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Autore: ohsnape    17/02/2015    2 recensioni
E' la mia personale visione di ciò che è potuto accadere a Piton durante il suo incontro con Voldemort dopo il termine del Torneo Tremaghi. E' una storia basata principalmente sui pensieri di Piton e la sua personalità.
Chi avrebbe mai detto che occhi così scuri potessero risplendere così tanto?
E' la mia seconda fanfiction in assoluto, se trovate degli errori, non esitate a farmelo notare.
Un grazie a chi recensirà!
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eileen Prince, Lily Evans, Severus Piton, Tom Riddle/Voldermort | Coppie: Lily/Severus
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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‘’[..] «Severus» disse Silente rivolto a Piton, «sai che cosa devo chiederti di fare. Se sei pronto... se sei in grado...»

«Lo sono» disse Piton.

Era un po' più pallido del solito e i suoi freddi occhi neri erano animati da uno strano scintillio.

«Allora, buona fortuna» disse Silente, e con una traccia di preoccupazione sul viso guardò Piton scomparire silenziosamente. [..] ‘’

 

                                                                               Harry Potter e Il calice di Fuoco







Non appena Piton mise piede fuori dal castello, si strinse nel suo mantello e si apprestò ad avviarsi verso i confini del territorio di Hogwarts. Quella notte era più buia del solito; tutto sembrava privo di vita, la foresta stessa era silenziosa come se non vi abitasse nessuna creatura, ed il cielo era il perfetto riflesso dei suoi profondi occhi neri. Quegli occhi scuri, così comuni, di certo non rispettavano i canoni di bellezza della gente, eppure seppero rivelarsi il suo scudo ideale. Essi costituivano il suo muro personale da poter innalzare contro le persone. Laddove non bastavano le sue aspre e ciniche parole, egli aveva i suoi occhi neri. Aveva imparato con il tempo ad usarli per allontanare le persone e tutto ciò grazie all’ausilio di uno sguardo. In verità non doveva neppure sforzarsi nel fingere, esse erano in grado di fargli provare sempre un sentimento di disgusto. Quegli occhi erano in grado di mostrare il disprezzo tanto quanto erano in grado di celarlo, ed era ciò che si auspicava che facessero quella sera.

Continuando a camminare sfiorò il tessuto che copriva l’avambraccio sinistro. Proprio lì sotto era stato marchiato a fuoco il Marchio Nero, ora pulsante. Srotolò la manica e toccò la parte tatuata per sapere dove si trovasse la persona da cui era stato mandato da Silente. Lo toccò e si smaterializzò al cimitero, al cospetto di un Voldemort risorto.

‘’Scappato! Un’altra volta quello stupido ragazzino è riuscito a scappare!’’ gridò Voldemort davanti ai suoi Mangiamorte già riuniti.

Piton lo udì. Sentire quella voce fu come una doccia fredda, tutto successe in una frazione di secondi. La mente operò freneticamente e gli si presentò alla memoria tutto ciò che aveva perso dal momento in cui decise di unirsi in gioventù a quell’uomo. Prendere solamente quella decisione lo aveva privato del rispetto della comunità magica ma soprattutto quello della sua unica amica, colei che in principio lo aveva accettato per come era: senza ricchezze, con i capelli unti, i vestiti smessi, semplicemente troppo vecchi e troppo larghi. L'unica che era stata in grado di accettarlo. Troppi ricordi vagavano in quel momento nella mente di Piton, ma un secondo prima di rivelarsi al suo vecchio Signore cercò di liberarsene. 
Avanzò con gli occhi rivolti verso il basso che ora mostravano un’indifferenza esterna, risultato del suo sforzo di sbarazzarsi dei suoi pensieri. LUI non doveva vedere. LUI non doveva sapere. Avanzò ancora di più sorpassando gli altri mangiamorte ed infine si inchinò davanti al Signore Oscuro.

‘’Ah, ma guardate chi ha deciso finalmente di bearci della sua presenza. Severus, perché non ci delizi con le tue inutili scuse sul tuo ritardo? Perché non sei accorso quando hai sentito il Marchio bruciare?’’  domandò Voldemort mostrando asprezza nelle sue parole e iniettando sangue alle sue pupille già rosse.

‘’Mio Signore, sapete bene che se fossi accorso e avessi lasciato il mio incarico di professore anche solo per 10 minuti, la mia copertura sarebbe saltata e Silente avrebbe sospett-‘’

‘’Crucio!’’ incalzò il Signore Oscuro per fermare il fiume di parole di Piton che ora si trovava steso a terra ed agonizzante. ‘’Come vuoi che ti creda, Piton? Come faccio a crederti? Sono profondamente e schifosamente deluso’’. Tuttavia rilasciò la maledizione in modo che l’altro potesse rispondergli.

‘’Mio Signore’’ disse Piton cercando di soffocare gli spasmi di dolore che tuttavia rimbombavano nelle sue membra ‘’Sapete bene che ripongo solo in voi la mia lealtà, non avete da temere tradimenti da parte mia. Io vi sono fedele, Mio Signore. Sono giunto non appena ne ho avuto la possibilità! Se vi avessi tradito, sarei scappato con Karkaroff.."

‘’No, non sei scappato con Karkaroff, che ovviamente pagherà con la morte, tuttavia non sei nemmeno stato all’altezza dei Lestrange, Mangiamorte leali che pur di non tradirmi hanno scelto Azkaban!’’  Voldemort, in preda alla collera, gridò così forte che un corvo rimasto a guardare la scena su di una tomba, gracchiò alzandosi in volo, pensando di trovarsi in pericolo.

’'Ho dovuto fingere, Mio Signore! Ho dovuto far credere a Silente e al Ministero di non stare più dalla vostra parte.. Io.. Io vi credevo sconfitto..’’

‘’CRUCIO!’’ pronunciò Voldemort gelido, in realtà godeva nel vedere l’uomo davanti a lui contorcersi dal dolore. ‘’Io? Sconfitto da quella schifosa e sudicia puttana sanguemarcio? Perché, dimmi perché Piton, ogni cosa che dici o provi a dire non fa altro che incrementare la mia voglia nel porre vita alla tua miserabile vita?’’ dichiarò sprezzante Voldemort. Notò, comunque, con una lieve approvazione che nonostante il mago davanti a lui avesse la faccia sconvolta dal dolore, di non aver udito nessun grido o richiesta d'aiuto. Se ci fosse stato qualcosa che avrebbe potuto irritarlo ulteriormente sarebbe stata proprio una insulsa richiesta di compassione. Lo scongiurare era decisamente da deboli. Piton continuò a contorcersi a terra per interminabili minuti senza far uscire il benché minimo suono, finché tentò di pronunciare delle parole che gli morirono in bocca nel sovrumano tentativo di trattenere le sue urla di agonia. Non voleva apparire debole davanti agli altri Mangiamorte. Infine Voldemort interruppe di nuovo la maledizione poiché desideroso di ottenere una risposta. 


Il professore di Pozioni impiegò una manciata di secondi per riuscir a guadagnare un battito cardiaco decente ed una voce abbastanza ferma che non lo facesse sembrare ridicolo, dunque disse " Mio Signore, comprendo bene la vostra rabbia ma vi assicuro, vi sono estremamente fedele. Voi stesso mi deste l'incarico di andare ad Hogwarts per controllare Silente. È dall'inizio dell'anno che sento bruciare il Marchio Nero. Non appena sentii il bruciore, capii che sareste arrivato e ho aspettato il momento in cui la mia presenza non fosse ritenuta necessaria per raggiungervi senza destare sospetti. È vero, ciò non giustifica interamente il mio ritardo perché un ritardo deve sempre considerarsi sospetto e sono consapevole del fatto che la punizione a cui mi sottomettete è da considerarsi giusta... Tuttavia ho pensato che sareste stato felice se vi avessi dato prova della mia lealtà in questi sedici anni e se vi avessi dato delle informazioni che ho potuto carpire da Silente in questo periodo di tempo" . Affermò ciò con decisione fissando le due fessure rosse della figura che lo sovrastava con i suoi occhi, tanto pesti quanto due buchi neri, tentando di invitarlo a guardare tramite la Legimanzia nella sua mente dove erano stati già evocati ricordi fasulli. Quegli occhi, più neri della pece, non si limitavano ad essere il suo scudo personale contro le persone, costituivano anche la sua arma più potente. Tramite essi poteva ingannare la figura davanti a lui, il legilimens più abile del mondo. Tramite essi lui stesso diveniva l'occlumante migliore al mondo. I suoi occhi, così distanti dai canoni di bellezza della gente che era solita preferire tonalità ben più chiare, si sarebbero rivelati di vitale importanza, avrebbero salvato delle vite se avessero continuato a mostrare memorie false. Piton continuò silenziosamente a rivelare una sedicente lealtà verso l'omicida del suo unico amore. Egli aveva compreso bene l'arduo compito in cui si sarebbe sottoposto: se voleva agire da spia, doveva mentire. Era già in grado di mostrare indifferenza o disprezzo da quei suoi tunnel neri, ora doveva anche mentire tramite essi. I suoi occhi non erano solamente uno scudo, non erano nemmeno una semplice arma. Essi sarebbero divenuti per gli anni a venire la sua maschera, ciò che gli avrebbe dato un sostegno nel suo precario equilibrio sul filo del rasoio della guerra.

Non appena vide ciò che gli mostrò Piton, Voldemort riprese parola ’’Dunque mi sei rimasto fedele, Severus. Bene, davvero molto bene. Albus è uno sciocco a pensare di averti in suo pugno. Penso che se giocherai bene le tue carte mi sarai molto utile’’.
Piton ascoltò attentemente le parole e continuò a guardarlo negli occhi finché l’altro riprese ‘’Però, vedi.. anche se ho controllato nella tua mente, anche se in tal modo mi hai fornito 16 anni di informazioni su Silente e l’Ordine, io… io ti devo punire. E sai perché lo faccio? Perché nessuno di voi ha osato cercarmi. Voi tutti mi credevate sconfitto. Voldemort non può perdonare una tale mancanza di rispetto, non trovi? CRUCIO.’’
Il professore venne colpito per la terza volta nella serata dalla maledizione Cruciatus e per la terza volta lottò con tutte le sue forze per cercare di non far uscire un rumore. Stremato dalla maledizione incessante crollò sul suolo e strinse così forte i suoi pugni che le unghie lacerarono l’epidermide dei suoi palmi, facendoli sanguinare.  La tortura si protrasse senza pause per un’ora intera. Il suo corpo si stava ribellando, non riusciva più a tener a controllo le grida che cercava di soffocare ed iniziò ad emettere dei suoni di disperazione e di dolore.

La temperatura crollò ulteriormente nel cimitero. Il calore del fuoco del grande calderone in cui il Mago più Oscuro era risorto ore prima non riusciva a confortare le figure che si trovavano in quel luogo. La sua unica utilità rimasta era di donare un po’ di luce in quel posto lugubre. Il vento ora soffiava molto forte, eppure le fiamme rosse che alimentavano il fuoco continuavano imperterrite ad essere vive e a bruciare nonostante il vento. Piton, ancora agonizzante, da terra fissò quella scena, cercando attentamente di occludere la mente per evitare intrusioni del Signore Oscuro e ad un tratto capì di dover resistere. Capì di dover sopportare ciò per Lei, per quella ragazza dagli scuri capelli rossi che tanto ricordavano quelle lingue di fuoco a pochi metri da lui. Lei, come quelle fiamme, continuava ad ardere nel suo io più profondo anche se ella, a differenza di quelle, ormai non esisteva più. E con questo pensiero rincuorante Piton sopportò in silenzio tutte le torture inflittegli nell’arco di altre due ore.

‘’Bene. Ora  credo che possa bastare.  E prima che tu vada, ricordati Severus, tieni d’occhio Silente e bada bene a non irritarmi ulteriormente. La prossima volta potrei non essere così clemente’’ gli disse gelido Voldemort. ‘’Voialtri, con voi ho terminato. Potete andare finché non necessiterò di nuovo della vostra presenza. Tranne te Lucius, con te continuerò a discutere di alcune questioni nella tua dimora, sempre se me lo concederai..’’ disse sarcasticamente

‘’Ce-certamente Mio Signore…’’

‘’Bene. McNair accompagna Piton ai confini della scuola. E’ ancora buio, non ti vedranno.’’

‘’Come desiderate’’

McNair sollevò in piedi Piton e si smaterializzò appena fuori dei confini di Hogwarts in modo da non dover far scattare gli incantesimi e gli allarmi di difesa dell’istituto. Appoggiò il compagno ad un tronco e disse ‘’Sei stato in gamba. Ha torturato pure noi prima che tu arrivassi ma non con la stessa ferocia.. Sai, credo proprio che ci aspettino tempi duri …’’

Piton non riuscì a rispondere, aveva ogni singola fibra del corpo dolorante, dunque si limitò solo a guardare il compagno e ad abbozzare un cenno del capo in segno di riconoscenza quando l’altro si apprestò a smaterializzarsi.
Severus sapeva che avrebbe dovuto alzarsi per andare in infermeria e non indugiare lì, appoggiato ad un tronco vicino alla sponda più remota del Lago Nero. Tuttavia scelse di restare, sarebbe andato all’alba a farsi medicare. Aveva bisogno di pace e calma. Lo allietava sentire la brezza di quel vento che ora soffiava dolcemente sulle chiome degli alberi provocando una sinfonia che forniva un effimero sollievo al suo corpo esausto.
Ora sapeva ancor meglio cosa comportasse cercare di salvare il figlio di Lily e nonostante il pensiero di rivivere una notte del genere lo angosciasse dal profondo, era intento nel perseguire ciò che aveva promesso, non si sarebbe ritirato, sarebbe andato fino in fondo.  
Nel tentativo di trovare una posizione che calmasse i suoi dolori, si sdraiò con il capo rivolto in alto. Da quella posizione poteva osservare bene lo spettacolo che lo sovrastava e fissando ancora lo sguardo all’insù, si ricordò che da piccolo, quando ancora non conosceva la sua Lily, adorava scostare di notte le vecchie tendine della sua finestra a Spinner’s End per poter mirare il cielo quando non riusciva a prender sonno. Gli piaceva fissare il suo sguardo in sù, adorava la sensazione di rimanere ammaliato e allo stesso sentirsi impotente rispetto a quell’oscurità, soprattutto quando non vi erano luna o stelle che lo avrebbero privato di tale sensazione. Ed un ricordo prese largo nei suoi pensieri….

Era una sera sulla fine di Marzo del 1968.  
Il piccolo Severus aveva aiutato la madre con le faccende domestiche durante la mattinata mentre nel pomeriggio si era dedicato ai vecchi libri di sua madre e senza volerlo passò ore ed ore su quei testi finché suo padre, Tobias Piton, rientrò a casa dopo una giornata di lavoro. Appena posata la giacca, vide con la coda dell’occhio che suo figlio stava leggendo ciò che lui chiamò ‘’roba insulsa’’. Quella volta fu quello il pretesto per l’ennesima lite alla fine del quale Tobias Piton prese la giacca, maledisse moglie e figlio e se ne andò via.
Severus corse in camera sua, scostò le tendine e vide suo padre allontanarsi provando sollievo ed odio allo stesso tempo, poi alzò lo sguardo e finì per mirare il cielo buio di Cokewort, incantandosi. 

‘’Severus, che fai? stavi guardando tuo padre?’’

‘’No, madre.. in realtà guardavo il cielo.. io non so perché, ma a me piace guardarlo.. è una cosa normale? I bambini del parco dicono che sono strano..’’

‘’ A tutti piace guardarlo, tesoro.. perché quando lo guardiamo, realizziamo che in fondo i nostri problemi sono del tutto insignificanti ed è confortante per la gente fare questo tipo di pensiero, amore mio..’’

‘’Però agli altri bambini piace vedere il cielo di giorno oppure di notte quando ci sono le stelle! A me invece piace quando è tutto scuro… Questo fa di me una persona non normale, mamma? Fa di me l’essere cattivo che papà pensa che io sia?’’

‘’Assolutamente no, piccolo mio.. ‘’

‘’E allora perché a me piacciono le cose che gli altri non guardano?’’

‘’Severus, ascoltami bene, anche se a te piacciono cose diverse non vuol dire che ci sia qualcosa di sbagliato in te. Siamo tutti diversi, è normale dunque avere gusti diversi. Non lasciare mai che il giudizio delle persone guidi le tue azioni. Ti piace molto leggere i libri di magia? Non c’è nulla di sbagliato. Ti piace guardare il cielo? E’ perché sei un bambino molto riflessivo. Ami la sua oscurità? Ciò non vuol dire che tu sia una persona cattiva.. Le persone davanti alle cose insolite od oscure tendono ad essere diffidenti, ma tu ne sei affascinato, e questo non perché hai oscurità dentro di te, ma perché sai che in realtà c’è qualcosa che si nasconde dietro di essa. Come il cielo di notte, per esempio. Tu lo guardi e contempli il suo buio totale, ma sai che dietro di esso la luna e le stelle continuano a splendere e magari, a dispetto di ciò che pensiamo tutti noi, risplendono di più e mostrano maggiormente la loro vera essenza quando sono nascoste che quando sono alla vista di tutti. E’ un messaggio molte forte del tuo animo, piccolo mio, spero solo che tu possa non scordarlo mai…’’



Lo sorprese il fatto di essersi ricordato per la prima volta di quel momento a distanza di così tanti anni. Forse gli era venuto in mente perché aveva bisogno di un momento felice e quello costituiva l’unico momento felice passato in quelle quattro mura domestiche anche se ciò non lo turbava più. Quello era il tipo di passato che era riuscito  a mettere da parte. 
Nel frattempo il vento continuava a soffiare gentilmente mentre lui si apprestava a chiudere gli occhi. Dopo un intervallo di tempo sconosciuto, li riaprì e le sue labbra sottili eseguirono ciò che si sarebbe considerato un mezzo sorriso quando si accorse che quella stessa notte era ancora attanagliata da un buio così profondo che non vi si poteva scorgere nemmeno una sfumatura chiara della luna o delle stelle che potesse schiarirne il manto nero. In quel momento, in effetti, il buio sembrava essere il sovrano incontrastato del luogo. Infine richiuse gli occhi per tentare di avere un po’ di ristoro.
Quei suoi occhi, dotati di un nero intenso che poco seguivano i gusti delle persone che erano solite preferire tonalità ben più lucenti, non erano solo il suo scudo, non costituivano solamente un’arma o una maschera da utilizzare per portare a termine la sua missione. In realtà tutta l’asprezza che utilizzava nei suoi modi e nelle relazioni, tutti i muri e le difese che alzava per isolarsi, non erano altro che il risultato di ciò che la vita gli aveva fatto affrontare fino a quel momento e ciò che gli avrebbe fatto affrontare in futuro. Quei suoi occhi erano lo specchio della sua anima, di ciò che lui era realmente. Erano come il cielo che fu descritto da sua madre in quel ricordo. Anche se egli era giudicato in una certa maniera, i suoi occhi celavano la verità e la sua parte più nascosta. E ciò che tutti ignoravano era che sebbene egli cercasse di nascondere il suo vero io dietro una corazza e un odio costante, la sua limpida indole risplendeva nella sua vera essenza nascosta ed indisturbata dietro quei due punti neri che ad altri sembravano privi di ogni emotività.


 

  
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