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Autore: La Tigre Blanche    20/02/2015    11 recensioni
[GerIta | Accenni Spamano]
"Stava per dirigersi in camera sua (la prima porta a destra) quando lo sguardo ambrato fu catturato da una luce fioca e sospetta proveniente dalla camera di suo fratello (accanto alla sua), la cui porta era stata lasciata solamente accostata. Alzò un sopracciglio castano, pensando che probabilmente quel rincoglionito del fratello si era di nuovo addormentato con la luce accesa. Sbuffò piano, mentre con un paio di piccoli passi raggiungeva l’entrata della stanza del consanguineo. Aveva alzato un braccio, la mano a pochi centimetri dalla maniglia, quando udì un suono strano. Corrugò la fronte, rimanendo immobile: pareva quasi un lamento, basso e roco, troppo caldo e virile per appartenere a suo fratello. Si percepì uno schiocco umido al di là del legno, simile a quando si ha la bocca impastata di crema e si schiocca la lingua per evitare che questa si appiccichi al palato, solo più… voluttuoso."
Genere: Commedia, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Spying'
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Romano sospirò, stringendosi nel cappotto blu e sprofondando il volto arrossato nella sciarpa, mentre tentava di inserire la chiave nella toppa, le mani tremanti dal freddo. Appena la serratura scattò, svelto afferrò il manico del trolley, varcando la soglia di casa e richiudendo la porta dietro di sé. Rabbrividì per l’ennesima volta, spogliandosi del cappotto e della sciarpa che attaccò all’appendiabiti con movimenti rapidi e stizzosi: odiava l’inverno, odiava quando il freddo si infilava sotto i bordi del cappotto, congelandoti la spina dorsale, ma soprattutto odiava le precipitazioni invernali, dalla pioggia incessante alla rumorosa grandine.
L’italiano appese anche il borsello, frugandoci poi dentro e tirandone fuori un insieme di carte. Guardò irritato il biglietto del volo per la Spagna che aveva appena perso, sbuffò e lo accartocciò con rabbia, lasciandolo poi cadere per terra. Spostò lo sguardo sull’orologio appeso alla parete: mezzanotte e quindici; a quell’ora doveva essere già sul fottuto aereo diretto a Madrid, se solo non fosse stato così dannatamente idiota da addormentarsi sulle sedie della sala d’attesa, con le cuffie nelle orecchie e il volume della musica che sovrastava quello dei pensieri. Era stato svegliato da un’inserviente bionda, che, con aria annoiata, gli aveva fatto notare con una nonchalance disarmante di aver perso il proprio volo.
Dopo aver tirato un paio di bestemmie irripetibili, aveva chiamato il bastardo spagnolo per avvertirlo e se ne era ritornato a casa, incazzato come una iena e infreddolito fino al midollo. Si tolse le scarpe – non aveva voglia di svegliare Feliciano e di sorbirsi uno dei suoi sproloqui serali – e, poiché aveva preferito non accendere la luce, si incamminò a tentoni per il corridoio, attento a non far scricchiolare le assi del pavimento del parquet. Salì lentamente le scale, guardandosi in torno e stando ben attento a non inciampare. Stava per dirigersi in camera sua (la prima porta a destra) quando lo sguardo ambrato fu catturato da una luce fioca e sospetta proveniente dalla camera di suo fratello (accanto alla sua), la cui porta era stata lasciata solamente accostata. Alzò un sopracciglio castano, pensando che probabilmente quel rincoglionito del fratello si era di nuovo addormentato con la luce accesa. Sbuffò piano, mentre con un paio di piccoli passi raggiungeva l’entrata della stanza del consanguineo. Aveva alzato un braccio, la mano a pochi centimetri dalla maniglia, quando udì un suono strano. Corrugò la fronte, rimanendo immobile: pareva quasi un lamento, basso e roco, troppo caldo e virile per appartenere a suo fratello. Si percepì uno schiocco umido al di là del legno, simile a quando si ha la bocca impastata di crema e si schiocca la lingua per evitare che questa si appiccichi al palato, solo più… voluttuoso.
- Ti piace, Ludwig?-
Romano si congelò sul posto, gli occhi fissi nel vuoto e le membra rigide, mentre un oscuro e maligno pensiero si insinuava nella sua testa. Batté un paio di volte le palpebre, come ad assicurarsi di non trovarsi in un terribile incubo, magari sperando di essersi sognato tutto, di essere crollato sul pavimento dell’atrio in preda ad un attacco di narcolessia.
- Gh—Feliciano, cosa ti ho detto riguardo questo tipo di domande?-
Il Sud Italia deglutì a vuoto, reprimendo quel senso di nausea che l’aveva colto. No, no no. No. Non riusciva semplicemente a concepire il pensiero che, a meno di tre metri da lui, suo fratello – quell’irresponsabile, scimunito e rincoglionito di suo fratello – e il crucco stessero scopando.
- Rispondimi- Oh dei, da quando suo fratello parlava con quel tono autoritario? Romano si accorse che le proprie mani avevano iniziato a tremare impercettibilmente. Se le strinse, mandando giù un consistente groppo di saliva. Alla domanda del norditaliano seguì una pausa, costellata da ansimi trattenuti a stento.
- S-sì.-
Era curioso, tremendamente curioso di sapere ciò che Feliciano e Germania stessero combinando là dentro. Che poi, come c’era arrivato il crucco in casa sua? Dio, non dirmi che quei due si erano organizzati…
 Il maggiore dei Vargas si mordicchiò indeciso il labbro inferiore, guardandosi in torno come ad assicurarsi che non ci fosse nessuno, sentendosi poi incredibilmente stupido per quel gesto – come poteva, d’altronde, esserci qualcun altro? Romano era irrequieto, l’idea di spiare quei due lo disgustava e lo allettava allo stesso tempo. Sapeva che sarebbe stato scorretto nei confronti di Feliciano e che se l’avesse scoperto probabilmente non gli avrebbe parlato per un’intera settimana – ok, di sicuro il fratellino non avrebbe resistito neanche due ore, ma, suvvia, in quella situazione imbarazzante chi non avrebbe esagerato nemmeno un po’, magari per convincersi che origliare non sarebbe stata una buona idea e che forse avrebbe dovuto—
Un gemito roco s’infranse nell’aria.
…Oh, ‘fanculo! Una sbirciatina non aveva mai fatto male a nessuno, giusto? Giusto!
Imbarazzato e incuriosito, Romano avvicinò lo sguardo a quella fessura tra la porta e lo stipite, allargandola leggermente per avere una visuale migliore. Occazzo
In quel momento Romano Lovino Vargas avrebbe voluto essere un mortale, giusto per avere il gusto di morire, risorgere e morire di nuovo alla vista di quella fottuta scena.
Ludwig – il crucco – era seduto scompostamente sul letto di Veneziano, gli occhi chiusi e il capo inclinato all’indietro. Alcune ciocche biondastre gli ricadevano mollemente sulla fronte; aveva le guance rosee e le labbra sottili e umide di baci schiuse appena, pronte a frenare un gemito improvviso. Il torso era coperto – o era meglio dire scoperto – da una camicia chiara, sbottonata abbastanza da far intravedere il corpo statuario del tedesco.
Romano – gran masochista, quel giovane – fece scorrere lo sguardo più in basso, sussultando non appena riconobbe la schiena nuda di Veneziano, inginocchiato ai piedi di quel cazzo di fottutissimo crucco mangiapatate. Gli tremarono le ginocchia, completamente in balìa di quell’immagine che, ne era certo, gli avrebbe generato incubi della peggior specie per almeno una settimana. Impotente, lo spettatore si accasciò lentamente a terra, una mano aggrappata al cavallo dei pantaloni, l’altra artigliata allo stipite della porta; gli occhi ambrati, spalancati all’inverosimile, erano piantati sulla testa bruna del fratello, che continuava a muoversi ritmicamente.
Avanti e indietro, avanti e indietro.
Per un momento Romano pensò seriamente di alzarsi, fare irruzione in camera, dare un ceffone al fratello e calciare via il crucco come un pallone da calcio – e l’avrebbe certamente fatto, se solo non si fosse accorto del piccolo problema che si stava creando in mezzo alle gambe. Soffocò un mugolio frustrato, serrando le cosce, per poi guardare impotente Feliciano che, alzatosi da terra e mostrandosi in tutta la sua impudica nudità, si dirigeva verso il comodino, tirando fuori una boccetta di lubrificante e un pacchetto di profilattici.
Romano, però, non fece caso né a quegli oggetti, né allo sguardo famelico che Germania aveva lanciato alle gambe tornite di Italia Veneziano. Infatti, tutta la sua concentrazione era stata attirata da quell’affare a dir poco enorme che il suddetto crucco aveva bene in vista tra le gambe.
Deglutì.
Lo paragonò a quello di Antonio.
Deglutì nuovamente.
Merda.
Così Romano, ferito nell’orgoglio e sprofondato in uno stato avanzato di depressione (realizzare che i Wurst erano più grossi dei churros era stato un trauma), si rialzò a fatica, risoluto più che mai a salvare il fratello da quella bestia famelica che, come minimo, gli avrebbe impedito di sedersi per un mese. Fermo nella sua decisione, fece un lungo sospiro – doveva ancora riprendersi del tutto – per poi afferrare la maniglia della porta con determinazione, stringendola così tanto da far sbiancare le nocche. Stava per spalancare la porta e gettarsi addosso a quello stupratore di fratelli per farlo rimpiangere di essere nato, quando accadde la cosa più improbabile che potesse succedere in un momento del genere: gli squillò il cellulare.
“Capa-sound con la rabbia che c’è nell’aria tipo: ‘Ehi, ho la maglia di Che Guevara e vado a Casa Pound!” strimpellava l’I-phone a tutto volume. Romano imprecò a voce bassa, afferrando il telefono con stizza, per poi rispondere:
- Pronto?- si allontanò di un paio di passi dalla porta schiusa, dando le spalle ad essa.
- Romanito!- Eh, ma vaffanculo!
- Antonio, che cazzo vuoi ora?-
- Ma come, Romanito! Volevo solo sapere se eri arrivato a casa!-
- Sì, sì, ora, se non ti dispiace, vado a salvare mio fratello da quel cazzo di crucco!- sibilò, il piede che aveva iniziato a battere ritmicamente a terra. Spagna di rimando sbuffò:
- Ancora? Dovresti lasciarli in pace, insomma, tuo fratello è libe
- Mio fratello un corno! Ma l’hai visto quel coso quant’è grosso?!- Si morse la lingua: merda, aveva parlato troppo!
- …Quel “coso” cosa?- Romano sbuffò, bestemmiando a denti stretti. Guardò verso il soffitto, poi si passò irritato una mano tra i capelli, poi abbassò nuovamente lo sguardo.
- Il… il coso! Insomma, quello là c’ha la Colonna Traiana in mezzo alle gambe—
- Romano! Non li stavi mica spiando, vero?!- Ecco, lo sapeva. Trasalì, colto con le mani nel sacco.
- Ngh—No, ma che… oh, senti, ti devo lasciare, ciao ciao baci baci!-
- Aspetta, Roma— prima che potesse aggiungere altro, l’italiano aveva già attaccato e riposto il cellulare nella tasca dei pantaloni.
...
- Colonna Traiana, eh?-
*
Lo schiaffo di Feliciano bruciava ancora. Romano sprofondò tra i cuscini del divano, la borsa del ghiaccio premuta sulla guancia arrossata e dolorante, mentre alzava il volume della televisione, nella speranza di coprire i gemiti lascivi che provenivano dal piano superiore. A quanto pareva quei due avevano ripreso da dove erano stati interrotti.
Sbuffò, irritato e umiliato: - Che poi, Colonna Traiana…- borbottò, corrucciandosi, guardando svogliatamente un programma sul ciclo riproduttivo delle mantidi religiose.
“ Ah, mh, Ludwig!” gemette Feliciano dal piano di sopra.
Romano respirò a fondo, chiudendo gli occhi e cercando di eludere qualsiasi rumore che non fosse quello della tv:
- …Colonna Traiana ‘sta minchia.-
 
 


 

Angolo della tigre:
 Ve, se siete arrivati fin qui, allora grazie! uwu Spero vi sia piaciuta, e se devo alzare il rating/inserire l’avvertimento OOC, basta che me lo dite! ^^ E non abbiate paura a recensire, mi raccomando, eh!
Ps: Se vi è piaciuta questa storia, non esitate a leggerne il seguito! --> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3290981&i=1

 
   
 
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