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Autore: marmelade    19/02/2015    2 recensioni
Ashton e Margareth si sono appena laureati, appena conosciuti, hanno appena finito di fare l'amore.
Nella stanza di lei aleggia ancora l'odore dell'ultima sigaretta fumata da lui, mista all'odore del sesso.
Si abbracciano forte l'uno con l'altra in un minuscolo letto dalle lenzuola sporche, come per aggrapparsi a quegli ultimi momenti della loro giovinezza.
Non si conoscono, eppure è come se la vita li avesse fatti incontrare da sempre. Sono convinti che non si rivedranno mai più, ma non è così: sono strettamente legati tra loro.
Cadranno insieme, rideranno, piangeranno e si diranno addio molte volte, senza mai riuscirci davvero.
Resteranno per una vita intera ad amarsi, anche lontani, fino a che non vorranno tornare indietro nel tempo e ricominciare tutto dall'inizio.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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II
 
“Certi legami sfidano le distanze, il tempo e la logica.
 Perché ci sono certi legami che sono semplicemente destinati ad essere”
Grey’s anatomy
 

≈ 
Cause you know I'd walk a thousand miles
If I could just see you tonight 
 
 
Maggio2003.
 
«Chi l’avrebbe mai detto».
Margareth portò una ciocca di capelli corti e lisci dietro l’orecchio, poi agguantò nuovamente la tazza fumante di caffè per portarsela alle labbra. Sorseggiò lentamente, tenendo lo sguardo basso, nascondendo un sorrisino che in realtà celava solo una smisurata felicità.
Scosse leggermente il capo, sorridendo ancora un po’, poi staccò le labbra dalla tazza e poggiò quest’ultima nuovamente sul tavolino di legno scuro.
Trattenne il labbro inferiore stretto tra i denti per evitare di scoppiare a piangere dalla felicità e dare spettacolo nel bar in cui si trovava, stranamente pieno di gente nonostante l’orario.
Si guardò ancora un po’ intorno prima di voltare lo sguardo di fronte a lei, incontrando un paio di occhi felici da fare schifo.
«Tra due mesi ti sposi».
Susie tamburellò nervosamente le lunghe dita affusolate sul tavolino traballante, poi morse l’interno della guancia per nascondere un sorriso. Incatenò ancor di più lo sguardo negli occhi dell’amica seduta di fronte a lei poi, improvvisamente, non seppe resistere alla tentazione di un sorriso a trecentosessanta gradi. Smise di far suonare le dita sul tavolo per poi battere rumorosamente il palmo della mano su di esso.
«Cazzo, tra due mesi mi sposo!»
A quel punto, l’intero locale si era voltato verso quel tavolo rumoroso, dove due ragazze – una alta e bionda e l’altra piccola e mora – avevano smesso di contenere la propria felicità e si erano alzate nello stesso momento, abbracciandosi goffamente, nonostante il tavolino tra loro impedisse quel gesto.
Susie saltellò leggermente sul posto ed emettendo chissà quali versi di gioia, cosa che fece ridere sonoramente Margareth. Da quanto tempo non si sentiva felice così?!
Si abbracciarono per lungo tempo, tenendosi strette ed aggrappate l’una con l’altra, come avevano sempre fatto. Si sedettero solo dopo che Margareth incrociò lo sguardo scioccato ed imbarazzato di uno dei camerieri, leggendo nel pensiero di quest’ultimo che le supplicava di sedersi e fare meno macello.
«Dio, Susie» le disse, una volta sedute, sventolandosi con una mano «non ci posso credere, davvero!».
«Non dirlo a me!» squittì la bionda con occhi sognanti «mi sento così strana, insomma, l’avresti mai immaginato?! Io che mi sposo... – scosse il capo, incredula, per poi battere nuovamente la mano sul tavolino in modo rude - roba da manicomio!».
Margareth rise, coprendo il sorriso con una mano. Involontariamente, qualche lacrima di gioia sfuggì dai suoi occhi, solcando lentamente le sue guance rosee per incorniciarle il viso.
Era così maledettamente strano, pensò.
 Susie, la sua migliore amica di una vita, la sua anima gemella, stava per sposarsi. L’avevano sempre pensata allo stesso modo riguardo al matrimonio: avevano deciso che per loro sarebbe stata una perdita di tempo, – e di libertà, soprattutto – una costrizione inutile e un suicidio mentale e psicofisico. Avrebbero preferito vivere da zitelle incallite, ma felici di poter fare qualsiasi cosa volessero senza che qualcuno – un uomo! – potesse impedirglielo.
Ricordava ancora il momento in cui Susie, nella notte dei suoi diciassette anni, era salita su un muretto altissimo – col coraggio datole da le due birre scolate poco prima – e aveva urlato al mondo che lei e la sua migliore amica Margareth non si sarebbero sposate mai. “Mai e poi mai!” aveva urlato in seguito, con la voce strascicata, per poi scoppiare a ridere insieme a Margareth, piegata in due in una risatina nervosa  dovuta all’effetto dell’alcool.
Quella era stata la prima volta in cui si erano ubriacate insieme, ancora troppo piccole ed ingenue per un mondo così ingannevole, ma furbe abbastanza da far credere al barista di aver già compiuto diciotto anni per bere alcolici.
Nonostante la sbronza, però, Susie sembrava davvero essere convinta di quello che aveva detto, ricordandolo alla sua amica giorno per giorno, anche quando – lontane chilometri a causa dei College differenti – si sentivano per telefono, dilungandosi in lunghe chiacchierate dal costo troppo elevato.
«Oddio, Margareth Ulbrier che piange per un matrimonio!» esclamò Susie, indicando le lacrime che scendevano fitte lungo il volto dell’amica. Si sporse leggermente verso di lei per asciugargliele con il pollice, ridacchiando sommessamente. «Devi esserti proprio rammollita in questi anni!».
Margareth cercò di ridacchiare tra le lacrime, ma tutto quello che ne uscì fu un singulto e una strana smorfia che fece ridere Susie ancor di più. Prese un fazzolettino di carta ruvida dal portatovaglioli d’alluminio di fronte a lei, soffiandosi sonoramente il naso e notando, nonostante gli occhi velati dalle lacrime, che anche gli occhi di Susie si erano improvvisamente riempiti di tristezza.
Mentre si asciugava gli occhi con un altro tovagliolino, lo sguardo di Margareth si poggiò su quella partecipazione di nozze dal colore puro e candido che la sua migliore amica le aveva dato poco prima, definendola solo come una “cosa di poco conto”.
“Susan Marie Wilden & Quentin Thomas Jefferson sono lieti di invitarla alle loro nozze nel giorno del ventuno Luglio...” . Margareth s’immedesimò per un attimo in Susie quando lesse il suo nome intero sulla partecipazione di nozze, immaginando le più assurde espressioni di disgusto sul volto della sua migliore amica: lei odiava il suo nome per intero. Unito alla partecipazione di nozze, poi... probabilmente era stata corrotta con qualcosa, pensò.
«Margareth?».
La mora scosse il capo, abbandonando i pensieri su come Susie si fosse fatta corrompere, per poi alzare il capo ed incontrare gli occhi castani di quest’ultima, continuando ad asciugarsi le lacrime.
Susie si torturò a lungo le mani prima di prendere un sospiro e riuscire a parlare. «Sei arrabbiata con me perché mi sposo?».
«Cosa?! No!» esclamò incredula, tirando su col naso. «Assolutamente no, ma cosa dici?!».
Susie sospirò ancora una volta, mentre qualche lacrima iniziò a rigarle il volto. «E’ che io e te abbiamo fatto quella promessa, ricordi, no?». Margareth annuì.
«Ecco, quella era la nostra promessa che non andava infranta per il primo uomo dotato di un arnese decente, e io l’ho infranta con questa storia del matrimonio» aggiunse, torturandosi ancora di più le mani, mentre altre lacrime le rigavano il volto. «Non ho fatto altro che ripeterti, in tutti questi anni, che io e te eravamo le vere ed uniche anime gemelle della nostra vita, fanculo l’amore, gli uomini e il matrimonio! Ce la saremo spassata alla grande senza alcun impedimento, e invece... cazzo, sono proprio una stronza!».
Susie si accasciò sul tavolino traballante, nascondendo il viso tra le braccia per poi singhiozzare forte.
«Susan, smetti di sparare cazzate!» sbottò Margareth, alzandosi in piedi e avvicinandosi a lei. Le poggiò una mano sulla schiena, accarezzandola piano, per poi sedersi sulle ginocchia ed arrivare a poca distanza dal suo viso.
«Non sono arrabbiata con te, come potrei mai esserlo?!» Susie singhiozzò ancora più forte, senza alzare lo sguardo. Margareth sospirò. Sorrise, mentre cercava di tranquillizzarla carezzandola. «E’ una cosa bellissima il fatto che tu voglia sposarti, vuol dire che hai trovato quello giusto. Quentin deve avere proprio un bell’arnese per averti fatto cambiare idea sul matrimonio, non credi?».
Susie ridacchiò tra i singhiozzi frequenti, lasciando che le carezze della sua migliore amica la tranquillizzassero al meglio. Alzò di poco lo sguardo, incontrando gli occhi dolci – e ancora un po’ umidi – di Margareth, che la guardavano felici.
Tirò su col naso, prima di fare un mezzo sorriso sghembo. «Beh, sì, in realtà l’arnese di Quentin non è male... e sa anche usarlo!».
Margareth scoppiò a ridere di gusto, seguita a ruota dalla sua migliore amica, la quale lasciò che le ultime lacrime le rigassero il volto prima di asciugarle prontamente con il dorso del suo maglione nero.
Margo avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di vedere Susie felice. Aveva sempre saputo che, in cuor suo, la sua migliore amica sognava di poter indossare un abito bianco e candido, un giorno, e quel giorno sarebbe arrivato da lì a due mesi.
Conosceva Quentin abbastanza da poter dire che era un bravo ragazzo, pazzamente innamorato di Susie. Era riuscito a conquistarla nonostante il suo carattere sfuggente e sbarazzino e, soprattutto, era riuscito ad abbattere le paure di Susie nei confronti dell’amore. Era stato caparbio, tenace, nonostante lui fosse un tipo tranquillo e pacato – il contrario della sua migliore amica – e aveva raggiunto lo scopo di sposarla.
Sorrise. Chissà se qualcuno, un giorno, avrebbe fatto lo stesso per lei.
Scosse il capo, allontanando quel pensiero, avvicinando il suo volto a quello di Susie. «Smettila di farti mille paranoie» le sussurrò in un orecchio mentre la coinvolgeva in un abbraccio «andrà tutto bene. Siete innamorati, non c’è cosa più bella al mondo».
Susie annuì lentamente col capo, stringendosi un po’ di più in quel caldo abbraccio, per poi posare le labbra sulla guancia di Margo. «Quindi non sei arrabbiata con me, vero? Perché posso sempre annullare tutto e fuggire con te in qualche contea sconosciuta e fare di te la mia unica sposa».
Margareth ricambiò ancor più forte quell’abbraccio. Sentiva le costole storcersi, ma non le importava: era Susie. «Ammetto che l’idea è allettante» rispose in una risatina sommessa «ma abbiamo tempo per fare anche quello. E no, non sono arrabbiata con te».
«Meglio» aggiunse Susie, staccandosi improvvisamente da quell’abbraccio per poi rivolgere un sorriso – abbastanza ambiguo, pensò Margareth – «se no come faccio senza la mia damigella d’onore?!».
Margo rimase come pietrificata. Portò entrambe le mani alla bocca presa dallo sgomento e dalla sorpresa, nascondendo un sorriso che non era passato inosservato agli occhi curiosi ed attenti di Susie.
«Io?!» domandò incredula con la voce ovattata, quasi senza fiato «oddio, Suz, tu sei pazza... completamente folle!». Susie rise di gusto, prendendo le mani di Margo tra le sue e stringendogliele forte.
«E chi se non tu?! Chi meglio della mia anima gemella può mettermi a figura di merda durante il discorso del ricevimento?! Tu ne conosci una più del diavolo su di me, Margie!».
Margareth le sorrise emozionata, tralasciando il fatto che l’avesse chiamata col nomignolo che le aveva affibbiato sua madre da piccola e che Susie utilizzava solo quando aveva bisogno di ricattarla.
Forse questo era uno di quei casi.
«Io ti odio, Susan!» esclamò, alzandosi in piedi, puntandole contro l’indice con fare minaccioso «preparati al discorso più cattivo, stronzo e meschino nella storia di tutti i matrimoni!».
Susie rise forte, battendo di nuovo sonoramente le mani sul tavolo mentre Margareth tornava al suo posto e la guardava divertita. Ormai il suo caffè era diventato imbevibile, quindi lasciò che quel poco che ne era rimasto si raffreddasse ancora di più nella tazza del bar.
«Sapevo che non mi avresti detto di no» le disse, giocherellando con la tazza di fronte a se, ormai vuota da un pezzo «oh e, in qualità di damigella d’onore, ti proibisco categoricamente di venire da sola!».
 Se in quel momento avesse avuto qualcosa da mangiare in bocca, si sarebbe sicuramente strozzata.
«Susie, questo è veramente folle!» esclamò Margareth, scioccata «posso accettare il matrimonio, l’incarico della damigella d’onore, il discorso e tutto il resto, ma questo è assurdo!».
«Oh, andiamo Margareth, hai ancora due mesi! Mi sembrano sufficienti per incontrare qualcuno» aggiunse Susie, incrociando le braccia al petto.
Margareth sospirò rassegnata, scuotendo il capo. Non aveva voglia di essere accompagnata da qualcuno a quel matrimonio. Stava per dirglielo e risponderle acidamente, quando il cellulare le squillò improvvisamente. Susie inarcò un sopracciglio soddisfatta, indicando poi quell’aggeggio con un cenno del capo.
«Che fai, non rispondi? Potrebbe essere importante».
Margareth alzò il dito medio nella sua direzione, facendola ridacchiare silenziosamente, per poi aprire con un gesto secco il telefono e rispondere atona.
«Pronto».
«Uuuh, qualcuno sembra arrabbiato!».
Nonostante il baccano proveniente dall’altro capo del telefono, Margareth riconobbe perfettamente quella voce, ed ebbe un singulto. Qualcosa le si aprì nello stomaco al solo sentire quella voce dal ghigno costantemente divertito, e si domandò cosa fosse.
Fame – pensò improvvisamente – è sicuramente fame.
«Non sono arrabbiata» esclamò, tamburellando nervosamente le dita sul tavolo sotto lo sguardo curioso di Susie, che le domandava con gli occhi chi fosse «mi hai chiamata in uno strano momento».
«E come mai? Che cosa stavi combinando, eh?».
«Niente di ciò che tu possa pensare con la tua mente malata e perversa, Ashton!» esclamò infastidita.
Dio, quanto la irritava quel suo modo di essere così maledettamente malizioso.
Susie inarcò ancor di più le sopracciglia dopo aver sentito pronunciare quel nome, e sorrise. Margareth la guardò con uno sguardo interrogativo, mentre Ashton, dall’altro capo del telefono, rise di gusto.
«Okay, okay, come non detto!» aggiunse, e lei sentì il baccano iniziale affievolirsi, segno che si fosse allontanato.
Margareth sospirò, scuotendo veemente il capo. Era inutile rimproverarlo della sua malizia tanto, per quanto potesse scusarsi, avrebbe continuato – volontariamente ed involontariamente – a fare quelle stupide battutine a doppio senso.
«Come ti va la vita, Margo? Sei riuscita a sopravvivere senza di me, in questi mesi?».
Sbuffò. «Mi pare di essere ancora viva. Quindi, direi perfettamente, forse anche meglio».
Ecco un’altra cosa che odiava di Ashton sin dal primo momento in cui l’aveva incontrato: il suo smisurato ed incontrollabile egocentrismo.
Non si poteva dire che lo facesse apposta a mettere sempre prima se stesso e poi gli altri, era una cosa che gli veniva quasi in automatico, e lei certe volte lo tollerava. Capiva quando utilizzava il suo modo di esternare l’egocentrismo per un semplice scherzo o semplicemente per farla arrabbiare e ridere allo stesso tempo – come in quel caso – ma certe volte era davvero intollerabile.
Oltre ad essere tremendamente egocentrico, Ashton era anche estremamente logorroico, a tratti pedante, ma questo sembrava apportare un certo non so che alla sua figura di “ragazzo estremamente sexy” che, ovviamente, gli faceva avere intorno mille ragazze pronte a fare per lui qualsiasi cosa il “sovrano”avesse chiesto.
Margo le trovava semplicemente patetiche e ridicole, mentre Ashton pensava l’esatto contrario. Allora lei non faceva che propinargli uno dei suoi lunghi soliloqui su quanto la dignità di quelle ragazze fosse andata a finire sotto il loro tacco dodici e che tutte le conquiste della lotta femminista si erano ritirate in un angolo buio del mondo dopo aver assistito a quelle scene raccapriccianti, vergognandosi e chiedendosi dove fossero andati a finire tutti i loro i neuroni, ma Ashton – come al solito – rideva, le dava un pizzicotto sulla guancia, (o una pacca sulla spalla, dipendeva dalle circostanze) le avvicinava un po’ di più il boccale di birra e le diceva “rilassati, Margo, bevi per dimenticare!”.
Tutto ciò le faceva venire solo voglia di picchiarlo ma, invece, si tratteneva, domandosi semplicemente perché avesse continuato a frequentare quell’energumeno dai capelli scombinati e, soprattutto, come era riuscita a far diventare quello stesso energumeno il suo migliore amico.
La risatina di Ashton la fece ritornare per un attimo alla realtà e ad istinti meno omicidi del sovrannaturale.
«Tu, invece, come stai? Sei ancora in giro per il mondo?» gli domandò, mordendosi le pellicine intorno al pollice.
Susie la guardò storto, per poi darle uno schiaffo sulla mano per farla smettere. Margo la guardò in cagnesco, sussurrando un flebile “ahi” dopo la piccola botta ricevuta.
Non seppe come – e soprattutto perché- ma immaginò Ashton sorridere dall’altro capo del telefono e quella sensazione di fame prese nuovamente possesso del suo stomaco.
«In realtà sono appena tornato in città».
Margareth spalancò gli occhi e fece una smorfia incredula, mentre la sensazione di fame si apriva ancor di più nel suo stomaco. Susie se ne accorse e la guardò incuriosita, sporgendosi di più verso l’amica come se volesse ascoltare la conversazione. Quest’ultima le lanciò un’occhiata fulminante, ma la fece fare. Meglio se avesse ascoltato con le sue orecchie, tanto dopo l’avrebbe comunque stressata per sapere ogni minimo e inutile particolare di quella conversazione.
«Oh» esclamò atona, forse fin troppo. Ashton se ne accorse e sorrise dall’altro capo del telefono.
«Non sei contenta?»
«No! Cioè, sì!» tentennò, mordendosi ancor più nervosamente le pellicine sotto lo sguardo ancora più impaziente e curioso di Susie.
«Sì, certo, sono contenta, sono solo... sorpresa... boh, sì, cioè... sì, sorpresa».
Ashton rise. Adorava coglierla di sorpresa e mandarla in confusione, era una cosa che trovava estremamente adorabile.
«Beh, allora... sorpresaa!» esclamò, per poi ridere di nuovo.
Involontariamente sul volto di Margareth si dipinse un sorrisino, mentre le guance diventarono ancora più rosee. Ashton era tornato.
Susie guardò la sua migliore amica arrossire e assumere un colorito quasi violaceo, quindi inarcò un sopracciglio e le sorrise maliziosa. Quando Margo se ne accorse, capì di essere diventata un pomodoro, di aver sorriso e di essersi completamente rammollita, quindi diede una leggera gomitata a Susie, che si spaventò di botto.
«Stronza!» boccheggiò incredula, sussurrando ogni minima parola per non farsi sentire «dimmi cosa sta succedendo!».
Margareth mimò un flebile “è tornato” con le labbra, e non riuscì a contenere un ulteriore sorrisino.
Quando se ne rese conto era troppo tardi per rimediare a quelle figure di merda. Si era rincoglionita.
«Ci sei ancora, Margo?» le domandò preoccupato.
«Sì, eccomi... sono qui, sì!» boccheggiò colta alla sprovvista, facendo ridestare anche l’interesse di Susie.
«Allora stasera ci vediamo!» esclamò Ashton, una voce incredibilmente trillante per i gusti di Margo.
«Stasera lavoro, Ash – gli ricordò in tono lugubre - così come domani sera. E così come tutte le sere a venire» anticipò anche le risposte che avrebbe dovuto dare alle domande che lui le avrebbe posto successivamente.
«Appunto. Ti vengo a trovare al pub» aggiunse lui, ancor più prontamente di lei.
Margareth quasi si strozzò con la sua stessa saliva. «Non credo sia una buona idea, Ashton».
«Me ne frego delle non buone idee. Riservami il tavolo migliore!».
«Ashton, dico sul serio...»
«Alle nove sarò lì, puntuale, lo prometto!»
«Non è una questione di puntualità...»
«Ci vediamo stasera, Margo!»
«Ash! Ashton!».
Con il suo solito menefreghismo, Ashton Irwin le aveva attaccato il telefono in faccia senza nemmeno chiederle il perché non potesse presentarsi quella sera stessa nel locale in cui lavorava.
Sbuffò irritata prima di chiudere con forza il telefono e, con altrettanta forza, sbatterlo sul tavolino traballante.
«Beh, allora? Che ha detto?» le domandò Susie curiosa, notando la reazione di Margo.
«Ci vediamo stasera» le rispose quest’ultima, arrabbiata, incrociando le braccia al petto per poi accasciarsi lungo lo schienale della sedia.
Susie inarcò un sopracciglio, stranita. «E non sei contenta?»
«Cazzo, no!» sbottò Margareth, allungandosi in avanti. Cercò di darsi un contegno facendo un lungo sospiro, proprio per evitare di avere una crisi di nervi nel bar e dare apertamente spettacolo.
«Odio quanto viene a trovarmi a lavoro» ammise, massaggiandosi la fronte «è così... così... frustrante vederlo seduto lì che mi da ordini facendo finta di non darmi ordini perché, diavolo, lui non può darmi ordini, sono la sua migliore amica, quindi sarebbe estremamente strano! Ma sono anche una cameriera, purtroppo, oltre ad essere la sua migliore amica, quindi lui deve per forza darmi ordini perché sono anche l’unica cameriera di cui si fida in quel posto di merda perché, guarda un po’... sono la sua migliore amica!».
A quel punto aveva già alzato di un tono la voce, quindi il suo piano di non dare spettacolo era andato completamente a farsi fottere. “Fanculo, che cazzo avete da guardare?” pensò, mentre tutte quelle persone intorno a lei la guardavano straniti e scandalizzati allo stesso tempo.
«Margareth, calmati, su...». Susie le prese una mano, carezzandone lentamente il dorso, rivolgendole un mezzo sorriso. Essere così agitata per una piccolezza non era da lei, pensò, ma si trattava pur sempre di Ashton. Decise di non riprendere la sua famosa teoria per evitare di farla esplodere nella più totale incandescenza e perderla per sempre, così si limitò solo a delle parole di conforto.
«E’ pur sempre il tuo migliore amico, Margo, è stato fuori tre mesi per un tour intorno al mondo, è normale che voglia vederti... non inventarti cazzate con me, ti conosco benissimo, anche tu sei contenta di rivederlo».
Margareth sospirò. In cuor suo, sapeva che Susie aveva ragione e che rivedere Ashton le avrebbe fatto scoppiare il cuore di gioia, eppure era una frustrazione al tempo stesso.
Lui era Ashton Irwin, il ragazzo che un tempo non aveva ambizioni, quello destinato ad un lavoro di merda ma che, invece, aveva realizzato quel sogno che aveva confessato solo a Margo durante quella notte di tre anni prima.
Quante cose erano cambiate, durante quegli anni.
Margareth si era trasferita in città, divideva uno sputo di bilocale con una sua vecchia compagna di college, – in verità tre, se proprio si voleva contare il ragazzo di quest’ultima che si era momentaneamente trasferito da loro da circa un anno e mezzo – lavorava in un pub dall’altra parte della città e non aveva realizzato nemmeno una delle sue aspirazioni. Ci aveva provato, ma aveva dovuto trovarsi un lavoro perché, a venticinque anni – tra un mese, avrebbe sottolineato – non poteva farsi mantenere ulteriormente dai suoi genitori poiché, tutto ciò, avrebbe avuto gravi ripercussioni sulla sua indipendenza di cui era tanto fiera. Aveva provato a scrivere un libro, ma era sempre rimasta bloccata al capitolo tre, senza mai riuscire a spostarsi di una virgola. Scriveva poesie ogni tanto, sul taccuino delle ordinazioni, ma erano stupide per la maggior parte, quindi ne strappava sempre i fogli per poi conservarli in un baule buttato nell’angolo della sua camera.
Ashton, invece, era leggenda. O almeno lui così aveva l’onore di definirsi. Margo gli ricordava sempre che non doveva avere la presunzione di identificarsi come tale, ma almeno come una mezza leggenda, o meglio, una leggenda agli esordi della carriera, ma lui niente.
Da due anni – dopo un anno di bivacco totale mantenuto dai suoi genitori – Ashton si era deciso, aveva stretto i denti e aveva rimesso su la sua vecchia band con i vecchi compagni del College, tali Michael Clifford, un ragazzo dai capelli dal colore diverso e sgargiante ogni mese; Luke Hemmings, un ragazzo biondo e dagli occhi cielo apparentemente tranquillo; e il suo immancabile – e pervertito, avrebbe aggiunto Margo – compagno di stanza, Calum Hood. Tutti e quattro si erano messi di impegno e avevano cercato di farsi notare da qualche produttore discografico: avevano tenuto duro, ci avevano messo tutta la passione del mondo ed erano arrivati al successo. I 5 Seconds of Summer.
Margareth lo trovava un nome un po’ idiota, in realtà, ma quelle poche volte in cui aveva chiesto del perché di quel nome, Ashton le aveva rivolto solo un sorrisino, accompagnato da un divertito “forse un giorno capirai” , anche se lei non avrebbe voluto aspettare quel fatidico “giorno” per scoprirlo. Voleva saperlo adesso.
Ad ogni modo, aveva realizzato il suo sogno di diventare un batterista.
Girava il mondo su un vecchio autobus maleodorante e malandato, costretto a sottoporsi a dei frequenti controlli per mantenere viva l’incolumità dei suoi passeggeri, i quali contribuivano a rendere puzzolente quell’abitacolo a causa delle continue sigarette accese e fumate senza rispetto, tra risate e cagnara incessanti.
Di relazioni serie, poi, nemmeno a parlarne: per Ashton erano una costrizione inutile, una palla al piede da portarsi dietro che gli avrebbe sicuramente oscurato il divertimento assoluto e tanto agognato; per Margo un qualcosa che non sfiorava nemmeno l’anticamera del cervello. Non aveva tempo per un uomo, lei.
Entrambi sfuggenti in modi diversi davanti all’amore. D’altronde, lo avevano sempre fatto.
In ogni caso – anche se fosse stato l’ultimo giorno di entrambi sulla terra, anche se ci fosse stata un’invasione aliena letale per il mondo intero, anche se un meteorite avesse attraversato il cielo pronto per far scoppiare in aria tutti quanti – lei non aveva voglia di rivedere Ashton sul posto di lavoro.
Era quasi gelosa di quello che lui aveva realizzato, mentre lei si era arresa al primo ostacolo.
Era sempre stata lei quella con le ambizioni e la tenacia, cosa era cambiato così tanto da far ribaltare i ruoli?!
«Margie?» la richiamò Susie, vedendola in uno stato di trance.
Margareth sussultò per un attimo, colta alla sprovvista, poi aggrottò le sopracciglia sentendosi richiamare nuovamente in quel modo. «Qualunque cosa tu mi stia per chiedere, la risposta è no, Susan. Non con quel nomignolo di merda...».
Susie sorrise. «Perché non chiedi ad Ashton di accompagnarti al mio matrimonio?» chiese con naturalezza, poggiando il mento su entrambi i palmi delle mani.
Per tutta risposta, lei non si fece intenerire dagli occhi dolci che la sua migliore amica le aveva appena rivolto, e scosse veemente il capo. «Non se ne parla neanche».
«Ma perché?!» esclamò la bionda, quasi indignata.
«Mi direbbe di no, Susie, lo conosco troppo bene» sbuffò, roteando gli occhi al cielo «e poi lui odia i matrimoni» aggiunse. Ovviamente non era vero, ma cercò di sembrare quanto più realistica e veritiera possibile per porre fine a quella conversazione.
Susie inarcò un sopracciglio. «Passerò sopra al fatto che tu mi abbia appena mentito per dirti solo che non ti mangia nessuno se glielo chiedi. Potrebbe essere un’occasione in più per passare un po’ di tempo insieme prima che lui torni a girare il mondo».
Margareth ingoiò quell’amaro boccone appena sputato dalla sua migliore amica. Di lì a poco lui sarebbe ripartito e chissà quando si sarebbero rivisti o semplicemente risentiti. La cosa – non tanto stranamente – la rese improvvisamente triste. Per quanto fosse rilassante non avere quella sottospecie di ciclone intorno, la sua mancanza era abbastanza vivida e sentita quando i mesi interi di tour lo risucchiavano dalla sua vita sociale.
D’altronde, era solo una semplice richiesta priva di doppi fini.
Intrappolò il labbro inferiore tra i denti e poi mise da parte l’orgoglio per una giusta causa. Si trattava pur sempre del matrimonio di Susie.
«D’accordo» sospirò rassegnata «Glielo chiederò stasera stessa».
Susie si aprì in un enorme e raggiante sorriso, soddisfatta di essere riuscita a convincere la sua migliore amica a compiere quel semplice gesto, che Margo ricambiò timidamente.
Ripresero a parlare del matrimonio e di tanti altri e vari argomenti – tra i quali dei pettegolezzi che Susie aveva appreso riguardo alcune delle loro vecchie e comuni amicizie – con i quali Margareth cercò di tappare i propri pensieri per soffocare quello strano turbinio di sensazioni che si era aperto nuovamente in lei ed affogare quello stupido senso di colpa nei confronti dell’amica.
Non era vero il fatto che non volesse nessuno che l’accompagnasse al matrimonio.
Il primo colore che le era venuto in mente, quando Susie gliel’aveva categoricamente imposto come un ordine, era stato un semplice e meraviglioso verde prato.

~
 
«Due porzioni di nachos al ventitré, quattro hamburger piccanti al numero otto, una pizza ai quattro formaggi al quindici e, oh... hai dimenticato la salsa barbecue al numero tredici».
La ragazza rossiccia annuì col capo dopo le parole di Margareth poi, rapida come un fulmine, si avviò nelle cucine per riportare la notizia degli ordini appena arrivati dalla sala.
Margareth poggiò le mani sui fianchi, sospirando. Nonostante fosse lì da due mesi, Tilly – la ragazza dai capelli rossicci – non aveva ancora acquisito la rapidità necessaria per sopravvivere in quel via vai di ordini e contrordini. Si passò una mano tra i capelli corti prima di strappare alcuni fogli dal taccuino e attaccarli su una lavagnetta di sughero lì vicino, dove vi erano altri infiniti ordini. Il venerdì sera era sempre un macello.
«Margareth?».
Si voltò dopo che la timida e flebile voce di Jaden raggiunse – non seppe come – le sue orecchie, tenendo in una mano una piccola puntina dal colore rosa e nell’altra il taccuino dalla copertina nera e rovinata.
Rivoltò gli angoli delle labbra all’insù per cercare di essere quanto più comprensiva e meno antipatica possibile nei suoi confronti, nonostante il nervosismo incessante. Non che gli stesse antipatico, certo, ma non le era nemmeno così simpatico: era una tolleranza civile, la sua, nei confronti di Jaden, nonostante gli avesse ribadito più e più volte di cercare di essere più sveglio e di rivedere il suo repertorio di battute, stantie e squallide come poche.
Notò un lieve rossore imbarazzato sulle gote di Jaden dopo quel sorriso. «Al bancone chiedono di te, insieme a due Heineken» la informò il ragazzo «è quel batterista strampalato» aggiunse, e Margareth non poté fare a meno di notare una lieve nota infastidita nella sua voce. Sapeva che Jaden ci provava con lei da un bel po’- anzi, era arrivato praticamente ad esternarlo con quella sua richiesta di un simil appuntamento - ma cercava sempre di non farci troppo caso e di trattarlo sempre alla stessa maniera, senza mai sfiorare limiti che avrebbero potuto fargli credere che, da parte di Margareth, ci fosse qualcosa in più della semplice e civile tolleranza.
«Non è strampalato» si ritrovò a difenderlo, inaspettatamente. Si rese conto a che livelli fosse arrivata, vergognandosene quasi, così scosse il capo sotto lo sguardo stranito di lui. «E’ semplicemente un po’ bacato» aggiunse prontamente, scatenando un sorrisino divertito sulle labbra carnose di Jaden.
«Beh, comunque ti aspetta al bancone. Ha chiesto esplicitamente di te, nessun’altro».
Tipico di Ashton, pensò Margo, mentre Jaden si allontanava verso la cucina per recuperare alcune delle ordinazioni.
Si avvicinò all’enorme frigorifero e lo aprì con due mani, per poi afferrare le due Heineken dal collo verde scuro e richiudere l’anta dal colore argenteo con un calcio molto poco fine. Fece un lungo sospiro mentre si avviava verso la grande sala gremita di gente, tenendo quanto più stretti possibile i colli delle birre tra le dita piccole e tremolanti. Un caldo chiacchiericcio raggiunse le sue orecchie non appena mise piede nella sala, incontrando occhi diversi e sguardi fugaci, senza raggiungere quello che tanto aveva bramato e che aspettava impaziente di rivedere dopo tre lunghissimi mesi.
Si fece largo tra la gente, scansando spalle maschili e perfetti fianchi femminili, fino a raggiungere il luogo in cui Ashton l’aspettava. Perché due birre, poi? Sapeva benissimo che lei non poteva assolutamente bere durante l’orario – e soprattutto sul posto – lavorativo.
Le sue domande trovarono finalmente una risposta quando una ragazza bionda si scostò dalla sua visuale per lasciare spazio ad una scena raccapricciante e nauseante. Scosse nuovamente il capo, alzando gli occhi al cielo.
Tipico di Ashton.
Quest’ultimo – una maglietta grigia con le maniche rivolte verso i gomiti e dei jeans neri aderenti alle gambe – era avvinghiato ad una ragazza prosperosa, dai capelli neri e setosi che le arrivavano lunghi al sedere. Margareth si accorse che i capelli dell’amico erano cresciuti di qualche centimetro dall’ultima volta che si erano visti quando la ragazza li strinse tra le dita durante quel lungo bacio – disgustoso, convenne Margareth – passionale.
D’un tratto, Ashton si staccò quasi senza fiato da quella ragazza per poi rivolgerle un sorriso ammiccante, mentre lei continuava a passare le mani tra i capelli biondo scuro di lui. Quest’ultimo le fece un occhiolino prima di sussurrarle qualcosa nell’orecchio che, a quanto pare, doveva essere davvero esilarante, dato che la fece ridacchiare in un modo che Margo ritenne estremamente irritante, snervante e disgustoso, così come la scena alla quale aveva avuto l’onore di assistere. Senza accorgersene, sul suo volto si formò un’espressione di estremo ribrezzo.
Improvvisamente, Ashton voltò lo sguardo da parte a parte della sala prima che i suoi occhi incrociassero la figura dell’amica, immobile a pochi centimetri da lui e con le due bottiglie di birra richieste tra le dita.
Le sue labbra si aprirono in un enorme sorriso sincero e la sensazione di vuoto che l’aveva assalito per tutti quei mesi scomparve non appena incrociò i suoi occhi castani, anche se con qualche difficoltà.
Fu pervaso da un’improvvisa contentezza quando Margareth, a parte una smorfia di disgusto iniziale, gli rispose con lo stesso sorriso radioso. Ashton mollò la presa sui fianchi della ragazza per avviarsi verso Margareth, annullando quei pochi centimetri che lo separavano da lei mentre, quest’ultima, in risposta, compì dei piccoli passi per raggiungerlo, nonostante le difficoltà di spazio.
«Margo!» esclamò nel suo orecchio, abbracciandola forte. Si perse nel profumo dei suoi capelli. Era come lo ricordava: un dolce ed intenso mix di cocco e vaniglia.
«Ehi, rockstar!» lo salutò lei in risposta, alzando la voce e cercando di abbracciarlo al meglio, nonostante la difficoltà delle due birre tra le dita.
Ashton strinse la presa intorno ai fianchi di Margo, mentre faceva scivolare le dita della mano destra lungo tutta la sua schiena, provocandole dei brividi non poco indifferenti. Dio, quanto le era mancata.
Margareth chiuse gli occhi, godendosi appieno quel contatto che le era venuto meno per tre mesi. Poggiò il mento sulla spalla larga di Ashton, mettendo da parte l’orgoglio e tutto il resto. Era pur sempre il suo migliore amico, ed era lì, con lei. La cosa, per quanto cercasse di nasconderlo a se stessa, la riempiva estremamente di gioia.
Ashton si staccò improvvisamente da lei ancora col sorriso sulle labbra, poi la squadrò da capo a piedi, sotto lo sguardo curioso dell’amica. La guardò intensamente negli occhi, restaurando un contatto che fece accapponare la pelle a Margo. Lui le sorrise ancora, e Margo pensò di essere morta e resuscitata allo stesso tempo.
Fece un ghigno divertito mentre le gote di Margo si coloravano intensamente di rosso e le lunghe dita di lui andavano a finire nei morbidi capelli castani di lei. «Hai tagliato i capelli! Ti stanno bene, lo sai?».
Margo sorrise imbarazzata, lasciando che uno sbuffo d’aria rilasciasse le sue labbra per aggiustare un ciuffo di capelli cadutole davanti agli occhi. Ashton sorrise teneramente a sua volta: da quanto tempo non le vedeva compire quel gesto.
«Grazie» rispose lei, per poi accennare col capo ai suoi, di capelli «i tuoi invece sono cresciuti»,
Ashton si passò una mano tra i capelli chiari e spettinati, annuendo impercettibilmente col capo. «Già, dovrei tagliarli».
«Dovresti. Sembri un barbone!» convenne Margareth, imbronciando teneramente le labbra in una smorfia che fece sorridere Ashton ancora una volta. Poi, il suo sorriso, si tramutò in malizia.
«Beh» cominciò, inarcando un sopracciglio «intanto lo stile da barbone sta dando i suoi buoni frutti...» aggiunse, per poi indicare col il pollice la ragazza dietro di lui che, intanto, si guardava spaesata intorno. «Non credi anche tu?».
Margo sbuffò, roteando gli occhi al cielo per poi riportare lo sguardo sul volto di Ashton, che non aveva abbandonato quella sua solita espressione maliziosa. Si avvicinò di poco a lui, giusto quel necessario per mollargli una gomitata nello sterno.
«Sei sempre il solito imbecille» asserì, facendo gemere e ridere di dolore lui allo stesso tempo.
Non ebbe il tempo di spostarsi, che Ashton le aveva poggiato una delle sue grandi mani dietro la nuca e l’aveva tirata dolcemente verso di se, schioccandole un leggero bacio sulla fronte con le labbra stranamente fresche. Abbassò di poco il capo dopo quel gesto per poi incorniciarle il volto con entrambe le mani,  ritrovandosi gli occhi caldi e scuri di Margo a pochi centimetri di distanza dai suoi.
«E tu mi sei mancata» sussurrò dolcemente, mentre il suo fiato caldo le arrivava dritto sulle labbra.
Lei si lasciò sfuggire un sorrisino divertito, mentre le gambe le diventarono stranamente molli come due budini lasciati sotto al sole. Scosse il capo, alzando gli occhi al cielo.
«Paraculo» bofonchiò ridacchiando, mentre le mani di Ashton le tenevano stretto il viso. Lui rise divertito, per poi mollarle un pizzicotto sulla guancia morbida e rosata e lasciare che il suo viso non venisse ulteriormente deturpato dalle sue grandi mani.
Aprì e richiuse la mascella più volte per tentare di capire se fosse ancora tutta intera, mentre Ashton si avvicinava alla ragazza mora e prosperosa che stava baciando passionalmente un attimo di incontrare Margareth. Le cinse i fianchi con una mano, prima di avvicinarsi nuovamente al suo viso e attaccarsi selvaggiamente alle sue labbra carnose, baciandola con ancor più trasporto del bacio precedente.
La ragazza, in tutta risposta, spostò la sua mano sul sedere di Ashton, dandogli una forte pacca su una delle natiche. Margo, intanto, continuò ad aprire e chiudere la mascella, domandandosi mentalmente cosa avesse fatto di tanto male nella sua vita – o in quelle precedenti – per assistere dal vivo ad un porno di scarsa qualità come quello. Forse una strage di omicidi, pensò.
«Margo» la richiamò improvvisamente Ashton, dopo essersi staccato da quei canotti che la mora si portava in giro al posto delle labbra. Lei scosse il capo, scacciando via i vari pensieri su quante catastrofi avesse potuto provocare nella sua vita precedente e su quanto fossero state gravi, perché non ricordava di aver fatto nulla di così tanto maligno nella sua vita attuale per meritarsi quella scena raccapricciante live.
A parte essere la migliore amica di Ashton Irwin, ovviamente, ma quella era più una malignità personale che collettiva.
Si voltò verso di lui, mentre la donna canotto lo guardava ancora famelica e con la voglia di saltargli addosso da un momento all’altro.
«Lei è... Noelle» la presentò Ashton, in evidente difficoltà, ma la ragazza non parve accorgersene, troppo occupata com’era a mangiare il ragazzo con gli occhi. Margo cercò di trattenere a stento una risata: ancora non riusciva a ricordare il nome delle sue prede.
Ashton le rivolse un’espressione imbronciata, quindi lei alzò la mano libera dalle birre come per volersi scusare.
«Ciao Noelle, io sono Margareth – si presentò, poi accennò col capo alle sue labbra - carini i tuoi canotti».
Il biondo la guardò male ancora una volta, ma Noelle non parve accorgersi nemmeno della presenza di Margo e di ciò che aveva appena detto. Si sporse sensualmente verso l’orecchio di Ashton che, pian piano, si aprì in un sorriso malizioso, per poi avvicinare il viso al suo e morderle le labbra.
Che scena patetica, pensò Margo, ed è inutile che mi guarda male, quella i canotti ce li ha davvero.
Margareth tossicchiò per richiamare l’attenzione del suo migliore amico, il quale non si voltò, completamente perso nel tunnel senza via d’uscita della libido. Tossicchiò ancora una volta, questa volta in modo più forte e rude del precedente, ed Ashton parve improvvisamente ricordarsi della sua esistenza.
«Scusa» le disse, mentre lady famelica gli baciava sensualmente l’orecchio.
«Già» rispose annoiata, facendo una strana smorfia con le labbra. «Dovrei chiederti una cosa, Ash...»
«Ti va di vederci domani mattina a colazione? -  le chiese, interrompendola - Credo di avere improvvisamente da fare, adesso» ed indicò Noelle con l’indice, che adesso gli stava lasciando una lunga scia di baci sul collo.
Margareth roteò gli occhi al cielo. Sapeva che farlo venire al locale, per una cosa o per un’altra, non era mai una buona idea.
«Come ti pare» gli rispose solo, atona.
«Grazie» le sussurrò, mentre Noelle gli mordeva la mandibola. Margareth aggrottò le sopracciglia, scuotendo il capo. Sì, aveva sicuramente fatto qualcosa di davvero, davvero cattivo per meritarsi quella punizione divina disgustosamente orribile.
Ashton si sporse verso di lei, nonostante Noelle cercasse di tirarlo quanto più possibile fuori da quel locale per appartarsi chissà dove, poi afferrò le due birre che, per tutto quel tempo, erano rimaste in mano a Margo.
«Ti chiamo domani mattina per metterci d’accordo su dove vederci!» esclamò, mentre veniva strattonato per la maglia. «E giuro che ti pago le birre!» concluse, alzando di poco le birre per allontanarsi poi in mezzo a tutta quella folla del venerdì sera.
Margareth vide la sua folta chioma bionda e spettinata allontanarsi sempre di più, fino ad uscire definitivamente dal locale, addentrandosi nella notte e, sicuramente, tra le mutandine di Noelle.
«Anche per me è stato un piacere rivederti, Ash...» sussurrò a se stessa, passandosi una mano tra i capelli.
Si diede mentalmente dell’idiota e non seppe nemmeno lei il motivo. Rimase a fissare la confusione intorno a lei per un tempo che le sembrò infinito, ritrovandosi davanti agli occhi il sorriso che Ashton le aveva rivolto non appena l’aveva vista. Le era sembrato che fosse davvero contento di rivederla, ma poi si ricordò che Ashton – come tutto il resto della sua razza – sapeva fingere benissimo, forse anche al di sopra della media.
Sospirò amaramente. Avrebbe dovuto mettere una pietra sopra a tutto quello.
«Ehi?»
La voce di Jaden arrivò dalle sue spalle, cogliendola di sorpresa. Si voltò verso di lui, leggermente spaventata, portandosi una mano sul cuore. Lui sorrise. «E’ tutto apposto?» chiese, realmente interessato.
Margareth annuì. «Sì, tutto benissimo».
Jaden rivolse uno sguardo oltre le sue spalle, allungando di poco il collo per una migliore visuale, poi fece incontrare la sua espressione confusa agli occhi di Margo.
«E il batterista bacato?»le domandò curioso.
Lei sorrise amaramente, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio mentre i suoi occhi puntarono dritti ed immobili il pavimento del locale. «E’ andato via – confessò, alzando di poco lo sguardo – aveva da fare».
 Jaden aggrottò le sopracciglia, poi, probabilmente, si ricordò di come Ashton non fosse venuto da solo a trovarla, e solo allora annuì col capo, cercando di rivolgerle un sorriso comprensivo. «Capisco».
Gli occhi di Margareth si riempirono di lacrime pungenti  e desiderose di scivolare via, ma lei non glielo permise. Se avesse dovuto piangere, non l’avrebbe fatto lì, in quel locale, di fronte a Jaden e, soprattutto... per Ashton.
Si limitò a tirare su col naso, invece, per poi alzare lo sguardo dal pavimento e puntarlo di fronte a se, notando che Jaden aveva fatto qualche passo per allontanarsi da lì e raggiungere le cucine.
Mentre soffermava lo sguardo sulla sua schiena, s’impose mentalmente che avrebbe dovuto metterci davvero una pietra sopra, e avrebbe dovuto metterla lì, proprio in quel momento.
«Jaden?» lo richiamò a gran voce, nonostante quello non fosse poi così lontano. Il ragazzo si voltò verso di lei, rivolgendole un sorriso curioso di sapere cosa volesse. Sorrise anche lei.
Una pietra sopra, si ripeté mentalmente, prendendo coraggio.
«Hai impegni per il ventuno luglio?».

 
 
Buonasera gente! :)
Io e la mia amica febbre (che non veniva a trovarmi da ben sei anni) vi diciamo ciiiaaao :D 
Al momento le mie condizioni sono pessime ç_ç non ricordavo che sapore avesse la febbre, sinceramente, quindi potete immaginare come sto! 
Anyway, passando al capitolo... beh, fa un bel po' cagare :D ed è molto, mooolto lungo! 
Diciamo che i capitoli di questa storia saranno abbastanza lunghetti poiché, come potete notare, sono ambientati a distanza di diversi anni. E infatti, qui troviamo - dopo tre anni - un Ashton batterista affermato e una Margareth un po' in crisi lavorativa! (di 'sti tempi, figlia mia...)
Comunque, spero vi piaccia! :) a me fa schifo, ma io non sono mai soddisfatta delle cose che scrivo, sooo... 
E vabbé insomma, people, non so cos'altro dirvi (strano, ma vero) se non che mi sta scoppiando la testa e che vi ringrazio infinitamente per esservi fermate anche solo a leggere questa storia! :D
Grazie grazie grazie :*
Un bacione enorme, 
Mary :)

ps: se volete, nella pagina autore ho linkato tutti i miei contatti, tra twitter, facebook e chi più ne ha, più ne metta :D
pps: giusto per avvertire, credo che farò uscire un capitolo a settimana, ovvero sempre di giovedì, in modo tale che riesca anche a portarmi avanti con la storia! Al momento, sono abbastanza a buon punto :)
Non interessa a nessuno, ma vaaaabbé. 
Byebyeee 

 
  
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