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Autore: LadyDanger    19/02/2015    1 recensioni
[da CAPITOLO 4]
Erano diversi ma sapevano adattarsi l'uno all'altra come l'acqua si adatta al contenitore nella quale viene messa. Sapevano completarsi.
Avrebbe voluto entrare nella testa di Eva e leggere ogni suo pensiero, per capire cosa pensasse di lui, cosa la turbasse, cosa la facesse sempre esitare. Non è facile sostenere gli occhi di qualcuno che amiamo ma abbiamo deluso. Vogliamo sempre il perdono anche quando non siamo disposti a pentirci di ciò che abbiamo fatto. Crediamo che essere perdonati significhi alleggerirsi di un peso. La verità è che il perdono è il più grande peso che può gravarci sulle spalle, a volte addirittura sulla coscienza.
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Matthew Shadows, Nuovo personaggio, Synyster Gates
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bloodstram 2 Non chiuse occhio quella notte, si rigirò nelle lenzuola continuamente. Nella testa le giravano milioni di pensieri che andavano, però, tutti in un'unica direzione.
Erano le 4:23 quando guardò la sveglia per la settima volta e si rigirò per l'ennesima. Chiuse gli occhi pregando di riuscire a dormire quel poco che le bastava per sopportare la giornata che le si prospettava davanti. L'unica cosa che riusciva a fare ad occhi chiusi era pregare, scongiurare di dimenticare di tutto, di avere una perdita di memoria improvvisa che le cancellasse tutti i ricordi degli ultimi tre anni.
Pregava di dimenticare il giorno in cui lo aveva incontrato in spiaggia, il momento in cui le aveva offerto quella birra, il viso di cui non era riuscita a dimenticare neanche il minimo particolare. Cercava di capire cosa fosse andato storto, cosa non avesse capito di quell'uomo che le aveva rubato ogni più piccolo pezzo di anima che le restava.
Le 4:37. Si alzò, stanca di rimanere in un letto nel quale sembrava ci fossero centinaia di piccoli spilli che le trafiggevano la schiena. Si infilò un paio di pantaloni, un maglietta, si allacciò la felpa, si mise le scarpe e uscì facendo attenzione di chiudere la porta talmente piano da non svegliare la madre e il fratello.
Camminò avanti e indietro davanti al piccolo vialetto di casa per una mezz'ora pentendosi del messaggio inviato poche ore prima, al quale non aveva, tra l'altro, ricevuto risposta. Fece a pugni prima con la sua mente, poi con il suo cuore.
Prese il cellulare dalla tasca della felpa nera, ormai sbiadita, e lo fissò cercando di trovare chissà quale risposta che lei stessa non riusciva a darsi.
Riguardò foto su foto e le venne da sorridere e piangere allo stesso tempo.
In quel momento sentì una mani che le si poggiava sulla spalla ed ebbe un sussulto presa dalla paura che fosse lui.
Girò la testa il giusto per scorgere la mano che riconobbe immediatamente.
«Trevor! Mi hai spaventata!»
Il fratello di Eva l'aveva probabilmente vista uscire dalla finestra di camera sua, che dava esattamente sul vialetto. Forse lei sperava nella complicità del vecchio salice che oscurava parte della vista ma così non fu.
Si confidava spesso con lui, prima. Da qualche tempo non riusciva più a farlo, senza un motivo apparente. Sentiva un blocco in gola quando stava per raccontargli qualcosa e finiva con il dire semplicemente "sto bene, solo un po' di stanchezza".
«Vieni, ti faccio vedere una cosa.»
Lo amava tantissimo, lo guardava con gli occhi di chi sa che avrà sempre qualcuno al proprio fianco ma proprio non riusciva più ad aprirgli il suo cuore e questo la distruggeva.
Lo seguì per circa un migliaio di metri, stava sempre qualche passo indietro rispetto a lui con l'instinto costante di girare i tacchi e andare via.  Si bloccò diverse volte prima di costringersi a non farlo.
Arrivarono vicino all'entrata di un piccolo boschetto che le era familiare ma non riusciva a collocarlo nella linea temporale dei suoi ricordi.
Era ancora buio e solo all'orizzonte si intravedere un'effimero chiarore che saliva dalla cittadina in lontananza. I lampioni all'entrata del bosco avevano una luce debole e gialla. Le ricordarono un vecchio film che Lara le aveva fatto vedere una notte di Halloween diversi anni prima.
Gli alberi e gli arbusti si diradavano man mano che i due proseguivano e così i lampioni. Percorsero ancora qualche decina di metri per arrivare poi ad un laghetto sormontato da un ponte che la lasciò a bocca aperta. I lampioni non erano più come quelli visti qualche minuto prima: erano di un ferro scurissimo, quasi nero, e avevano delle delizione incisioni. Le ricordarono Parigi.
«Te lo ricordi?» le chiese Trevor indicando il ponticello sul quale si stava incamminando.
Eva scosse la testa, in segno di negazione. Era affascinata dal posto ma per quanto si sforzasse non riusciva a capire dove e con chi ci fosse già stata.
A passi lenti seguì suo fratello, passando vicino ad una panchina sulla quale passò una mano accarezzando il legno che, inaspettatamente, non era ruvido come se lo aspettava. L'erba era curata e c'erano aiuole con fiorellini bianchi e rosa di tanto in tanto e il rumore dei grilli accompagnava i loro passi.
Eva raggiunse Trevor, che era fermo da qualche minuto a metà del ponticello con la testa che fissava lo specchio d'acqua e i gomiti appoggiati sulla balaustra di legno scuro.
«Quando eravamo piccoli venivamo qui tutti i sabati pomeriggio.. con papà.»
Quando il fratello nominò il padre una morsa agganciò lo stomaco di Eva che si portò una mano sulla pancia, quasi per farlo passare.
Abbassò gli occhi e appoggiò la testa alla spalla di Trevor mettendo il braccio intorno al suo, vizio che aveva da sempre.
«Portavamo sempre un sacchettino con le briciole di pane per buttarle agli anatroccoli e ai pesciolini. Volevi sempre tenerlo in mano tu e papà doveva convincerti a farlo tenere un po' anche a me. Mi manca tanto quella Eva.»
Sentì le lacrime che spingevano per uscire e una strana malinconia invaderla. Il cielo iniziava a schiarirsi e la luna spariva poco a poco. L'acqua del lago era mossa dalla leggera brezza che spostava anche i suoi capelli biondi.
Involontariamente la sua mano strinse la spessa felpa del fratello e le lacrime silenziosamente iniziarono a scendere e bagnarle il collo della maglietta.
«So che hai qualcosa, lo vedo da come entri in casa quando torni dal lavoro. Non voglio obbligarti a parlare, solo che..»
Trevor fece una pausa di qualche secondo, quasi per prendere coraggio o, meglio, per darsi conforto dalla rassegnazione che provava.
Tamburellò con le dita sul parapetto rovinato da incisioni e graffi lasciati dal tempo e da amori o amicizie passate di lì. Poi la guardò e vide una fragilità che lo terrorizzò, una debolezza che non le aveva mai visto addosso.
«Vorrei poterti aiutare, vorrei allegerirti da questo macigno che ti porti dentro anche se non so di cosa sia fatto. A volte ti guardo e mi viene voglia di accarezzarti la testa e spettinarti i capelli come facevo quando avevamo 10 anni. Finisco sempre con il ripetermi che non cambierebbe niente, però. »
Le parole di Trevor si insidiarono del cuore di Eva come delle schegge che le sfiorarono punti e ricordi che credeva non sarebbe più riuscita a ricordare.
Si scostò leggermente da lui, lasciandogli il braccio, per asciugarsi gli occhi con un fazzolettino che probabilmente aveva da giorni della tasca dei vecchi pantaloni grigi.
Eva cercò le parole giuste da pronunciare, qualcosa che dimotrasse che niente era cambiato, che tutto non era che un grande equivoco.
Non sapeva nemmeno lei di cosa fosse fatto quel macigno, sapeva solo che le schiacciava talmente tanto i polmoni che a volte non riusciva nemmeno a respirare.
Una piccola anatra nuotava verso il ponte, sola e determinata. Lo sguardo di Eva seguì il tragitto del piccolo volatile e Trevor scoppiò in una risata.
Lo guardò perplessa, non capendo cosa fosse successo in quei pochi istanti di talmente buffo da far sì che potesse ridere così.
«Arricciavi il naso in quel modo anche quando papà ci portava qui. Lo facevi quando ti prendeva il sacchetto dalle mani per darlo a me e mostravi a tutti la tua linguaccia.»
Eva si chiese come potesse ricordare tutto questo, tutti quei particolari. Poi un senso di colpa le invase la testa: come poteva lei non ricordare? Come poteva la sua mente aver oscurato quei ricordi saturi di felicità?
Si sentì in colpa e si sentì come se avesse tradito il padre, scomparso quando lei aveva solo 16 anni.
«Vorrei tornare a quel giorno a volte e..»
«Salvarlo?» chiese Eva, che conosceva bene il punto nel quale Trevor sarebbe andato a parare.
Si era sentito colpevole da quel giorno, dalle 13:45 di quel 10 agosto quando la polizia aveva chiamato per comunicare la disgrazia. Non aveva più smesso di ripetere la sua colpevolezza, il suo non aver fatto niente, il non aver insistito per andare con lui. E lei e la madre non sapevano cosa fare per dissuaderlo dalla convinzione che ormai aveva preso piede nella sua mente.
«Non avresti potuto. Nessuno avrebbe potuto. Hai visto com'era l'auto. L'hai vista! Non avresti potuto! E io non avrei sopportato di perdere anche te! » singhiozzò Eva, mentre gli occhi di Trevor la guardavano disperati e grati allo stesso tempo.
Si abbracciarono. Si abbracciarono come due persone perdute che si ritrovano all'improvviso. Strinse la felpa del fratello talmente forte che ebbe paura di avergliela strappata.
«A volte mi sembra di vederlo in mezzo alle persone. Un'ombra, un riflesso, un sospiro che arriva al mio orecchio. Lo cerco ma lui non c'è.»
«Lui è sempre qui, Trevor. Gli assomigli più di quanto credi.»
Si sentì orgoglioso, onorato al suono di quelle parole. Il pensiero di somigliare a qualcuno che aveva amato così tanto lo rendeva fiero e responsabile, di sua sorella e di sua madre. Si guardarono e sorrisero, dopo tanto tempo.
«Se un giorno ti sentirai pronta a parlarmi di ciò che ti fa stare così.. io ci sarò. Ci sarò sempre, qualsiasi cosa mi dirai. Sarò qui per te.»
Si spaventò di fronte a quelle parole. Era felice e spaventata al tempo stesso. Le faceva paura anche solo ricordare ciò che aveva visto. Le faceva paura vedere quanto una persona può diventare bestia.
«Ho paura.»
«Di cosa hai paura, Eva?»
«Di prendere la decisione sbagliata. Ho paura di non riuscire a salvarmi.»
Trevor cercava di capire ma ciò che Eva gli diceva non era altro se non ciò che lui aveva già visto nei suoi occhi. Le accarezzò la schiena, cercò di tranquillizzarla, di metterla a suo agio.

Lei chiuse gli occhi, cercando una briciola di coraggio nascosto dentro a tutta quella paura. Scavò nella sua anima in cerca di qualcosa che le facesse dire quelle parole. Ebbe paura di non riuscire più ad uscire da quel vortice di ansia e disperazione che aveva dentro.

Ripensò al passato: a sua madre che le pettinava i capelli prima di andare a scuola, a Trevor che le diceva sempre di comportarsi bene e a suo padre, che la prendeva in braccio e la faceva volare con un uccellino nelle lunghe giornate estive.
Non riuscì a dire nulla. Le labbra non le si aprivano e le parole le morivano in gola. Diede un pugno al parapetto e si piantò, così, una scheggia.
«Cazzo!»
«Sei impazzita?! Dammi la mano..»
Trevor cercò di levarle la scheggia che per sua fortuna era piuttosto spessa e non era andata in profondità. Si leccò via il sangue che usciva e con il fazzoletto di prima premette contro la mano per alleviare il dolore.
«Andiamo a casa, devi disinfettarla.»
Eva lo seguì: ripercorsero il bosco, i lampioni erano ormai spenti, la gente che aveva abitudine di fare jogging iniziava a popolare il luogo.
Arrivarono davanti a casa poco prima che la madre entrasse in auto per andare al lavoro. La salutarono e le diedero un bacio sulla guancia.
Trevor salì le scale del porticato e si girò verso Eva che non era neppure sul primo gradino.
«Cos'hai?»
Lei, nuovamente, non rispose. Restarono immobili qualche secondo, che sembrarono interminabili minuti. La gente alle loro spalle usciva per recarsi chi al lavoro e chi a scuola.
«Eva?»
«Qualche mese fa ero con Matt e gli altri, dopo uno dei loro concerti.»
Prese fiato e inspirò forte, fortissimo.  Poi bisbigliò.






«Abbiamo quasi ucciso un uomo.»












"Oh girl we are the same
We are strong and blessed and so brave
With souls to be saved
And faith regained
All our tears wipe away."

   
 
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