa pista
lasciata per Diegora e della trappola tesa per lui e il maestro
annuì con aria
grave, confessando che lui stesso si era reso conto
dell’inganno solo quando
aveva trovato vuoto il server centrale.
“Siamo
stati degli stupidi, non possiamo permetterci un errore simile
un’altra volta”
affermò con amarezza.
Concordai
annuendo, anche se al momento erano altri i pensieri che mi
tormentavano. Lo
spettacolo a cui avevo assistito era stato già fin troppo
scioccante di per sé,
eppure sentivo il bisogno di sapere altro su… lui. Il
masochismo evidentemente
non conosceva limiti.
“Obi-Wan,
credi che…” mi interruppi, cercando di formulare
una frase coerente che desse
voce al turbine delle mie riflessioni. “Credi che sarebbe
andato fino in fondo
nel duello?” riuscii a dire infine.
Lo
Jedi sospirò e il suo sguardo si perse a fissare il
pavimento della navicella,
quasi cercasse sul metallo una risposta al mio interrogativo.
“Sinceramente
non lo so Padmé. Anakin non lo avrebbe fatto, ma il ragazzo
con cui mi sono
scontrato era un’altra persona…è
un’anima persa in questo momento. Ha tanta
rabbia e tanto dolore dentro l’animo e non sa dove
indirizzarli per sfogarsi.
Ha bisogno di pace, di qualcosa che lenisca il suo tormento e crede che
sconfiggere noi gli darà il sollievo che cerca, o per lo
meno di questo lo ha
convinto l’ex-Cancelliere. Non sa che si sta sbagliando,
è accecato dai suoi
errori”. Considerò amaramente.
Ripensai
alla fugace impressione che avevo avuto quando ci eravamo fissati, allo
struggimento che credevo di aver scorto. Obi-Wan aveva ragione. Era
un’anima
persa. Il cuore mi si strinse ancora di più.
Oh
Ani…
*
Le
mani gli prudevano. Sentiva il bisogno di uccidere qualcuno, o quanto
meno di
ferirlo molto gravemente. Quello che era successo aveva un responsabile
e
l’avrebbe pagata cara. Il suo piano ben congegnato era
sfumato tutto a causa di
un’unica persona e quando l’avrebbe avuta tra le
mani, avrebbe rimpianto
amaramente le sue decisioni.
“Mio
Signore, ecco la spia dei Ribelli”. Uno dei cloni
entrò nella stanza
rettangolare tenuta in penombra, trascinando malamente per un braccio
un uomo
sulla trentina di corporatura esile che scaraventò
all’interno.
L’uomo
fu fatto sedere sull’unica sedia posta al centro della
stanza.
Anakin,
appoggiato alla parete opposta alla porta con le braccia conserte, si
staccò
dal muro entrando nel piccolo cono di luce della lampada posta al
centro del
soffitto, mostrandosi davanti alla sua vittima che cercava di mantenere
un
atteggiamento composto nonostante l’evidente tremolio delle
mani rivelasse la
sua paura. Sapeva di essere condannato. Nessuno tradisce
l’Impero restando
impunito.
Lo
squadrò per un istante. Non rammentava di averlo visto prima
a bordo della sua
nave, era stato abile a passare inosservato, finché non era
stato beccato dalle
telecamere di sorveglianza mentre inviava un messaggio ai Ribelli
rivelandogli
il loro piano su Geonosis. Un errore da principiante, probabilmente
causato
dall’urgenza del contenuto del messaggio. Con la sua mossa
aveva consentito
alla Resistenza di salvare Obi-Wan, purtroppo per lui gli sarebbe
costata la
vita.
“Come
ti chiami?” la voce di Anakin suonò secca come uno
schiocco di frusta.
Il
pover’uomo sobbalzò, tuttavia riuscì ad
avere abbastanza presenza di spirito da
rispondergli con arroganza. “Che differenza fa sapere come mi
chiamo? Sono
comunque un uomo morto”.
Il
Sith si lasciò sfuggire per un secondo un sorriso vagamente
divertito dalla
risposta impertinente. Avanzò di un passo, portandosi
davanti a lui, le braccia
tenute dietro la schiena con noncuranza.
“Vero”
concordò “ma sono certo che per te farebbe
un’enorme differenza morire di una
morte veloce e quasi misericordiosa e morire dopo una lenta e
prolungata agonia
per nascondere qualche piccola informazione”
osservò con una calma che rese la
minaccia ancora più temibile.
Il
Ribelle deglutì a vuoto e iniziò a sudare freddo.
Sapeva perfettamente quanto
l’Impero potesse essere zelante nel torturare un uomo per
ottenere ciò che
voleva. Era pronto a morire per la sua causa, ma quanto a lungo poteva
resistere alla tortura?
“E…Ezac”
balbettò.
Il
Sith soppesò l’uomo, chiedendosi se avrebbe ceduto
così facilmente anche al
resto dell’interrogatorio. Una parte di lui si augurava di
no. Aveva davvero
bisogno di sfogare la collera che proprio quel patetico essere aveva
causato.
“Bene
Ezac, ora sei consapevole che con il tuo messaggio hai mandato a monte
un piano
studiato e messo in atto da me in persona? Questo già di per
se meriterebbe una
giustizia lenta ed esemplare” Ezac tremò ancora di
più sulla sedia, mentre la
voce fredda di Anakin proseguiva impietosa. “Tuttavia voglio
essere generoso,
mi serve solo un’informazione da te, dammela e ti prometto
una morte rapida e
indolore.” Il ragazzo si avvicinò al prigioniero
fino ad arrivargli a distanza
di un passo. Lo squadrò dall’alto, senza
preoccuparsi di celare il disprezzo
che nutriva per quel Ribelle traditore. “Su quale pianeta si
nasconde la
Resistenza?”.
La
domanda aleggiò nella stanza buia mentre vittima e
carceriere si
fronteggiavano, il primo sostenuto dall’ultima cosa che gli
era rimasta e che
non voleva perdere, la fedeltà alla sua causa,
l’altro dalla tenacia della sua
missione, una tenacia che non avrebbe accettato ostacoli.
Passarono
una manciata di minuti in silente attesa, l’aria si
impregnò di tensione ma
nessuno proferiva parola seppur oppresso dalla consapevolezza di cosa
sarebbe
accaduto da lì a poco. Poi, quando fu chiaro che Ezac non
avrebbe parlato di
sua spontanea volontà, Anakin interruppe quel silenzio.
“Uscite”
un ordine secco immediatamente eseguito dai soldati che non avevano
alcun
desiderio di assistere all’epilogo di quello sventurato. Uno
degli uomini
scosse sin la testa, provando un moto di pena. Nessuno di loro avrebbe
osato
mettersi contro Darth Vader, quel Ribelle non sapeva a quale sorte il
suo
orgoglio lo avrebbe condotto.
Anakin
fece un profondo sospiro, considerando quanto stupidamente quel gruppo
di
fanatici fosse devoto alla sua causa per rifiutarsi di parlare persino
sapendo
di non aver più nessuna speranza di salvezza. Pazienza, lui
avrebbe comunque
avuto le informazioni che gli servivano.
E,
alla fine, avrebbe sfogato parte della sua frustrazione.
Una
mezz’ora più tardi, la porta d’acciaio
della stanza dell’interrogatorio si
aprì. I soldati che attendevano da mezz’ora in
tensione, scattarono
sull’attenti. Darth Vader uscì a passo deciso e li
squadrò brevemente. Alle sue
spalle, una stanza buia da cui proveniva un silenzio di morte, dopo che
era
stata riempita dalle urla strazianti di una sciagurata vittima. Ezac
aveva
resistito mezz’ora, poi era crollato a pezzi. La risposta
tanto conservata era
stata l’ultima cosa che aveva potuto pronunciare in un
rantolo.
Anakin
richiamò l’attenzione di Cordet con uno sguardo.
“Voglio
dieci navi pronte a partire tra tre giorni. Andiamo a Giano.”
Decretò, poi si
incamminò nel corridoio verso la sua stanza.
Per
la prima volta da giorni sentiva una strana euforia pervadergli le
membra.
Giano. Finalmente aveva la tana della Lega Galattica della Resistenza!
Li
avrebbe stanati come topi, avrebbe estirpato la ribellione dalle radici
e
finalmente avrebbe imposto con l’Imperatore la pace che tutti
loro volevano. Ma
soprattutto, avrebbe ritrovato lei. Sapeva che era là con
loro a combattere per
il ritorno della Repubblica. Per tutti quei mesi aveva vagato senza
meta nella
Galassia inseguendola, ma ora aveva una destinazione sicura. Solo tre
giorni lo
separavano da lei.
Cosa
avrebbe fatto una volta riavuta accanto a sé, ancora non lo
sapeva. Il ricordo
di Padmé sulla navicella, con la pistola laser puntata
contro di lui, lo rodeva
dentro. Non capiva come avesse potuto fargli una cosa del genere.
Sapeva che lo
amava, glielo aveva letto negli occhi persino mentre posava
l’arma, eppure gli
aveva sparato ugualmente. Per proteggere Obi-Wan poi,
l’artefice principale della
loro separazione! Lo amava, ma lo aveva tradito, e anche se sapeva che
non aveva
mirato per ferirlo ma solo per distrarlo dal duello, bruciava comunque
come carboni
ardenti nel suo cuore, incenerendolo. Eppure non poteva odiarla per
questo. Non
avrebbe mai potuto odiarla, qualunque cosa avesse commesso. Lei era il
suo angelo,
la sua salvezza. Aveva bisogno di lei. Però meritava la sua
rabbia e il suo biasimo
per essersi schierata contro di lui. Ma l’avrebbe riportata
al suo fianco, le avrebbe
aperto gli occhi sulla verità che lui aveva imparato ad
accettare da tempo. E non
l’avrebbe mai più lasciata andare.
Padmé,
sto
venendo a prenderti.