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Autore: May Begood    17/02/2015    3 recensioni
[UkHun] [Inghilterra x Ungheria]
Ungheria conduce una vita tranquilla: è rimasta in contatto con Austria a tal punto che entrambi vengono visti ancora come un Impero; frequenta spesso Francia e Spagna per stare in compagnia dell'amico/nemico ormai ex Prussia; si dedica alla sua casa e ignora quasi del tutto ciò che avviene oltre l'Italia o la Russia.
Per questo rimane sconvolta dall' intervento di Inghilterra, determinato ad aprirle gli occhi, e poi il cuore, trascinandola prima in una semplice collaborazione, poi in un rapporto amichevole che sfocerà nella passione più ardente.
Ad ostacolare la loro relazione interviene Scozia: non accetta, infatti, il fatto che suo fratello sia riuscito ad averla. Inventa quindi delle scuse per tenerli distanti e farsi avanti con Ungheria per il puro gusto di farlo.
Anche Romania è contrario alla loro relazione e minaccia Ungheria di svelare il suo segreto alle altre nazioni. Queste credono infatti che il patto fra Inghilterra e l'altra sia per lavoro.
Genere: Generale, Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Scozia, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Triangolo
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- Questa storia fa parte della serie 'Succede al cuore'
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Insieme perdemmo almeno tre ore delle otto che avremmo potuto guadagnare dormendo. Io dormii anche meno di cinque ore perché era ancora tanta l'adrenalina, non mi capacitavo del fatto di aver trascorso una notte di passione con Inghilterra. Ero ancora adagiata sul suo petto e la cosa mi rilassava più di una vera dormita.
Mi lasciai andare a pensieri felici, fissando la tenda che lasciava passare i primi raggi del mattino. Dovevano essere almeno le sette.
Pensavo all'ultima volta che avevo fatto l'amore, o che avevo lasciato andare tutta quella adrenalina per poi sentirmi rilassata, libera, leggera. Avevo accettato quello che era successo, sebbene avevo temuto di disprezzare il momento o disprezzare me.
Fu allora che crollai, finché non furono le carezze di Arthur sulla schiena a svegliarmi. Mugolai compiaciuta e alzai lo sguardo per controllare se fosse davvero sveglio. Aveva gli occhi socchiusi, brillanti, eccitati. Sussurrò "Good morning" e mi baciò la fronte.
  -Elizaveta...
Fui percossa da un brivido, ripensando a quante volte aveva sussurrato il mio nome, con intento diverso e toni languidi.
  -Arthur?
  -Sono stato così bene. Non mi capitava da un po'.
  -Lo stesso vale per me. Sarà così ogni notte?
  -If you want. Se vuoi.
  -Yes.
  -Perfect.
Si spinse verso di me per baciarmi e concedermi altre coccole. Quelle dolci, tranquille. Quelle prima delle coccole vere che però ci scambiammo sotto la doccia.
 Fu un nuovo momento durante il quale potemmo esplorare l'uno il corpo dell'altra senza timore. Gli accarezzai le spalle, le braccia, il petto, l'addome, poi le cosce; lo avvolsi nella schiuma profumata e lo risciacquai. Volle ricambiare a modo suo quelle attenzioni e approfittammo anche di quella occasione per completarci.
Ebbe modo di scoprire cosa tranquillizzava le mie membra, cosa le faceva tendere impazienti, cosa le faceva sottrarre al solo tocco. Adoravo che mi stringesse. Mi piaceva sentire il suo corpo spingersi contro il mio e muoversi lento mentre mi manteneva vicina alla parete gelida e umida della doccia e riprendeva a darmi piacere.
Dopo un po' che eravamo rimasti abbracciati, fummo costretti a dividerci. Per cui rimanemmo in quella situazione confortante finché non fummo entrambi soddisfatti.
Per non destare sospetti, lui si sarebbe presentato in ufficio per primo; io l'avrei raggiunto una mezz'ora dopo.

Non avevo uno studio tutto per me, e mi fu sconsigliato di svolgere i miei doveri nel mio perché troppo lontano. Fui messa con Arthur e mi prepararono una scrivania grande abbastanza per i miei compiti. Cominciai subito a battere a macchina ciò che si era fatto la sera precedente. Inghilterra non era molto presente e la cosa mi fece piacere perché almeno non mi sarei distratta. Usciva dallo studio e rientrava con documenti di ogni genere, che affidava ai fratelli o alla nazione che l'accompagnava. Una volta entrò anche Estonia che si trattenne per scambiare con me una chiacchiera. 
Avevo finito un primo modulo, quello demografico, quando Arthur sospirò, si tolse la giacca e si sedette alla scrivania, tenendosi la fronte con una mano e fissando inerme il computer.
Rimase in quella posizione per un po', mentre muovevo le dita sui bottoncini ansiosa di terminare il lavoro.
  -Fai questo ogni giorno? - chiesi quando sembrò più lucido.
Mi sorrise, cosciente del fatto di aver fatto colpo su di me. Ebbene, ero incantata da quell'atteggiamento autoritario, ma gentile, con cui ospitava una nazione e parlava del lavoro da svolgere. E dal fatto che, nonostante la confusione, mantenesse il controllo della situazione e la stessa fermezza. 
  -Yes. Quasi ogni giorno. Prima dell'elezione tendevo sempre a riempirmi di lavoro. Adesso sono costretto, e questa volta è più difficile, ma non impossibile. A proposito di elezioni: si è deciso che, purtroppo, quest'anno conta come presidenza anche la tua candidatura a Rappresentante dell'Est. In pratica, io non posso più essere eletto perché già successo due volte consecutive; tu, invece, con l'ultima elezione, ti sei giocata una candidatura, e ora puoi essere eletta solo una volta. Mi dispiace... Non avevo pensato a questa conseguenza... 
  -Non c'è problema. Non ho mai pensato di candidarmi. Ho sempre rimandato il mio turno...
  -Sicura? Speravo che, in qualche modo, questa esperienza ti avrebbe portata a valutare l'idea di una Presidenza ufficiale.
  -Forse quando avrò entrambe le occasioni, ci penserò.
  -Ungheria, scusa se insisto, non dovrei provocarti così, ma c'è in ballo la tua reputazione come nazione. Vorrei che tu, fra quattro mesi, accettassi l'occasione di candidarti e di prendere il controllo dell'Europa. Ho visto che individualmente ti sei posta vari obiettivi e li hai raggiunti in poco tempo. L'ho letto nelle traduzioni delle tue pratiche. Quindi mi sono spesso chiesto perché, dopo tutto questo lavoro, tu non ti senta in grado di prendere il posto che ti spetta. Sarebbe un bella rivincita. Da nazione dell'Est, non sei stanca di sentire sempre gli stessi nomi? Vorresti ancora essere un paese di "confine"? Non guardarmi così, non vuole essere una predica di alcun tipo. Sei una donna bellissima, forte, dolce, carismatica... Almeno da quel che penso e vedo. Le nazioni tremano lusingate quando passi tra loro perché si aspettano che tu sorrida o le saluta. Hai una risata così bella... Saresti una presidente eccezionale. Da parte mia avrai tutto il sostegno di cui necessiti per raggiungere obiettivi antipatici.
  -Inghilterra, grazie...
Le mani tremarono a quelle parole prima dure poi così gentili e pronunciate con tono paterno poi da amante. Non avevo mai pensato che lui avesse potuto studiare la mia condizione come io avevo studiato la sua storia. 
Sorrise, sempre incoraggiante e accese il computer per iniziare a comporre un regolamento. Aveva detto di avere molte idee, l'aveva promesso, per intrattenere le nazioni a Bruxelles ed evitare troppi viaggi. Gli toccava sistemare ordinazioni, pagamenti, sconti, bonus, extra per riuscire nel suo intento. 
Ogni tanto, forse quando riusciva a terminare un pensiero e metterlo per iscritto, voltava lo sguardo verso di me e sorridendo riprendeva la stesura di un altro argomento. Io facevo altrettanto, ma con pause brevi e costanti.
  -Continuando il discorso di ieri... Posso farti un'altra domanda?
  -Igen.
Ripeté la mia risposta, divertito, poi proseguì: -Non è una domanda precisa, anzi, è molto vaga. Vorrei sapere come era la tua vita a Vienna. Sempre che la cosa non ti infastidisca.
  -Sii più specifico, poi mi dilungherò.
  -Dunque, vediamo... Ad esempio, la tua routine, no? Ti svegliavi, e...?
  -Vienna non è mai stata casa mia. Mi sembrava di essere ospite di Roderich, perciò ogni mattina mi svegliavo con la preoccupazione di pulire casa per conquistare la sua benevolenza e la sua fiducia. 
  -Non dormivi con lui?
  -Qualche volta, quando me lo permetteva. Era lui a decidere se e quando potevo entrare in camera sua, e restarci. 
  -E tu obbedivi. Perché?
  -Non pensavo molto alla mia indipendenza perché credevo fosse inutile sperarci. 
  -Lo amavi molto.
  -Forse. Nem: lo amavo davvero. 
  -Continua, ti prego. Ho voglia di sentirti parlare.
  -Non c'è molto da dire. Comunque: trascorrevo la giornata a leggere, lavare, e a fare tutte quelle cose che sapevo che a Roderich avrebbero fatto piacere, come ad esempio cantare, studiare musica. E solo quando mi impegnavo seriamente mi permetteva di dormire con lui. Anche a letto dovevo essere cauta. 
  -In che senso?
  -Dovevo aspettare che facesse lui la prima mossa. Se provavo a sedurlo in qualche modo, la mattina successiva non mi calcolava né mi rivolgeva la parola. Ho sempre pensato che si comportasse così perché non gli interessavo. Poi ho capito che lo faceva per non farmi sentire inutile: voleva che fossi la donna perfetta, certo, ma non per lui; voleva far emergere le mie capacità e vedermi con qualcun altro, ma non so per quale motivo.
  -Però eravate anche intimi. Magari temeva che qualcuno ti rubasse o ti convincesse a lasciarlo. Perciò si preoccupava per te: affinché tu avessi la possibilità di affermarti e di non sottometterti ad un altro eventuale amante.
Riflettei sulle sue parole e sulla sua ipotesi: sembrava proprio da Roderich. E fu imbarazzante scoprire che ero l'unica a non aver davvero capito cosa Austria avesse fatto per me. Ma in fondo lui ed Arthur erano simili. Arthur aveva semplicemente seguito un ragionamento elaborato da una persona colta e precisa come era lui stesso.
Mi alzai dopo aver finito un altro capitolo e lo consegnai ad Inghilterra, poi superai la scrivania per avvicinarlo e baciargli le labbra. Rispose al bacio e mi accarezzò un fianco, spostando in un secondo momento le labbra sul mio collo.
  -Fra poco andiamo a pranzare, così ti riposi: hai fatto un buon lavoro. Sapevo che potevo fidarmi di te.
  -Non è un lavoro brutto. Mi piace.
  -Yes, quest'anno è particolarmente stimolante. 
Sedetti sulle sue ginocchia per riprendere le coccole, ma mentre sfioravo il suo petto, ricordai la cicatrice.
  -Ho una cosa da chiederti.
  -Riguardo...?
  -Questa. - dissi, scoprendo gli appena il petto per indicare quel brutto segno.
  -È stato Alfred. 
  -Lo immaginavo. È l'unica così grande?
  -No, ne ho altre. Qui sulla spalla, una sulla gamba destra, un'altra al fianco.
  -Tutte Indipendenze?
  -No, non tutte. Credo che quella di Alfred sia l'unica ad essere ancora visibile. 
  -Perché?
  -Forse perché è quella che mi ha fatto più male.
  -È passata però, perché è così grossa?
  -Per ricordarmi che non posso più controllare una nazione, se questa non vuole. Insomma, non è possibile colonizzare come un tempo, perché ognuno ha preso coscienza della propria identità. 
  -Anche io ne ho qualcuna. Sui fianchi.
  - Le ho notate. E ho notato anche che ti fanno male: trattieni il fiato se mi capita di sfiorarle. Ti fanno molto male. 
Annuii debolmente e cercai un altro bacio consolatorio. Arthur mi accontentò subito e riprese a coccolarmi finché non decidemmo di andare a pranzare.
   
 
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