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Autore: DanielleNovak221    19/02/2015    5 recensioni
[AU!Destiel]
Dean e Castiel hanno entrambi nient'altro che dolore nel loro passato, ma se è vero che non tutto il male vien per nuocere, l'ultima di queste ha portato al loro primo incontro: Dean si sveglia in un ospedale, dopo un coma di due mesi, sa che la ripresa sarà una scalata piena di ostacoli, ma se Cas, il suo infermiere, gli starà vicino, allora sarà in grado di raggiungere la vetta sapendo di poterla condividere con qualcuno che merita davvero di avere un motivo per cui sorridere. Tuttavia, i fantasmi sono forti e sempre in agguato, non è mai troppo tardi perché possano decidere di attaccare trascinandoti giù per affogarti nei tuoi stessi ricordi...
{trigger warning per una sola scena di violenza, anche se non esplicitamente dettagliata}
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Alastair Rolston era un uomo che amava fare del sarcasmo, e ancor di più, stuzzicare le persone fino a far perdere loro ogni tipo di controllo.

Questo non voleva dire che fosse un tipo con cui si potesse scherzare.

La sua posizione non gli impediva certamente di riservare a, beh, chiunque, qualsiasi tipo di trattamento, più che per altro a seconda dell'umore, ma la medesima sopracitata posizione gli consentiva di spaventare a sufficienza da non essere perculato a sua volta, il che gli era di notevole aiuto.

Nonostante ciò, Castiel non aveva paura di lui. Poteva anche essere lo stereotipo di preside tirannico con cui nessun universitario volesse avere a che fare, ma aveva imparato che alla fine era solo questione di autocontrollo e di vedere le persone per come erano veramente: e quel tipo non era altro che un omuncolo vestito di un'armatura che lo rendeva grande ed inattaccabile. Ma era pur sempre un essere umano. E a soffermarsi sui dettagli, non faceva davvero paura.

Non era troppo alto, aveva i capelli radi ed un sorrisetto di scherno e leggermente inquietante stampato sulla faccia, e gli occhietti strateghi viaggiavano a snocciolare ogni dettaglio ed ogni informazione sull'interlocutore semplicemente guardandolo, ma non essendo Cas un tipo impressionabile (non troppo, almeno), davanti alla sua figura restava più impassibile di gran parte delle persone che lo conoscessero.

Aveva sentito che i suoi esami fossero vere e proprie torture infernali.

– Cassie! – questo soprannome si guadagnava una sottospecie di sopracciglio alzato ogni volta che veniva pronunciato, ma il ragazzo non si lamentava perché ne aveva sentiti girare di peggiori.

Sentendosi chiamato in causa, si avvicinò alla porta del suo ufficio, dove Alastair lo attendeva appoggiato allo stipite con fare intimidatorio.

– Buongiorno, signore. – disse Castiel, sostenendo lo sguardo senza segni di cedimento.

Il preside lo osservò con un ghigno beffardo e lo fece entrare, invitandolo ad accomodarsi mentre chiudeva la porta.

– Allora, Novak, a cosa devo questa visita? – disse, sedendosi alla scrivania con in mano un sottile tagliacarte, studiandolo nella sua forma affusolata e passando gli occhi indagatori dall'oggetto al ragazzo come se escogitasse l'angolatura migliore da cui infilzarlo.

Cas rimase in silenzio. Doveva cercare di ponderare le parole, aveva solo un'occasione e si era preparato per ore davanti allo specchio per suonare convincente e sicuro delle intenzioni che aveva. Per quello che doveva chiedere, gli ci sarebbe voluta ben più della fortuna: doveva prenderlo per il verso giusto.

– Avevo bisogno di parlarle, signore. – disse, calcando sull'ultima parola.

Alastair Rolston si dondolò sulla schiena, annuendo piano. Visto che non sembrava intenzionato a prendere parola, Castiel si schiarì leggermente la voce e decise di andare avanti.

– Si tratta di un favore. – quest'affermazione parve stuzzicare l'interesse del preside.

– Sei uno dei miei studenti migliori, un fiore all'occhiello. – disse, facendo scorrere un po' lascivamente gli occhi su di lui, su tutto lui. Il ragazzo rabbrividì, ma mantenne un'espressione seria e determinata. – Chiedimi quello che vuoi.

Non potè non notare che la sua voce suonava minacciosa. Era come una specie di retrogusto per il suo udito, e lo avvertiva che qualcosa non andava.

– Si tratterebbe di garantire un posto.

– E di far saltare la lista d'attesa? Diavolo, è una richiesta piuttosto ambigua e leggermente... inesaudibile. – Alastair continuava a fissarlo, ma stavolta aveva un sopracciglio alzato.

– Ne sono a conoscenza, signor preside, ma la verità è che questa agevolazione è una cosa a cui io tengo davvero, e a non trascurare dettagli, anche mio padre è particolarmente interessato. – ecco, lo aveva detto.

Castiel sentì lo stomaco aggrovigliarsi non appena menzionò James Novak, e dovette fare un grosso sforzo perché la sua voce non suonasse come un ringhio. Non si era mai – mai – giocato la carta del padre ricco, in tutta la sua vita aveva sempre fatto finta che non esistesse nemmeno, e adesso che si ritrovava ad usarlo come termine di ricatto nei confronti del preside si sentiva una sottospecie di verme.

È per Dean, ricordatelo.

Mantenne la sua postura eretta e lo guardò negli occhi, aspettando una risposta. Quell'informazione aleggiò nell'aria, come se stesse prendendo il suo tempo ad entrare nelle orecchie di Alastair. Poi le sue labbra sottili si stirarono in un sorriso strano – poteva voler dire qualsiasi cosa, ed a Cas non piaceva per niente.

– Hai un bell'asso nella manica, Castiel.

– Uhm...

– Ma sai anche giocarlo alla mano giusta?

Lui rimase in silenzio tentando disperatamente di decifrare quella metafora, maledicendosi per il suo insensato razionalismo e per la sua incapacità nel capire i giochi di parole.

Niente da fare, due idiomi in un colpo solo erano impossibili per lui, e sentì il cuore accelerare nel petto, vibrando contro le costole le sue pulsazioni ansiose.

Fu il primo passo verso il baratro.

– Dunque, di chi si tratta? Un parente? – disse il preside notando il suo attonimento. Si alzò con la sua camminata un po' dondolante e aggirò la scrivania, senza smettere di giocherellare con il tagliacarte.

– No, di un amico. – asserì il ragazzo.

– Ah! Il fidanzatino, ora tutto ha un senso.

– Lui non è... – ma il tagliacarte si ritrovò a pochi centimetri dalla sua fronte nel giro di un attimo, e prima che potesse terminare la frase Alastair stava distrattamente attorcigliando una ciocca dei suoi capelli attorno al filo sottile e tagliente.

– Sarebbe in grado di pagarsi la retta?

Cas annuì: aveva discusso con Bobby, motivo per cui non era passato all'ospedale negli ultimi mesi (per programmare quel giorno avrebbe avuto bisogno di ogni dettaglio a suo favore, e con tutte le ricerche che aveva fatto, più gli studi per l'esame, gli era stato impossibile). A quanto il vecchio Singer gli aveva detto, c'era un deposito in banca, a nome dei fratelli Winchester, probabilmente soldi risparmiati dal padre per permettere loro gli studi.

– E dimmi, in che cosa, esattamente, tuo padre sarebbe interessato? – il suo sguardo lo trapassò come una lama, e mantenere la calma si stava rivelando veramente faticoso.

L'uomo era troppo vicino, le loro gambe si toccavano e quel contatto lanciava allarmi di allerta al suo cervello, imponendogli di alzarsi ed andarsene finché la situazione era ancora gestibile. Ma Castiel rimase al suo posto, deciso ad arrivare fino in fondo.

– Lui è uno dei maggiori finanziatori di questa scuola, ed a seconda della decisione che prenderà potrebbe interferire sui fondi annuali che lei riceve. – disse, con la poca convinzione che gli era rimasta.

– In poche parole, mi stai ricattando? – Si appoggiò al bordo della scrivania, fissandolo con un sorriso lascivo e malevolo ad increspargli il volto dall'alto al basso. Ora Cas poteva sentire il suo respiro contro il viso.

– Tecnicamente no, dal momento che parte della trattativa prevede una situazione più favorevole per lei. – Rispose, nonostante la voce cominciasse a tremargli.

– Ottimo relatore davvero, signor Novak. – ammise Alastair, lasciando scivolare una mano sul colletto della sua camicia. Fu qui che Castiel si sentì veramente sull'orlo di un baratro infinito, tremante da capo a piedi e col cuore sul punto di esplodere.

Il contatto di quelle dita fredde contro la pelle gli fece venire la pelle d'oca, ed il suo cervello continuava ad urlare istericamente che era ora di andarsene, ma il suo corpo era completamente sconnesso, ed agiva per conto suo.

Immobile come una statua, lasciò che Alastair gli sfilasse dalle asole i primi due bottoni, facendo scorrere la punta del tagliacarte sull'epidermide pallido, lungo il profilo della clavicola e poi su a tracciare il pomo d'Adamo fino al mento.

Una lieve pressione dello strumento di metallo lo costrinse ad alzare gli occhi su di lui e sentì il panico montare veloce ed imponente come la marea, affogandolo lentamente all'interno del suo stesso corpo.

– Sto toccando una ferita scoperta, Novak? – il suo respiro sapeva leggermente di alcol, Castiel cercò di concentrarsi su questo per non dover incassare tutto in una volta il colpo al cuore che gli venne assestato quando sentì una mano stringergli il cavallo dei pantaloni.

Gemette per la sorpresa e si spostò sulla sedia,cercando di alzarsi, ma l'altra mano fu subito sulla sua spalla e lo incastrò contro lo schienale.

Il suo sguardo vagò terrorizzato intorno a sé alla ricerca di una scappatoia, ma ovunque spostasse gli occhi, Alastair troneggiava su di lui tenendolo bloccato.

– D'accordo, Novak, d'accordo. – la pressione aumentò, e con essa la paura di Castiel. – Il tuo ragazzo avrà il suo posto in questa scuola, se riuscirà a pagare la retta, ovviamente. Tuo padre aumenterà i finanziamenti. E tu faresti meglio a guardarti le spalle. –

il suo viso era talmente vicino che poteva vedere ogni ruga sottile, ogni screziatura ed ogni nervatura rossa negli occhi, ogni millimetro del suo sorriso beffardo e minaccioso.

In un impeto di paura sconsiderata, se lo scansò di dosso e si alzò, gli occhi colmi di paura. Non si fermò nemmeno per riallacciarsi i bottoni o stringersi la cravatta, uscì con il trench sottobraccio ed ebbe cura di non salutare e sbattere la porta sin a farla tremare sui cardini. La segretaria gli lanciò un'occhiataccia, e lui non la degnò nemmeno di uno sguardo. Uscì fuori il più velocemente possibile, scansando le persone nei corridoi nemmeno ce ne fossero così tante. La verità era che aveva le lacrime agli occhi e la vista annebbiata, aveva paura come non mai, e lo sparo cominciò a risuonare ripetutamente nella sua testa.

Si fiondò all'esterno della hall e solo una volta nel gelo di dicembre, l'aria ghiacciata che penetrava dai bottoni slacciati e le palpebre umide che bruciavano, riprese a respirare veramente.

Okay, Castiel. Va tutto bene, sei fuori, non ti ha fatto nulla, ti ha a malapena toccato.

Si appoggiò al muro alle sue spalle, passandosi una mano sul viso e poi tirando indietro i capelli che gli erano scivolati sulla fronte. Il suono di quella minaccia era davvero terrificante, ma quando ripercorse lentamente ogni attimo di quella conversazione ed udì il d'accordo rimbombare nelle orecchie, lasciò che il sollievo lo pervadesse.

Aveva rischiato, ma ce l'aveva fatta.

 

 

Dean fissava il cellulare intontito. Aveva scritto e cancellato il messaggio decine di volte, ma ognuna di esse c'era sempre qualcosa che non andava: troppo diretto, troppo lungo, troppo breve, troppo sentimentale.

Ogni volta che eliminava le sue parole, cercava di focalizzare l'obbiettivo, ovverosia quello di chiedere a Castiel di vederlo nei pressi dell'ospedale.

Si maledisse per la sua inesperienza: non lo avrebbe mai sospettato prima, ma con le ragazze era tutto immensamente più facile. Le conosceva, sapeva cosa le faceva impazzire di rabbia e cosa di piacere, sapeva come tenere le mani e come funzionavano i preliminari e le uscite.

Con i ragazzi, e con Castiel in particolare, era tutto un altro paio di maniche.

Castiel era tremendamente diverso dal genere umano in sé, a dire il vero. Se con gli altri le battute erano un trucco infallibile per ammaliare e per farsi piacere, con lui non sortivano nessun effetto, e lo mandavano solo in confusione. Ed era un punto della lunga lista.

Quando scrisse il messaggio per la dodicesima volta, non lo rilesse nemmeno: lo inviò e basta, tanto per cavarsi il dente una volta per tutte.

Poi mise via il cellulare e prese le chiavi dell'Impala, forse facendo un giro in macchina avrebbe allentato un po' di quell'assurda ed insensata tensione che gli tirava i nervi come corde di violino.

 

 

Il trillo del cellulare lo colse di sorpresa. Non aspettava nessuna chiamata, da quando era tornato a casa diverse ore prima aveva passato la giornata gironzolando dalla sua stanza, il suo covo di lettura, alla cucina, perché aveva sentito l'improvviso bisogno di mangiare.

In realtà era in bagno, quando ricevette il messaggio di Dean. Il solco dei denti oltre le nocche era più accentuato che mai, e gli faceva male la gola dove aveva appena fatto pressione con le dita. Si lavò le mani e diede un'occhiata, con il cuore in tumulto.

 

Il 27 alle 18.30, avrei bisogno

che mi vedessi davanti

all'ospedale.

Ho una cosa da mostrarti.

-D

 

Oh, e buon Natale, Cas :)

...

Merda.

 

 

Castiel arrivò al luogo dell'appuntamento (perché è un appuntamento, vero?) con mezz'ora d'anticipo e lo stomaco che borbottava per la fame. Dal giorno in cui aveva ricevuto il messaggio, aveva veramente smesso di mangiare salvo nelle occasioni in cui le gambe a malapena lo reggevano, quindi in quel momento il suo appetito aveva raggiunto livelli a dir poco biblici. Nemmeno il giorno di Natale era riuscito a buttare giù molto, e da quello spiacevole incontro con il preside sentiva sempre il bisogno morboso di vomitare tutto.

Ovviamente lo assecondava.

Ogni volta che alzava lo sguardo sul suo riflesso nello specchio si vedeva spaventato e patetico, e provava talmente tanta pena di sé stesso che faticava a mantenere lo sguardo sulla sua figura per più di qualche secondo. Non era più un adolescente, era adulto e vaccinato, e si ritrovava di nuovo all'inizio di quel circolo vizioso che già si era ritrovato ad affrontare anni prima. Il suo passato di “ragazzino depresso e problematico” tornava a galla dai recessi dei suoi ricordi dove lo aveva sepolto e lo aggrediva.

Era effettivamente stato depresso, per un periodo. Insomma, il scoprire di essere gay con ogni sua conseguenza, aveva lasciato il segno. La cosa in sé non lo aveva spaventato, nemmeno lo imbarazzava, ma se la gente lo notava, si ritrovava chiunque contro, e da solo non aveva potuto contrastarli. Problematico, perché era sempre stato più intelligente, aveva uno sviluppato senso della logica, e questo aveva interferito nelle sue relazioni interpersonali.

Scacciò ognuno di quei cupi pensieri e, visto che faceva freddo, si rifugiò nella sala d'aspetto all'ingresso dell'ospedale, cercando di ignorare il martellare selvaggio che aveva nel petto.

Dean sarebbe arrivato nel giro di pochi minuti, e non aveva idea di come si sarebbe dovuto comportare. Forse voleva soltanto dirgli quanto la sua assenza lo aveva ferito, ed in fin dei conti non poteva nemmeno giustificarsi, o avrebbe dovuto raccontare dell'università e di Alastair. Non avrebbe retto.

– Castiel?

Oddio, apostoli del signore aiutatemi.

La voce di Dean era più bella di quanto la ricordasse. Forse perché in quel momento non era sballata dalla morfina, o perché era guarito per davvero, stavolta.

Si voltò lentamente. La sua voce non era l'unica cosa bella che avesse.

Dean era bello. Era veramente uno splendore, e rimase immobile per qualche secondo indeciso sul da farsi.

– Dean. – riuscì a malapena ad abbozzare un sorriso.

Il ragazzo lo stava fissando, le mani affondate nelle tasche della giacca a vento, le labbra leggermente piegate all'insù, gli occhi verdi luminosi. La cosa che lo stupì maggiormente fu che mai si sarebbe immaginato Dean Winchester indossare un berretto, ed invece eccolo lì, con qualche ciocca di capelli biondo cenere che sfuggiva dal cotone grigio e ricadeva sulla fronte.

Si alzò in piedi e lo osservò più attentamente, senza trovare nulla di troppo sensato da dire.

– Sei pronto? – quello che all'inizio gli era sembrato un sorriso, con la vicinanza si trasformò in un'espressione quasi pietrificata. Sembrava quasi interiormente combattuto.

La verità era che nonostante fosse ancora incazzato con lui e con sé stesso, Dean lo trovava davvero adorabile, stretto nel suo imbarazzo.

Era sempre il solito Castiel, quello che si era preso cura di lui durante la permanenza in ospedale, quello che non capiva le battute e che aveva provato più dolore di quanto ne meritasse, con i suoi grandi occhi azzurri da cucciolo smarrito ed i suoi capelli nel loro costante disordine. E suo malgrado era lo stesso Cas che se n'era andato senza dire una parola e farsi sentire per mesi.

Dean non riuscì nemmeno a formulare per esteso il pensiero “O lo bacio adesso, oppure...” che gli sferrò un pugno diretto al viso, accecato dalla frustrazione improvvisamente liberata.

Con suo sommo stupore, Castiel lo schivò e gli afferrò il gomito, trascinandolo al suolo.

– Che diavolo stai facendo?! – domandò, più basito per la sua velocità di reazione che per l'attacco del ragazzo. Quest'ultimo si alzò in piedi traballante, gli occhi spalancati come se avesse a che fare con un alieno di Star Trek.

– Che sto facendo io?! – Dean si guardò un secondo intorno, ma la sala era deserta fatta eccezione per una segretaria troppo occupata a telefonare con un'amica per notare che i due erano sul punto di darsele di santa ragione. – Tu piuttosto, mi vuoi spiegare dove cazzo sei stato? Hai idea di come io mi sia sentito? – si levò il berretto e passò una mano fra i capelli, puntando una mano sul fianco, aspettando una risposta. Castiel lo fissò, con ancora il respiro accelerato. – Certo che ne ho idea. E dove sono stato... tu non devi saperlo. – disse, con fermezza.

Lo sguardo di Dean vagò come imbambolato su tutta la sua figura.

– Mi hai abbandonato, Castiel. – disse, in tono grave. Cas non smise di fissarlo, ma assunse un'espressione colpevole.

– Pensi che mi sia sentito bene nel farlo? – abbandonò le braccia lungo i fianchi, lo sorpassò ed uscì. Una ventata d'aria gelida lo investì scompigliandogli i capelli non appena fu fuori, e si concesse un attimo per respirarla appieno nonostante i brividi che lo assalirono. Si strinse nella giacca e soffiò una pallida nuvoletta di fumo, cercando di riordinare i pensieri che gli turbinavano in testa, ma era difficile.

– Io non capisco cosa ti è preso, Cas. Vorrei solo sapere questo. – disse Dean gentilmente, raggiungendolo. Non sembrava più arrabbiato, solo molto preoccupato.

– Non mi importa quello che hai fatto in queste settimane, ma se c'è qualcosa che non va ti posso aiutare. – si fermò un secondo. – Ti voglio aiutare. –

Castiel riuscì finalmente a fare un sorriso sghembo. – è paradossale che tu me lo dica cinque minuti dopo aver tentato di rompermi il naso, lo sai?

Sentì il respiro del ragazzo dietro di sé accelerare in una risata, e rise anche lui.

– Ero solo confuso, Dean. Non ho mai avuto un amico come te, oltre a Gabe, e dopo il... –

non riusciva nemmeno a pronunciarlo, e questo lo faceva sentire anche più idiota di quanto già non fosse.

– … Il bacio? – concluse Dean per lui.

– Ehm... sì, esatto, insomma, temevo di averti perso e non sapevo come comportarmi. – specificò. – In ogni caso avevo finito il tirocinio, ho passato giornate intere a studiare ed ho dovuto occuparmi di una faccenda importantissima. Non sto cercando scusanti, Dean, quello che ho fatto è stato imperdonabile. – soffiò di nuovo una nuvoletta, ricordandosi quanto da bambino lo divertisse.

Dean osservò il suo profilo attentamente, realizzando quanto Castiel gli piacesse. Mannaggia, quel ragazzo aveva mandato a puttane ogni sua convinzione semplicemente guardandolo, e da una parte per questo lo odiava. Era come se dovesse cominciare da zero, come se navigasse senza bussola in acque sconosciute. Ma dall'altra parte era contento che fosse lui e non qualcun altro.

– Nah, ma figurati! Ci vuole ben più di questo per togliersi dalle scatole Dean Winchester! – esclamò il biondo, calzando di nuovo il berretto sulle orecchie.

– Ma io non dovevo mostrarti qualcosa? Prima mangiamo, però.

 

 

Non cenarono nel solito bar lì vicino all'ospedale, ma in uno all'imbocco di George Washington Street, la zona sud della città dove Castiel molto raramente si era spinto.

Non conosceva affatto bene la zona, ma Dean si muoveva velocemente come se vivesse da quelle parti da più tempo di lui, attraversando con sicurezza le strade e svoltando senza indugi agli incroci.

La tavola calda dove si fermarono, Heavens' Clouds, era un posto molto accogliente, che Dean aveva cominciato a frequentare da quel pomeriggio di compere natalizie, ma a differenza della prima volta in cui c'era stato, era decisamente meno affollato.

Si sedettero in un tavolo in disparte, giusto perché le critiche non se le sarebbe risparmiate nessuno, e da lì cominciarono a parlare.

Sembrava che quei due mesi non fossero affatto passati, era come se di tutto ciò che aveva compromesso il loro rapporto nulla fosse mai accaduto. E Dean non riusciva a scollare lo sguardo dagli occhi di Castiel.

Erano di un azzurro talmente intenso che potevano contenere le infinità abissali dell'universo, ed il proprietario si comportava come se non ne avesse idea.

Non sfiorarono l'argomento bacio, né tanto meno l'assenza di Castiel: Dean fece solo un resoconto più dettagliato delle ultime settimane, poi cambiarono argomento.

Castiel riscoprì quanto fosse bello parlare con qualcuno, ascoltare qualcuno, guardare qualcuno: era inutile, per quanti tentativi di discrezione facesse, non poteva, non voleva distogliere lo sguardo da Dean.

Fu verso le otto che il ragazzo fece un salto sulla sedia con gli occhi sbarrati, fissando l'orologio come se stesse andando a fuoco.

– Porca puttana... Castiel, dobbiamo andare! – Cas lo guardò interrogativo, ma senza avere il tempo di fare domande fu preso per mano e trascinato di peso fuori dal locale. Il suo cuore smise di battere, e si lasciò guidare lungo Washington St. in tutta la sua lunghezza, ammaliato dalla schiena di Dean e dal suo sguardo ogniqualvolta che si voltava per sorridergli con fare cospiratorio.

– Dean... ti dispiace dirmi dove stiamo andando? – chiese, mentre schivava un passante cercando di non scoppiare a ridere.

– Oh, lo vedrai! – la sua mano si serrò di più attorno a quella di Castiel.

Qualche decina di metri più avanti, verso un luogo piuttosto isolato, la strada si fece più affollata ed un grande via vai di persone incuriosì Cas. Approfittò del fatto che Dean stesse rallentando per allungare il collo e dare una sbirciatina. Riuscì a vedere solo un lungo manifesto blu elettrico, ma la folla stava aumentando, ed il suo amico lo aveva improvvisamente fatto voltare verso di lui.

Lo osservò con il capo leggermente piegato, sottolineando il suo disorientamento. Dean sembrava leggermente imbarazzato dalla loro vicinanza, ma non potè stabilire se i suoi occhi gli avessero giocato o no uno scherzo, perché venne bendato.

– Ehm... devo chiamare un avvocato? – sentì le dita bloccarsi appena dietro alla sua nuca mentre armeggiavano con il nodo di quello che sembrava un fazzoletto di cotone, scivolare ai lati del suo viso ed accarezzargli le guance... poi ricevette una manata sul fondoschiena.

– Non posso crederci, hai appena fatto una battuta! Questa sì che è da festeggiare! – Dean sembrava entusiasta quanto lui.

– Se per farmi toccare il culo da te mi basta fare una battuta, ben venga! – si lasciò sfuggire Cas, e la risata cristallina del ragazzo gli riempì le orecchie, la testa, il corpo, vibrò contro le costole, espanse il cuore fino allo spasimo, rendendolo ubriaco di quel suono meraviglioso.

Lo prese per mano e lo guidò attraverso la folla, più di curiosi che di visitatori veri e propri, ignorando gli sguardi interrogativi che li seguivano osservando il ragazzo bendato. Passò alla receptionist i due biglietti comprati nel negozio di astrologia, mettendosi un dito sulle labbra per farle capire di stare in silenzio. Lei lo fissò confusa solo all'inizio, poi sorrise complice e strizzò l'occhio, sorridendo intenerita.

Come programmato, seguì l'ultimo gruppo di visitatori, senza mollare la mano di Cas e tenendosi il più indietro possibile perché non sentisse le spiegazioni scientifiche della guida, sia perché era tutta roba che sicuramente lui conosceva sia perché non era ancora il momento che capisse dove si trovavano.

Solo quando l'uomo a capo della combriccola tacque, si avvicinò e condusse Castiel nella sala principale: era una grossa sfera incastrata su quello che dall'esterno somigliava ad un cilindro, già internamente immersa in una penombra eterea.

Lo guidò fino ai posti loro riservati, una delle file più interne dei cerchi concentrici di sedie predisposte, e lo fece accomodare, con gesti misurati ed attenti, poi prese posto ed aspettò che la presentazione cominciasse.

Castiel continuava a girare la testa, cercando di intuire dove si trovasse, ma le persone che parlavano una sopra all'altra gli impedivano di fare un'ipotesi precisa, quindi si arrese.

Il relatore salì sul palco al centro della sala, e fece spegnere completamente le luci lasciando acceso un lume sulla scrivania dove aveva sparso i suoi appunti.

Dean valutò che fosse quello il momento migliore, quindi si sporse oltre il bracciolo della sedia e sfilò la benda dagli occhi di Castiel, assicurandosi di scompigliargli i capelli, e si godette i suoi occhi blu luminosi nonostante il buio venire attraversati dallo stupore.

Voltò la testa da una parte e dall'altra, su percorrendo il profilo sinuoso della sfera e poi posarsi sul palco al centro,non troppo lontano da loro.

– Oh, Gesù... – non riusciva a proferire una frase di senso compiuto, era elettrizzato, basito, esterrefatto.

– Quello è...

– Sì. – confermò Dean, contemplando la felicità di Castiel. – Quello è proprio Carver Edlund.

Cas si girò a guardarlo, e mentre il relatore cominciava a fare il suo discorso, sillabò un grazie con le labbra.

Edlund, che era un famoso scrittore del campo sia astronomico che astrologico, presentò il suo ultimo libro e fece un breve riassunto del programma della serata, avvicinandosi poi al computer collegato al proiettore e cominciando a smacchinarci sopra, aiutato da un paio di tecnici.

Dean non spostò gli occhi da Castiel per parecchi minuti. Il ragazzo stava osservando con la bocca semiaperta il signor Edlund parlare con le persone al suo fianco di calcoli matematici corretti, probabilità meteorologiche, stabilità del sistema, come se dopo anni di rassegnazione avesse trovato un altra persona in grado di parlare la sua lingua. Il che, probabilmente, era vero.

Dean aveva sempre tentato di capirci qualcosa quando l'amico gli raccontava ciò che sapeva sulle stelle, e a dirla tutta alcune cose gli erano anche rimaste impresse, ma altre per lui erano veramente inconcepibili. Come faceva a capire la differenza fra una supergigante rossa ed una nova? E malgrado si sforzasse tanto, non coglieva assolutamente il perché e percome un giorno il sole sarebbe esploso, ma neppure Castiel sembrava aver mai avuto una certa sicurezza in proposito; la volta in cui ne avevano parlato, l'infermiere era sembrato piuttosto diviso a metà fra un'apocalisse scientificamente spiegata ed una che avesse a che fare con la religione, perché sì, Castiel era un tipo religioso. Non bestemmiava mai, e quando a Dean capitava, lo guardava storto. Se ripensava a quell'episodio, il Winchester sorrideva rievocando il suo tentativo di dire qualcosa raccontando di un sogno che aveva fatto in una delle poche notti tranquille che aveva avuto: loro due e Sam che fermavano l'armageddon sconfiggendo le forze oscure di un mondo fantasy. Cas aveva riso, ricordava ancora il suono.

Anche adesso Cas aveva un bel sorriso stampato in faccia, e spostava gli occhi da Carver Edlund alla superficie liscia della sfera sopra di loro a Dean, picchiettando nervosamente le dita sul bracciolo della sedia per l'impazienza.

Altri due minuti dopo, che il biondo sfruttò fino all'ultimo attimo per stamparsi nella testa l'immagine di Castiel per ricordarsela anche nell'ombra della presentazione, le luci si spensero completamente, e l'estensione perlacea intorno a loro, sparì per mostrare le stelle.

Era solo una foto scattata da un satellite, ma porca puttana! Entrambi, come del resto ognuno dei presenti nella sala, trattennero rumorosamente il respiro, lasciandosi in un coro di “ooooh!” di meraviglia. Era come se una mano gigante avesse teso un velo nero ad una distanza imprecisa fra loro e l'infinito che c'era dopo, e ci avesse sparso sopra una manciata di piccoli diamanti luminosi di diverse grandezze e brillanti come fari.

Le sedie su cui erano vennero leggermente reclinate all'indietro così da non dover mantenere troppo a lungo una posizione quantomeno scomoda (anche se tutti sembravano non farci più caso), e Dean si voltò a guardare gli occhi di Castiel. E rimase incantato.

Era buio, sembrava che fosse notte e che nessuno degli altri spettatori fosse lì con loro, e a dispetto di quel nero a malapena sfumato dalla presenza delle stelle, riflettevano tutta quella luce che sospesa nella singolarità di ogni corpo celeste appariva talmente effimera e piccola, rendendo le sue iridi azzurre ancora più intense, affascinanti e magnifiche che Dean non poteva, non voleva perdersi quello spettacolo.

Osservava le profondità dell'universo riflesse negli occhi di Castiel, e se fino a quel momento l'idea di uno spazio così grande e di un oblio talmente vasto da inghiottire ogni esistenza lo avevano intimorito, ora ne era ammaliato, sconcertato, rapito. Innamorato.

Distolse lentamente lo sguardo e seguì solo vagamente le spiegazioni di Edlund su come quello è Orione, quella è l'Orsa Major e quello è il capricorno, collegando le stelle fotografate con delle linee come se stesse facendo quel gioco di unire i puntini e colorare la figura che viene fuori.

All'inizio la cosa lo annoiava un po', poi però i suoi occhi vagarono in lungo ed in largo immaginandosi cosa potesse esserci oltre quell'immagine, quanto l'infinito fosse veramente infinito e quanto lo mettesse a disagio, allora si rifugiava nel fulgore degli occhi di Cas e si sentiva meglio.

La parte peggiore arrivò quando i tecnici spostarono la fotografia per osservare le costellazioni da un'altra angolatura, e l'immagine slittò lungo la superficie della sfera che però era impossibile da vedere perché si aveva la parvenza di essere sdraiati sotto un cielo vero, quindi per Dean fu come venire ribaltato a testa in giù e sballottato di lato nonostante fosse perfettamente immobile. Sentì lo stomaco ribellarsi contro lo sterno.

Cacchio, la sua paura di volare era così grave da attanagliarlo anche se era fermo e saldamente ancorato al suolo? La foto continuò a muoversi, procedendo poi in avanti come se stesse effettivamente attraversando lo spazio grazie alle tecnologie satellitari, sfrecciando in uno zoom velocissimo che gli fece contrarre le viscere. Ebbe l'improvviso bisogno di uscire. Ma era lì per Castiel, e fino a poco prima si stava divertendo anche, quindi si costrinse a non muovere un muscolo e serrò le palpebre.

Quando le riaprì, la panoramica era diversa, inquadrava quello che doveva essere Saturno, ed era tutto fortunatamente stabile. Trasse un sospiro di sollievo.

– Dean? – la voce di Cas lo chiamò alla sua destra. Lo stava guardando, leggermente preoccupato. – Tutto okay?

Il Winchester annuì con un mezzo sorriso, ma Castiel sembrava poco convinto. Così gli prese la mano, e tornò a guardare sopra di sé come se nulla fosse.

E con questo, caro Dean, dì addio alla tua eterosessualità. Pensò, il biondo, ma non era affatto amareggiato come forse in circostanze diverse si sarebbe sentito. Aumentò la presa sulla mano di Cas e tornò a concentrarsi sulla composizione di asteroidi e materia ignota degli anelli del pianeta.

Gli venne da ridere pensando a quando, a dodici anni, andava ancora convinto del fatto che fossero piste per le macchinine degli alieni. Poi la spaventosa franchezza di un piccolo e petulante Sam gli aveva aperto gli occhi. Scoprire dell'inesistenza di Babbo Natale lo aveva sconvolto meno.

Si ritrovò a ridacchiare.

– Cosa? – bisbigliò Cas, voltandosi di nuovo.

– Niente, è solo che... da bambino credevo fossero circuiti automobilistici. – rise piano, sperando che le persone intorno a loro non si lamentassero. Anche Cas rise.

Passarono alcuni minuti, poi l'immagine ricominciò a muoversi ed a ruotare, facendo precipitare Dean per poi ricatapultarlo in aria. Alla fine, dovette alzarsi.

Si odiava per lasciare Castiel lì da solo, si odiava per essere così debole, ma aveva bisogno di respirare e di sentirsi stabilmente con i piedi per terra, quindi abbandonò la mano dell'amico (forse a breve non sarebbe più stato degno di quel nome – Dean ci sperava) ed uscì.

Chiese indicazioni non appena fuori e si fece guidare sulla terrazza, innalzata sopra alla sfera, così da potersi godere un grande panorama della serata limpida. Era addirittura vuoto, ed il perché non era un mistero: si gelava.

Aveva la giacca, ma erano quasi le nove di sera, dicembre, e quel freddo subdolo ed invasivo si infiltrava sotto gli strati di vestiti e gli faceva venire la pelle d'oca.

Si appoggiò al parapetto e seguì l'orizzonte con gli occhi, respirando profondamente. La sensazione del vuoto sotto di sé sparì quasi subito, e puntellò la ringhiera con i gomiti, alzandosi in punta di piedi per potersi sistemare meglio. Le stelle sopra di lui occhieggiavano dall'alto, più lontane di quelle di poco prima, ma pur sempre bellissime.

– Ti senti bene? – Castiel era sulle scale, e lo fissava allarmato come se si aspettasse di vederlo stramazzare al suolo. Lo raggiunse con circospezione, affiancandosi a lui.

– Sì, Cas. Dannazione, scusami, è solo che ho avuto un capogiro. Niente di che, adesso torniamo dentro. – disse, facendo per andarsene, ma Cas era più forte di quanto si aspettasse e lo bloccò per un braccio. – Restiamo qui, invece. È bello qua fuori. –

Dean smise di opporre resistenza subito, senza nemmeno pensare di volerlo fare.

Accidenti a te, ai tuoi occhioni bellissimi, ai tuoi capelli, alle tue labbra, alle tue spalle, alle tue braccia. Vai a farti fottere, Castiel. Pensò con rabbia, tornando a voltarsi verso il cielo.

Rimasero entrambi in silenzio per qualche minuto, senza sapere esattamente cosa dire.

– Mia mamma pensava che fossero angeli. – fu proprio il biondo ad incrinare quella quiete piatta e tesa che galleggiava nell'aria tra di loro. Sentì lo sguardo di Castiel su di sé.

– Diceva che le stelle erano angeli, e quando ne vedevo una cadere, dovevo esprimere un desiderio, cosicché l'angelo caduto sulla Terra sarebbe arrivato apposta per esaudirlo. –

sentì gli occhi pizzicare leggermente, ma ingoiò le lacrime.

– Ne hai mai vista una? – chiese Cas, cautamente.

– Sì. Ma non è arrivato nessun angelo. Non subito, almeno.

– Cosa avevi chiesto?

Dean rimase in silenzio. Non era un tipo sentimentale, aveva i Geni Winchester in corpo, solo Samantha si lasciava andare a inutili confessioni strappalacrime da Pigiama Party.

Ma forse quella era la volta buona per cambiare registro.

– Che mamma tornasse con noi. – ecco. Dean si stava rompendo di nuovo, piegato sotto la forza di un passato per lui incontenibile e che aveva minacciato di spezzarlo lasciandolo agonizzante senza alcuna cura.

– Non sei tenuto a rispondere, se non vuoi parlarne. – Mise in chiaro Castiel, cercando il suo sguardo, che incrociò il suo scollandosi da quello delle stelle.

– E tu? Hai mai visto un angelo cadere?

– Guardo sempre le stelle. Ne ho visti tanti, sì.

Dean emise un suono strano, a metà fra uno sbuffo ed un gemito strozzato. – Sai, credo di aver capito perché le fissi in continuazione, quando non sai dove altro posare lo sguardo.

Castiel sembrava confuso. – Ah sì?

– Perchè anche tu vieni da lì. – Dean non poteva trattenerle a lungo. Aveva già la voce incrinata, sentiva i suoi scricchiolii avvertirlo dell'imminente rottura. Una lacrima scavò la sua guancia, disegnando il profilo della mandibola e staccandosi dalla pelle per atterrargli sul petto. – Sei un angelo, vero Cas?

Lui non rispose, si limitò a circondargli le spalle con un braccio.

– Dean...

– Mamma è morta in un incendio. Avevo sette anni, Sammy tre. Avevo promesse non mantenute. Avevo giurato di aiutare papà a sistemare la rimessa, avevo giurato di finire le verdure anche se mi facevano schifo, di imparare la tabellina del due entro sabato. E tutte le volte che venivo a meno ad una promessa, lei metteva le mani sui fianchi e piegava la testa di lato, con la fronte corrugata, e faceva la voce grossa per suonare più arrabbiata. – sorrise nostalgicamente. – poi però, dieci minuti dopo che mi aveva messo in castigo nella mia stanza, si intrufolava dentro e mi faceva il solletico, e allora mi aiutava lei a mantenere quelle promesse. Ho aiutato papà a mettere in ordine la rimessa, ho finito quelle verdure disgustose, e mi ha insegnato le tabelline. Se avessi saputo in anticipo quanto poco tempo avevo con lei, avrei evitato di farla arrabbiare. Poi d'estate, mi portava nel giardino sul retro, dove c'era la campagna dietro casa, e ci stendevamo sull'erba, e mi parlava degli angeli. Mi raccontava anche dei mostri, ma nelle sue storie c'erano cacciatori armati di pugnali magici che li sconfiggevano, ed alla fin fine ci metteva sempre un angelo. Dopo che è morta ho guardato le stelle solo una volta, ed ho espresso quel desiderio che non si è mai avverato.

Non ho mai più avuto il coraggio di alzare la testa e voltare pagina. Pensavo che se fossi stato indiscreto nei confronti degli angeli, non mi avrebbero mai concesso di rivederla.

Papà invece è morto nell'incidente. Se n'è andato mentre lo guardavo. Stavamo litigando, io volevo ascoltare gli AC/DC, mentre lui stava cercando di mettere su gli Asia, ma non abbiamo mai deciso. Ha attraversato un incrocio senza guardare. Perché era impegnato a guardare me, e le cassette. – Castiel lo osservava raccontare con voce piatta e lo sguardo perso nel vuoto, mentre di tanto in tanto una lacrima gli solcava la guancia.

– Quando mi sono svegliato dal coma, sapevo che sarei dovuto scendere a patti con una vita che non volevo mi appartenesse più, e per la prima volta mi sono messo a pregare, ho pregato così disperatamente che mi faceva male la testa. Poi Dio mi ha mandato un angelo. – Castiel trattenne il fiato, stringendo la mano attorno alla spalla, facendo sentire che era lì, che non se ne sarebbe andato.

– Dio ascolta sempre chi ha bisogno di aiuto. – affermò dopo un istante di silenzio.

– Io non avevo bisogno di aiuto, avevo bisogno di morire. Ne. Avevo. Bisogno. Poi il mio angelo mi ha costretto a rimettermi in piedi, mi ha insegnato a guardare il cielo, Mi hai insegnato che le stelle sono sempre le stesse, mi hai mostrato che anche voltando pagina, non mi abbandonano mai. – Dean emise un respiro tremolante, rannicchiandosi contro la stretta di Castiel, che rispose tirandoselo contro il petto e serrandogli le braccia attorno alla schiena.

Si sciolsero dall'abbraccio qualche minuto dopo, quando Dean voltò la testa per vedere se effettivamente, le stelle erano ancora lì. E c'erano, brillavano più che mai. Si allontanò e raggiunse un punto più esposto della terrazza, dove la vista sembrava, se possibile, ancora migliore. Castiel lo seguì, tenendosi un po' a distanza ma continuando ad osservarlo, senza avere esattamente idea di cosa fare.

– Sei un angelo? Cas? – chiese nuovamente Dean, fissandolo leggermente perso, con gli occhi spalancati come se tentasse di trattenersi da qualcosa.

– Io...

– Perchè se sei un angelo, allora ti prego, non andartene.

– Dean. – perché avevano entrambi il respiro affannato? Perché i loro cuori battevano troppo forte o perché … – Non vado da nessuna parte.

– Ho bisogno di te.

Probabilmente Castiel aveva il fiato leggermente corto perché erano più due due ore e mezza che si tratteneva con ogni cellula del suo corpo dal baciare Dean, ma sapeva che prima o poi avrebbe ceduto. Dean si avventò sulle sue labbra nello stesso momento in cui lo fece lui, assaporandole come l'ultima volta era troppo sconvolto per fare, lasciando che le mani si insinuassero sotto la giacca a vento per serrarsi attorno alla sua vita ed attrarlo a sé, facendo coincidere i loro corpi, mentre Castiel cercava il ritmo del bacio come se fosse l'aria che da sempre gli era stata portata via. Le loro bocche collidevano perfettamente, le lingue calde scorrevano avidamente l'una contro l'altra ed i respiri che poi tanto respiri non erano perché emettevano a malapena una molecola d'ossigeno, si mescolavano.

Dean staccò una mano dal fianco di Cas per far scorrere le dita fra i suoi capelli, e scoprì che era passato così tanto tempo da quando lo aveva fatto che aveva vissuto un'intera astinenza senza rendersene conto; Castiel emise un gemito senza smettere di a baciarlo con foga, mordendogli il labbro inferiore e stuzzicando la lingua con la sua, poi si allontanò, completamente a secco d'aria nei polmoni. Dean lo fissava, aveva ancora gli occhi lucidi ma sorrideva compiaciuto, ed aveva le gote rosse quasi quanto quelle di Cas.

Non aspettò nemmeno cinque secondi che riprese a baciare le sue labbra stavolta piegando la testa dall'altra parte, creando una sorta di incastro perfetto fra i loro corpi che si muovevano all'unisono, spingendo la lingua nella bocca del compagno, sondandogli il palato, ascoltando le sue mani afferrarlo saldamente per i fianchi. Andarono avanti così per parecchi minuti, vinti da qualcosa che a malapena riuscivano a denominare, ma che aveva il sapore delle loro labbra.

Smisero appena in tempo per vedere un paio di ragazzini fiondarsi sulla terrazza per ammirare il panorama seguiti dai genitori che li fissavano sospettosi, per poi scambiarsi uno sguardo eloquente ed unirsi agli altri visitatori nel giro conclusivo.

 

 

 

Pensavate di esservi liberati di me? NAAAAAAAH

Sono stata buona e gentile e non vi ho spezzato a metà il capitolo, in compenso questo è più del doppio degli altri, spero sia una sorpresa gradita!!

grazie a tutti i nuovi recensori e a quelli vecchi, non vedo l'ora di sentire cosa ne pensate!! scusate per l'OOC

   
 
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