Anime & Manga > Il grande sogno di Maya
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Autore: Ninfea Blu    17/02/2015    3 recensioni
Leggendo gli ultimi numeri del manga, ho immaginato uno sviluppo diverso degli eventi che potrebbe essere verosimile. Masumi non si è mai rivelato e si è sposato con una donna che non ama, condannandosi all'infelicità. Maya ha cercato di dimenticarlo, gettandosi anima e corpo nel teatro. Sono due cuori infelici, finché una sera il cinico presidente della Daito decide di non tornare a casa...
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Masumi Hayami, Maya Kitajima
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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uktimo atto

3 – Ultimo atto: resa dei conti

 

 

 

-         Non è poi così tardi. Siediti Torvald. Dobbiamo parlare.

-         Nora, ma che cosa vuoi dire? Quel viso così duro…

-         Siedi. Sarà una lunga conversazione. Abbiamo molte cose da dirci.

-         Mi fai paura Nora, non ti capisco.

-          Dici bene: non mi comprendi. E anch’io non ti ho mai compreso… Fino a stasera. No, non m’interrompere. Ascolta ciò che dico… siamo arrivati alla resa dei conti.

 

Tratto da “Casa di Bambola” di Henrik Hibsen (terzo atto) [1]

 

 

 

********

 

 

Eccoli lì, marito e moglie che si fronteggiavano sul serio per la prima volta, come pretendeva Nora, come mai avevano fatto in quei lunghi otto anni di matrimonio.

Otto anni di attesa per Nora.

 

Otto anni e più di attesa per loro.

 

Masumi osservava la scena con stupore doloroso, misto a meraviglia, con la precisa, impietosa sensazione di guardare l’ultimo pezzo della sua vita. Erano stranissimi i sentimenti che provava, ed era quella ragazzina, ormai diventata donna, consapevole di sé stessa, proprio come Nora, che li suscitava.

Di nuovo, come sempre era stato, lei aveva il potere di scuotere la sua anima, di toccarla intimamente. Nessun altro al mondo aveva quel potere. Nessun altro l’avrebbe mai avuto. Solo lei.

Unica, grande, piccola donna.

Ed era qualcosa di immenso, di troppo grande, a cui gli era impossibile sottrarsi.

Erano sentimenti in conflitto, dolci e sublimi, penosi come il rimorso o il rimpianto delle stagioni perdute, eppure irrinunciabili, confusi dentro il suo spirito di bambino ferito, un groviglio inestricabile senza inizio né fine, di tutto quello che aveva provato, e provava per lei.

 

Reciterò solo per te, sul palco sarò solo tua, gli aveva detto, ed era vero.

Quella scena, quelle parole struggenti, perfino dure erano per lui.

 

Riguardavano lui.

E loro.

 

Le sentiva echeggiare nel suo animo, talmente potenti e profonde da riportare a galla il vecchio relitto di tutti i suoi errori, le sue paure, le sue indecisioni, fatte scontare anche a lei. Aveva solo un vago sentore di quanto potesse averla ferita, ed era la pena più grande che segnava il suo cuore.

 

Le luci dei fari erano fisse sui due attori sul palco.

Masumi fissava Maya seduta con serietà di fronte al marito.

Com’era forte, diversa dalla Nora iniziale, matura e quasi triste, in realtà severa e impietosa verso sé stessa e verso di lui. Diventava grande e il suo partner rimpiccioliva. Masumi volse appena lo sguardo attorno a sé e si rese conto dell’attenzione che il pubblico aveva puntato su di lei: li aveva catturati, come al solito.

Era qualcosa che trovava sempre straordinario quel silenzio immenso fatto di respiri trattenuti.

Torvald ascoltava esterrefatto e scandalizzato le esternazioni di Nora, senza comprendere il suo disagio, il moto del cuore che la spingeva in quell’estrema, dolorosa imprevista direzione.

Masumi guardava la scena, il confronto teso tra i due attori, e gli pareva di vedersi di nuovo di fronte alla moglie, la sera in cui l’aveva abbandonata. E allora, per un’ assurda ambivalenza si sentiva un po’ come Nora, e in rapporto a Maya, un po’ come quel marito affascinato da una bambola, protettivo e troppo pronto a scegliere per lei.

 

-         (…) Voglio dire che dalle mani di mio padre, sono passata alle tue. Tu hai sistemato tutto secondo i tuoi gusti, e io li condividevo, o facevo finta di accettarli. Entrambe le cose, non so bene (…) Scopo della mia vita, era fare la buffona per te! Tu e papà avete molti torti con me. È colpa vostra se sono diventata quella che sono, un nulla.

-         (…) Devo essere sola per capire me stessa; per conoscermi e conoscere chi mi sta attorno. Non posso dunque restare con te.

 

 

Non posso essere la tua amante, è un ruolo che non saprei sostenere… Rammentò improvvise le sue parole, e le comprese davvero solo in quel momento. Maya non poteva essere altro da sé stessa, poteva solo seguire la sua natura, lo spirito battagliero e intransigente che l’aveva sempre guidata.

Ecco perché non aveva più accettato di incontrarlo, nonostante le sue insistenze, nonostante quella notte meravigliosa avesse ammesso di amarlo. Ecco perché tre anni prima, dopo il matrimonio, aveva respinto per sempre le rose dell’ammiratore segreto.

Lei non voleva essere il suo giocattolo,  un’ evasione momentanea dalla realtà.

Maya pretendeva di esserne parte, e di essere importante per questo.

È lei lo era.

Ora lo capiva, quanto lo fosse.

Quanto lo era sempre stata.

Quanto fosse intimamente legata a lui, al suo destino.

Ora doveva davvero distruggere tutto, per riaverla al suo fianco.

Fu sicuro che non avrebbe accettato nulla di meno.

 

-         Hai perduto la testa. Non andartene. Te lo proibisco!

-         Ormai non puoi impedirmi niente, non serve a nulla che tu lo faccia. Porto con me la mia roba. Da te non voglio, né vorrò mai nulla. (…)

-         Abbandonare il tuo focolare, tuo marito, i tuoi figli! Non pensi a quello che dirà la gente?

-         Questo non basta a trattenermi dal farlo. So soltanto che non c’è altra soluzione per me.

-         È abominevole!  Così sei pronta a tradire i tuoi doveri più sacri?

-         Che intendi per sacri doveri?

-         E debbo dirtelo io?  Quelli che hai verso tuo marito e i tuoi bambini.

-         Ne ho altri non meno sacri.

-         Non è vero. Di quali doveri parli?

-         Dei doveri verso me stessa. (…) Credo di essere innanzitutto un essere umano, come lo sei tu… o che almeno devo sforzarmi di diventarlo. (…) Ho bisogno di idee mie e di provare a vederci chiaro.

 

 

 

La voce di Maya vibrava dentro di lui con intensità struggente, un’ eco potente che si faceva strada nel suo spirito, lo invadeva col suo calore e curava le sue piaghe.

Masumi si sentì commuovere.

Quanto erano vere quelle parole. Quanta forza c’era in esse. Una forza dirompente.

Scesero nel profondo del suo essere come un raggio di luce dorata che vinceva le tenebre. Le sentiva sue, perché come Nora, pure lui aveva sacri doveri verso sè stesso: il dovere di essere felice che si era sempre negato, convinto di non averne diritto né facoltà, l’ obbligo di inseguire gli slanci della sua anima che anelava a qualcosa di più di un’ esistenza vuota, traballante e anaffettiva.

E gli slanci della sua anima erano braccia protese sull’ attrice che splendeva su quel palco.

Maya era il suo raggio di luce.

Era il suo sacro dovere, la sua gioia più limpida e autentica.

 

-         Sei ammalata, Nora; hai la febbre. Stai delirando.

-         Non sono mai stata più lucida di questa notte. (…)

-         Non c’è che una spiegazione possibile: non mi ami più.

-         È vero. È così. (…) Te lo dico con immenso dolore, perché sei sempre stato tanto buono con me. Ma non so che farci: non ti amo più. (…)

 

Non ti ho mai amato, aveva detto alla moglie. Una verità semplice e assoluta, ammessa troppo tardi.

Lui non aveva mai amato prima di Maya, e non aveva amato nessuno, né sé stesso, dopo averla lasciata andare. Prima di incontrare lei, i suoi sentimenti e le emozioni erano sepolti in una tomba sigillata, fredda e inaccessibile. Poi, lei, una ragazzina minuta come un filo d’erba, era arrivata come una folata di vento impetuoso che si solleva dal mare, e aveva divelto sigilli e catene.

Per lui non c’era più stato scampo.

 

-         Vuoi dirmi in che modo hai perduto il tuo amore?

-         Sì, posso farlo benissimo. È stato stasera quando la cosa meravigliosa che aspettavo non è accaduta. Mi sono resa conto, allora, che non eri l’ uomo che credevo. (…) Sono otto anni che aspettavo pazientemente. Dio mio, capivo bene che le cose meravigliose non avvengono ogni giorno. Ma quando la rovina precipitò su di me, fui assolutamente certa che la cosa meravigliosa sarebbe accaduta. Mentre la lettera di Krogstad aspettava lì fuori, non mi passò mai per la mente che ti saresti piegato alle condizioni di quell'uomo. Ero così assolutamente certa che gli avresti detto: “Faccia pure conoscere la cosa a tutto il mondo…” e quando lo avesse fatto (…) non dubitavo, ti saresti assunto le tue responsabilità dichiarando: il colpevole sono io!

 

 

E Nora sarebbe stata pronta a impedirlo, a dare la vita per salvare il marito. Ma la colpa di Torvald era stata quella di preoccuparsi solo di sé stesso e del suo onore, non dell’angoscia della moglie. Salvo quello, libero dall’infamia, aveva dimenticato tutto. E Nora era tornata ad essere la sua allodola, la sua bambola da portare in braccio. Ho capito in quell’attimo di essere vissuta per otto anni con un estraneo, aveva detto una fredda Nora ad un uomo sempre più sconvolto.

E di nuovo, Masumi tornò a ripensare a quell’ ultimo straniante colloquio avuto con la moglie, anche lei un’estranea, una sconosciuta con cui aveva dovuto dividere il letto, l’intimità di una casa, luogo sacro che dovrebbe custodire l’amore di due anime.

In quella casa non c’era stata altro che menzogna, soprattutto da parte di lui, il più consapevole, dunque il più colpevole. Ma come aveva fatto? Come si era costretto in quella situazione? Come aveva ceduto a quel penoso compromesso che aveva rischiato di uccidere il suo cuore per sempre?

Mentre si interrogava su questo, ebbe la netta sensazione che i pensieri di Maya, in modo misterioso e magico potessero raggiungerlo, come se le loro anime stessero parlando in quel preciso momento. Era qualcosa di simile a ciò che era accaduto anni prima nella valle dei susini, solo più sottile, come se una carezza lieve, quasi un brivido gli sfiorasse la fronte.

 

 

Guarda quello che mi hai fatto, sei stato ingiusto e crudele con me. Ti dovevo tutto e il mio piccolo cuore si è riempito di tutto l’amore che poteva contenere, da non avere più spazio per altro. Anch’io aspettavo un miracolo, qualcosa di meraviglioso, da te. Aspettavo che il mio misterioso donatore di rose purpuree avesse il coraggio di rivelarsi, accogliesse la mia richiesta di incontrarlo almeno una volta, dopo tutti quegli anni passati all’ombra dell’ odioso Masumi Hayami, l’uomo senza scrupoli pronto a ferirmi, solo per spronarmi a camminare nel mondo dell’arcobaleno. Ma per quanto avrei potuto farlo? Il mio cuore, la mia anima reclamava una vita fatta di passioni reali. Katherine, Jane, Hellen, Midori e le altre, potevano vivere solo nel breve ed effimero spazio di un momento. Le luci sul palco prima o poi si spengono e si deve tornare al mondo reale. Ma tu che cosa volevi? Inchiodarmi in quel mondo, come una farfalla dentro una cornice, per tenermi in un limbo perfetto, dove nessuno, a parte te, si sarebbe mai intromesso? Non potevo restare la tua ragazzina in eterno.

 

 

L’ultimo atto stava finendo. Maya indossava il mantello, un cappello e deponeva una piccola valigia su una sedia, decisa a lasciare quella casa, il marito e i suoi figli. Il sipario stava per calare sulla figura solitaria del marito, che accanto alla porta, prostrato, sperava potesse compiersi un miracolo.

 

Nora disillusa, non credeva più ai miracoli.

 

Masumi invece doveva continuare a crederci. Doveva sperare. Per non morire.

 

 

§§§§§§§

 

 

 

Lasciò la platea con il suo impermeabile sul braccio. Nel foyer del teatro strinse qualche mano, velocemente. Si defilò in un angolo, fumandosi una sigaretta nell’attesa, forse per camuffare il lieve nervosismo che lo colse, lasciando che la gente defluisse attraverso le uscite.

Avrebbe dovuto andarsene con gli altri, ma non trovava la forza, né la volontà.

Sentiva il bisogno di vederla, parlare con lei, anche per poco.

Sapeva che gli attori erano tutti sul retro del teatro, dove c’erano gli spogliatoi e il reparto costumi di scena. Senza farsi notare, percorse il corridoio appena illuminato da qualche luce al neon, in direzione dei camerini di prova. Conosceva bene la planimetria dell’edificio, visto che era uno di quelli della Daito. Notò qualche inserviente che correva trafelato da una parte all’altra, a sistemare attrezzi di scena, o a spegnere qualche luce. Non parvero fare caso a lui, e la cosa lo rilassò un poco.

Incrociò uno degli attori, quello che aveva impersonato il dottor Renk, mentre si allontanava, e scambiò con lui un vago cenno di saluto. Proseguì fino a raggiungere il suo camerino, uno degli ultimi in fondo al corridoio, quello destinato alla prima attrice.

Un’altra porta chiusa lo separava da lei.

Anche quella gli sembrava una situazione già vissuta.

Tutto, anche la cosa più banale, lo riportava a quella sera. Ma non osava sperare nello stesso epilogo.

Bussò leggero sul legno e all’inizio, non udì alcun suono. Che fosse già andata via? Non era possibile. Lo spettacolo era finito da poco, e sapeva che aveva bisogno di tempo per tornare a essere Maya e lasciare andare il personaggio. Bussò ancora con maggior insistenza, e finalmente colse l’invito di lei ad entrare. La sua voce gli parve allegra, quasi spensierata. Sicuramente non lo stava aspettando.

Entrò e subito fu catturato da un profumo intenso; la vide, seduta di schiena, presso lo specchio. Gli sembrò irrigidirsi impercettibilmente nelle spalle, quando colse il suo sguardo attraverso il riflesso. Non aveva più addosso gli abiti di scena, ma una vestaglia le copriva le forme snelle del corpo. L’acconciatura e il trucco erano ancora quelli di Nora. Si guardò attorno: c’erano diversi mazzi di fiori, rose di vari colori, rosse e bianche, gladioli, gigli, gerbere. Notò anche i suoi iris bianchi deposti accanto a lei in un vaso. La rosa purpurea era scomparsa.

La cosa lo turbò oltremodo, senza spiegarsene la ragione.

Nessuno pareva voler rompere il silenzio, almeno finché lei non si alzò dalla sedia per affrontarlo. Si sentì scrutato dal suo sguardo stranamente composto, poi la vide piegarsi in un lieve inchino.

“Buonasera Hayami- san. Sono lieta di vederla, le è piaciuto lo spettacolo?”

Sgranò gli occhi verdi, incapace di nascondere la sorpresa suscitata da quell’ accoglienza. [2] Si riebbe quasi subito, affrontandola con un’ espressione bonaria, forse lievemente canzonatoria.

“Non ti pare un po’ fuori luogo, tutta questa formalità tra noi, dopo quello che è successo, Maya?”

La vide arrossire violentemente.

“Ecco, io…”

“Ho bisogno di stare con te, da solo. Non posso accontentarmi di questi fugaci incontri. Se davvero senti quello che sento io, lo devi capire. Hai letto il mio biglietto?”

“Sì, certo che l’ ho letto! Ti ringrazio per i fiori. Sono stupendi, non me li aspettavo.”

Masumi accorciò la breve distanza che li separava, per serrarla tra le sue braccia. Sentiva le sue forme morbide, sotto la stoffa leggera della vestaglia e lasciò vagare le mani sul tessuto ad accarezzarle la schiena. Trattenne il respiro quando avvertì le sue piccole braccia circondarlo stretto, le mani afferrare i lembi della sua giacca elegante. Maya aveva posato la guancia contro il suo petto e chiuso gli occhi, preda anche lei della stessa emozione che attraversava lui.

“Volevo sorprenderti, - le disse sussurrando le parole fra i suoi capelli, – temevo che avresti respinto un mazzo di rose purpuree, e ho scelto gli iris.”

“Mi hai sorpreso in effetti, Masumi.”

Confessò, sollevando il volto per incontrare i suoi occhi, invece incontrò le sue labbra affamate d’amore che venivano a cercare la sua bocca, e poi il suo collo delicato, e sarebbero scese ancora più in basso se lei non lo avesse fermato, mentre le sue grandi mani già cercavano un varco sotto la vestaglia.

Le era fin troppo palese il suo desiderio, e non era certa di potergli nascondere il proprio. Ma non voleva consumare il loro amore nel camerino di un teatro, come due clandestini. Voleva poterlo vivere alla luce del sole, pienamente. Voleva camminare per strada, abbracciata a lui, come se fosse stata davvero la sua compagna. Non voleva essere quella che porta via un uomo ad un’altra donna.

E forse, pensò tristemente, lo era già.

Gli oppose le mani sul petto, per allontanarlo con la sensazione che qualcosa in lei, fosse sul punto di rompersi. Masumi emise un sospiro rassegnato e deluso, e controvoglia la lasciò andare. Quando le parlò non riuscì a farlo, senza esprimere quanto fosse esasperato e frustrato.

“Quanto dobbiamo andare avanti così, Maya? Io ti amo, voglio stare con te. Mi manchi in modo terribile. Ho bisogno di averti nella mia vita. Non mi interessa nient’altro. Anche il lavoro mi è diventato insopportabile. Spero ogni momento che tu venga a cercarmi, e non lo fai mai. Se quella notte per te ha rappresentato qualcosa, perché continui a sfuggirmi? Scusa, ma qualche volta mi chiedo se mi ami davvero.”

Fu lei a ribellarsi, con un impeto tale che lo fece vergognare. La vide serrare i pugni, preda di un tremito violento, che lui conosceva bene, perché ricordava tutte le volte in cui in passato, l’aveva provocata, portandola a quel limite.

Lo sfidò, piena di orgoglio, in un modo che non le aveva mai visto fare.

“Ma che cosa credi? È solo per amore, se tre anni fa ho respinto le tue rose, per lasciarti libero e tentare di andare avanti! Per amor tuo ho soffocato i miei sentimenti, sperando che tu fossi felice con tua moglie. Credi che non sia amore questo? La capacità di rinunciare a qualcuno, lo sai quanto costa? Immagini lo strazio che ho provato io in questi anni, sapendoti di un’ altra? Quella notte per me ha rappresentato tutto! Tutte le mie speranze! Ero pronta a farmela bastare per una vita intera, il ricordo di te più prezioso. Quella notte di ho dato tutta me stessa, soltanto per questo feroce sentimento che sento per te. Se non fosse stato così, ti avrei sbattuto la porta in faccia, signor Masumi Hayami!”

Urlò sputando fuori le ultime parole.

Il cuore di Masumi ebbe uno spasimo doloroso, quando la vide cadere a terra sulle ginocchia, picchiare i palmi aperti sul pavimento e piangere furiosamente. Il corpo di Maya era squassato dai singhiozzi, strazianti e irrefrenabili, e non ricordò di aver mai provato una sofferenza più grande.

Come poteva amarla tanto, e farla soffrire così?

Una grande amarezza lo invase, insieme al desiderio repentino di abbracciarla e chiederle disperatamente perdono.

Tese le braccia verso di lei, la scosse, le accarezzò il volto, i capelli, poi l’abbracciò ancora più forte di quanto avesse mai fatto, accasciandosi sul pavimento accanto a lei.

“Scusami Maya! Scusami, ti prego! Sono uno stupido. Faccio ancora fatica a capirti, mi sorprendi ogni volta. Devo imparare, se voglio stare con te. Perché io voglio stare con te, solo con te… dico e faccio cose stupide, solo perché a volte mi sento disperato. Ma ti amo con tutto il mio cuore… e sono sicuro che anche tu mi ami. Lo so, da quella sera. Perdonami… perdonami amore mio, per tutto il male che ti ho fatto, e per quello che forse ancora ti farò…”

La baciò sulla fronte, sugli occhi chiusi, cercando di asciugare le sue lacrime.

“Oh Masumi! Ti amo anch’io, come non puoi immaginare. Non credere mai il contrario, ti prego.”

La cullò dolcemente come se fosse ancora una bambina, prima di riprendere a parlare con tono più pacato.

“Perché non vieni a Izu? Lì saremmo solo noi, e basta. Potresti venire alla fine della turnè di Casa di Bambola, all’inizio della prossima estate. Ti prego, è inutile stare lontani, e io mi sto separando… è solo questione di tempo…”

“Se ci vedessero insieme, penserebbero che hai lasciato tua moglie per me… o peggio…”

“Non sarebbe che la verità. Ti preoccupa tanto? Non dirmi che temi per la tua immagine di fanciulla seria, senza grilli per la testa…” Le sussurrò lui, vagamente divertito.

“Io sono una brava ragazza; sono stata una rovina spettacoli… non voglio diventare una rovina matrimoni…” mugugnò lei, appoggiata con la guancia alla sua camicia, asciugandosi con due dita una lacrima furtiva. Lui rise, di gusto.

“Lo so, mia dolce, ingenua ragazzina…- le posò un bacio leggero sulle labbra. – Lo so. Ma tu non hai rovinato niente. Sono io che ho complicato ogni cosa…”

“Se tua moglie sapesse di me, per ripicca potrebbe trascinare questa storia chissà per quanto… potrebbe ostacolarti.”

Maya aveva parlato con tono serio. Masumi sorpreso, le sollevò il mento per osservare i suoi occhi. Erano spalancati, tremanti di apprensione.

“È questo che ti fa paura? - Quando lei abbassò lo sguardo, Masumi la obbligò di nuovo a fissarlo negli occhi. - Maya, ascoltami bene, perché sto per farti una promessa solenne: quando tu verrai a Izu, ti giuro che per allora, io sarò un uomo libero. Devi credermi, Maya. Nessuno ci impedirà di stare insieme. Ti fidi di me?”

Lei si perse nel suo sguardo ombroso, ma vagamente malinconico. Avrebbe tanto voluto poter sollevare quel velo di tristezza che lo adombrava, eppure non poteva farlo. Non ancora.

Erano seduti, abbracciati sul pavimento, come quella notte al tempio nella valle dei susini. Prima di rispondergli, si aggrappò con più forza alla sua schiena.

“Sì, mi fido Masumi! E verrò a Izu… solo se tu smetti di chiamarmi ragazzina!  Magari non lo ricordi, ma ho ventitre anni suonati!”

Protestò, fingendo di essere seccata.

Lui rise ancora, più allegro di quando era entrato. Si alzò in piedi trascinandola con sé, per baciarla di nuovo, con passione rinnovata.

L’estate pareva già più vicina.

 

 

§§§

 

 

La moglie di Masumi, fu più restia del previsto a firmare i documenti della separazione. Durante l’ultimo incontro per fissare tutti i termini dell’accordo, forse spinta dall’ orgoglio, tentò addirittura un approccio più intimo e spregiudicato, convinta con due moine, di poter far cambiare idea al marito.

“Ascoltami, ti prego. Concediamoci un’altra possibilità per essere felici, sono certa che funzionerà; so di cosa ha bisogno un uomo come te, Masumi, e io sono disposta a tutto…” aveva sussurrato accarezzandogli i capelli dietro la nuca, protetta dalle foglie della grossa pianta che si innalzava in un angolo della stanza, dove gli avvocati delle parti erano in attesa.

Lui le aveva afferrato le mani, e l’aveva allontanata da sé, quasi disgustato. Poi con un moto di fastidio, con voce bassa l’aveva freddata, con involontaria crudeltà.

“Ti stai rendendo solo patetica e come attrice vali molto poco; il ruolo di seduttrice non ti si addice, e non ti viene nemmeno bene.”

Si era subito reso conto di aver esagerato dalla sua risposta stizzita.

“Assurdo! Per te non sono all’altezza di quella ragazza! E per lei che mi stai lasciando, io lo so! Ti rendi conto di quanto sia umiliante per me?!”

“Credo sia più umiliante vivere con un marito che diserta il tuo letto.” Le rispose impietoso.

La donna tremò di sdegno, ma non osò ribattere.

“Potrei rovinarla con una parola!” Sibilò cattiva.

“Non lo farai.”

“Dovrai risarcirmi per questa vergogna tremenda che mi getti addosso!”

“Tutto quello che vuoi, ma firma queste carte, e facciamola finita. Sarà meno penoso per entrambi se la chiudiamo qui, e subito. Non mi costringere a ricorrere a mezzi sleali, che non ti piacerebbero.”

“Non lo faresti! Non puoi dire sul serio!”

“Lo farei, invece. Io sono fatto così. Non esiterei un istante, fidati. – Sibilò Masumi, assottigliando lo sguardo. – Sinceramente, spero di non arrivare a tanto, ma se non vuoi essere ragionevole, il problema è tuo. Allora, cosa intendi fare?”

Dalla grande vetrata che dominava la parete si scorgeva lo skyline di Tokio con i suoi palazzi. La donna atterrita e ormai sconfitta, si sedette al massiccio tavolo rettangolare che dominava l’ ufficio mordendosi le labbra; uno degli avvocati estrasse una penna dal taschino della giacca, che le porse insieme a un fascio di carte.

Masumi la fissava immobile. Un leggero sorriso gli affiorava sulle labbra, mentre una bella sensazione lo invadeva piano, fino a investirgli il cuore e la mente come un’ ondata energica. Era di nuovo, un uomo libero.

 

§§§§

 

L’ estate arrivò, alla fine.

Chiusa la stagione teatrale, Maya, in seguito a un messaggio di Hijiri Karato, fece armi e bagagli e partì, senza dire a nessuno dove sarebbe andata. Le vecchie amiche, come Rei, compresero che c’era qualcosa nell’aria, ma non immaginavano cosa stesse accadendo nella vita della loro giovane amica.

Negli ultimi mesi Maya era parsa di umore più rilassato e sereno, e aveva perso un po’ di quell’aria malinconica che l’aveva accompagnata in tempi recenti.

Di ciò che era accaduto tra lei e Masumi nessuno sapeva nulla, e bisogna dire che furono bravi a mantenere la massima segretezza. Masumi la seguì per l’ intera stagione teatrale, con discrezione, in qualità di presidente della Daito, valutò anche un paio di collaborazioni artistiche con gruppi concorrenti che volevano offrile un ingaggio. Le mandò un’ infinità di fiori diversi, dietro cui nascondeva sempre una solitaria rosa purpurea, per non destare attenzioni e sospetti. Solo nei biglietti che allegava, sigillati e siglati dalle sue iniziali, riversava tutta la tenerezza appassionata del suo cuore innamorato, tutte le parole d’amore che avrebbe voluto dirle a voce.

Maya conservò tutti quei biglietti gelosamente, come fossero gemme di un tesoro prezioso. Li leggeva e rileggeva in continuazione, tanto da averli imparati a memoria. Arrivò al punto di immaginare l’inflessione roca e profonda della voce di Masumi, mentre le diceva quelle frasi; al pensiero, l’emozione le rapiva l’animo. In quella distanza forzata che furono costretti a tenere per evitare maldicenze pericolose, quei frammenti di lui le scaldavano il cuore e lo riempivano di profonda gioia e speranza. Al di fuori dell’ambito degli spettacoli, non si incontrarono mai, se non sporadicamente, e per fortuite coincidenze.

Ma adesso, il momento giusto per stare insieme era arrivato.

Non c’erano più ostacoli che potessero frapporsi tra loro: né una moglie gelosa, livida e meschina pronta alla diffamazione della sua rivale, né giornalisti e fotoreporter a caccia di scoop scandalistici sulla presunta vita sentimentale di Masumi Hayami.

Questo pensava Maya, mentre una limpida e frizzante mattina di giugno, con l’ansia che le serrava lo stomaco, in auto si allontanava da Tokio con una piccola valigia per recarsi a Izu.

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

Eccomi!!

Pensavo di concludere qui, invece no, ma il prossimo sarà davvero l’ultimo capitolo, che credo di riuscire a portare a termine a breve. Non potevo sintetizzare troppo la parte finale che si sta sviluppando in maniera un po’ imprevista, mentre tento di evitare toni stucchevoli che non mi piacciono. Intanto, spero che questo capitolo sia stato di vostro gusto, ma critiche, suggerimenti e consigli saranno sempre bene accetti. Ringrazio tutte le persone che hanno commentato e stanno seguendo questa storia, sono felice che vi piaccia.

Alla prossima e grazie di tutto.

 

 

 

 

 

 



[1]  Come nel capitolo precedente, le parti in neretto che troverete proseguendo nella lettura, sono tratte dal dramma di Ibsen, e appartengono all’ultimo atto di “Casa di bambola”.

[2]  Lo so, Masumi ha gli occhi chiari nel manga, quello affascinante e l’aria un po’ da canaglia degli OAV ha gli occhi scuri, graficamente forse il più bello. In questa mia storia ho immaginato Masumi con gli occhi verdi, ispirandomi all’anime del 2005, che a me personalmente, piace parecchio… poi, per gli occhi verdi io ho un debole…ne sanno qualcosa le lettrici di un altro fandom!

   
 
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