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Autore: lovinfaber    17/02/2015    1 recensioni
[-Creepypasta-]
[-Creepypasta-][-Creepypasta-][-Creepypasta-]Lui: un assassino seriale, sfuggito alla giustizia per diciasette anni. Lei: una giovane costretta a fare del suo corpo una merce. Entrambi reietti (seppure per diversi motivi), sopravvivono in quello stesso mondo che li ha partoriti per poi rinnegarli. In un susseguirsi di incontri casuali, di omicidi, di personaggi che lasciano un segno nelle loro vite, i due si ritroveranno faccia a faccia con i loro demoni.
Avvertenze: contenuti maturi per scene violente e linguaggio forte.
La scelta dei personaggi e della trama è motivata dall'idea di proporre una riflessione (seppure molto parziale) su tematiche come la prostituzione e l'alcooldipendenza.
Eventuali critiche costruttive sono bene accette. Non si accettano commenti offensivi.
I personaggi, i luoghi, le storie e i nomi sono di pura fantasia (ad eccezione di Jeff, di cui non possiedo i diritti). Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale.
Genere: Horror, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jeff the Killer
Note: Lime, OOC, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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~~Serena aveva quasi tutto per essere felice: un corpo perfetto, occhi color ambra e capelli neri come la pece. La sua famiglia era piuttosto agiata, la casa in cui viveva piuttosto confortevole, anche se non abbastanza da attirare malintenzionati o ladri. Il suo rendimento scolastico non era certo dei migliori, ma in compenso era stata eletta reginetta del liceo in cui studiava. Ultimamente trovava piuttosto noiosi i pettegolezzi, lo shopping, le civetterie che si concedeva in presenza dei maschi, e tutte quelle cose che, fino a qualche tempo prima, la rendevano felice.

 

Se fosse altro quello che chiedeva dalla sua giovane vita, o se si trattava dell’ennesimo scherzo dell’adolescenza, non lo scoprì mai.

 

Tornò da una serata in compagnia delle sue amiche: guardò casa sua che era al buio, per fortuna i suoi erano andati a dormire. Entrò silenziosamente dalla porta d’ingresso, attenta a non fare rumore. Appena la richiuse, la luce del disimpegno si accese: i suoi genitori erano in vestaglia, e la stavano fulminando con lo sguardo.

 

« Non immaginavo che il caffè con le amiche si prolungasse fino alle 3 del mattino, signorinella!» sbottò la madre in preda alla stizza.

 

Serena non rispose, limitandosi a sbuffare seccata.

 

« E’ da oggi pomeriggio che abbiamo provato a chiamarti! Credi che quel cellulare sia un oggetto ornamentale?» rincalzò la donna.

 

« Non ho sentito il telefono…E comunque non volevo far tardi. Una chiacchiera tira l’altra e…»

 

« Bella scusa! Eravamo preoccupatissimi, te ne rendi conto?! » interruppe suo padre. Erano visibilmente nervosi a causa del ritardo di Serena. Tuttavia cominciarono a pensare che l’importante era che la loro figlioletta sedicenne fosse tornata a casa, e non c’era motivo di arrabbiarsi ulteriormente. Redarguirono la ragazza strappandole la promessa che la volta dopo avrebbe chiamato in caso di ritardo.

 

« Ora andiamo a dormire, è tardi, e domani tu dovrai andare a scuola.» concluse suo padre.

 

« Ok…»

 

Si diedero la buonanotte, prima di recarsi nelle rispettive stanze.

 

Appena chiusa la porta alle sue spalle, Serena si distese sul letto, guardando il soffitto con sguardo spento. Dopo un po’ accese il piccolo televisore che era nella sua stanza: un po’ di TV a bassa voce avrebbe conciliato il sonno. Restò a letto guardando un vecchio film degli anni 30, interrotto ogni tanto da qualche televendita. Dopo pochi minuti la ragazza crollò in un sonno profondo, mentre la televisione, ancora accesa, proiettava ancora la sua sfilza di immagini.

 

Sognò di tornare da scuola e di percorrere il solito tragitto che la conduceva verso casa, ad un certo punto cominciò a correre, accortosi improvvisamente di aver ritardato parecchio, infatti scese immediatamente la notte. Dopo una corsa incessante si accorse di essersi persa, e di aver raggiunto (inspiegabilmente) le fogne della città, all’ingresso delle quali vi era Mattew, il suo ex ragazzo, che nel sogno sembrava che fosse stato messo a guardia della cloaca cittadina, e con un sorrisino sornione la invitò ad entrarvi. Notò con orrore che, anziché acque fetide, del sangue scorreva all’interno delle fogne: esso lasciava un odore nauseabondo, terrificante.

 

Si svegliò di soprassalto, pronunciando ripetutamente la parola « Mattew!» come una litania. Stava per piangere, poi si rese conto di aver avuto un semplice incubo. Tirò su col naso sollevata, notando tuttavia che c’era qualcosa nell’aria che non andava: quell’odore nauseabondo non era sparito. Pensò che fosse un residuo del sogno, aspettò un poco, ma quella puzza non spariva. La Tv era ancora accesa: provvide a spegnerla. Si alzò dal letto per recarsi dai suoi genitori, preoccupata e intontita dal sonno. Che avessero lasciato il gas aperto? Forse quell’odore era gas e lei lo stava confondendo con altro, perché troppo rincoglionita alle 4 del mattino, in quel caso non doveva fare altro che andare in cucina e controllare. A passo svelto uscì dalla sua stanza per scendere le scale e raggiungere la cucina, ma qualcosa la fermò: la porta della camera tutto quello che percepiva da lì era quel maledetto odore sempre più forte e nauseante. Serena cominciò ad avvertire dei conati di vomito, che trattenne a stento. Ad insinuarsi nelle viscere, una sensazione fredda, come se un pezzo di ghiaccio fosse conficcato nello stomaco. Cominciò a tremare come una foglia, tentò di chiamare i genitori nel buio, ma dalle sue labbra uscirono poco più che flebili rantoli: « Ma…mma…pa…pà…».

 

Trasalii al vedere che la porta della camera dei suoi si aprì completamente: vide una strana figura piuttosto imponente, avvolta nell’oscurita, dietro alla quale erano distesi i suoi genitori nel loro letto, come se dormissero, ma erano letteralmente giacenti in una enorme pozza di sangue.

 

Per qualche frazione di secondo le membra di Serena furono pietrificate. Rimase lì, immobile, mentre udì da quella terribile presenza una frase: « Torna a dormire.». Quelle semplici parole, pronunciate quasi con dolcezza, fecero si che lei urlasse con tutto il fiato di cui era in possesso. Investita da un vigore mai posseduto prima d’ora, cominciò a correre verso le scale che l’avrebbero condotta al pianterreno, dove si trovata la porta d’ingresso.

 

Quasi cadde quando, nello scendere l’ultimo gradino, inciampò nel cadavere di Faber, il suo maltese, divenuto ormai una poltiglia informe. A malapena se ne accorse, non aveva tempo per piangere la dipartita della sua famiglia e del suo migliore amico: doveva scappare e salvarsi.

Col fiato in gola e le gambe che non sentiva quasi più, raggiunse la porta d’ingresso: la aprì con non poche difficoltà, visto che le tremavano le mani mentre tentava di infilare la chiave nella serratura: suo padre aveva sempre l’abitudine di chiudere la porta a chiave, per evitare che qualche malintenzionato potesse entrare. Precauzione totalmente inutile, visto che lui e sua moglie erano morti, con le interiora in bella mostra, mentre sua figlia era in pericolo. La ragazza spalancò la porta d’ingresso con tutto l’attaccamento alla vita che possedeva.  Fece per correre, ma un forte dolore alla nuca la trattenne: insieme ad esso avvertì una misteriosa forza che le tirò il capo all’indietro. Comprese di essere stata afferrata per i capelli e si dimenò, incurante del dolore lancinante che quella presa le procurava.

 

 

La giovane si rivelò una vittima tutt’altro che semplice da gestire. Ucciderla fu quasi uno strazio, visto che scalciava e si dimenava come un animaletto braccato da un lupo. Scansò più volte il pugnale di Jeff, gli morse la mano mentre lui tentava di afferrarle il collo. Dopo alcuni minuti di lotta, Jeff le fu finalmente sopra.

 

«T…ti prego» sussurrò Serena con le lacrime agli occhi, ma udì solo il ripetersi di quella dannata frase: «Shhh…torna a dormire.». Serena non ebbe più il tempo di supplicare.

 

Pochi minuti dopo, quello che restò della reginetta del ballo scolastico fu un corpo sgozzato, due occhi spalancati e vitrei e una bocca semiaperta, che sembrava ancora implorare pietà, nonostante fosse ormai priva di respiro.

 

Jeff le era ancora sopra a cavalcioni, contemplando l’opera da lui realizzata. Pensò che dovesse perfezionarla, e si accanì ancora con il suo pugnale su quel povero cadavere.

 

A guardarlo, nessuno avrebbe più riconosciuto quel visino che aveva fatto girare la testa a diversi ragazzi.

 

Quando Jeff fu esausto, si sollevò da quello scempio privo della più lontana traccia di umanità. Si recò lentamente in cucina, come se un lieve torpore lo avesse investito. Puntò lo sguardo su di sé: era tutto imbrattato di sangue.

 

Si avvicinò al lavandino della cucina, sciacquandosi il viso e le mani.

 

Nonostante fosse la sua ragione di vita, uccidere per Jeff era molto più stancante di quanto credesse. Ogni piacere ha un costo, e Jeff lo sapeva bene. Pulì con un canovaccio il suo amato pugnale, e lo ripose in una delle tasche della sua felpa.

 

Cominciò a rovistare nelle dispense in cerca di qualcosa da mangiare, giusto il necessario per sopravvivere qualche altra notte. Raccolse qualche confezione di carne in scatola e una bottiglina d’acqua. Scorse in uno scaffale una bottiglia di tequila, che non tardò ad afferrare. Cercò in giro per casa un portafogli: lo trovò in una borsa appesa proprio alla spalliera di una sedia all'interno della camera della ragazza che aveva appena ucciso. Rovistò all'interno: vi trovò circa un centinaio di dollari, stabilì sarebbero bastati per un po'.

Uscii da una finestra che dava sul retro, per poi farsi celare dalla notte. Decise che sarebbe andato via da quella città, prima che qualcuno potesse catturarlo. Altri territori lo attendevano, altri campi in cui seminare morte e terrore.

 

   
 
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