Fandom: GoT
Pairing: Arya/Gendry.
Prompt: Modern!AU, Arya va di nascosto a farsi fare un tatuaggio, Gendry
è un tatuatore alle prime armi. Appena lo vede, la ragazza decide che forse il
tatuaggio lo vuole subito sopra l'inguine. (le mie nozioni di anatomia sono
abbastanza pessime: per capirsi, giusto sopra il bordo delle mutande.) La cosa
mette tremendamente a disagio il malcapitato, che forse troppo malcapitato non
è.
Titolo: Muses and
Needles
Parole: 780
Note: I loved it! Grazie
per questo bellissimo prompt *^*
“Lo voglio qui.”
Mi è uscito di bocca senza esitazione, sono fiera di me. Non mi tremano né le
mani né la voce mentre alzo il bordo della maglietta.
Saranno i Muse in sottofondo che mi danno la carica, ho talmente tanto caldo
che il lettino freddo sotto di me non lo sento nemmeno.
Il tatuatore fa una leggera pausa, prima di annuire e distogliere lo sguardo
velocemente dal bordo delle mie mutande. Ha dei bellissimi occhi blu, ancora
più belli da vicino.
Ha già i guanti e tutto, macchina in mano e pronta a colpire.
“Mi piacciono gli aghi,” gli dico, che non si sa mai. Magari uno pensa che una
nana come me si spaventi per le cose appuntite, e non è così. “Quindi non ti
fare problemi.”
“A-ha,” inarca un sopracciglio, come se non fosse convinto. Come se avesse visto
milioni di persone arrivare baldanzose e poi piangere non appena l’ago tocca la
pelle.
Si dovrà ricredere su di me, perché non sono così. Sansa, sicuramente, anche se
ha già tre tatuaggi. Se li è fatti per quella bestia del suo fidanzato
motociclistica, ma tanto lo so che ha pianto come una bambina. Me l’ha detto
zio Petyr, e lui sa sempre tutto.
“Sono seria,” ribadisco. “Anzi, gli aghi sono la mia specialità. Mi sono fatta
tutti i piercing da sola.”
“Ma davvero,” commenta, piatto, mentre mi stende qualcosa sulla pelle – odora
di disinfettante.
“Davvero. E il tuo?”, punto il dito al cerchietto che porta al labbro. Che
attira come una calamita, tra le altre cose.
“Me lo sono fatto da solo, ma è il mio lavoro. Ora sto per
cominciare. Sta’ ferma, ok?”
“Ok.”
La macchinetta comincia a ronzare e l’ago comincia a bucare. Non fa male.
Punzecchia.
Ok, un pochino fa male, ma è sopportabile.
“Ti piacciono i Muse?”, mi chiede di punto in bianco.
“Mh?”
“Stai canticchiando la canzone.”
“Ah, beh… sì. Alla gente che viene qui dentro piace, di solito, no?”
“Non proprio. Troppo fighetti per loro,” non distoglie mai lo sguardo dalle sue
mani mentre parla. Peccato. “Conoscono solo i singoli più famosi, comunque.”
“E io stavo cantando qualcosa che non è Time is Running Out, capito.”
“Esatto.”
Non aggiunge altro. Il silenzio si protrae ancora un po’.
“Si da’ il caso che Absolution sia il mio album preferito, comunque.”, gli dico.
Mi piace il suono della sua voce. E potrei parlare per ore di musica – tanto
non è che abbia altro da fare per un po’, no?
“Miglior canzone?”
“Dell’album o in generale?”
La domanda gli strappa un sorriso. “Ho la sensazione che sarebbe una
conversazione molto lunga se dovessimo parlare in generale.”
“Giusto. Di Absolution… Stockholm Syndrome.”
Si sposta leggermente, muovendo la sedia con le ruote per fare qualsiasi cosa
stia facendo leggermente più a destra. Ho deciso di guardare il soffitto – o
lui – per non rovinarmi la sorpresa fino alla fine.
“Banale. Prevedibile,” commenta, piatto.
“Mi stai prendendo per il culo?”
Alza lo sguardo su di me per farmi un sorriso di quelli grandi – di quelli che
spingono le persone a entrare dentro un negozio e farsi un tatuaggio solo per
vederlo. “Solo un po’.”
Alzo il dito medio, e lui torna al lavoro. Ci mette un po’ a smettere di
sorridere, però.
“Qual è la tua preferita, allora?”
“Non è ovvio?”
“Se lo fosse, te lo starei chiedendo? Cosa sei, idiota?”
“Ti voglio ricordare che il futuro della tua pellaccia è nelle mie mani, al
momento.”
“Fanculo. Giusto. Allora, qual è?”
“Hysteria.”
“Banale, prevedibile.”
Sorride di nuovo. Potrei anche abituarmici, peccato che non mi abbia guardato
stavolta. Sono invidiosa del lavoro che sta facendo sul mio stesso corpo. Devo
essere scesa a un nuovo livello di pazzia.
Il silenzio scende di nuovo. Cerco nella mia mente qualcosa da dirgli, ma non
viene niente. Non posso usare di nuovo la scusa dei Muse…
“Perché ti stai facendo questa cosa?”, mi chiede, sorprendendomi in mezzo alla
riflessione. Ho come l’idea che anche lui stesse cercando qualcosa di cui
parlare, perché davvero… è un argomento idiota di cui parlare. E lui è il
tatuatore di professione, lo sa che non gliene frega mai un cazzo a nessuno.
“Vuoi sapere perché mi sto facendo tatuare un lupo sopra le mutande?”
Ridacchia. “Sì, lo voglio sapere.”
Potrei dirgli la verità. Potrei dirgli che sono mesi che passo davanti a questo
posto in cerca di un motivo per entrare. Potrei dirgli che non potevo chiedere
una cosa idiota come una farfalla e che quindi avevo speso giorni a pensare e
ideare il tatuaggio perfetto.
Ma non lo faccio.
“Perché mi piacciono davvero tanto i lupi,” rispondo. E in gran parte, è anche
la verità.