Capitolo Quattordicesimo
Aspettando la
guerra
Thranduil beve un lungo sorso di vino, prima di sollevare lo sguardo su
Luinil. La comandante ad interim rimane ferma, davanti al trono, con le mani
ordinatamente raccolte in grembo.
- So che le tue pattuglie hanno catturato degli esploratori nemici. Orchi,
mi è stato riferito – pronuncia infine il re, posando il calice – che
cos'hanno detto, sul motivo della loro venuta qui? –
Luinil scuote il capo: - non molto, mio signore, se si escludono vuote e
vaghe minacce. –
- Sarebbe un errore grossolano, sottovalutare il nemico – sospira
Thranduil, sollevando una mano, come per fermare una replica – non dico di
prestare cieca fede ai suoi vaneggiamenti, ma neanche di rimanere sordi alle
sue insinuazioni. –
Luinil s'inchina, rigidamente: - sarà fatto, mio signore – garantisce –
interrogherò di nuovo il prigioniero. –
- Luinil – la trattiene Thranduil, alzandosi con grazia dal trono – sembri
turbata. –
La giovane china il capo, distogliendo lo sguardo da quello del suo re: -
io… - esita -… ho solo timore di commettere uno sbaglio, mio signore… e non
comprendo la ragione che ha spinto degli orchi tanto lontano dalle loro terre.
Il prigioniero mi è parso animato dalla sete di vendetta, eppure non è stata la
gente di Eryn Galen a combattere ad Azanulbizar, né sulla Brughiera Arida. –
Thranduil tace per qualche istante, sfiorandosi la tempia come nel
tentativo di ghermire un pensiero: - la
Brughiera Arida? – domanda poi – è da lungo tempo che il sangue degli orchi non
imbratta la brughiera. Le loro roccaforti sugli Ered Mithrin sono intatte, come
lo è il loro dominio sul monte Gundabad. –
- Mio signore – Luinil tentenna – sono certa di quello che ho udito. Il
prigioniero proclamava d'essere sopravvissuto ad Azanulbizar. E parlava di una lei, che non aveva incontrato la morte
sulla Brughiera. –
Thranduil inarca un sopracciglio, perplesso: - una lei. Ne sei certa? –
- Sì, mio signore. Perché, per te queste parole hanno un senso? –
Il re sospira: - sono propenso a ritenerle il delirio di uno stolto –
replica. Riprende il calice, ma si bagna appena le labbra nel vino, senza
riuscire ad assaporarlo -… ad ogni modo, intensifica la sorveglianza sui
confini. Ordina che si controllino le difese e che le guarnigioni vengano
rafforzate. –
- Sì, mio signore –
- E, Luinil – Thranduil inclina il capo, con un pallido sorriso: - stai
facendo un buon lavoro. –
La giovane s'inchina di nuovo, mentre un vago rossore le imporpora le
guance ed un sorriso le incurva le labbra sottili. Mormora un ringraziamento
imbarazzato, poi prende congedo.
Thranduil la guarda uscire dalla sala e ripensa a quando non era altro che
una bambina, una piccola elfa che si nascondeva sotto il mantello di
Niphredil.
Sospira, poi torna a concentrarsi sulle parole del prigioniero. Una nemica. Una nemica inseguita fino
alla Brughiera Arida e poi fuggita, scomparsa nell'oblio per interminabili
anni.
Stenta a credere che si tratti dello stesso Serpente a cui lui e Niphredil
hanno dato la caccia, tanto tempo addietro, eppure il solo pensiero che la
bestia possa essersi ridestata, possa, in qualche maniera, essere sopravvissuta
alle terribili ferite ed aver recuperato la propria ferocia gli causa una
profonda inquietudine.
Rammenta il suo fuoco lambire il Reame Boscoso, ricorda la battaglia con
cui gli elfi silvani le hanno opposto resistenza, frustrando la sua ira e
depredandola della sua energia. E ricorda l'ultimo scontro, il combattimento in
cui ha quasi perso Niphredil, ricorda la furia cieca della bestia, il rombo assordante
del suo ruggito.
Gli orchi sono raccolti, sul grande spiazzo davanti alle antiche rovine.
Un silenzio innaturale regna sovrano, un intero esercito attende,
trattenendo il fiato.
Erag, una sagoma confusa in quell’orda inquieta, non riesce a distogliere
lo sguardo dalla densa oscurità che il Drago ha eletto come sua dimora. Si
sente fatalmente attratto dal potere della creatura e, al contempo, una parte
di lui gli grida di voltare le spalle al monte Gundabad, disertare e fuggire,
perché una vita col fardello dell’umiliazione è pur sempre meglio di una morte
atroce.
Poi, lentamente, con il volto ancora coperto da una rozza fasciatura, Sinag
emerge dalle tenebre.
- Il tempo della vendetta – esordisce il comandante, con la sua voce roca e
gutturale – è giunto. Un’avanguardia stanerà coloro che sono scampati alla
morte a Dimrill Dale e li attirerà in una trappola. Lì verranno accerchiati e
sterminati, dalle lame affamate delle vostre armi e dal fiato rovente del
Drago! –
Uno scroscio di acclamazioni riempie le rovine, grida esaltate si levano
fino al cielo plumbeo.
Erag estrae la spada e la alza, inneggiando al suo comandante assieme agli
altri soldati. La verità è che non ce la faceva più, ad aspettare. Ogni giorno,
ogni ora di sonno o di veglia che li ha separati dalla vendetta, è stata
un’angoscia insopportabile. Ha avuto la percezione fisica delle energie dei
suoi compagni d’arme che si affievoliva, si stiracchiava, pressata dalla
rabbia, dall’incertezza e dalla perpetua tensione, nell’aria.
Sa che tutti hanno atteso con ansia questo giorno, il giorno in cui ha
inizio la marcia, il cammino della rivalsa, che li porterà a bagnarsi nel
sangue dei nani.
Sinag solleva le braccia, imponendo il silenzio.
- Preparatevi, uomini – ordina – perché, dopo i nani, sarà il tempo degli
elfi, ed il nostro Signore si ergerà vittorioso sulle ceneri del loro regno! –
Richiamato da un bisogno inesplicabile, Erag distoglie lo sguardo dal volto
del suo comandante e lo rivolge al buio, alle sue spalle. Fra i resti di pietra
e le colonne spezzate, dove l’oscurità diventa più fitta, per un istante
intravede il muso del Drago.
Forse è un delirio, un parto malsano della sua mente logorata, ma gli
sembra di scorgere, nel barlume fioco dell’occhio sfregiato della bestia, una
luce divertita, come di chi pregusta un diletto a lungo atteso.
Niphredil raccoglie un rametto e lo getta fra le fiamme del falò, che arde
in un cerchio di pietre.
Rimane sempre incantata, quando guarda le lingue di fuoco danzare ed
intrecciarsi, splendendo e tremando.
I nani sono riuniti in assemblea da ore. Dalla grande sala fuoriesce il
brusio dei loro discorsi, una melodia altalenante, fatta di profondi silenzi e
di scoppi di grida.
Niphredil accarezza il suo ciondolo, seguendo con le dita le linee delicate
della gabbia d'argento.
Come in ogni minuto di quiete, si domanda cosa stia accadendo, ad Eryn
Galen. Socchiude gli occhi e prova ad immaginare le sentinelle darsi il cambio
davanti alle maestose porte, i soldati addestrarsi nei cortili, scoccando
frecce che fendono l'aria con lievi sibili. Immagina Galion che controlla le
cantine, Elros che conta le chiavi delle celle delle segrete. Vede Luinil negli
alloggi del comandante, che cerca di riordinare le scartoffie che si accumulano
sulla scrivania, con un sorriso rassegnato sulle labbra.
E, naturalmente, pensa a Thranduil, ed è un pensiero che le riempie il
cuore di una gioia malinconica, malata di nostalgia. Cerca di sorridere,
dicendo a sé stessa che i tempi delle peregrinazioni volgeranno al termine, che
presto Thràin decreterà la via da intraprendere e che, dopo quella decisione,
lei potrà calcolare i giorni, computare le ore che la separano dal suo
compagno.
Stringe più forte le palpebre e, nella quiete della sera, rivolge
cautamente il pensiero ad Erebor.
Il ricordo di quel giorno di morte e di sangue ancora la rattrista, ma il
dolore non le serra più il petto come gli artigli di una belva. Si è
affievolito. E' un memento, non più una tortura.
Improvvisamente, le porte della sala si spalancano e, con un alto vociare,
i nani escono. Hanno tanto da commentare, riflettere, organizzare, gesticolano
animatamente e già abbozzano progetti per il futuro.
- E' bello avere un vero obbiettivo – sta dicendo Dìs, quando raggiunge
l'elfa.
Thorin e Dwalin annuiscono, mentre Balin sembra pensieroso.
- Dovremo attraversare l'intero Minhiriath – commenta, accarezzandosi la
barba – ma poi, una volta oltrepassando il Brandivino, dovremmo essere al
sicuro. –
- Al sicuro? – indaga Arin, confuso – che pericoli pensi ci attendano,
lungo il Verdecammino? –
- Spero nessuno, ragazzo – lo conforta il nano, allungandogli una
rassicurante pacca sulla spalla – ma sarebbe sbagliato illudersi che il nostro
viaggio termini con un'allegra scampagnata. –
- Io dico – interviene Glòin, sedendosi sulla panca accanto a Niphredil –
che è una strada inutilmente lunga. Perché dobbiamo viaggiare per così tante
miglia, quando avremmo potuto fermarci ben prima del Brandivino? -
- Se si trattasse della scelta del luogo per un semplice accampamento –
replica Balin – potrei anche trovarmi d'accordo con te. Ma noi dobbiamo
scegliere il posto migliore per stabilirci, e questo deve avere dei requisiti.
Trovo che ci sia della saggezza, nel consiglio di Angus, e che edificheremo una
lieta dimora sugli Ered Luin. –
- Così – dice Niphredil, sollevando il capo – avete deciso. Ci dirigeremo
verso gli Ered Luin. –
- E, una volta lì – riprende Balin, posandole una mano sul braccio – faremo
una colletta per regalarti il destriero più rapido del decumano, perché tu
possa fare ritorno alla tua casa. –
Niphredil sorride, intenerita, mentre Glòin borbotta qualcosa dal suono
molto simile a "che cosa ci trovi
poi in quella cupissima foresta, io non lo capirò mai."
I giorni successivi scivolano via come foglie sull'acqua di un ruscello.
I nani si affaccendano fra i preparativi, Thràin ed i suoi consiglieri
tracciano il percorso più favorevole, mentre Angus si assicura di fornire tutto
l'aiuto possibile, dalle scorte alimentari alle erbe mediche.
Lavorano instancabilmente fino al calare delle tenebre, poi mangiano,
scambiandosi aneddoti e raccomandazioni con voci tonanti e, alla fine, si
coricano esausti.
Per la prima volta da che ha memoria, anche Thorin riesce a godere di un
vero sonno. Nessun incubo lo riporta ad Erebor, costringendolo alla veglia con
immagini angoscianti.
Eppure l'ultima notte prima della partenza non riesce a dormire.
Nessuna preoccupazione in particolare s'insinua fra i suoi pensieri, ma la
sua mente è irrequieta.
Si alza e, in silenzio, lascia l'edificio e s'incammina, sotto la luce
splendente della luna piena. E' alta nel cielo e brilla come puro argento,
accarezzando le tenebre con i suoi raggi.
Quasi senza accorgersene, si trova davanti alla baracca dove dorme
Niphredil. Intravede la sagoma dell'elfa dalla finestra spalancata, la sua
folta chioma di fili d'oro.
Sembra profondamente addormentata, il suo viso è rilassato nella quiete del
sonno.
Thorin scuote la testa e sta per volgerle le spalle quando un dettaglio
richiama la sua attenzione. Assicurata con un filo alla cintura della
guerriera, ordinatamente riposta su una bassa cassapanca, c'è una piccola
custodia di cuoio, decorata con dei caratteri elfici.
L'istinto di Thorin si sveglia all'improvviso, di soprassalto, e lo spinge
inesorabilmente verso la soglia dell'edificio. Lui si fida di Niphredil. Non pensa più alla sua razza, ma al suo
sorriso, alle sue storie, al tono assorto della sua voce, ai suoi occhi verdi
come smeraldi e limpidi come ghiaccio.
Si fida, eppure non riesce a fermarsi.
Oltrepassa la soglia e, trattenendo il respiro, oltrepassa il giaciglio
dell'elfa.
Quando le sue dita toccano la custodia di cuoio, un guizzo di rimorso lo fa
esitare. Ha come il presentimento che, se porterà a termine ciò che ha
iniziato, tutto cambierà. Non per forza in meglio.
Thorin sbatte rapidamente le palpebre, mentre Niphredil, nel sonno, si
scioglie in un sorriso, poi si stringe nelle spalle ed estrae il messaggio
dalla custodia.
Mentre Thorin spiega il messaggio e lo legge, Niphredil sta sognando.
Sta sognando un ricordo.
Nell'abbraccio della notte, la mente dell'elfa torna indietro, indietro a
quand'era ancora un semplice capitano, un ufficiale addestratore con il cuore
libero del fardello di ogni responsabilità.
Era nel giardino della reggia. Si teneva le mani sulle palpebre, oscurando
il mondo circostante, eppure percepiva nitidamente i suoni, il leggero
scalpiccio di piccoli piedi sul manto erboso.
- Sto venendo a prenderti! – aveva annunciato.
Aveva spalancato gli occhi e si era voltata, di scatto, trovandosi di
fronte a Sire Oropher.
- Sono lieto di vederti così impegnata, mia diletta – aveva sorriso il re,
scuotendo il capo – avrò il piacere di leggere il tuo rapporto entro la fine di
quest'era? –
Niphredil aveva cercato una replica adatta, qualcosa che suonasse come una
scusa plausibile senza essere necessariamente una menzogna, ma uno squittio
divertito l'aveva interrotta
- Tana per Niph! – aveva gridato
un piccolo elfo biondo, correndo fuori dai cespugli, fino ad una colonna. Si
era appoggiato alla pietra decorata, ansimando, con un sorriso di puro
entusiasmo negli occhi, e si era voltato verso di loro – nonno, vuoi giocare
con noi? –
Oropher aveva riso e, con due lunghi passi, aveva raggiunto il nipote.
- Oh, quindi sei tu a distrarre il mio capitano, eh, Legolas? – aveva
chiesto, prima di baciarlo dolcemente sulla fronte.
Niphredil era rimasta in disparte, ad osservarli, finché una mano non le si
era posata sulla spalla.
- Grazie, meldë nîn. – aveva
sussurrato la voce di Thranduil, mentre l'elfo le accarezzava il braccio
- Per cosa? - aveva chiesto Niphredil, piegando la testa con un sorriso
interrogativo
- Per il tempo che passi con Legolas. –
Lei aveva sorriso, poi aveva afferrato Thranduil per le mani: - vieni a
giocare con noi, mio principe – aveva detto, trascinandolo fuori da sotto
l'ombra del colonnato.
Legolas si era voltato, attirato dal rumore, ed i suoi occhi si erano
illuminati
- Papà! – aveva gridato, correndo verso di lui e gettandosi fra le sue
braccia.
Oropher li aveva raggiunti e, prima di concentrarsi di nuovo sul nipote,
aveva sorriso a Niphredil e, senza parlare, aveva sillabato: - Hannon le (*)–
-- La Coda!
(*) amica mia
(*) grazie
Incredibile a dirsi, un altro capitolo di Niph è arrivato puntale!
Che dire, ne sono abbastanza soddisfatta, finalmente si cominciano a
smuovere un po’ le cose (già, io lo so che avreste preferito altri sei mesi di
sbaruffoni epici Tàri/Sinag, però, ehy, the
fanfic must go on!) e Thorin… beh, lo sapevate che prima o poi l’avrebbe
scoperto, no?
Altro? Ah sì, scusate se sembra che ogni capitolo venga pubblicato con un
front diverso. Non è che non so decidermi, è che scrivo su un pc (il mio
poeticissimo catorcio portatile che risale al primo anno delle superiori), ho
il testo definitivo su un altro e, fino a qualche settimana fa, pubblicavo da
un altro ancora. Quindi… sono confusa, ma da ora dovremmo rimanere con questo
carattere e – se capisco come senza causare danni – risistemerò i capitoli
vecchi.
Come al solito, grazie mille per esser giunti fin qui e a presto!
- La Matta -