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Autore: FrancescaPotter    19/02/2015    1 recensioni
Questa è un OS che riguarda Emma e Matt, che sono due personaggi inventati da me. Sono personaggi secondari della mia long I Wish You Would, tuttavia potete leggere questa OS anche senza aver letto la long.
"Era un comportamento strano per una tredicenne nel bel mezzo dell'adolescenza, ne era perfettamente consapevole, ma Emma non era la tipica ragazza che sogna il principe azzurro che ti viene a salvare in sella al suo cavallo bianco. Perché da salvare non c'era proprio niente: Emma, nel vero amore, non ci aveva mai creduto."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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NOTE DELL'AUTRICE
Ehm, dunque. Salve a tutti!
Questa è un OS che parla di due personaggi di mia invenzione -Emma e Matt- catapultati nel mondo di Harry Potter. Sono due personaggi della mia long su Rose e Scorpius (I Wish You Would) e questa OS è la loro storia. Nella long loro stanno già insieme e qui ho deciso di scrivere come è successo. Vorrei dedicarla a Daniela perché so che li ama ed è stata proprio lei a chiedermi di scriverla.
Potete leggerla anche senza aver letto la Long. E nulla, penso di aver detto tutto.
Ah, no, dimenticavo: il titolo e i pezzi di canzone all'inizio di ogni paragrafo sono presi da Mine di Taylor Swift (tanto perché la mia ossessione per quella ragazza non era abbastanza evidente, già)
Nulla, vi ringrazio per la lettura,
un bacio grossissimo<3
Francesca

 

You Are The Best Thing That's Ever Been Mine

 
I was a flight risk, with a fear of fallin'
Wonderin' why we bother with love if it never lasts
Ad Emma Sullivan i ragazzi non interessavano proprio.
Li trovava infantili e per la maggior parte stupidi, interessati solamente allo sport e a mettersi in mostra. Anche se erano Corvonero, quindi si supponeva fossero intelligenti, non mancavano mai di farle dispetti e di lanciarle prese in giro talvolta meschine. Questo era uno dei motivi che l'avevano portata a non desiderare affatto un fidanzato. Non ne aveva bisogno, stava benissimo anche da sola, e non sopportava tutte le sue compagne di dormitorio che continuavano a blaterare della loro vita amorosa. Era un comportamento strano per una tredicenne nel bel mezzo dell'adolescenza, ne era perfettamente consapevole, ma Emma non era la tipica ragazza che sogna il principe azzurro che ti viene a salvare in sella al suo cavallo bianco. Perché da salvare non c'era proprio niente: Emma, nel vero amore, non ci aveva mai creduto.
 
Do you remember we were sittin' there by the water,
You put your arms around me for the first time.
Non era stata colpa sua. Non decidi tu di nascere irrimediabilmente cinica e arrabbiata con il mondo, semplicemente lo diventi per una serie di circostanze. Ciò che aveva spinto Emma a chiudersi a riccio erano stati i suoi genitori. Essi erano entrambi dei maghi e si erano trasferiti in una piccola comunità di babbani al confine con il Galles, dove avevano dato alla luce il loro primo figlio. Ogni giorno suo padre si smaterializzava a Londra per lavorare come spezza-incantesimi al Ministero della Magia, mentre la madre, dopo quindci anni e con l'arrivo del secondo figlio -ovvero lei, Emma- aveva deciso di restare a casa a badare ai bambini.
Poi un giorno, suo padre aveva deciso di andarsene. Emma aveva soli sei anni e non capiva bene che cosa stesse succedendo. Tutto ciò che riusciva a ricordare era un grandissimo senso di paura, di quelli che ti attorcigliano le membra fino a distruggerle. Ricordava sua madre piangere disperatamente, rinchiusa in camera sua sperando che lei non la sentisse. Ricordava le litigate e le scenate che la madre faceva al telefono con il padre. E ricordava la nuova famiglia che lui si era creato. Spesso si chiedeva come fosse possibile che due persone che si erano amate tanto da decidere di sposarsi potessero arrivare ad odiarsi in quel modo. Come poteva un uomo che si era promesso per l'eternità ad una donna abbandonare lei e i figli? La risposta che si era data era semplice ed impietosa: l'amore non esiste, e se esiste, non dura per sempre.
Non le piaceva portare rancore. Odiare le persone la faceva sentire in colpa, ma spesso non riusciva a far altro che incolpare suo padre per tutti i suoi problemi. Se lui fosse restato lei avrebbe avuto un'infanzia normale e ora, a tredici anni, non sarebbe stata peggio di una zitella adirata con il sesso maschile. Certo, la sua esperienza personale non aveva fatto altro che fomentare l'astio nei confronti di questo. Tutti i ragazzi con i quali aveva avuto a che fare avevano fatto commenti poco carini sui suoi occhiali o sulla sua fronte alta, le avevano rubato le piume e nascosto le boccette di inchiostro, suscitando l'ilarità generale. Emma non capiva come mai fosse il bersaglio preferito di tali bravate. Forse il fatto che non avesse molti amici e che passasse le sue giornate in biblioteca con la testa impigliata in qualche libro non giocava a suo favore, ma si era ripromessa che non sarebbe cambiata per piacere agli altri, figuriamoci a dei ragazzi!
«Guardate quello.» Disse Lucy indicando un Serpeverde alto, con folti capelli biondi e penetranti occhi verdi.
«Scorpius Malfoy.» Sospirò Light, che era un'altra compagna di dormitorio di Emma. «E' bellissimo.»
Emma alzò gli occhi al cielo. Sì, che fosse indubbiamente affascinante non era in discussione, ma... magari era un grandissimo idiota. Insomma, nemmeno lo conoscevano, come potevano ammirare qualcuno senza sapere di che pasta fosse fatto il suo animo?
«Andiamo, Emm, non fare quella faccia.» La sgridò Lucy, guardandola con aria di superiorità.
«Non faccio nessuna faccia! Siete voi ad essere esagerate. Per Priscilla, è solo un ragazzo!»
«Ci dovrà pur essere qualcuno che attiri la tua attenzione!» Continuò Light con fare pratico.
Emma scosse la testa e ciocche di capelli castano le sfuggirono dalla coda alta. «Lo dico sempre: un ragazzo potrebbe, forse, interessarmi solamente se per conquistarmi mi cucinasse delle torte.»
Sua madre preparava sempre muffin al cioccolato, torte alla crema e qualsiasi tipo di dolce. Emma li adorava, ma in cucina era una frana, perciò si limitava a mangiare e a dare consigli. Ad Hogwarts i dolci c'erano, certo, ma avrebbe dato un braccio per poter gustare qualcosa di diverso dalla solita torta di cioccolato o di melassa, che lei oltretutto odiava.
Le due Corvonero borbottarono qualcosa tra di loro e se ne andarono, lasciandola sola in mezzo al corridoio. Proprio in quel momento un ragazzo Grifondoro, che correva a perdifiato verso il campo da Quidditch, la investì facendola quasi cadere per terra.
«Attento a dove cammini.» Sbottò acida mentre si raddrizzava e spazzolava la gonna con le mani.
Il suo investitore era Jason Cameron, terzo anno come lei e perfettissimo esemplare di maschio idiota. Sfoggiò quel sorrisetto da cattivo ragazzo che avrebbe fatto emettere alle sue compagne di dormitorio i peggiori urletti isterici, aumentando così il nervosismo di Emma.
«Oh, scusa.» Le disse, ed era evidente come il sole d'Agosto che non fosse per niente dispiaciuto. «Perché ora non torni in biblioteca così non saremo più costretti a guardare la tua brutta faccia che si aggira per i corridoi?»
Emma sentì gli occhi bruciare. Gli rivolse un'espressione colma di sdegno e si voltò, per niente intenzionata a mostrargli la sua debolezza. E' vero, si era ripromessa che non sarebbe cambiata per nessuno e che avrebbe per sempre disprezzato i ragazzi, ma questo non voleva dire che le loro frecciatine maligne non la toccassero. Al contrario, la facevano soffrire molto.
La sua intenzione era quella di rifugiarsi in biblioteca ma, spinta da una forza di inerzia e troppo impegnata a sforzarsi di non scoppiare a piangere, si ritrovò nella sala di ingresso davanti alle grandi porte di quercia spalancate.
Era una bella giornata di Gennaio, il sole splendeva nel cielo rendendo leggermente più sopportabile il freddo invernale. Emma decise di andare a fare una passeggiata lungo il lago e di trovare un luogo appartato lontano da tutti. Fuori l'aria era gelida e si abbatté contro il suo viso favorendo lo scorrere delle lacrime lungo le gote arrossate. La ragazza, stanca di tutto e di tutti, si lasciò cadere all'ombra di un faggio con la schiena appoggiata al tronco e le gambe rivolte verso il lago. Si strinse le ginocchia al petto e ci seppellì la fronte, cercando di smorzare i singhiozzi che le spezzavano il respiro.
L'avevano sempre incoraggiata ad essere diversa e a distinguersi dalla massa. Ad essere speciale. L'avevano cresciuta con l'idea che la diversità fosse un pregio, un dono da custodire. Poi però, non appena era stata costretta ad affrontare la società, si era resa conto che non le avevano detto tutto: non le avevano detto che l'assere atipica era anche una maledizione. Nessuno l'aveva mai avvertita che l'avrebbero derisa perché al posto di andare alla festa di Halloween preferiva stare nel suo letto a leggere un libro, o che l'avrebbero definita una sfigata perché non aveva mai avuto una storia amorosa e perché non voleva avercela.
«Ehi, stai bene?»
Una voce bassa le fece alzare il capo. Si pulì velocemente gli occhiali con il mantello e cercò la fonte di quel suono melodioso.
Oh, no. Eccone un altro. Pensò agitata. Possibile che spuntassero come funghi?
Un Tassorosso del suo anno si era inginocchiato al suo fianco e la guardava con gli occhi nocciola colmi di preoccupazione.
Emma non ricordava il suo nome, lo vedeva di sfuggita durante le ore di erbologia e, se non fosse stato così alto, probabilmente non avrebbe mai fatto caso a lui.
«Vai via.» Gli sputò addosso senza un pizzico di considerazione: non aveva voglia di parlare con nessuno, tanto meno con un maschio.
Lui parve leggermente offeso, ma mantenne un'espressione calma come se non avesse alcuna preoccupazione al mondo.
Beato lui. Emma aveva deciso che lo odiava.
«Come mai stai piangendo?» Le chiese, appoggiando anche lui la schiena al tronco dell'albero e stendendo le lunghe gambe di fianco a quelle di Emma che in confronto sembravano appartenere ad una bambola.
«Fatti i fatti tuoi.» Borbottò lei guardando altrove.
Non aveva intenzione di raccontargli di come Jason Cameron l'avesse umiliata. Quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, pieno della frustrazione e della tristezza di sentirsi un pesce fuor d'acqua.
«Quando sono triste penso a qualcosa che mi piace.» Continuò lui, senza demordere.
Emma era certa di non aver mai incontrato nessuno di così fastidioso. Possibile che non capisse che desiderava stare da sola?
«Che cosa ti piace?» Le chiese poi senza demordere, guardandola di sbieco con un leggero sorriso.
Emma incrociò le braccia al petto. «Mi piacciono i dolci.»
«Di che tipo?»
Indecisa se rispondergli o meno si prese qualche secondo per riflettere.
«Quelli fatti in casa.» Sibilò alla fine. Chissà, magari se lo avesse assecondato se ne sarebbe andato più in fretta. «Non caramelle o cioccolatini, parlo di torte, cupcakes, ciambelle...» Si ritrovò ad elencare con sguardo perso tra le nuvole.
«E' il tuo giorno fortunato.» Disse allora il ragazzo con tono pimpante.
Agguantò la propria borsa e, dopo averci frugato dentro per qualche minuto, esclamò:«Aha! Trovati!»
Estrasse una scatola di cartone rettangolare e la mise in grembo ad Emma, la quale lo stava osservando come se fosse un alieno. «Che cavolo è?»
«Aprila.»
Con fare sospettoso Emma obbedì. Dovette trattenere un'esclamazione quando scoprì il suo contenuto: quattro muffin con le gocce di cioccolato.
«Dove... dove li hai presi?» Per la prima volta lo guardò in faccia e notò che quando sorrideva gli si formavano due adorabili fossette ai lati delle labbra.
«Li ho fatti io.» Affermò lui fiero di sé.
«Oh... complimenti.» Lo lodò Emma per poi chiudere la scatola e riconsegnargliela. Il ragazzo parve confuso, ed Emma dovette trattenersi dall'allungare una mano per cancellare la ruga di espressione che gli si era creata sulla fronte. Quando lui capì le sue intenzioni proruppe in una risata cristallina. «No, no, sono per te. Puoi tenerli, se ti rendono felice. Se invece sei una di quelle ragazze perennemente a dieta me li riprendo.»
Emma abbozzò un leggero sorriso -leggero, non sia mai- e decise di accettare l'offerta.
«Posso davvero prenderne uno?» Domandò con voce così sottile che ebbe paura che non l'avesse sentita. Lui annuì, tirò fuori due muffin dall'involucro e gliene posizionò uno tra le mani.
«Bon Appetit» Avvicinò il suo muffin a quello di Emma simulando una sorta di cin cin ed iniziò a mangiare in silenzio. Emma lo imitò. Diede un morso alla tortina e per poco non si mise a piangere di nuovo, ma per la commozione: era davvero delizioso. Quel tizio, oltre che un irritante rompi pluffe, era maledettamente bravo. Sempre che li avesse preparati lui per davvero e che non si fosse preso gioco di lei. Non si poteva mai sapere.
«Sono Matt Dowson comunque.» Le disse una volta terminato di mangiare porgendole la mano.
«Piacere.» Emma gliela strinse un po' titubante, indecisa se aggiungere altro o meno. «Io sono Emma Sullivan.»
«Emma, lo so.»
Emma spalancò gli occhi. «Come fai a conoscere il mio nome?»
«Siamo nella stessa classe di erbologia, ricordi?» Le fece notare lui, stiracchiandosi lievemente al suo fianco.
«Certo, ma non pensavo sapessi come mi chiamo.»
«Be', contando che rispondi sempre alla professoressa, sarebbe strano il contrario.»
«Oh, giusto.» Emma si rabbuiò visibilmente, e lui cercò di rimediare.
«Non volevo offenderti, anzi, trovo sia molto ammirevole da parte tua. Sai davvero tante cose.»
Quell'ultimo commento la fece arrossire vistosamente. Matt parlava con tranquillità, senza mostrare alcun segno di nervosismo e, ad Emma costava ammetterlo, era piacevole stare in sua compagnia.
«Uhm, dunque, ti piace cucinare?» Voleva assolutamente cambiare discorso e distogliere l'attenzione da se stessa.
«Sì, molto.» Annuì lui con gli occhi che brillavano di luce propria.
«Io sono una frana. Ma amo mangiare i dolci.» Emma si strinse nelle spalle e osservò il Lago Nero per un po', beandosi di quegli istanti di pace.
«Si può sempre imparare.»
Emma si voltò ed incrociò lo sguardo del Tassorosso. Questo inarcò leggermente la testa di lato, come se volesse studiarla più da vicino, poi le domandò:«Non vuoi proprio dirmi perché prima stavi piangendo, vero?»
Emma scosse la testa decisa.
«D'accordo.» Continuò Matt, alzandosi e spazzolandosi i pantaloni con le mani per togliere i fili d'erba che erano rimasti attaccati ad essi. «Devo proprio scappare, ma spero che tu sia un po' meno triste adesso.»
Le sorrise di nuovo, ed Emma non poté far a meno di pensare che se tutti avessero sorriso in quel modo il mondo sarebbe stato un posto migliore in cui vivere.
«Sì.» Gli disse, ancora sconvolta da quanto appena successo.
Matt se ne andò, ed Emma si rese conto di sentirsi un po' meno disperata.
Quando il ragazzo fu a qualche metro da lei, lo chiamò e lui si voltò con espressione interrogativa. C'era ancora una cosa che doveva dirgli. Prese un respiro profondo e seppellì il suo orgoglio assieme ad anni e anni di pregiudizi contro i ragazzi, poi parlò:«Grazie, Matt.»
«E' stato un piacere, Emma. Un vero piacere.»
You made a rebel of a careless man’s careful daughter.
You are the best thing that’s ever been mine.
Da quel giorno Emma aveva iniziato a cercare Matt per i corridoi e ad incontrare il suo sguardo durante le ore di erbologia, per poi distoglierlo in imbarazzo.
Non capiva tutto quell'interessamento nei suoi confronti, per non parlare della strana sensazione di vuoto allo stomaco ogni volta che ripensava al suo sorriso.
Insomma, era solo... un ragazzo.
Qualche settimana dopo, Matt si presentò al tavolo di Grifondoro per la colazione con un vassoio tra le mani.
«Ciao!» La salutò allegro. «Ti ho portato dei Brownies.»
«Per me?»
Lui annuì, poi sfilò una sedia e si sedette di fronte a lei, suscitando un coro di borbottii eccitati da parte delle compagne di casa di Emma.
La ragazza non ci badò: esisteva solo Matt seduto di fronte a lei. Indossava un maglione verde scuro che gli nascondeva le spalle ancora non troppo larghe, e che gli metteva però in risalto le fossette ai lati delle labbra.
Una flebile vocina nella sua mente continuava a dirle di non fidarsi, e che, come tutti i ragazzi, prima o poi si sarebbe comportato male e l'avrebbe fatta soffrire. Per la prima volta non le diede retta. Prese un Brownie e lo mangiò di gusto, sentendo il cioccolato sciogliersi sulla lingua.
«Sono deliziosi.»
«Ti rendono felice?» Le chiese a bassa voce lui, così piano che Emma dovette sporgersi sul tavolo per poterlo sentire.
«Cosa intendi dire?» La ragazza aggrottò le sopracciglia e diede un altro morso alla tortina per evitare che le sue mani tremassero.
«Sembri triste.» Matt era leggermente imbarazzato mentre giocherellava con un cucchiaino.
Emma continuava a non capire. «Come mai dici così?»
«Non lo so.» Ammise lui, sollevando lo sguardo su di lei e guardandola finalmente negli occhi. «È come se ci fosse un velo di tenebra attorno a te ogni volta che ti muovi.»
Non parlava con cattiveria, al contrario: cercava di misurare le sue parole con il contagocce. Tuttavia Emma sentì gli occhi bruciare, perché la verità era sempre dura da affrontare: si sentiva costantemente così arrabbiata, e non sapeva come evitarlo.
«Ed é come...» Continuò lui. «.. Se ti fossi rassegnata a questa condizione, ma... Volevo solo dirti che essere felice è possibile. Per esempio i dolci. Questi ti rendono felice?»
Emma annuì, non sapendo che altro dire e sentendo una strana stretta al cuore.
«Allora circondati di dolci e di tutte le cose che ti diano sensazioni positive.» Concluse lui, allontanandosi leggermente e tornando a parlare con il consueto tono di voce.
«Perché mi hai detto tutto ciò?» Domandò lei, non sapendo come comportarsi.
«Perché sei mia amica. E voglio che i miei amici stiano bene.»
Do you remember all the city lights on the water?
You saw me start to believe for the first time
Amica.
Quella parola rimbombava nella mente di Emma da giorni, senza darle un attimo di tregua. Per tutti i suoi tredici -quasi quattordici- anni di vita si era ripromessa che il suo astio nei confronti dei maschi non sarebbe mai scemato, poi arrivava questo tizio e rimetteva tutte le carte in tavola. Senza preavviso. Senza avvertirla.
Era questo che erano quindi, amici, ed Emma doveva ammettere che Matt non era poi così male per essere un ragazzo. Passavano i pomeriggi a fare passeggiate nel parco o a studiare in biblioteca. Il prossimo anno avrebbero seguito entrambi artimanzia e rune antiche come materie opzionali, di conseguenza avrebbero avuto ancora più classi insieme, e la cosa non poteva far a meno di allietare Emma in una maniera che non si sarebbe mai aspettata.
Anche i rapporti con le altre Corvonero erano stranamente migliorati. Ancora non le andavano a genio le sue compagne di dormitorio, ma aveva trovato care amiche in alcune studentesse del secondo anno che la facevano ridere con le loro battute. Anche a queste piaceva commentare l'aspetto dei baldi giovani di Hogwarts, ma lo facevano in maniera più leggera e disinteressata, senza ossessionare Emma se non mostrava lo stesso interesse.
I mesi passarono, l'estate arrivò e con questa le vacanze.
Non appena il treno raggiunse la campagna periferica di Londra Emma era sul punto di mettersi a piangere nello scompartimento. Matt stava seduto di fronte a lei e le teneva una mano.
«Non voglio tornare a casa.» Stava dicendo lei stringendogli la mano come se così facendo avrebbe potuto cambiare le cose.
«Lo so, Emm. Tre mesi passano in fretta, coraggio. Pensa che rivedi tua madre e...»
«Appunto!» Sbottò lei, distogliendo lo sguardo e rivolgendolo al panorama al di fuori del finestrino. «Sono felice, Matt. Lo sono davvero, e non voglio tornare là.»
I primi anni a Hogwarts non erano stati rosei per lei, tra prese in giro e giornate trascorse in solitudine si era sentita tanto sola. Poi però aveva incontrato Matt e le cose avevano iniziato ad andare meglio. Si era trovata delle amiche e aveva cominciato e vedere la vita con una nuova prospettiva. Non sapeva dire se il merito di tutto questo fosse riconducibile a lui, forse lo era solo in parte, fatto sta che per la prima volta non voleva lasciare la scuola. Casa sua significava depressione e solitudine, e ne aveva avuto abbastanza.
«Puoi venire da me l'anno prossimo.» Propose Matt.
Era chiaramente preoccupato per lei. La guardava con occhi tristi e sguardo implorante.
Emma scosse la testa. «Non posso lasciare mia mamma a casa da sola, sarebbe troppo meschino. Ti ringrazio davvero della proposta, non sai quanto vorrei accettarla.»
Stettero in silenzio per tutto il resto del viaggio finché non arrivarono alla stazione di King's Kross.
Prima di scendere dal treno Matt la trattenne per un braccio. «Emm, ricordati che gli stati d'animo sono contagiosi.»
«Appunto.»
«Sii tu a contagiare tua mamma, okay? Cucina tanti dolci.» Le sorrise piano ed Emma non sapeva se tirargli un pugno o se abbracciarlo.
«Non sono capace.» Esclamò alzando gli occhi al cielo e scendendo dal treno con un salto.
Lui la seguii e le si posizionò di fronte. «Si può sempre imparare.»
Emma sospirò e non incrociò il suo sguardo per evitare di scoppiare a piangere. Matt la abbracciò piano e le scompigliò un po' i capelli. «Ci vediamo a Settembre, Emm.»
«Ci vediamo a Settembre.» Gli rispose lei, mentre pensava che forse non tutti i ragazzi erano poi così male.
Forse aveva trovato l'eccezione alla sua regola.
You learn my secrets and you figure out why I’m guarded,
You say we’ll never make my parents’ mistakes.
Alla fine aveva imparato a cucinare. Dopo un paio di torte bruciate e di muffin senza lievito era riuscita ad ottenere dei risultati discreti e aveva scoperto di essere anche abbastanza brava. Aveva riesumato dei vecchi libri di cucina dalla cantina e li aveva letti avidamente, cercando di ricavare la maggior quantità di informazioni possibili.
Preparare dolci la faceva sentire in qualche modo più vicina a Matt e, grazie a questa nuova attività, qualche romanzo e i compiti delle vacanze, la sua estate non era stata un completo disastro come al solito.
Quel nuovo anno, Matt le aveva mostrato le cucine di Hogwarts, aprendole un nuovo mondo. Da quel momento, ogni volta che aveva la possibilità, si recava in quel luogo per preparare ogni sorta di dolce. Erano davvero troppi per il suo stomaco, per quello di Matt e per quello dei piccoli elfi, perciò Emma decise di distribuirli in giro per il castello a chiunque le sembrasse triste, scoprendo che rendere felice gli altri era un passatempo estremamente gratificante.
Il suo quarto anno non avrebbe potuto cominciare in maniera migliore, e non avrebbe potuto concludersi in modo peggiore.
Era una sera di fine Marzo e si trovavano in biblioteca a studiare per un esame di trasfigurazione.
«Em, devo dirti una cosa.» Ruppe il silenzio Matt.
«Sono tutta orecchie.» Emma alzò gli occhi dal libro che stava leggendo e si sistemò meglio gli occhiali sul naso.
Matt prese un bel respiro e borbottò qualcosa che Emma non colse.
«Come, scusa?»
«Mi ace un azza.»
Le guance del ragazzo erano colorate di una deliziosa tonalità di rosso, conferendogli un aspetto incredibilmente tenero. «Matt, non ho capito.»
«Mi piace una ragazza.» Disse allora lui, piano, scandendo ogni parola come se per pronunciarle avesse dovuto compiere un grandissimo sforzo.
Emma si bloccò. Prese qualche respiro profondo per smorzare il rossore che le aveva colorato le gote e per cercare di far funzionare il cervello.
Possibile che... Possibile che stia parlando di me?
«Chi?» Pigolò piano lei, non sapendo che tipo di risposta desiderasse.
Matt si passò una mano tra i capelli. Il suo sorriso era tirato come una corda di violino. «Sophia Jones, di Tassorosso, hai presente?»
«Ah.»
«E' del quinto anno...» Continuò Matt. Ormai parlava a macchinetta, incapace di fermarsi. «Ha i capelli neri. Lunghi. E gli occhi azzurri. E' quella ragazza alta che gioca a Quidditch come cercatrice.»
«Uhm, sì, ho capito chi è.»
In realtà non sapeva nulla su questa Sophia Jones. L'aveva vista da lontano durante la partita Tassorosso contro Corvonero e adocchiata qualche volta nei corridoi; non aveva idea di che tipo fosse, ma non voleva sentir parlare di lei un istante di più.
«Bene, quindi... insomma, che ne dici?» Azzardò lui, guardandola finalmente negli occhi.
Emma si costrinse a sorridere. «Non deve piacere a me. L'importante è che...» Ci pensò per qualche istante. «L'importante è che ti renda felice.»
E Matt lo sembrava, felice. Mentre parlava di lei gli si erano illuminati gli occhi e quando il giorno dopo le tirò una gomitata per indicarle Sophia in fondo al corridoio, il suo sguardo era così intenso da farle quasi male.
In qualche maniera a lei sconosciuta la stava facendo soffrire. Non sapeva nemmeno lei il perché si sentisse così disperata e triste: Matt non avrebbe smesso di essere suo amico solo perché gli piaceva una ragazza, diceva il suo cervello. Il suo cuore invece si limitava a batterle dolorosamente nel petto.
Forse la risposta era che Matt era un ragazzo. E, in un modo o nell'altro, i ragazzi finiscono sempre per ferirti.

«Pss, Felicity.»
«Uhm.»
«Cosa fai pomeriggio?»
«Niente.......»
«Perfetto.» Sorrise in modo inquietante Emma, prendendo sottobraccio la ragazza. Felicity era una sua compagna di casa del terzo anno con rinomate doti investigative, tanto che Sherlock Holmes, un famoso detective babbano, in confronto a lei non era proprio nessuno.
Emma aveva deciso che, dopo un mese e ventiquattro giorni che Matt e Sophia si erano messi insieme, era giunto il momento di ricavare qualche informazione sul conto di questa ragazza. Matt aveva cercato più volte di far fare loro amicizia, ma Emma lo aveva evitato in tutti i modi possibili ed inimmaginabili. Ogni volta che Sophia era con Matt, Emma cambiava strada e, dato che era praticamente sempre con lui, il risultato era che non vedeva il suo amico da più di una settimana.
La metteva a disagio stare con loro mentre erano insieme, osservare come lui la teneva per mano, il modo in cui la guardava come se fosse un angelo sceso in terra. Emma non voleva vedere. Non voleva e basta.
«Che cosa ti serve, Emm?» Chiese titubante Felicity.
Emma la trascinò in uno sgabuzzino e accese la luce tirando una cordicella che pendeva dal soffitto.
«Okay, la cosa inizia a diventare inquietante.» Fece Felicity guardando Emma come se fosse impazzita, e forse lo era.
«Sciocchezze!» Emma sventolò una mano per aria per liquidare la questione. «Ho una missione per te.»
«Oh, spara.»
Aveva conquistato l'attenzione dell'altra ragazza, e non aveva intenzione di lasciarsela scappare. «Mi servono informazioni.»
«Che tipo di informazioni?».
«Informazioni su una Tassorosso.»
«Fammi indovinare, si tratta di Sophia Jones.»
Stizzita, Emma incrociò le braccia al petto. «Forse.»
Felicity scoppiò a ridere come se la questione fosse estremamente divertente. «Lo sapevo! Lo dicevo io alle altre che avevi una cotta per Matt.»
«Che cosa?» Esclamò Emma indignata. «Io non... io non ho una cotta per Matt! Assolutamente!»
«Si, come vuoi. Vedrò che cosa posso fare.»
«Grazie mille.» Emma la abbracciò e la strinse un po' più del dovuto. «Ti cucinerò una valanga di muffin per sdebitarmi.»

Felicity non scoprì granché. Non tanto perché non fosse un'abile detective, ma perché non c'era niente da scoprire.
Sophia Jones era la ragazza perfetta. Purosangue, buoni voti a scuola, prefetto, cercatrice della squadra di Tassorosso, e, a detta di tutti, estremamente gentile e divertente.
Se Emma non aveva intenzione di avere a che fare con lei, dopo essere venuta a conoscenza di queste informazioni sul suo conto non poté far a meno di continuare con il suo progetto originario.
L'unico problema era Matt. Non lo vedeva quasi mai e passavano sempre meno tempo insieme. Lui aveva cercato più volte di capire se ci fosse qualche problema ed Emma aveva risposto di no, che andava tutto bene. Come faceva a spiegargli la situazione se nemmeno lei aveva idea di che cosa stesse succedendo dentro di lei?
E' solo un ragazzo. Si disse. Te ne farai una ragione.
I remember that fight, 2.30 am,
You said everything was slipping right out of our hands.
Non se ne fece una ragione.
Sperava che durante l'estate avrebbe smesso di pensare a lui, ma non era stato cosi. Ogni volta che infornava una torta, che assaggiava un Brownie o che vedeva un muffin, l'immagine di Matt appariva nella sua mente come un'insegna al neon. Decise quindi che avrebbe cercato di sopportare l'idea del suo amico e Sophia assieme, perché questa era meno dolorosa di una vita senza di lui. Così piano piano iniziò ad avvicinarsi a Sophia, e più la conosceva e più non la sopportava. Lei era... Tutto ciò che Emma desiderava essere: sempre calma e rilassata, dolce, intelligente ed in pace con se stessa. Non c'era da stupirsi che Matt si fosse innamorato di lei.
Emma non capiva perché le importasse tanto: lei non voleva una relazione. Non voleva un ragazzo. Non voleva Matt. E allora perché si sentiva come se le avessero strappato il cuore dal petto per poi ridurlo in frantumi?
Quella sera, in particolare, era la sera dei cuori infranti, e Merlino aveva deciso che fosse compito suo rimetterli insieme. E al suo, di cuore, chi ci avrebbe pensato?
Dopo aver trascorso l'intero pomeriggio in biblioteca a studiare, cercando di ignorare le mani intrecciate di Matt e Sophia sotto il tavolo, si stava finalmente ritirando nel suo dormitorio. Era la fine di Gennaio del suo quinto anno e nel castello regnava un freddo glaciale. Mentre camminava di fretta, sentì dei rumori provenire da dietro un arazzo di un elefante ballerino. Titubante, si avvicinò ad esso per poi farlo scorrere di lato, rivelando la fonte di quei suoni strozzati: era una ragazza dai capelli rossi, e stava piangendo.
«Rose?» Esclamò quando riconobbe la sua amica.
Rose sollevò lo sguardo e la osservò con occhi gonfi. «Ciao, Emm.»
«Che succede?» Le chiese sedendosi sul pavimento freddo di fianco a lei.
Rose appoggiò la testa sulla sua spalla. «Scorpius.» Si limitò a dire.
«Che cos'è successo?» Emma iniziò ad accarezzarle piano i capelli e ad asciugarle dolcemente le lacrime dagli occhi.
Rose le raccontò di come lui le aveva aperto il cuore a Dicembre, dicendole che era innamorato di lei, di come l'aveva baciata e di come poi, all'improvviso, aveva deciso di evitarla come la peste. Di come non le parlava da più di un mese e di come l'aveva liquidata quando lei aveva cercato di chiarire la situazione.
Ecco un'altra prova a sostegno della sua teoria: mai lasciarsi ingannare da un ragazzo con l'aspetto di un angelo, perché dietro di esso si celava sempre un diavolo pronto a colpirti alle spalle.
«E' un cretino!» Sbottò Emma indignata. «Non può trattarti così e non darti alcuna spiegazione.»
«Lo so.» Disse Rose prendendosi la testa tra le mani. «E ora che cosa dovrei fare? Non mi parla, non mi guarda... Non capisco.»
Emma non sapeva proprio come consolarla, ma ci provò comunque. «Puoi andare avanti con la tua vita. Pensa a te stessa, poi penserai ai ragazzi.»
«Ma lui era il mio migliore amico. Non era solo un ragazzo.»
Allora ad Emma venne in mente Matt. Matt che stava con Sophia. Sophia che lo rendeva felice, e si disse che il suo dolore era diverso da quello di Rose: la sua amica era innamorata, lei no.
«Comunque.» Riprese Rose con voce rotta. «Suppongo che gli passerà tra un po'. Io mi limiterò ad aspettare. Tu, invece?»
«Io cosa?»
«Come va la tua cotta per Matt?»
Emma si strozzò con la saliva e Rose dovette batterle dei leggeri colpetti sulla schiena per evitare che si strozzasse. «Io non ho una cotta per Matt.» Asserì una volta ripresa.
«Emma!» Mugugnò Rose stringendosi un po' di più a lei. «Ti conosco, vedo come lo guardi.»
«Mmm.» Scosse la testa Emma, solleticando il viso dell'amica con i lunghi capelli castano scuro. «No, Rosie. Ci sono momenti in cui credo di avere una cotta per lui, ma... no, non fa per me. E' solo un ragazzo e prima o poi finirà per ferirmi, proprio come ha fatto Malfoy con te. Non voglio essere impreparata quando succederà.»
O forse era già successo?
«Non devi fare di tutta l'erba un fascio.» Fece notare Rose parlando contro la sua spalla. Emma non la vedeva, ma poteva immaginarla mentre alzava gli occhi al cielo sconsolata.
«E invece sì. E comunque io sto bene da sola.»
Avrebbe riaggiustato da sola il suo cuore, dato che non era innamorata di lui. Quello non era amore, era semplice infatuazione. Emma, all'amore, non ci credeva.
Brace myself for the goodbye,
'Cause that's all I've ever known
Neanche quindici minuti più tardi, sentì un altro rumore provenire da un'aula vuota del corridoio al quinto piano.
Aveva lasciato Rose davanti alla biblioteca, quando si erano separate per dirigersi ciascuna alla propria torre.
Emma alzò gli occhi al cielo. Perché tutte a lei? Il suo buon cuore la portò ad entrare nell'aula vuota per accertarsi che tutto andasse bene, e quando vide la persona che aveva emesso quel suono strozzato sentì il cuore risalirle in gola.
«Matt.» Esalò senza fiato. Gli si avvicinò di corsa ma senza toccarlo.
Matt stava seduto su un banco e le sue gambe erano così lunghe da toccare il pavimento. Aveva le spalle larghe incurvate e lo sguardo perso nel vuoto che, quando sentì la voce di Emma, si riaccese.
«Cos'è successo?» Domandò lei preoccupata, continuando a tenersi ad una certa distanza di sicurezza. C'era qualcosa in lui che la portava a non avvicinarsi troppo, come se fosse stato un animale feroce pronto ad attaccare.
«Sophia ha rotto con me.» Si limitò a dire senza guardarla.
«Oh.» La bocca di Emma si piegò in una perfetta O mentre il suo cervello elaborava la risposta giusta da dare in quella situazione. «Mi... mi dispiace.»
«Davvero?» Matt alzò finalmente gli occhi su di lei, pieni di una tristezza così grande da farle provare una fitta al petto atroce.
«Certo. Ovvio che mi dispiace!» Esclamò, più per se stessa che per altri.
«Non si direbbe.» Sussurrò lui guardandosi le mani. «Non mi sembra ti sia mai piaciuta un granché Sophia. Sei solo troppo gentile per dirmelo.»
«Sophia è una ragazza fantastica, ma se ha rotto con te è anche molto stupida.»
Matt sorrise leggermente, e le tipiche fossette che gli si formavano sulle guance quando sorrideva erano così perfette che per poco Emma non si mise a piangere.
«E' stato meglio così. Non voglio stare con qualcuno che non mi ama veramente. Ora... Emma, potresti lasciarmi solo? Non voglio che tu mi veda triste, per te voglio solo essere felice.»
Emma pensò a quante volte lui l'aveva vista disperata e sull'orlo della pazzia. Troppe, si disse. Era lì quando aveva pianto per la sua famiglia disastrata e quando si era ripromessa per l'ennesima volta che non si sarebbe innamorata mai. Aveva sopportato il suo cinismo e pessimismo, regalandole attimi di pace e gioia che lei non avrebbe mai potuto donargli indietro. Non lo avrebbe lasciato solo in questo momento.
«No.» Disse, restando ferma nella sua posizione. «Non te lo lascerò fare, non dopo tutto quello che hai fatto per me.»
Contro ogni logica, gli si sedette vicino sul tavolo, gli prese il braccio sinistro e se lo mise attorno alle spalle, poi lo abbracciò e posò la testa nell'incavo del suo collo, sentendo il suo cuore battere piano contro l'orecchio. Matt la strinse per un po' e poi le diede un leggero bacio tra i capelli, borbottando parole dolci che Emma non colse, ma il suono della sua voce era il più melodioso dell'intero universo.
Ora Emma iniziava a capire: la colpa non era dei ragazzi che ti ferivano. La colpa, spesso, era delle ragazze che nonostante tutto continuavano a farsi ferire.
Then you took me by surprise,
You said I'll never leave you alone
«Passa il Natale con me.»
«Cosa?»
«Hai capito, dai. Vieni da me per Natale.»
Emma sbatté le palpebre un paio di volte, poi posò la penna di fianco alla pergamena sulla quale stava scrivendo. «Sei impazzito?»
Matt alzò gli occhi al cielo. «No, per niente. L'ho già chiesto ai miei genitori, e hanno detto che non vedono l'ora di conoscerti. Non voglio che tu stia al castello da sola.»
Per il suo sesto anno, infatti, Emma aveva deciso di passare le vacanze al castello dal momento in cui sua madre le avrebbe passate dai loro parenti in Galles. Ad Emma non andavano particolarmente a genio, perciò aveva preferito firmare il modulo per restare a Hogwarts.
«Non so, Matt, non vorrei disturbare.»
«Non disturbi! E' dal terzo anno che cerco di farti trascorrere le vacanza da me, e ora non rischi di lasciare tua mamma a casa da sola, quindi... vieni?»
Matt la osservava, seduto di fronte a lei ad un tavolo della biblioteca, con occhi spalancati.
«Non lo so.» Disse Emma lievemente in imbarazzo.
«Non puoi passare il Natale da sola. E' triste, e non voglio che tu sia triste. E sappi che se mi dirai di no ti rapirò e obbligherò a venire a casa con me.»
Emma inarcò un sopracciglio, e Matt si bloccò. «Okay, mi è uscita male. Ma il concetto è quello.»
«D'accordo. Se mi assicuri che ai tuoi genitori non darà fastidio, mi farebbe piacere venire.»
Matt si illuminò. «Non te ne pentirai. Oh, però devi promettermi che resterai mia amica nonostante i miei genitori siano leggermente... strambi.»
Emma rise, con il cuore leggero. «Sono sicura che li adorerò.»
You said: I remember how we felt sittin' by the water,
And everytime I look at you it's like the first time.
Li adorava, in effetti.
Matt e la sua famiglia vivevano in una villetta a schiera di un quartiere molto carino di Londra.
I suoi genitori erano entrambi molto giovani, e strambi non era la parola corretta per definirli. La signora Dowson era appassionata di giardinaggio -da qui la bravura di Matt in erbologia- e non mancava mai di riempire la loro casa -il giardino non le bastava- delle piante e dei fiori più disparati, talvolta anche pericolosi. Era una guaritrice al San Mungo che si dedicava alla ricerca di farmaci naturali alternativi. Era una bella donna, con grandi occhi color nocciola e corti capelli biondi che le sparavano in testa da tutte le parti. Suo marito invece era un uomo leggermente meno eccentrico, ma pur sempre particolare. Lavorava per la Gringott come trovatore, aveva i capelli castano chiaro e portava simpatici occhiali rotondi dietro ai quali spiccavano due occhi verdi come il mare, ereditati dalla figlia minore, Jade. Jade era una deliziosa bambina di sette anni che non appena vide Emma la assalì, implorandola di giocare con lei e di farle le treccine. Somigliava molto al fratello, con la sola differenza che i suoi occhi erano dello stesso colore meraviglioso di quelli del padre. Emma provò ad immaginare Matt con quegli occhi, ma non ci riuscì: era bellissimo e a suo modo perfetto così.
La notte che intercorreva tra la Vigilia di Natale e Natale, Emma non riusciva a dormire. Si alzò dal letto, raccattò la giacca dalla sedia sulla quale l'aveva depositata e uscì fuori sulla veranda.
Dopo qualche minuto che si trovava seduta per terra con la schiena appoggiata al muro, intenta a bearsi della pace e della tranquillità della notte, la porta si aprì scricchiolando.
«Oh, sei qui.»
Matt, con un giubbotto pesante e le sue pantofole a forma di boccino, apparve al suo fianco guardandola dall'alto verso il basso. «Diventerai un ghiacciolo. Si muore di freddo.»
«Ho la giacca.» Gli fece notare lei sventolando un braccio per aria. «E poi non fa così freddo.»
Matt sospirò e si sedette vicino a lei. «Come mai se uscita qua fuori?»
«Non riuscivo a dormire.» Rispose lei tranquillamente.
«Uhm, e... come mai? C'è qualche problema?» Matt sembrava allarmato. Emma gli mise una mano sul braccio e lo scosse leggermente.
«No, assolutamente. E' forse la mancanza di problemi a non farmi dormire.»
«Non capisco.»
«Voglio godermi ogni istante. Non voglio dormire.» Spiegò lei, respirando piano l'aria fredda di fine Dicembre.
«Quindi non ti sei pentita di essere venuta qui?»
«Per niente.»
«Bene.» Matt annuì e la strinse a sé.
«Sei felice?» Le chiese premendo le labbra contro il suo orecchio.
«Come mai prima.»
Emma si sistemò meglio nel cerchio del suo abbraccio, poggiandogli la testa sul petto, proprio dove il cuore batteva regolarmente.
«E' appena passata la mezzanotte.» Le fece notare lui in un sussurrò che le solleticò la guancia.
Emma alzò il viso e guardò il suo migliore amico negli occhi. «Buon Natale, Matt.»
«Buon Natale, Emm.»
Una strana sensazione di completezza la invase mentre pensava che se quello non era amore, allora, non sapeva proprio che cosa fosse.
I fell in love with the careless man’s careful daughter,
She is the best thing that's ever been mine.
Quel giorno di metà Luglio era il suo compleanno. Ma non un compleanno qualunque, era il suo diciassettesimo compleanno. Ad Emma non piaceva stare al centro dell'attenzione, quindi avrebbe passato la giornata rintanata in casa a leggere quel nuovo manuale di pozioni che sua mamma le aveva....
«Emma, c'è un tuo amico!»
Emma fece quasi cadere il libro che stava leggendo.
«Cosa?» Urlò dalla sua stanza.
Sentì la risposta della madre arrivare dalla cucina. «Matt, il tuo amico Matt è qui.»
Al sentir pronunciare quel nome il suo cuore perse un battito per poi accelerare esponenzialmente. Matt si era smaterializzato lì da lei per farle gli auguri.
Okay, Emma. Stai calma.
Con mani tremanti posò il libro sul comodino e si precipitò giù dalle scale, dove c'era Matt ad attenderla. Saltò gli ultimi due gradini e gli gettò le braccia al collo. Lui la prese al volo, facendola volteggiare un paio di volte prima di rimetterla a terra.
«Cosa ci fai qui?» Esclamò lei con la faccia ancora premuta contro il suo petto.
«Buon compleanno, Emm.»
Emma si staccò da lui e lo guardò con gli occhi fuori dalle orbita. Fece scorrere le mani lungo le sue braccia, fino alle spalle, per poi chiuderle a coppa sulle sue guance calde che bruciavano come tizzoni ardenti sotto il suo tocco leggero.
«Sei qui.» Disse, come per accettarsi che non fosse un sogno. «Sei davvero qui.»
«Così pare.» Fece lui con un sorriso sghembo che mise ancora più in risalto le fossette che Emma tanto adorava. «Ho passato a piani voti l'esame di materializzazione e non mi sono neanche spaccato.»
Emma era al limite della commozione, ad un passo dallo scoppiare a piangere.
«Usciamo?» Chiese subito Matt per evitare che lei si sciogliesse in lacrime. «Così posso darti il tuo regalo.»
Emma acconsentì. Lo prese per mano e lo trascinò fuori casa. Dal momento in cui il paesino dove viveva era molto piccolo, Emma portò Matt in un parchetto lì vicino.
Il sole di Luglio splendeva alto nel cielo, rendendo afosa e quasi irrespirabile l'aria, perciò non c'era da stupirsi che fossero soli.
«Io ti amo, Emm.» Se ne uscì Matt così improvvisamente che Emma inciampò nei suoi stessi passi per la sorpresa.
«Cosa?» Chiese portandosi una mano alla bocca.
«Ti amo, e lo so, lo so che credi di essere un casino e che nessuno potrà mai innamorarsi di te, ma è successo.» Matt la guardò con una punta di disperazione nella voce, poi le prese una mano e, dopo averle posato un bacio sul palmo, se la portò al petto. «So che non ci credi. So che pensi che l'amore non esista» Ripeté con voce più ferma. «Ma io ti amo, e se questo non è amore non so davvero come chiamarlo.»
Emma sentiva il cuore di Matt battere all'impazzata sotto la sua mano, come un treno ad alta velocità.
«Matt.»
«Ti prego ascoltami. Io desidero solo che tu sia felice, credimi, non voglio altro. Perciò se hai bisogno di tempo, va bene. Ti chiedo solo di non rifiutarmi perché hai paura. Sono terrorizzato anche io, ma penso che ne valga la pena. Tu ne vali la pena.»
Emma ci mise qualche istante per radunare tutti i pensieri e formulare una risposta che avesse un senso logico. Come poteva dirgli che lui, era stato lui, a farle cambiare idea e a donarle di nuovo la speranza?
«Matt.» Disse respirando piano. «Tu non hai idea di quello che hai fatto per me. Hai preso il mio cuore e lo hai curato. Tu mi hai reso felice, e... hai sconvolto il mio mondo. Certo che sono innamorata di te, mi stupisco che non te ne sia accorto prima.»
Matt sbatté le palpebre un paio di volte. «Mica l'amore non esiste, secondo te?»
Emma rise nervosamente. «Ci sono sempre delle eccezioni alle regole, non credi anche tu?»
Ma lui non le rispose. Le prese il viso tra le mani e la baciò.
Le sue labbra a contatto con quelle di Matt bruciavano piacevolmente, e si sentiva come se fosse appena stata trasportata in paradiso. Sì, era morta, ma se quella era la sua punizione divina allora non aveva nulla da obiettare. Baciare Matt era come respirare a pieni polmoni dopo essere stata sott'acqua per troppo tempo.
Lui la strinse ancora di più mentre il bacio si faceva più intenso e famelico, le accarezzò una guancia per poi passarle una mano tra i capelli, stringendola a sé come se in qualche modo potesse annullare definitivamente la distanza che li separava. Lei gli allacciò le mani dietro al collo, dopo avergliele fatte passare tra i capelli. In quel momento, Emma sarebbe potuta morire felice.
Cercò di trasmettergli tutto l'amore che provava. Chissà se riusciva a percepirlo. Aveva aspettato quel momento per mesi, o forse per anni, senza rendersene conto. Forse era sempre stata innamorata di Matt, sin da quel giorno lontano quando lui le aveva offerto un muffin con le gocce di cioccolato, o forse era stato poi, quando aveva ascoltato la sua storia senza fiatare e aveva accolto la sua anima dentro di sé, promettendosi che l'avrebbe resa felice, o forse non era successo in un momento preciso: era stato semplicemente lui, il suo essere incondizionatamente buono, gentile ed intelligente. Sei davvero innamorata quando riesci ad apprezzare anche i difetti dell'altro? Perché, se così fosse, Emma era cotta e puntino.
Ora era lì, tra le braccia dell'unico ragazzo che avesse mai amato, tra le braccia della sua eccezione, e sembrava troppo bello per poter essere vero.
Si staccarono un secondo per riprendere fiato, lui continuava a stringerla per la vita mentre le mani si lei gli scivolarono sul petto, proprio sopra al cuore che batteva all'impazzata.
«Sei felice, Emm?» Emma sentì il respiro di Matt sfiorarle il viso facendola rabbrividire.
«Come mai prima.» Rispose. «E tu, Matt? Tu sei felice?»
«Come potrei non esserlo?» Domandò per poi stamparle un altro bacio a fior di labbra. «Che tu ci creda o meno, sei la cosa migliore che mi sia mai capitata.»
Emma per la prima volta in vita sua decise di crederci. Sì, finalmente ci credeva: l'amore esisteva, e loro ne erano la prova.
  
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