Fanfic su artisti musicali > Avenged Sevenfold
Segui la storia  |       
Autore: LadyDanger    25/02/2015    1 recensioni
[da CAPITOLO 4]
Erano diversi ma sapevano adattarsi l'uno all'altra come l'acqua si adatta al contenitore nella quale viene messa. Sapevano completarsi.
Avrebbe voluto entrare nella testa di Eva e leggere ogni suo pensiero, per capire cosa pensasse di lui, cosa la turbasse, cosa la facesse sempre esitare. Non è facile sostenere gli occhi di qualcuno che amiamo ma abbiamo deluso. Vogliamo sempre il perdono anche quando non siamo disposti a pentirci di ciò che abbiamo fatto. Crediamo che essere perdonati significhi alleggerirsi di un peso. La verità è che il perdono è il più grande peso che può gravarci sulle spalle, a volte addirittura sulla coscienza.
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Matthew Shadows, Nuovo personaggio, Synyster Gates
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Bloodstream 3.1 "Cretina" continuava a ripetersi Eva, dopo aver ceduto al suo istinto e aver confessato. Si sentì mancare il respiro per i due minuti successivi e le parve che il tempo non trascorresse più. Trevor non si era mosso dalla posizione in cui si era fermato, non era cambiata neanche l'espressione che aveva in volto.
Una parte di lei sapeva di aver fatto la cosa giusta, l'altra sapeva che ora avrebbe dovuto affrontare tutto alla luce del sole.
Eva fissò suo fratello sperando che non avesse capito, che il suo tono di voce non fosse stato sufficientemente alto o che si fosse solo immaginata il tutto.
Trevor chiuse la porta dietro di sé e si avviò verso di lei. I battiti del cuore di Eva accelerarono vertiginosamente facendole venire le palpitazioni e il fiatone.
Si sedette sul primo gradino e le fece segno di venire ad accomodarsi accanto a lui. Lei esitò, in un primo momento, poi titubante lo raggiunse sedendosi a parecchi centimetri di distanza. Trevor si passò una mano tra i capelli castani e si massaggiò, poi, il collo. A tratti rideva e scuoteva la testa poi tornava subito serio. 
«Pensavi di portarti dentro questo peso per tutta la vita? Come se non fosse mai successo niente?»
Eva ascoltò attentamente il tono di voce del fratello, più che le parole che disse. Cercava di autoconvincersi che fosse preoccupato, invece sapeva benissimo che era il tono di una persona delusa.
«Non è come credi, Trevor. Davvero.»
Cercò di giustificarsi, per quanto una persona nella sua situazione possa farlo, ma senza ottenere grandi risultati. Se anche avesse spiegato, cosa ci sarebbe stato da spiegare? Non sapeva neanche lei darsi una motivazione al perché dell'accaduto. Sapeva solo che quando lui le aveva chiesto una mano, lei non era riuscita a dirgli altro che "Sì, sono con te", senza pensare alle conseguenze che ci sarebbero state, senza pensare a come avrebbe cambiato il corso della sua vita.
«Se solo tu potessi capire..»
«Cosa c'è da capire, esattamente, Eva? Perché non riesco proprio a trovare nessuna buona ragione per il quale qualcuno possa arrivare ad essere tanto violento da ridurre qualcuno in fin di vita. Non ci riesco. Non voglio neanche provare, forse, a pensarci perché mi vengono i brividi al solo pensiero.»
Eva non rispose questa volta, la risposta del fratello la ammutolì. Si sentì abbandonata, da una parte. Ripensò a quando Trevor, neanche 3 ore prima, le disse che ci sarebbe sempre stato per lei. Poi pensò che, però, questo doveva essere decisamente oltre i limiti del "esserci" per qualcuno, anche se lei quei limiti non aveva indugiato a oltrepassarli.
«Dimmi solo che Sanders non c'entra.»
Eva abbassò gli occhi rassegnata e colpevole. Erano a malapena le 9 del mattino e le sembrava che fossero trascorse decine di ore. Sentì un nodo stringersi dentro la gola e lo stomaco farle male.
«Non potevo abbandonarlo..» sussurrò con un filo quasi impercettibile di voce.  Trevor allora si alzò e nervosamente entrò in casa sbattendo forte la porta d'ingresso che rimbalzò senza chiudersi. Eva si tappò le orecchie e nascose il viso tra le braccia.
Sperò di sparire, di dissolversi nel vento, di non lasciare alcuna traccia di sè. Era divisa in mille parti diverse appartenenti ad altrettante persone che non potevano coestistere, a quanto pare.
Trevor le passò accanto qualche istante dopo, sfrecciando verso il vecchio pick-up parcheggiato davanti al vialetto di casa.
«Dove stai andando?»
Eva si alzò e lo rincorse con il fiatone dato dalla corsa e dall'ansia.
«Non avere così tanta premura di preoccuparti per me adesso. Vado a fare la spesa.»
Trevor entrò in macchina rumorosamente e accese la radio alzando il volume tanto da rendere partecipe il vicinato dei suoi gusti musicali. Eva si fermò a pochi metri dalla strada guardando il pick-up nero del fratello sfrecciare via in direzione del centro. 
Non aveva tutti i torti nel dirle di non preoccuparsi visto che non lo aveva fatto neanche prima. Era una cosa che le veniva rimproverata spesso, il fatto di non preoccuparsi mai per nessuno se non per se stessa o, in questo caso, per Matthew Sanders. Non le importava degli altri se non quando finiva nei guai, allora iniziava la metamorfosi e diventava premurosa e attenta verso chi le stava intorno.
Le successive 9 ore le passò chiusa in camera, stesa sul letto con le gambe contro il muro, contornata da cibo cinese e fazzoletti. Chiunque fosse entrato avrebbe giurato di avere di fronte una ragazza appena mollata dal proprio fidanzato. La tragedia le era sempre piaciuta molto, anche se in quel caso il teatrino era più realistico di quanto potesse sembrare.
Guardò l'orologio, appeso qualche centimentro sopra i suoi piedi, alle 17:39. Chiuse gli occhi e nella sua testa si creò una specie di guerra tra il voler andare e il voler chiamare Brian inventando qualche stupida scusa che la giustificasse del fatto che aveva avuto un contrattempo random.
Il cellulare squillò in quel momento.
Matt.
Spostò il dito su "Rifiuta" ma..
«Eva? Pronto?»
Continuò a rimanere in silenzio con il telefono appoggiato all'orecchio e gli immancabili occhi serrati.
«Volevo solo dirti che ti sto aspettando.»
Chiuse la chiamata e lanciò il telefono sul tappeto a qualche metro da lei. Con i piedi si diede una spinta e scese dal letto con una capriola, altro vizio che le veniva sempre rimproverato, questa volta dalla madre.
Si infilò le vecchie vans che le aveva regalato il padre, si mise qualche decina di dollari in tasca e si diresse verso l'ingresso.
Vide che le chiavi di Trevor sul tavolo della cucina, vicino alla spesa, ma lui non c'era. Incrociò la madre che stava pulendo il soggiorno ed uscì. Montò sulla bici e si diresse verso Sunset Beach, che distava qualche manciata di minuti da casa sua.
Il sole stava già tramontando e il cielo era rosso come il fuoco, pieno di stormi di gabbiani strillanti.
La spieggia era deserta. Il sole stava sparendo via via nel mare, colorandolo di un rosso sangue. Eva buttò la bici contro un albero sul viale che antecedeva l'inizio della distesa di sabbia. Si tolse le scarpe e a camminò fino al bagnasciuga, con i piedi nudi che sprofondavano nella sabbia.
L'acqua dell'oceano era gelida ma la sensazione che si provava quando i piedi entravano in contatto con la sabbia umida era impagabile per lei.
«Hey.»
Si girò. A qualche metro da lei c'era Matt, dietro di lui, molto più lontano, tutti gli altri.
«Ti sei portato la scorta?»
Matt alzò le spalle e si girò a guardarli, poi tornò a guardare i profondi occhi ambrati che aveva davanti.
Eva lo guardava con gli occhi di chi odia e ama, al tempo stesso, qualcosa, qualcuno. Lui le aveva portato tanti guai: un paio di risse con Valary DiBenedetto, mollata da Matt, e qualche problema con la polizia locale, tutti però risolti. Eppure lui riusciva a toccarle il punto in cui il suo cuore provava piacere e al contempo un dolore insostenibile. Non sapeva resistergli. Le sembrava la persona migliore del mondo nonostante un carattere ingestibile se non con le cattive. Era incatenata a quegli occhi, a quella dolcezza che le infondeva, a quella fragilità che era riuscita a scovare dentro di lui. Le era mancato. Troppo per poterlo spiegare a parole. Le era mancato al punto da non sapere in quale direzione andare, da non riuscire a fare a meno di mentire per paura che Matt potesse sparire per sempre dalla sua vita portato via dai casini che lui stesso si creava.
Si abbracciarono, si inglobarono a vicenda, si fusero come succede solo a chi ama incondizionatamente. Si sentiva al sicuro, nonostante la costante paura che quella parte di lui riemergesse all'improvviso, senza un motivo che lei potesse capire. Le sue braccia l'avvolgevano come una coperta nel pieno dell'inverno, come un lenzuolo che sei convinta tenga lontani tutti i demoni nascosti sotto il letto.  
Si godette quel momento che sperò non dovesse finire, che sperò potesse sostituire la realtà nel quale erano immersi.
Le baciò la fronte, premendo più che potè le sue labbra contro la fredda pelle di Eva, che non si mosse.
Eva sentì il calore delle labbra di Matt e le vennero i brividi, come ogni volta che lui la sfiorava.
Non riusciva a capire, però, se quei brividi pendevano di più verso l'amore o, se invece, verso l'odio che provava.






"We are young and lost and so afraid
There?s no cure for the pain
No shelter from the rain
All our prayers seem to fail"

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Avenged Sevenfold / Vai alla pagina dell'autore: LadyDanger