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Autore: Flajeypi    16/02/2015    6 recensioni
Il finale di Mockingjay mi ha lasciato l'amaro in bocca.
Come hanno fatto Peeta e Katniss a ritrovarsi? Che ne è stato di Gale? E degli altri?
L'ho immaginato così.
[Dal primo capitolo]
Vorrei dirgli che se se andasse per me sarebbe la fine: smetterei di alzarmi dal letto, di lavarmi, di mangiare, di vivere. Sopravvivrei, certo, perché incapace di uccidermi per via del debito che sento nei confronti di tutte le persone che hanno perso la propria vita per salvare la mia, ma questa non sarebbe una vita degna di essere vissuta. Vorrei dirgli che quando ha piantato le primule avevo creduto che fosse tornato da me, che avevo pensato che forse le cose sarebbero potute andare, se non bene, almeno meglio di come andavano prima. Ma non so farlo. Io non so parlare, non so esprimere i miei sentimenti, era lui che smuoveva le folle con le sue parole. Così rimango lì, a fissarlo, mentre lo vedo scrutarmi l’anima attraverso gli occhi.
“Ho capito”, dice. Ed io non ho idea di cosa abbia capito, ma dopo averlo detto mi stringe a sé e a me basta questo: è una promessa, significa “resterò, nonostante tutto”.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gale Hawthorne, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Mentre cadevo mi hai preso la mano

A Hunger Games Fanfiction




 
13. Ogni notte
 
Mi sveglio quando il treno rallenta e poi riaccelera bruscamente e mi accorgo di essere sola a letto. “Che Peeta abbia avuto uno dei suoi episodi e che si sia voluto allontanare da me?”, penso immediatamente. Mi alzo in fretta, forse troppo dato che per un attimo mi gira la testa, ed esco dalla cabina in cerca del Ragazzo del pane. Uno strano suono cattura la mia attenzione ed è proprio nella direzione da cui proviene che mi dirigo, ma quando arrivo alla sua fonte non posso fare altro che restare a bocca aperta: Peeta, seduto sul divano, cerca di imparare a suonare la chitarra che Evelyn mi ha regalato.
Un sorriso spontaneo mi nasce sulle labbra quando Peeta, spazientendosi per aver sbagliato un accordo, sbuffa e si passa una mano nei capelli, sollevando lo sguardo e accorgendosi di me. Il Ragazzo del pane mi sorride di rimando mentre con un gesto della mano mi invita a sedermi accanto a lui.
“Un incubo?”, mi domanda, mutando la sua espressione in uno sguardo preoccupato.
“No, tranquillo”, gli rispondo, segretamente contenta per queste piccole premure che mostra nei miei confronti.
“Allora ero così imbranato da riuscire a svegliarti?”, domanda, stavolta con un sorriso.
“In realtà è stato il treno a svegliarmi e quando ho visto che non eri più accanto a me…”, dico, interrotta subito da lui.
“Hai pensato che avessi avuto un episodio e che fossi scappato chi sa dove”, conclude serio.
“Peeta, io…”, inizio, non sapendo bene cosa dire.
“No, va bene. Era legittimo che lo pensassi, Kat. Potrebbe succedere davvero. Ma quello che ti chiedo come favore personale è di non venire a cercarmi nel caso in cui dovesse accadere”, dice lui, guadandomi fisso negli occhi, come se volesse guardarmi dentro. E soltanto per un attimo, a sentire come pronuncia quel soprannome così dolce sulle sue labbra, mi viene quasi voglia di stargli a sentire.
“No”, rispondo poi semplicemente, guardandolo altrettanto intensamente.
Kat, per favore…”, inizia, ma non gli do il tempo di continuare.
“Non potrei mai lasciarti solo. Mai”, dico d’istinto, accorgendomi della portata di queste parole solo dopo averle pronunciate e abbassando lo sguardo di conseguenza.
Il Ragazzo del pane mi solleva il viso con un tocco delicato sotto il mento, un attimo prima di posare le sue labbra sulle mie. E’ un bacio delicato che, mio malgrado, dura poco. Significa “grazie perché mi sei vicina, anche se sono un mostro”, lo leggo nei suoi occhi quando torna a fissarli nei miei.
“Voglio che usciamo insieme”, dice all’improvviso, rompendo il silenzio.
“Uscire insieme?”, gli faccio eco confusa.
“Sì, voglio cominciare tutto da capo. Fare le cose per bene. Corteggiarti”, dice con una naturalezza disarmante, scrollando le spalle. Io semplicemente lo guardo, arrossendo violentemente e asciugandomi le mani sudaticce sul pigiama.
“Con calma, Kat. Non agitarti. Prometto che sconvolgerò la tua vita un po’ alla volta”, mi sussurra all’orecchio, facendomi sorridere.
“Sarebbe un grande sconvolgimento se tu accettassi di dormire con me…ogni notte?”, chiedo timorosa e sicura che ormai la mia faccia abbia assunto tutte le sfumature di rosso possibili.
“Sarebbe qualcosa che sarei felicissimo di fare”, dice soltanto, prima di abbracciarmi e sollevarmi di peso.
“Cosa fai?!”, protesto picchiettandogli la schiena con le mani, preoccupandomi già di pesare troppo sulla sua protesi.
“Sei leggerissima. Mangi almeno?”, mi chiede lui, ignorando la mia domanda; un cipiglio preoccupato nella voce.
“Certo che mangio”, confermo imbronciata, arrendendomi al fatto che non mi metterà a terra finché non saremo arrivati ai piedi del letto.
“Quando saremo a casa, mi occuperò personalmente di controllare che tu mangi”, risponde serio.
“Ho detto che mangio!”, dico stizzita.
“Non hai detto quanto, però”, obietta lui.
Intanto siamo finalmente arrivati in cabina, dove Peeta mi adagia lentamente sul letto.
“Ogni notte?”, chiede, guardandomi nuovamente negli occhi.
“Ogni notte”, gli rispondo io, sorridendo appena.
Il Ragazzo del pane mi si stende accanto e mi invita a poggiare la testa sul suo petto. Non me lo faccio ripetere due volte.
“Peeta?”, dico titubante dopo un po’.
“Mmmh?”, mi risponde lui, già mezzo addormentato.
“Perché non riuscivi a dormire?”, chiedo sussurrando.
“L’idea di non sapere se mi avresti chiesto o meno di dormire con te ogni notte mi faceva impazzire”, ammette, strascicando un po’ le parole come un ubriaco, forse per la poca lucidità dettata dal sonno.
“Non avrei potuto evitare di chiedertelo”, ammetto arrossendo. Ma a rispondermi c’è soltanto il respiro pesante di Peeta, segno del fatto che il sonno si è impossessato di lui.
“Buonanotte”, bisbiglio, prima di chiudere gli occhi e cadere in un sonno senza sogni, cullata dall’abbraccio del Ragazzo del pane.


 
Epilogo - Di risvegli notturni e sorrisi spontanei

Quando mi sveglio l’altro lato del letto è freddo. Il Ragazzo del pane, che io mi ostino a chiamare così ma che ormai è diventato un uomo, non è affianco a me. E se non è qui, nel bel mezzo della notte, so esattamente dove trovarlo.
Mi scosto una ciocca di capelli sudati dalla fronte mentre le immagini dell’incubo che mi ha svegliata continuano a ronzarmi nella testa. Mi alzo con lentezza, impacciata nei movimenti dal pancione che diventa ogni giorno più grande.
Cammino piano nel corridoio e posso già intravedere il bagliore della luce da notte arrivare dalla stanza di mia figlia. Quando finalmente raggiungo lo stipite della porta, ci rimango sotto imbambolata, mentre un sorriso si affaccia sul mio viso.
Peeta è seduto sulla sedia a dondolo che abbiamo comprato insieme quando aspettavo Willow. Sta dormendo, ma anche nel sonno non può fare a meno di stringere tra le braccia la nostra primogenita. Certo è che tra me e nostra figlia, il Ragazzo del pane ha un gran da fare la notte a consolare le donne della sua famiglia che si svegliano piangendo, eppure Peeta in questo momento ha un’espressione così felice sul volto mentre stringe nostra figlia, che per un attimo riesco quasi a dimenticare tutto il male che ho visto nella mia vita.
E’ stato così difficile aspettare questa bambina dai capelli scuri e gli occhi di cielo. Avevo paura – e continuo ad averne – che un giorno qualcuno me la potesse strappare, come è successo con la mia Paperella. Eppure la gioia che ho provato quando è nata, il primo sorriso che mi ha rivolto, la prima volta che mi ha chiamata mamma, sono tutte cose che ringrazio il cielo di aver avuto l’occasione di vedere.
Aspettare questo secondo bambino, invece, si sta rivelando più semplice, anche se gli incubi sembrano essere aumentati. Ma non mi lamento. In fondo, ho sempre la migliore delle medicine a disposizione per questo: la mia famiglia, che mai avrei pensato di costruire e che, eppure, continua a salvarmi in tutti i modi in cui una persona può essere salvata. A partire dalle focaccine al formaggio che Peeta ha la premura di preparare per me ogni giorno, fino ad arrivare ai disegni di mia figlia in cui io e il Ragazzo del pane sembriamo una normale coppia di sposi, forse un po’ sproporzionati sulla carta, ma felici.
Me ne sto lì, ferma ad osservarli, quando il Ragazzo del pane, mio marito, spalanca gli occhi e realizza di essersi addormentato. Poi sposta il suo sguardo su di me e l’espressione assonnata viene sostituita da uno di quei suoi sorrisi che amo tanto. Continua a guardarmi negli occhi mentre, con calma, si alza e mette a letto nostra figlia, stando attento a non svegliarla. Mi avvicino a lui lentamente, tenendo le mani sul pancione e quando gli sono accanto Peeta fa un gesto che ormai è diventato un’abitudine da quando ha saputo che ero incinta: sfiora prima il mio pancione con una mano e poi vi posa le labbra in un tenero bacio. Il bambino, come se avesse sentito che il padre lo ha salutato, scalcia facendoci sussultare entrambi. Allora Peeta mette entrambe le mani sul pancione, guardandomi negli occhi e sorridendomi beato. Lo fa sempre quando il bambino scalcia; dice che gli piace provare a sentire quello che sento io quando succede.
Quando il bambino smette di scalciare, il Ragazzo del pane sposta le mani dalla mia pancia per metterle sulla mia schiena e stringermi a sé, mentre io mi lascio avvolgere docilmente dal suo abbraccio che sa di pane e cannella, ma soprattutto di casa. Porto le mani sul suo viso e poso le mie labbra sulle sue e posso sentirle aprirsi in un sorriso ancora più grande di quello che già c’era.
“Mentre cadevo mi hai preso la mano. E non l’hai più lasciata. Mi hai risollevata, amata, guidata verso la vita che non avevo mai avuto il coraggio di desiderare. Il mio Ragazzo del pane. La mia famiglia. Le uniche cose che rendono la mia vita degna di essere vissuta.”, penso, mentre tra un bacio e l’altro sbircio verso i suoi occhi.
E alla fine lo sussurro, piano: “Mentre cadevo mi hai preso la mano”.
Il Ragazzo del pane sorride: “Sei stata tu ad afferrare la mia, il giorno in cui ti ho sentita cantare per la prima volta”.
 



 
A Sara,
che mi ha accompagnato in questa avventura.

 
Grazie,
per aver creduto in me.

 
Ti voglio bene.
 
 

 


Mi sembra d'obbligo ringraziarvi tutti.

Per l'ultima volta mi scuso per il ritardo, ma ormai ci avrete fatto l'abitudine.

In un periodo di inizi, di traguardi raggiunti e non, avevo bisogno di concludere ciò che avevo iniziato. E questa storia era una delle cose che ci tenevo di più a concludere.
Spero di chiudere con lei anche un capitolo della mia vita in cui mi sono sentita molto vicina al personaggio di Katniss dopo la guerra. Ho scritto di lei scrivendo un po' anche di me. Ho messo un po' della mia anima in queste righe e, non lo nascondo, anche un po' dei miei sogni.
Grazie a chiunque abbia condiviso con me questo viaggio.
Anche se sembra strano cliccare sulla spunta "completa", è un nuovo inizio.

Un bacio e un abbraccio,
Flavia

 


P.S. : è l'ultima occasione che ho per ricordarvi della storia della mia Cccchh, spero che possa farvi compagnia più di quanto non sia riuscita a fare io con la mia storia. Merita davvero. Se volete capire di cosa parlo, cliccate http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2462888
 


Cosa dite? Manca il motto?
Va beeene, #moreshirtlessPeetaforeveryone! 

 

 

 
  
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