Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance
Segui la storia  |       
Autore: _unintended    17/02/2015    2 recensioni
Bandit prese tra le mani una foto rovinata e ingiallita che ritraeva la sua famiglia, tutti e tre insieme seduti al divano della loro vecchia villa, quella vicina al lago, dove aveva passato tutta l’infanzia. Vide se stessa sulle ginocchia di sua madre, che la stringeva protettivamente, e vide suo padre, in tenuta militare, con quello sguardo intenso che lo aveva sempre caratterizzato fino all’ultimo istante della sua vita. Quello sguardo intenso che soltanto un’altra persona, in tutto il mondo, aveva saputo sostenere e ricambiare altrettanto intensamente. Soltanto una.
Quella sbagliata. In tutti i sensi.
"Se vuoi che non butti questi scatoloni non c’è problema, sai?"la rassicurò sua nipote vedendola così turbata.
"Sarah"
"Sì?"
"Devo raccontarti una storia."
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bandit Lee Way, Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
AAAH MA LI AVETE VISTI GERARD E MIKEY INSIEME? GLI SGUARDI, L’ABBRACCIO, I SORRISI ASSFJFKJGKLHLHL *-*
Dio, io sono ancora in stato di shock. Due anni, due anni capite? E ora sono tornati a suonare insieme…
*film mentali su un possibile ritorno dei mychem*
No, ok. Tanto illudermi è la mia attività preferita, quindi ew
Bene, domani si torna a scuola e io non ho ancora combinato niente, ma ehi dovevo iniziare Doctor Who (grazie a dolfi, gaia e irene, aw), sclerare su tw per gerard e mikey fucking way e poi scrivere questo capitolo, no?
Well, buona lettura
M.
ps. il titolo del capitolo è ispirato ad una canzone dei Queen, la mia preferita, "Too much love will kill you" aw

 
 
CAPITOLO 23 – JUST THE SHADOW OF A MAN
 
FRANK
 
 
Poso il mattone sul suolo ghiacciato, riprendendo fiato. Prima che possa riprendere a lavorare, vengo scosso da un violento attacco di tosse, uno dei tanti di questi giorni. Un soldato tedesco mi intima di unirmi agli altri e così faccio, cercando di farmi passare la stanchezza.
“Tutto bene?” mi chiede Rayon con voce flebile ed io annuisco in risposta, posandole una mano sulla spalla con fare rassicurante. Quello che trovo sotto il palmo mi spaventa: sento praticamente le ossa, sottili e dure, con appena un po’ di pelle a separarle dal mio tocco.
Rayon aggrotta la fronte ed io levo subito la mano, atterrito. Sta diventando più magra ogni giorno che passa, e le razioni extra che le passo di nascosto non servono poi a molto se ognuna di esse è la metà della metà del piatto che dovrebbe mangiare una persona normale. Ha occhiaie e ombre scure a scavarle il viso, labbra spaccate e secche e gli occhi spenti e acquosi.
Dentro di me so che non resisterà a lungo. Non posso nemmeno negarlo, o evitare di pensarci. È questione di giorni, e il dottore del controllo mattutino si accorgerà di lei e la manderà a morire in una delle camere a gas, o semplicemente la fucileranno in un vicolo.
Non posso permetterlo. Non è per giudicare il resto della gente, ma lei è una delle persone più pure e innocenti qui, e non posso lasciare che sprechi la sua vita in questo modo. Voglio che sia felice, perché se lo merita e perché se devo morire… almeno posso morire per lei.
Non so cosa stia elaborando il mio cervello. Probabilmente sono solo i miei deliri provocati da tosse e raffreddore, probabilmente domani scorderò tutto.
Se ci sarà un domani.
 
 
“Frank, che cosa vuoi dire?”
Rayon lascia il suo giaciglio per raggiungere alla cieca il mio. La vedo avanzare a tentoni, arrancare nel buio e sistemarsi accanto a me, sdraiandosi al mio fianco. Non è la prima volta che dormiamo vicini per riscaldarci durante la notte, perciò la accolgo con un sorriso e mi stringo nelle spalle. “Non lo so. Solo che non puoi continuare così. Non voglio demoralizzarti, ma ti sei vista? Hai visto come ti stai riducendo?”
Rayon alza il capo verso il soffitto, evitando il mio sguardo. La vedo inspirare a fondo prima di rispondere “Sto bene” con voce tremolante e insicura.
“No. No che non stai bene.”
“Sto bene abbastanza per tirare avanti”
Sospiro. “Tirare avanti significa aspettare passivamente che qualcuno ti faccia fuori perché sei troppo debole?”
Rayon finalmente si volta verso di me, piantando i suoi occhi azzurri nei miei. “Ascolta, Frank. Io ce l’ho sempre fatta. Ho… ho vissuto di tutto nella mia vita. E non ho mai avuto bisogno dell’aiuto di nessuno, è chiaro? Perciò non venirmi a dire che vuoi sacrificarti per me, perché sarebbe stupido e illogico. Non sai nemmeno tu cosa vuoi fare, perché dovrei darti retta?”
“Perché voglio donarti una speranza!” esclamo a bassa voce, cercando di non svegliare il resto della gente che dorme attorno a noi.
Lei sorride piano, allunga una mano verso il mio viso e mi accarezza la guancia. Il suo tocco è freddo, glaciale, ma delicato come un fiore. “Oh, Frank… e le tue speranze? Dove sono?”
“Non ci sono più, come me. Io non esisto. Per tutta la gente a cui tenevo ora sono solo un cadavere.”
Non esisto.
Rayon scuote decisa la testa. “Non è vero, e lo sai. Anche se credi di aver perso tutto… non è così. Altrimenti ti saresti già abbandonato alla morte da un pezzo. No, tu un po’ di speranza ce l’hai ancora, dentro di te”
“Questo non c’entra niente.” dico, allontanando la sua mano dal mio viso ma continuando a tenere il suo polso tra le mani. “Ascolta… una delle due ragazze che facevano da cameriere nella villa del colonnello Quinn è morta ieri. Hanno bisogno di una nuova cameriera. Io ho… ho intenzione di mandarci te.”
Rayon ridacchia piano. “Tu ‘hai intenzione’? E a chi vuoi proporlo? Alle SS?”
“Non lo so.” ammetto “Ma sicuramente domani faranno una selezione, e tu devi essere scelta. Assolutamente. È la tua unica possibilità: soggiornare nel dormitorio all’interno della villa, stare al caldo, fare lavori meno pesanti…”
“Non mi prenderanno mai. Per loro io sono… sono un uomo.”
“Non hanno molta scelta. Non sono rimaste donne libere e sane, soltanto uomini. Sceglieranno te, vedrai.”
“E chi ti dice che non morirò comunque? Chi ti dice che non sono già malata? Che non c’è salvezza per me? Del resto quella ragazza è morta, eppure viveva in condizioni migliori delle nostre.”
“Quella ragazza aveva una ferita ormai in cancrena al braccio, e nessuno gliel’ha curata. Tu invece hai solo… hai bisogno solo di cibo e riparo. Tu puoi farcela.”
Rayon chiude gli occhi, si volta e mi passa una mano sul fianco, stringendosi a me. Io ricambio la stretta, e la quiete che trovo nel suo calore è doppiamente confortevole: ho una persona accanto a me, ed è una persona che mi ama davvero.
Non succedeva da secoli.
“Ce la farai. Te lo prometto.” mormoro contro la sua testa, dandole un bacio sulla sottile peluria che ha sul capo, gli unici veri capelli che le sono rimasti ormai.
Rayon annuisce, arrendendosi finalmente. “Mi fido di te, Frank.”
 
 
Il giorno dopo, come previsto, accade quello che speravo. Le SS ci fanno rimanere in fila dopo il controllo e annunciano in tedesco qualcosa, ma quando vedo alcuni uomini (i più vecchi o quelli più deboli e malati) darsi subito un contegno e cercare di apparire più sani, mentre dei soldati passano tra le file, capisco che stanno già facendo la selezione.
Tutti vogliono quel posto.
È l’unica speranza per molti di noi.
I soldati pian piano scartano quasi tutti, lasciando soltanto quelli più deboli, consapevoli anche loro che sarebbe un peccato sottrarre uomini forti al campo per un lavoro così femminile.
Io sono stato scartato quasi subito, ma tra quelli rimasti c’è Rayon. La guardo da lontano, facendole coraggio con gli occhi mentre i tedeschi eliminano ad uno ad uno tutti gli uomini disponibili. Prima che possa rendermene conto, gli unici due rimasti sono Rayon e un altro uomo sui cinquant’anni, brizzolato e con la faccia solcata da parecchie ferite e cicatrici.
Ok.
Calma.
Rayon ha il 90% di possibilità.
Ma non posso rischiare.
Un soldato si avvicina ai due, scrutandoli ad uno ad uno.
Rayon ha lo sguardo terrorizzato, ha paura di non essere preso, cerca me tra la folla ma non riesce a trovarmi e supplica con gli occhi il soldato tedesco, ma quello, dopo avergli dato un’ultima occhiata, si dirige verso l’altro uomo.
Non posso rischiare, no.
Io devo.
Devo, e basta.
Faccio un respiro profondo, probabilmente l’ultimo. Non ho paura.
Non ho paura non ho paura non ho paura non ho paura.
Mi lancio in avanti, spintonando il resto dei prigionieri davanti a me e raggiungendo in un batter d’occhio l’inizio della fila. Come a rallentatore, vedo i soldati tedeschi fissarmi allarmati, vedo alcuni di loro sollevare i fucili e puntarli verso di me e penso “E’ finita”, ma poi raggiungo il soldato che sta esaminando Rayon e l’altro uomo, e mi butto su quest’ultimo, facendoci crollare rovinosamente a terra.
“Tu, brutto pezzo di merda mi hai rubato la saponetta!” grido, falsamente arrabbiato, e comincio a riempire di pugni l’uomo innocente sotto di me.
Cerco di non pensarci.
Lo sto facendo per Rayon. Soltanto per lei. Non importa chi si farà male. Rayon sarà salva, ed è questo ciò che conta. Devo salvare almeno lei. Almeno lei.
Almeno lei.
Sento l’uomo sotto di me provare a rialzarsi, lo sento cercare di fermare i miei pugni, ma io gli salgo sopra a cavalcioni e lo immobilizzo, continuando a picchiarlo.
So che la pallottola arriverà tra tre, due, uno…
È soltanto questione di pochi secondi, che sento qualcuno puntarmi la canna di un fucile dietro la schiena, e un’altra mano afferrarmi violentemente per i capelli e tirarmi su fino a rimettermi in piedi.
Incrocio gli occhi furiosi di un paio di soldati stretti attorno a noi, sento urla, caos, prigionieri che ci fissano ammutoliti, poi guardo l’uomo steso a terra e noto una pozza di sangue sotto la sua testa.
Non l’ho ucciso, no. Per fortuna mi hanno fermato in tempo. Ma l’ho sfigurato abbastanza. Il suo viso è praticamente irriconoscibile, impregnato di sangue, con ferite ovunque e un grosso taglio sulla tempia.
Dio. Cosa ho fatto?
Oh oh perdonami. Chiunque tu sia, perdonami per favore oh oddio che cosa ho fatto, ho le mani sporche di sangue e non riesco più a pensare, ma poi vedo Rayon guardarmi con gli occhi sgranati e ritorno sulla terra e capisco che non sono morto, no. Credevo di morire, credevo che mi avrebbero sparato non appena mi avessero visto scagliarmi sul prigioniero ma no, mi hanno risparmiato.
Non so se esserne grato o….
Sento il soldato che mi tiene fermo per la collottola gridarmi e sputacchiarmi contro, e allora io indico l’uomo a terra spiegando con rabbia che mi ha rubato la saponetta e che non poteva passarla liscia, e altre cose senza senso che non so se capiranno, perché non ho mai saputo se alcuni di loro parlassero inglese o no. Ma il soldato alla fine pare capire, perché mi strattona, continuando a tenere il fucile puntato contro di me, e mi affida ad altri due tedeschi, ordinando loro qualcosa.
Vedo il resto dei militari presenti dirigersi verso Rayon e dirle qualcosa, e quando iniziano a scortarla verso la villa di Quinn, capisco che alla fine in un modo o nell’altro ce l’ho fatta.
Ho ottenuto ciò che volevo. Rayon ce la farà. Lei… si salverà. Io lo so. Non importa che punizione dovrò scontare, non importa che probabilmente non ci vedremo quasi mai d’ora in poi, non mi importa.
L’uomo a terra viene fatto sollevare di peso e portato probabilmente nell’infermeria del campo. Credo che lo cureranno, sì. In fondo ha subito soltanto ferite facciali, e se medicate a dovere potrebbe ancora tornare a lavorare per un altro po’.
Spero che lo curino.
Non posso… non posso sentirmi colpevole per la sua morte.
 
 
Vengono a prendermi soltanto a sera. Per tutto il giorno mi hanno lasciato a lavorare con gli altri, ignorandomi quasi, trattandomi come al solito, ma non appena ci ritiriamo tutti nei dormitori, non faccio neanche in tempo a raggiungere il mio giaciglio che li sento arrivare.
Ne sono in due. Mi afferrano per le braccia, trascinandomi di peso fuori dal dormitorio, sotto gli occhi del resto dei prigionieri che ci fissano a metà tra il compassionevole e il curioso.
Non ho paura.
So di non avere paura. È questa la cosa bella di quando sei consapevole di aver fatto una cosa buona per qualcuno: qualsiasi punizione ti infliggeranno, qualsiasi supplizio pagherai, non sarà nulla in confronto alla soddisfazione di essere riuscito a realizzare ciò che volevi, di essere riuscito a rendere felice o almeno a far star meglio quella persona.
Mi portano fuori, nel piazzale del campo. Si sta alzando una bufera di neve di una violenza inaudita, forse una delle più forti mai vissute da quando sono qui. Io e i due soldati fatichiamo ad avanzare, e dobbiamo chinare la testa e coprirci gli occhi con una mano per non venire travolti da tutta questa neve che cade violentemente dal cielo.
Spero che facciano in fretta, almeno.
Eppure, non appena arriviamo al centro del piazzale, e vedo un ceppo e delle catene, capisco in un lampo. I due tedeschi mi incatenano i polsi, poi si allontanano piano e mi contemplano da lontano, sghignazzando tra loro. Non riesco nemmeno a vederli bene a causa della bufera, e dopo pochi istanti non ci sono più.
Puff. Spariti. Non li ho nemmeno visti allontanarsi. Mi hanno lasciato qui, ed è evidente che dovrò passarci tutta la notte.
Tutta la notte.
Tutta.
La.
Notte.
Qui, da solo, in silenzio, al buio, al freddo, a morire congelato sotto una bufera di neve che di sicuro non cesserà fino a domattina. Sento il freddo penetrarmi sotto la sottile casacca di pelle, nelle calzature ormai rovinate e bucate, sento il ghiaccio incrostarmi le ciglia, la neve incollarsi ai vestiti e ai capelli e sulle guance e non riesco nemmeno a respirare perché il respiro mi si mozza in gola, e i polmoni non riescono a dilatarsi per immagazzinare aria.
Non è possibile.
Questo è peggio… peggio della morte, peggio del beccarsi una pallottola in testa. È dieci, cento, mille volte peggio. Non ce la farò. Morirò.
Morirò, come avevo predetto.
D’accordo, d’accordo. Non ho paura.
N-n-no-n ho o-p-aura.
Anche i miei pensieri stanno congelando. Li sento tremare nella mia testa, li sento stringersi l’un l’altro fino ad annullarsi, solo per sentire un po’ di calore, fino a quando non scompaiono del tutto, e dentro di me rimane solo il vuoto.
Un minuto, due minuti, tre minuti.
Cinque, sei, dieci.
Venti.
Un secolo.
Due secoli.
Freddo.
Così tanto freddo….
Morirò.
Gerard.
Oh, Gerard. Ti amo così tanto. Ti prego ascoltami. Gerard. Gerard guardami. Guardami, sono qui. Gerard. Vieni a prendermi. Sono qui.
Sono qui.
Freddo.
Morirò.
 
 
Non so come mi ritrovano il mattino dopo. Probabilmente non mi rendo conto nemmeno di essere vivo, so soltanto che qualche ora dopo mi ritrovo nel mio dormitorio, a tremare ancora per il freddo come se fosse ormai un riflesso incondizionato. Mi stringo addosso la mia sottile coperta di ruvida tela, e ringrazio chiunque ci sia lassù per aver convinto le SS che ero troppo debole per lavorare, oggi.
All’improvviso vengo scosso da un altro attacco di tosse, più violento dei precedenti. Mi porto una mano alla bocca per soffocarlo, ma quando la allontano noto qualcosa sulla manica.
Sento il cuore farmi un tuffo nel petto. Sento il terrore aprirsi un varco dentro di me. Sento le gambe trasformarsi in gelatina, e il cervello andarmi in panico.
Sulla manica della mia casacca c’è del sangue.
 
   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance / Vai alla pagina dell'autore: _unintended