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Autore: drawandwrite    20/02/2015    0 recensioni
Un racconto in prima persona di una ragazza ribelle e particolare che si trova ad affrontare il noioso "Bon Ton" della prestigiosa scuola Toussand. Ma, attenzione, perché sono passate solo quattro settimane dall'inizio dell'anno scolastico quando un evento particolare colpirà Kyla, stravolgendole la vita una volta per tutte e scaraventandola nella vita di sette ragazzi che nascondo un terribile segreto. Kyla non desidera problemi, ma presto due occhi magnetici la coinvolgeranno più di quanto lei non voglia.
Genere: Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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La sveglia scatta e irrompe nell’accogliente tenebra del sonno, strappando la mia mente dall’unico luogo in cui si può permettere di oziare.
Non apro gli occhi. Le palpebre mi bruciano e la testa mi pulsa in un’emicrania davvero fastidiosa. Credo di essere disidratata.
Allungo una mano e metto a tacere quell’insistente squillo acuto, solo per ritirarmi nel caldo delle lenzuola e voltarmi sull’altro lato.
Non andrò a lezione.
Non oggi.
Mi sento spossata. E non voglio vedere in faccia nessuno di loro. Non quando i fatti sono ancora così freschi e dolorosi; anche se non credo che la faccenda si richiuderà molto presto.
Ma oggi non posso farcela.
Oggi voglio solo concedermi una giornata di riposo, e forzare la mia testa a scivolare nella quieta incoscienza del sonno.
 
È passata una settimana.
Sette lunghi giorni in cui consumo i pasti fuori dalla mensa. In cui tutto mi sembra così vuoto e monotono da darmi una nausea persistente. Sette giorni  in cui ho il terrore di avventurarmi per i corridoi della Toussand, temendo di scorgere anche solo uno di loro.
Non so come comportarmi.
So solo che se ci penso sto male.
Mi alzo, i capelli scostati disordinatamente di lato, e consegno il test in bianco. Non sono nemmeno in grado di studiare, di impegnarmi. Non trovo nulla per cui valga la pena entusiasmarsi.
È vero: è passata una settimana. Dovrei reagire; lasciarmi semplicemente trascinare dal ritmo della mia esistenza, sopravvivendo più che vivendo, è il modo peggiore di accettare la situazione.
Ma forse, in fondo, non l’ho affatto accettata.
Esco dalla classe in un silenzio di tomba, rotto solo dallo scribacchiare frenetico dei miei compagni che si danno da fare per riempire lo stesso foglio che ho riconsegnato intatto.
Sospiro.
È curioso come in realtà io non stia provando dolore, rabbia né frustrazione.
Solo una sensazione vuota nel petto.
Una voragine incolmabile che si divora qualsiasi emozione e pensiero.
Maledizione.
Mi dirigo in camera mia a capo basso, getto libri e materiale sul letto sfatto con noncuranza e semplicemente mi lascio cadere sul parquet lucido della stanza.
Sul comodino, la custodia istoriata che contiene il pugnale è immersa nella penombra, lucida e immune dal pulviscolo, come se nemmeno il tempo volesse avere a che fare con lei.
Accanto, una pila di lettere di mia madre cresce a dismisura.
Sono disordinate, abbandonate lì come cartacce che crepitano di tanto in tanto nel silenzio fermo della sala. Le ultime non le ho nemmeno aperte. Non ho scritto nessuna risposta, non mi sono fatta sentire, non ho dato notizie.
Perché odio le apprensioni esagerate di mia madre. Odio quando si fa così protettiva da diventare quasi soffocante.
Eppure ora mi sento una bambina smarrita, una bambina che ha bisogno di protezione materna.
È con  rapidità, quasi bisogno che compongo il numero di telefono.
-Pronto?-
La sua voce è così calda e dolce.
-Mamma- mormoro in risposta.
-Tesoro!- si anima lei –Finalmente sento la tua voce!-
-Mi dispiace, sono stata … impegnata-
Ride. Una risata morbida che non credevo mi sarebbe mai mancata tanto.
-Non importa. Allora, come stai?- domanda, entusiasta.
schiudo le labbra, esito un secondo di troppo.
-Bene- sussurro, mascherando il tremito nella mia voce.
Mia madre si concede un istante di silenzio prima di rispondermi –Sei sicura?-
Quasi mi scappa un sorriso amaro. Il fiuto di mia madre non sbaglia mai. Nemmeno tramite telefono.
-Sì. E tu?- ribatto prontamente.
-Oh, qui è tutto come al solito: nessuna novità. Spero che almeno tu non stia annoiando, laggiù-
-No- sospiro con amarezza. No, il movimento qui proprio non manca.
-Kyla, sei sicura di stare bene?- indaga mia madre, e posso vederla ,come se fosse proprio qui di fronte a me, corrugare le sopracciglia con quella sua aria da detective.
-Sono solo stanca- mi schermisco io.
-lo studio è tanto, vero?- mi risponde, la voce ammorbidita e comprensiva –Cerca solo di non esagerare, ti conosco e so che tendi a sfinirti per dare il massimo-
-Mamma- la voce mi trema, gli occhi mi si riempiono di lacrime. Ho davvero creduto di potermi comportare da persona adulta? Credevo di essere matura, indipendente, di potermela cavare da sola. E invece sono distrutta, non faccio che piangere come una stupida ragazzina.
-Cosa c’è che non va, Kyla?- Ora il suo tono è preoccupato, ma sempre dolce.
-È un brutto periodo. La scuola non va bene, le delusioni sono tante- confesso, glissando  su una parte della verità. La più importante.
-Non ti devi preoccupare, tesoro-mi risponde lei, comprensiva –Un brutto voto a scuola non è la fine del mondo. Sono sicura che recupererai, sei sempre stata testarda, so che non ti arrenderai nemmeno stavolta-
-Non ce la faccio- sussurro, passandomi una mano fra i capelli.
-È un momento di sconforto, è normale. Andrà tutto bene, vedrai- mi incoraggia.
Purtroppo non è così semplice. Niente tornerà come prima.
Rimango in silenzio, non rispondo. Ricaccio indietro le lacrime: Odio ogni mio momento di debolezza.  
-Kyla, hai bisogno di staccare la spina per un po’. Perché non chiedi qualche giorno di riposo? Se non sbaglio gli studenti della Toussand hanno diritto a sette giorni di riposo giustificati l’anno. Torna a casa per un po’, riposati-
Mi mordicchio le labbra, nervosa.
Non è una cattiva idea, a dirla tutta.
Andarmene da qui mi aiuterà a snebbiare la mente, e smettere di vederli ogni giorno non potrà che farmi bene.
-D’accordo- rispondo, e subito m sento rinfrancata, come se avessi tratto una boccata d’aria fresca.
Sarei tornata a casa. Dalla mia famiglia.
Qualche giorno per vivere come una persona normale e dimenticarmi di tutto ciò che succede qui fuori, nel mondo.
-Va bene- mia madre sembra colta alla sprovvista. Probabilmente non si aspettava che avrei accettato. Di norma rifiuto tutte le occasioni per allentare la presa sulla scuola o per riposarmi un po’. Ha ragione lei, sono sempre stata un’inguaribile testarda.
Ma ora sono al limite. Ora da sola non ce la faccio.
Voglio scappare. Fuggire dalla Toussand e dai problemi di sangue che contiene, dimenticare anche solo per un po’ i tormenti di questi mesi.
-Allora chiamami quando avrai scelto i giorni in cui tornare. Sarò qui ad aspettarti- Continua lei, felice.
-Certo. Ti chiamo io-
-Ci vediamo, Kyla-
-Mamma?- la fermo, prima che potesse chiudere la chiamata.
-Si?-
-Ti voglio bene-
L’ho colta di nuovo in contropiede.
-Anche io-
 
Mi chiudo la porta della segreteria alle spalle con un mezzo sospiro di sollievo.
Bene. È fatta.
Settimana prossima tornerò a casa per tre giorni. Semplicemente me ne andrò, sparirò per un po’ e forse avrò l’occasione di stare davvero bene, di riavvolgere il nastro del tempo e tornare bambina.
La verità è che sono esausta; tutti gli avvenimenti che mi sono franati addosso mi hanno schiacciata, e le pressioni e gli sconvolgimenti sono stati più grandi di me.
Mi passo una mano fra i capelli sciolti e faccio per andarmene quando il mio sguardo incespica su una fessura di luce, una porta socchiusa. È il laboratorio di musica: gli studenti della prestigiosa scuola Toussand hanno l’opportunità di scegliere tra una vasta gamma di passatempi classici, tra i quali il ricamo, corsi di lingue straniere e, appunto, la musica.
Qualcuno sta suonando, e anche bene, a dirla tutta. È una musica triste, che quasi mi contagia di malinconia. Le note sono lunghe e acute, il passaggio di tono è morbido e più ascolto più il vibrante suono assomiglia al canto umano.
Chiunque stia suonando sa davvero trapassare carne e abiti e toccare le corde dell’anima.
mentre cammino, lo sguardo non può evitare di intrufolarsi per quel piccolo scorcio luminoso, ma ciò che vedo non fa che peggiorare il mio umore, colpendomi come un maglio dritto nello stomaco.
lì dentro c’è Marine. I lunghi capelli cenere che le si srotolano come un lungo tappeto sulla schiena, e la guancia morbidamente abbandonata ad un sottile violino color ebano.
Ha le palpebre morbide, gli occhi chiusi e le labbra rilassate, ma una sottile piega malinconica le si è insinuata nel volto dolce.
Già, sembra che lo stato d’animo sia lo stesso per tutti, qui dentro.
Di fronte a lei, slanciato e composto, c’è Elijah. Il suo profilo affilato è volto alla finestra e sembra distratto, fuori dalla realtà. Anche lui ha un’aria malinconica negli occhi tenebrosi, e le sue labbra sottili sono contratte in un’espressione tesa.
Indugio un secondo di troppo su quella lama di luce, su quella finestra che sembra affacciarsi in un altro mondo e che, sebbene piccola, riesce a farmi davvero male.
È orribilmente struggente essere tenuti a distanza, obbligati al ruolo di spettatori impotenti. Osservare le vite delle persone che ami senza poter fare nulla.
Proprio in quell’istante, come se avesse avvertito i miei occhi sulla sua nuca, Elijah si volta e, in una frazione di secondo, i nostri sguardi si incrociano.
Rapidamente volto il capo e riprendo a camminare, stringendo i denti.
Perché ormai, dannazione, mi è chiaro cosa lui sia per me. Mi è chiaro ora, proprio quando l’ho perso.
 
Elijah socchiude le palpebre.
È stato solo un secondo. Una breve sprazzo di vita, sufficiente a rinfacciargli la sua colpa come uno schiaffo impietoso.
Erano giorni che di Kyla non vedeva nemmeno l’ombra, e ora, del tutto inaspettatamente, quegli occhi caldi e glaciali al contempo compaiono sulla soglia della porta, all’ombra, sfuggenti come quelli di un animale selvatico.
E poi spariscono, così come sono comparsi.
Elijah sospira.
Quello che le ha fatto è orribile. Le ha permesso di scivolare nella loro vita lentamente, di trovarvi un equilibrio, ma quando vi è rimasta intrappolata l’ha dovuta gettare fuori e innalzare scudi e barriere per impedirle di farvi ritorno.
È orribile. Ma è l’unica soluzione.
Elijah ha perso il controllo, ha ceduto alla sete. E non può permetterselo, non ora: ora deve solo concentrarsi sul suo gruppo, deve guidarlo il più freddamente possibile e tentare di limitare al minimo i danni che una possibile guerra potrà scatenare. Per farlo deve essere nel pieno delle sue capacità fisiche e facoltà mentali.
Inoltre stare vicino a Kyla sarebbe pericoloso per la sua vita e lui le ha già inflitto abbastanza dolore. La cosa migliore adesso è tentare di scivolare via dal suo mondo, lentamente, e permetterle di incamminarsi per un’altra via.
Il ragazzo si porta una mano al collo, contrendo la mandibola.
È la cosa migliore.
Anche se è dolorosa. 
  
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