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Autore: Cracked Actress    20/02/2015    4 recensioni
Harold Finch ha imparato ad apprezzare la solitudine, ad usarla come uno scudo contro il dolore e la perdita. Per non preoccuparsi mai più di nessuna persona in particolare, aveva deciso di preoccuparsi di tutti. Eppure, nonostante la segretezza, le cose non dette, il suo essere così distaccato, è successo di nuovo. Qualcosa è cresciuto dentro di lui quando più tentava di combatterlo.
[Reese/Finch, pre-slash]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harold Finch, John Reese
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“I am a lonely hero, trying to fight my battles.”


John Reese ha imparato ad apprezzare la solitudine, ad amarne il potere protettivo e fortificante. Ha persino imparato a non pensare a niente quando al termine di una lunghissima missione torna distrutto nel suo appartamento e beve un bicchiere di whisky prima di crollare bruscamente in un sonno senza sogni. Finch di solito in quei momenti interrompe il collegamento via auricolare: gli lascia quei pochi minuti tutti suoi, e forse ne prende qualcuno per sé. Non ha ancora capito se gli dispiaccia oppure no, perché il suo non è un lavoro normale, non è una spina che puoi staccare tutte le volte che vuoi. Reese è il suo lavoro, non c’è posto per altro nella sua vita. Vorrebbe dirlo a Finch, dirgli che non c’è bisogno di lasciarlo in pace, perché Reese non è mai in pace comunque. Però gli è enormemente grato per il suo rispetto, che forse il modo silenzioso dell’altro di ringraziarlo, nonostante non ce ne sia bisogno. Si è sempre chiesto chi abbia salvato chi, tra loro due.

Quella sera invece Harold lo chiama al cellulare. Una chiamata normale, una volta tanto: di quelle che puoi scegliere di ignorare.

“Sì, Finch?” John non ci pensa due volte prima di rispondere.

“Mr. Reese”, la voce di Harold è stranamente tesa e preoccupata, “va tutto bene?”

John aggrotta le sopracciglia, chiedendosi per quale motivo stia ricevendo quella strana telefonata. Quel giorno non si è beccato né un proiettile né una coltellata, l’ultima volta che ha controllato era tutto intero. Un po’ ammaccato, certo, ma non si può dire che non ci abbia fatto l’abitudine.

“Certo, Finch. Perché me lo chiedi?”

Harold rimane per qualche secondo in silenzio dall’altro capo del telefono, per poi rispondere esitante. “Nessun motivo in particolare, stavo soltanto...controllando.”

Di nuovo un silenzio imbarazzato. Non è normale, non è normale affatto, e John si chiede se non sia il caso di rimettersi le scarpe e tornare alla libreria per assicurarsi di persona che sia tutto okay. Perché quando è stato reclutato da Finch, Reese non ha trovato solo un lavoro, ma un luogo da chiamare casa anche se è soltanto una biblioteca buia e polverosa e delle persone da chiamare famiglia anche se sono degli estranei. Ed è pronto a proteggere tutto questo ad ogni costo, fino alla fine dei suoi giorni.

“Hai bisogno di qualcosa, Finch? Posso essere lì tra dieci minuti se…”

“Buonanotte, Mr. Reese.”

La telefonata si interrompe all’improvviso, senza alcuna risposta.

John sussurra nel vuoto della sua stanza, “Buonanotte, Harold.”

 

“In the midst of all this darkness, I sacrifice my ego.”

 

Harold Finch ha imparato ad apprezzare la solitudine, ad usarla come uno scudo contro il dolore e la perdita. Per non preoccuparsi mai più di nessuna persona in particolare, aveva deciso di preoccuparsi di tutti. Eppure, nonostante la segretezza, le cose non dette, il suo essere così distaccato, è successo di nuovo. Qualcosa è cresciuto dentro di lui quando più tentava di combatterlo. Non è riuscito a proteggere suo padre, non è riuscito a proteggere Nathan, è riuscito a proteggere Grace solo a costo della sua felicità, solo facendola vivere da vedova per il resto della sua vita. Non può sopportare il pensiero che anche a John accada qualcosa di terribile per colpa sua. E a pensarci bene è una contraddizione in termini, perché è stato lui ad affidargli il lavoro più pericoloso che esista. Non ha previsto le conseguenze su se stesso: il senso di impotenza che lo investe tutte le volte che il rumore di uno sparo gli rimbomba nell’auricolare, il nodo alla gola che lo soffoca tutte le volte che l’auricolare diventa un muto pezzo di plastica, e si è trovato a chiamare il nome di John invano, sperando che l’altro potesse sentirlo e fosse ancora vivo. È una difesa labile -  Harold ne è consapevole - ma è l’unica che ha. Non ha calcolato quanto si sarebbe affezionato a quell’uomo esattamente come non ha calcolato le possibili terribili conseguenza della sua Macchina.

Ma non c’è rimedio possibile: la città ha bisogno di John Reese. I numeri continuano ad arrivare, uno dopo l’altro, e dietro a ogni numero c’è la vita di un essere umano. Può solo continuare a fare la sua parte, anche quando, come quella sera, la paura si impadronisce di lui.

Uno squillo del cellulare lo fa quasi saltare sulla sedia, e si precipita a rispondere.

“Finch, sei sicuro che stai bene?”

John l’ha richiamato dopo qualche minuto appena, evidentemente preoccupato dopo quella strana telefonata e le sue non-risposte ben poco rassicuranti. Harold si maledice per averlo disturbato dopo una giornata come quella appena passata.

“Ovvio, Mr. Reese, non c’è assolutamente niente che non vada.”

Una vocina dentro la sua testa gli ricorda che aveva promesso a John che non gli avrebbe mai mentito, e le labbra gli si stringono in una smorfia di dolore.

“Se ci fosse qualcosa di cui hai bisogno me lo diresti?” Il tono di John è un po’ scettico e un po’ fiducioso, e Harold non se la sente di mentirgli di nuovo. Non ci riesce.

“Se fosse qualcosa di urgente e fondamentale assolutamente sì, Mr. Reese. Ma al momento ho soltanto bisogno che ti riposi prima che arrivi un altro numero. Non possiamo permettere che ci colga impreparati.”

“Mmh.” Reese non sembra affatto convinto, ma deve aver capito che è inutile insistere. “Ci vediamo domani, quindi?”

Harold sente che l’offerta di correre da lui per assicurarsi che tutto vada bene è ancora lì, implicita ma valida più di prima. Potrebbe egoisticamente dirgli di sì, ma ormai non c’è più nulla di egoista in ciò che fa da tantissimo tempo. È la punizione che si è autoinflitto, e non può tornare indietro.

“Sì, a domani.”

Reese gli dà qualche secondo ancora per ripensarci, ma non ottiene altro che silenzio. “Buonanotte di nuovo, allora.”

“Buonanotte, John”. Harold si prende la libertà di chiamarlo per nome, indugiando un po’ troppo a lungo sul suono di quelle quattro lettere. Poi si alza lentamente, spegne le poche luci della biblioteca prima di uscire, e, a passo lento e faticoso come al solito, si avvia verso casa, rassegnato all’ennesima notte in bianco.

 

“And the night is takin' over.”


 





Questa breve one-shot è nata come flashfic nell'ambito del Drabble Valentine's Day del gruppo Facebook We are out for prompt (da un prompt di Balder Moon - che era la canzone "It's on again"- fuso con un prompt di Glass Heart). Grazie a chiunque si sia fermato a leggere.

 
   
 
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