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Autore: RLandH    19/02/2015    1 recensioni
Paula osservò Saint-Denis con un occhio vagamente disattento, come se lei non si trovasse davvero lì, osservava il fuoco annerire le pietre e divampare dai vetri, il nero d’una colonna di fumo si alzava sacrilega fino al cielo d’una cupa giornata.
*
Aveva mentito, ma non contava, nessuno viveva più per il bianco ed il nero, per il giusto o sbagliato, vivevano nel grigio, in un tale stato d’apatia, senza essere toccati dalla morale.
*
Aveva una fila di denti gialli, con gengive rosse scarlatte, da sembrare che la bocca fosse fuoco, da cui colava un saliva trasparente, macchiata d’un rosso scuro, occhi, piccoli e cattivi, gialli come quelli dei serpenti.
La
bestia ruggì.
*
[...]se fosse morta in quel momento non sarebbe successo nulla, la vita che l'attendeva non era certamente più prospera. Loro erano nel pieno della tribolazione.
*
Durante gli anni della Tribolazioni, Paula e Senza Nome ormai arresi all'essere stati dimenticati e disinteressati della loro fine (ormai inevitabile) si incontrano un giorno. Davanti una chiesa in fiamme.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: Violenza
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Lunghe righe di premessa: Questa OS non era altro, che all’origine, un prologo (incompiuto per lo più) di una storia mai scritta. E così è rimasto, sepolto sotto dati e dati informatici, destinato ad essere dimenticato. Ma non è successo; portato d’urgenza in rianimazione, è stato salvato! Ma, non del tutto, non completamente.
Inaspettatamente il finale in tale maniera, che non doveva essere un finale, è finito per aggradarmi più del finale inizialmente postato. Anche perché quel finale apriva l’inizio ad un’altra storia. Storia che sono, non lo nego, ancora stuzzicata di scrivere, ma non del tutto certa di volerlo fare. Dunque questa OS è il prologo di una LS che non vedrà mai la luce, ma potrebbe essere la Prova Generale di qualcos’altro. Devo ancora scegliere.
E … non c’è molto altro da dire; Levertchat (che ringrazio vivamente di averla letta) l’ha definita una storia che vuole dire qualcosa, ma che non dice nulla. E sono d’accordo. Quindi esattamente qual è il senso di scrivere qualcosa che non dice nulla? Noia, probabilmente.
Allora; la OS meriterebbe altre note, che spieghino determinati significati, note però che dovrebbero andare sul fondo, che io scriverò dunque lì, invitando però i lettori – se mai dovessero esserci – ad ignorarle. Non sono così importanti, sono note per lo più pensate, per la storia, quindi a lunga durata, quindi non sono che semplici “sfizi” che non significano nulla.


Quindi, buona lettura
RLandH















Aspettando un dio minore






Dio andò in fiamme






10,febbraio,20XX. Ile-de-France



1-1: Uomini di sale



Paula osservò Saint-Denis con un occhio vagamente disattento, come se lei non si trovasse davvero lì, osservava il fuoco annerire le pietre e divampare dai vetri, il nero d’una colonna di fumo si alzava sacrilega fino al cielo d’una cupa giornata. Paula non aveva idea di chi avesse appiccato l’incendio, così smanioso di cancellare un così importante pezzo della storia umana, ma non provava nulla a quello spettacolo, ne rabbia, disgusto o soddisfazione, il petto era vuoto, una grancassa da cui tempo ne un cuore ne nessun altro battevano più. Paula respirava, mangiava, camminava, ma non viveva, si limitava ad esistere, neanche sopravvivere, non s’applicava a nulla.


Un uomo al suo fianco era precipitato sulle ginocchia, indossava pantaloni lerci ed una maglia di lana slabbrata e macchiata, il viso scavato percorso da una barba incolta e capelli unti ed intrecciati, “Dio perdonaci” urlò, aprendo le braccia, come in cerca di un disperato abbraccio che nessuno avrebbe ricambiato. Paula non disse nulla e continuò a guardare SaintDenis bruciare, con gli occhi brucianti dal fumo, pronti a lacrime che lei aveva dimenticato di versare.



Rimasero lì, lei ed il signore, immobili come se fossero stati di sale, lei dritta, come una pertica, con i capelli davanti al viso e le mani nelle tasche del piumino e l’uomo inginocchiato a chiedere perdona d’un’onta mai compiuta. Mentre la chiesa bruciava, s’anneriva e scompariva, un uomo suonava la fisarmonica per accompagnare il suo trapasso all’aldilà, come se fosse stata una cosa viva e non un edificio. Ma Paula rise perché Saint Denis era viva, più di lei, del pentito e del suonatore, e per questo moriva e con lei crepavano le ultime speranze a cui gli uomini si erano ancorati.





1-2: Il dubbio



Era sceso il buio, quando qualcuno s’era deciso a spegnerlo il fuco, lasciando della cattedrale nulla più d’uno scheletro nero. Paula rassetto la sciarpa per coprirsi meglio la gola ed anche le labbra. “Io ho fame, lei?” chiese con voce annoiata, chinando gli occhi sull’uomo, quello l’aveva guardata, la bocca s’apriva in un ovale perfetto e gli occhi azzurri liquidi erano circondati da occhiaie violacei, “Parla con me?” domandò sbigottito, lasciando cadere a penzoloni, quasi fossero state morte le braccia lungo i fianchi, restando però accucciato per la penitenza, “Con il suonatore” aveva risposto con ironia lei, indicando l’uomo non lontano da loro, seduto su una valigia, aveva la fisarmonica sulle gambe e guardava la chiesa con occhi sereni, quasi contento che il suo strazio fosse finito. “Si a lei” replicò Paula, battendo un tacco dello stivale sull’asfalto. “Perché?” chiese lo sconosciuto, restando in ginocchio, con le braccia morte e l’espressione confusa dipinta sul viso, “Perché ho fame” aveva risposto lei, prendendo a camminare senza una direzione senza aspettare che l’uomo si privasse del suo timore e prendesse una decisione.
Aveva fatto parecchi metri quando s’accorse che lui l’aveva raggiunta.





1-3: Il nome di Dio




“Mi chiamavo Roland ed ero un avvocato” le disse l’uomo, quando erano seduti al tavolo, “Ed ora come ti chiami?” chiese Paula, infilzando la forchetta nella sua fettina, la sua cucina era piccola, stretta e soffocante. Quando c’era entrata per la prima volta, aveva sentito nel petto l’aria mancarle e l’inquietudine per tutto l’appartamento della solitudine cui aveva vissuto la donna che v’era abitata prima. Paula aveva trovato i suoi vestiti nell’armadio, i suoi profumi sul mobile, le scarpe nello stanzino ed il bagnoschiuma nella doccia. Nessuno s’era preso la briga di togliere nulla, di foto però, non ne aveva trovate ed aveva sospettato fosse stata opera della stessa donna. Paula aveva indossato tutti i vestiti della donna, le sue scarpe, scelti quelli che le erano piaciuti di più o calzati meglio, poi con gli altri, assieme alle lenzuola, i cosmetici e i merletti, gli aveva raccolti in una busta e buttati nella spazzatura e dato fuoco al bidone. Proprio sotto casa sua. Aveva osservato dal piccolo balconcino in salotto il bidone bruciare e s’era accora presto che buona parte del palazzo l’aveva seguito. L’uomo del quarto piano aveva recitato una preghiera e tutti l’avevano ascoltato, anche se nessuno credeva in quelle parole, l’oratore compreso. Il giorno dopo Paula gli aveva portato una crostata, ma non gli aveva chiesto neanche il suo nome.

Non mi chiamo” aveva detto l’uomo, le sue dita tremolavano, mentre teneva la forchetta, “Non mi serve” aveva aggiunto, “Io sono Paula, sono sempre stata Paula” aveva risposto calma lei prima di inghiottire della carne e poi sorrise, senza calore, come se quel sorriso fosse lo spettro di qualcosa di diverso. Aveva mentito, ma non contava, nessuno viveva più per il bianco ed il nero, per il giusto o sbagliato, vivevano nel grigio, in un tale stato d’apatia, senza essere toccati dalla morale.
Senza Nome doveva essere stato un uomo bello, quando esserlo contava ancora qualcosa, sotto l’abbandono totale, rimanevano i tratti d’un uomo che magari era stato affascinante. Sull’anulare un cerchio d’oro brillava, ma Paula non chiese niente, si limitò al silenzio di cui l’aria era pregna.“Inviti a cena, tutti gli sconosciuti?” domandò Senza Nome, poi, assaporando con una calma dedizione anche l’acqua. Paula mosse il capo, i capelli ondeggiarono sulle spalle, con lei, “No” disse apatica, infilzando la forchetta nell’ultimo boccone di carne. Negli occhi dell’uomo vi era ancora lo stesso sguardo perplesso davanti Saint-Denis. “Erano almeno quattro anni, che non sentivo qualcuno chiedere scusa a Dio” bisbigliò. La sua voce era più tenue di un miagolio d’un gattino, ma nella sua mente – e in quella sua cassa toracica vuota – rimbombava come un’orchestra.





1-4: La catastrofe avvenuta




Il resto della cena, si svolse in un silenzio così tetro da far dimenticare a Paula che gli uomini avevano voci. Sarebbe stato inutile però dire che nessun rumore fendesse l’aria. C’erano le posate d’acciaio che si scontravano con i piatti in ceramica, prende tagliavano la frutta. Vettoviglie appartenute ad una donna, di cui Paula non conosceva il viso e la voce, ma di cui sapeva a menadito i gusti, le misure e l’odore. La signora odorava di sandalo, aveva capelli neri, cui fili sottili erano rimasti prigionieri tra i denti di una spazzola antica, aveva camice bianche e gonne lunghe fino alle ginocchia, strette in vita ed alte. Non indossava gioielli, aveva un vecchio portagioie qualche vecchia spilla dalle forme curiose ed orecchi dai brillanti azzurri e foulard di seta nel secondo cassetto. Le scarpe erano scure, alte ed anonime, di chi voleva essere distinta, senza dare nell’occhio. Sulla porta della camera, al posto dei capotti aveva appeso un rosario. Era di legno chiaro e ben curato, Paula lo aveva afferrato con una sola mano e tirato con così tanta forza da logorare la corda fino a spezzarla e riempire l’intera camera di palline di legno.

“C’è ancora speranza” aveva detto con poca convinzione Senza Nome, come volesse convincersi delle sue parole. Aveva il viso smunto basso, sulle mani congiunte, posate al legno del tavolo. Lei gli dava le spalle, mentre lavava i piatti, in cui s’era consumata la loro piccola cena. “Le tue speranze sono indietro di quattro anni” aveva risposto lei, senza essere canzonatoria, il suo tono era stato basso e pacato, come un mare piatto, privo d’anche solo un’increspatura. Chiuse l’acqua del rubinetto e mise freno ai pensieri che avrebbero da lì a poco assalito la sua mente per logorarne l’anima, o quel che era rimasto. “Noi siamo perduti” aveva aggiunto, marchiando il tono lugubre, anche se era certa, sul suo viso non era comparsa neanche un incrinatura, come se avesse parlato del tempo con tranquillità. Forse perché era quasi la stessa cosa, parlare del tempo e della fine del mondo; ormai erano diventati argomenti d’ogni giorno, senza scalpore. Anche se Paula doveva ammettere, rimaneva l’ispida angoscia della consapevolezza. Senza Nome non aggiunse nulla, la lasciò nel loro silenzio, ma l’uomo che la guardava non era lo stesso con cui aveva cenato, era l’uomo che sollevava le braccia a Dio, in cerca di perdono, era Roland, per quanto Senza Nome si vantasse d’averlo ucciso.

La serata si sarebbe dovuta concludere lì, con le ceramiche riposte nella mensola, le bucce della frutta nel cestino e le posate nel cassetto. Senza Nome era già alla porta, con la maglia di lana slabbrata e macchiata, cui Paula aveva aggiunto una sciarpa nera scura, che aveva legato al collo dell’uomo con meticolosa lentezza. Aveva sentito il calore del respiro dell’uomo sulla sua pelle, che era invece fredda come una pietra all’ombra. Accennò un sorriso senza affetto, di pura cortesia, accennato appena, come un pizzicotto sulle labbra. Senza Nove aveva ricambiato nella stessa precisa maniera, quasi fosse stato il suo gemello e poi … poi era successo. Nulla di diverso da ciò che succedeva abitualmente. L’urlo dilaniò il silenzio quasi fosse stata una belva, con zanne ed artigli affilati come rasoi che squarciava il ventre della sua preda, non per mangiarla, ma per goduria.



1-5: La bestia vomitata




L’urlo era venuto da un piano inferiore, dall’uomo che aveva pregato al funerale dei vestiti; Senza Nome s’era diretto veloce, con falcate ampie, giù dalle scale e Paula l’aveva seguito, non meno cauta. Non erano stati gli unici, l’intera palazzina s’era diretta al terzo. Improvvisamente s’era accorta Paula, nella cacofonia di passi nella tromba dell’ascensore e del vociare della gente, improvvisamente sembrava il mondo essersi ridestato dal tepore in cui s’era lasciato annichilire. “Che succede?” chiese Clodie, affiancandola, la sua vicina di casa, una donna che era nata uomo e che vendeva il suo corpo per sopravvivere; era alta e massiccia, aveva lunghi capelli rossi fiammeggianti, con un viso marcato, dall’incarnato cioccolata, “Forse si è aperta una bocca, qui vicino” rispose Paula, affrettando il passo per raggiungere Senza Nome.

Un uomo era rovesciato a terra, bianco e rosso scarlatto, i vestiti ridotti a brandelli ed il sangue rovesciato sul pavimento di marmo come un secchio di vernice caduto. Senza Nome s’era bloccato come se l’avessero piantato, Paula le era finito addosso, “Che succede?” domandò con voce sterile. Da oltre la spalla dell’uomo vide l’uomo riverso a terra, di cui Paula ignorava il nome, con cui aveva condiviso una torta una volta ed ora era morto. “Oh Santo Cielo” strillò Clodie, chiudendosi le dita ossute alla bocca, con lo smalto luccicante. Se fosse stata più lucida, Paula le avrebbe detto che il Cielo non ci aveva neanche buttato un occhio in quella situazione.
Tutto il palazzo era al quarto piano, con occhi sgranati e spaventati. Poi l’avevano visto, appeso al lampadario come una scimmia, era in realtà una creatura informe, dal pelo ispido e nero, come punte di lancia. Aveva una fila di denti gialli, con gengive rosse scarlatte, da sembrare che la bocca fosse fuoco, da cui colava un saliva trasparente, macchiata d’un rosso scuro, occhi, piccoli e cattivi, gialli come quelli dei serpenti.
La bestia ruggì.

È colpa nostra!” pianse un vecchio, “Noi che abbiamo bruciato Saint-Denis! È Dio che ci punisce” aggiunse, scivolando sulle ginocchia. Paula guardò Senza Nome ed il viso stemprato dell’uomo rimase impassibile, come se quello che aveva davanti non fosse nulla, come se una bestiaccia di satana non fosse così incisiva come una chiesa in fiamme. “Dio non centra un tubo” aveva strillato l’uomo dell’ultimo piano, quello che si vestiva come un hippie e con i capelli lunghi stretti in una treccia, “Si è solo aperta un’altra orribile bocca dell’inferno” sputò fuori con veleno. “Spostatevi” disse la donna del pian terreno, tirando qualche gomitata, tra cui una anche al ventre di Clodie, era una donna di mezz’età, ancora profondamente bella, nonostante la giovinezza le fosse sciupata sul viso, indossava una vestaglia da notte di seta, corta, con i merletti, teneva tra le dita un fucile a canne mozze, che aveva fatto schioccare, pronta per sparare.
"Signora, non credo basti" aveva provato a miagolare, lo squattrinato adolescente abusivo del piano inferiore a Paula, sollevando un dito, ancora coperto dai guanti, doveva essersi appena chiuso la porta di casa alle spalle - o forse usciva - quando la bestia era entrata. La donna aveva guardato il ragazzo, con occhi furenti, erano d'un azzurro così chiaro da sembrare bianco, l'iride era corroso di vene rosee sottili e coperto dalla membrana lucida d'un pianto appena concluso, "Vuoi scommettere?" ringhiò, strinse un occhio e tenendo aperto l'altro fisso nelle cavità ambrate della bestia, sparò.
Dritto sul muso.





1-6: E quel che venne poi



Per un po' non accadde altro, la bestia era caduta con un tonfo giù dal lampadario e s'era accasciata sopra al cadavere, "Bel colpo" disse Paula monocorde, la signora incrinò le labbra gonfie in un sorriso puntellato di soddisfazione, "E mia madre che diceva a mio padre che la caccia era una brutale perdita tempo" aveva aggiunto, continuando ad imbracciare il fucile tra le dita sottili. E s'erano tutti così concentrati a parlare con la signora, che nessuno aveva più badato al morto alla bestia, "Dovremmo chiamare la polizia?" aveva domandato Clodie, passandosi la mano sulla parte lesa del ventre, e qualcuno stava già componendo il numero, quando l'adolescente abusivo del piano di sotto, aveva fatto qualche passo in direzione della bestia, "Ei moccioso" aveva detto la signora in sottana di seta, "Non ti avvicinare" aveva detto apprensiva, arraffandolo per un braccio per tirarlo indietro. Paula non vedeva tale affettuosità da molto tempo, non era uso comune curarsi degli altri, di quei tempi, eppure le venne voglia di sorridere davanti a quel piccolo gesto.
Il ruggito della bestia, spense comunque sia il sorriso, ricordando a tutti quanto fragile fosse l'esistenza e vanagloriosa da vivere. Tutti gli occhi si puntarono come coltelli contro la belva, era in piedi su quelle gambe semi antropomorfe, sul muso da belva, scivolava un viscoso liquido nero che ne segnava la fronte, colando lungo il naso. La donna aveva imbracato il fucile di nuovo, per un'altra schioppettata, "L'avevo detto io" s'era lamentato il ragazzo muovendo il polso ora di nuovo libero. Pareva una cosa davvero sciocca, che una bestia di Satana, senza metà della testa - a cui avevano appena sparato - stesse in piedi in un corridoio e nessuno trovasse la cosa spaventosa.
Paula fece un passo indietro, urtando qualcuno, prima di mordersi il labbro; forse aveva ragione quel benedetto uomo che aveva detto che fosse colpa loro, perché avevano bruciato Saint-Denis. Ma non era affatto così, ma nessuno aveva colpa. Le bocche dell'inferno s'aprivano in ogni dove senza nessun logico motivo e ciò che vomitavano fuori non erano mai cose buone, era capitato che Paula ne vedesse di bestie; scostò una ciocca di capelli dagli occhi, chiedendosi se avessero dovuto semplicemente chiamare le forze dell'ordine, lasciare che se ne occupassero loro, ma la verità era che non ne era affatto preoccupata, se fosse morta in quel momento non sarebbe successo nulla, la vita che l'attendeva non era certamente più prospera. Loro erano nel pieno della tribolazione.



1-7: L'umana rimembranza



Senza Nome le fu subito al fianco, quasi fosse stato un cavalier servente dall'armatura lucente, dietro la barba incolta, sorrise, mostrando una fila di denti ritti opera d'un fil di ferro, ingialliti e poco curati. "Andiamocene" disse lei con voce ferrea, osservando dietro i fili dei capelli la creatura, che se ne stava irta con il pelo arruffato come un gatto, il muso demoniaco sporco di nero e la testa aperta come un pompelmo. "Si stuferà" aveva risposto con noncuranza lei, era troppo ferita la belva per cercare di avvicinarsi a qualcun altro e troppo debole per sradicare una porta. Paula lanciò l'ultima occhiata mista di insofferenza e con una smorfia sul viso di cesellata indifferenza. Senza Nome guardò la belva ringhiare roco, i suoi occhi s'erano inumiditi di umanità e per un momento Roland aveva guardato la belva spaventato come aveva guardato quel meriggio disperato Saint-Denis bruciare.

La donna del pianterreno aveva sparato un altro colpo e la zampa della bestia era saltata, imbrattando il resto del corridoio d'un liquido bruno quanto l'inchiostro, la creatura aveva piagnucolato come un animaletto ferito, come un cane con una zampa offesa e Paula aveva sentito vibrare qualcosa nella grancassa, s'era voltata verso la bestia, che zoppicava uggiolando a destra e manca del corridoio, "Per Dio finiscila" strillò Roland alla donna vestita di seta, che si voltò verso di lui, furente come una belva con gli occhi così azzurri e così spaventosi da sembrare vetro affilato. E tutti guardavano loro con un misto di rianimata curiosità, una diversa da quella precedente, che gli aveva spinti tutti al quarto piano, una curiosità più profonda ed intrinseca, quella che ricordava agli uomini perchè fossero interessati agli altri uomini. L'assurdo sentimento che aveva spinto Paula a chiedere a Senza Nome di cenare con lei.

Fece lei un passo in avanti, mentre tutti confabulavano guardando i due litiganti, nessuno si curò di lei, solo l'uomo che provò ad afferrare senza un reale interesse la sua mano, la stessa che gli aveva donato una sciarpa, ma Paula s'era fatta fuggevole e s'era già avvicinata alla creatura che ciondolava, ormai completamente esanime per il corridoio.
Scavalcò il corpo dell'uomo con cui aveva condiviso una crostata e s'avvicinò alla bestia, s'era accucciata, leccandosi la zampa offesa, tra il nero della peluria e del sangue, la carne castana fatiscente, si vedevano ossa gialle e marce. E Paula sentiva qualcosa nel suo petto far rumore, qualcosa di ritmico e profondo, come d'una caduta e d'una risalita, che si susseguivano come rimbalzi e solo quando guardò gli occhi della bestia, gialli come la luce del sole, capì: era il suo cuore.

























Note (in)utili: Il titolo (Principale) deriva da una traduzione non corretta di una celebre opera di S. Beckett, ovvero Waiting for a Godot, la cui traduzione letterale sarebbe Aspettando Godot , la frase è divenuta un modo di dire abbastanza famoso per indicare qualcuno che aspetta qualcosa che non avverrà mai, senza fare nulla per farla avvenire. E, in un modo contorto lo trovavo adatto a questa storia. Oltre questo il nome Godot è formato dalle parole God – Dio – in inglese ed Ot – piccolo – in francese (Traduzione da cui lo stesso Beckett si è dissociato, dunque come è stato teorizzato Godot dovrebbe essere diviso in Go e Dot, vai e punto, più inerente all’opera. Ma questo non ci interessa), ovvero Piccolo Dio.
In un certo senso un Piccolo Dio, può essere anche un Dio Minore; anche questa secondo pezzo del titolo ha una certa ispirazione, il concetto di Dio Minore, anziché essere quello delle divinità secondarie mitologiche, è preso da il film Children of a Lesser God di R.Haines, in italiano Figli di un Dio Minore. Anche questa espressione è divenuto modo di dire per indicare persone considerate inferiori da altre – create da un Dio Meno Perfetto – e mi sembrava calzante per questi poveri personaggi lasciati nel bel mezzo della tribolazione.

Roland, che Senza Nome dice di aver ucciso – ma mente, è un cavaliere, disposto ancora ad avere fede, speranza ed aiutare il prossimo. Il nome “dimenticato” è quello originale del paladino di Carlo Magno Orlando. Quindi si Roland è una sorta di Orlando dopo Angelica, dopo che Astolfo gli ha ridato il senno, pronto a combattere – e morire – per il suo Re. In un certo senso, Paula doveva essere sia Astolfo sia Carlo Magno. E questa intera storia doveva essere Roncisvalle.

Paula al contrario, non parla mai di chi era prima; il suo vero nome, non è detto. Quello che ha scelto, poi, è un chiaro rifermento a Saul di Tarso, ovvero San Paolo, con la sua illuminazione sulla strada verso Damasco. L’illuminazione di Paula è indubbia, potrebbe essere vedere la chiesa bruciare o la bestia soffrire. Non lo so, scegliete voi.
   
 
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