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Autore: Evee    21/02/2015    1 recensioni
Talvolta, può accadere qualcosa d'imprevisto che sconvolge i tuoi piani. Normalmente si tratta di un caso isolato, ma se così straordinario da determinare un cambiamento si ripeterà ancora, fino a trasformare l'eccezione in regola. E, allora, può essere che si inizi a guardarlo con occhi diversi, e che col tempo si arrivi persino ad amarlo.
§ storia partecipante allo “Slice of life contest!” indetto da MistyEye sul forum di EFP § dal testo di ciascun capitolo: Lo conosceva, anche se non riusciva a ricordarsi chi fosse... ~ Aveva bisogno di capire chi fosse davvero quella ragazza, per poter decidere quale ruolo voleva rivestisse nella sua vita. ~ Lui era un panorama di cui non si stancava mai. ~ Quegli occhi, erano talmente meravigliosi che le sarebbe bastato un solo sguardo, per conquistarlo. ~ Assurdo: si era innamorata di un riflesso. ~ Lei, desiderava averla ogni giorno con sé. ~ La sua vera voce suonava calda ed affettuosa, proprio come si era tanto immaginata. ~ La lasciò a malincuore, ma gli sarebbe così piaciuto poter trattenere ancora quella mano nella sua, scaldarla per sempre. ~ “Ci siamo già conosciuti, ricordi?” § blueshipping §
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kisara, Seto Kaiba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~ da quel giorno in poi

 

“Esistono molte cose nella vita che catturano lo sguardo,
ma solo poche catturano il tuo cuore:
segui quelle.”

Winston Churchill

 

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from his view ~

 

And stay there as I whisper
how I loved your peaceful eyes on me
Did you ever know
that I have mine on you?

 

Incominciò tutto quel giorno, che non avrebbe mai dimenticato.

Era il 3 di ottobre, un lunedì. D'altronde, quando si trattava di memorizzare una data importante, era infallibile. Doveva esserlo e lo era diventato, per potersi organizzare sul lavoro. Aveva un'agenda, un assistente ed una segretaria a ricordargli i suoi impegni, tuttavia non sempre poteva consultarli e dunque fare affidamento soltanto su di loro.

Quel giorno in particolare, l'incombenza principale da sbrigare e che l'aveva tenuto impegnato per gran parte del pomeriggio era un convegno universitario, cui era stato invitato a partecipare in qualità di relatore. Lusinghiero, ma alla fine si era rivelato noioso come tutte le altre volte che gli avevano chiesto di presenziare ad eventi simili. Ciononostante, ogni tanto finiva per cedere alle periodiche, pressanti richieste della facoltà di Economia o di Ingegneria Informatica per mantenere dei buoni contatti con l'università di Domino, affinché in cambio gli segnalasse i suoi studenti più promettenti cui proporre stage o vere e proprie opportunità di lavoro, prima che aziende rivali potessero accaparrarseli o diventare loro stessi parte della concorrenza. Quanto agli altri, era sempre una piccola soddisfazione personale tenere lezione a gente con cui, fino a pochi anni prima, era stato costretto a condividere i banchi di scuola... metaforicamente parlando, s'intende. Il suo banco, non l'aveva mai condiviso con nessuno.

Comunque, non era questo il punto. Il vero motivo per cui quel giorno sarebbe rimasto impresso nella sua memoria anche in seguito non fu ciò che aveva fatto in quell'occasione, ma ciò che vi aveva visto.

Chi vi aveva visto.

Era appena uscito dall'aula magna assieme agli altri relatori, quando aveva intravisto in fondo al corridoio una ragazza di passaggio. Fu un caso, che proprio in quel momento si fosse voltato verso di lei, e fu questione di un attimo perché la notasse. Era distante un centinaio di metri, non abbastanza per distinguerne i lineamenti, però la riconobbe. O almeno così gli parve, nell'accorgersi di quanto candidi e luminosi fossero i suoi capelli.

Il suo cuore si fermò, trattenne il respiro, spalancò gli occhi.

Poi un riflesso involontario gli fece sbattere le palpebre, e come le riaprì lei era svanita. Per un secondo pensò ad un'allucinazione, ad uno scherzo del suo subconscio. Quello dopo decise che non voleva rimanere con quel dubbio a tormentarlo, e scattò fulmineo in quella direzione, piantando in asso i suoi interlocutori senza neppure congedarsi con un cenno di capo. Se ne dispiacque, ma solo perché avrebbe dovuto liquidarli molto prima.

Sbucò trafelato su un atrio così affollato di studenti che perse presto ogni speranza di ritrovarla. Erano in troppi ad ostruirgli la visuale, inoltre poteva essersi diretta da qualsiasi parte. E lui poteva essersi sbagliato.

Fece un rapido giro di perlustrazione nei paraggi guardandosi attorno, senza alcun esito. Perciò, si autoconvinse di aver soltanto preso un abbaglio. Anzi, non avendo proprio più ragioni per trattenersi in quel posto, poteva andarsene subito. E così fece, imponendosi di non ripensarci più.

Riuscì in questo suo proposito, ma solo fin quando non si ritrovò al di fuori dell'edificio. Allora si bloccò sulla scalinata d'ingresso, nello scorgere sulla strada la stessa ragazza di prima. Tempo un secondo, giusto quel che gli bastava per realizzare che non si trattava di un errore di percezione indotto da una mera somiglianza, e si era già lanciato al suo inseguimento. Questa volta di corsa, ben intenzionato a non perderla di vista una seconda volta.

Seguì così lo scintillio di quella chioma argentata fin dentro alla galleria della stazione metropolitana, a mezzo isolato di distanza dal campus. Al che lei accelerò l'andatura, costringendolo a tuffarsi con prepotenza tra la folla per riuscire a starle dietro. C'era una ressa allucinante, ma quella ragazza minuta vi passava attraverso con una fluidità a lui impossibile. Fino alla banchina gli riuscì comunque di mantenersi lungo la sua scia, che si affrettò a raggiungere la fermata di un suburbano già in attesa sui binari. Lo affiancò per tutta la sua lunghezza fino a raggiungerne l'estremità, ed infine vi salì sopra.

A quel punto si fermò ansimante, riguadagnando fiato a sufficienza per ossigenare il cervello e farsi un più che dovuto esame di coscienza, chiedendosi se quell'assurdo pedinamento non fosse già andato troppo oltre. Dopotutto, si trattava solo di una ragazza dai capelli bianchi come quelli di Kisara. Una caratteristica singolare, ma non così eccezionale. Non significava che dovesse trattarsi per forza di lei o, meglio, della sua reincarnazione...

Ma si dovette ricredere quando la vide prender posto nello scompartimento, e rivolse il viso verso il finestrino. Allora, non ebbe più dubbi: era assolutamente identica a Kisara. Due gocce d'acqua.

Attonito, si paralizzò sempre per la durata di un secondo, ma questa volta fu un secondo di troppo. Le porte del treno si chiusero all'improvviso davanti a lui e il mezzo riprese la sua corsa.

L'aveva perso, e con esso la sua occasione.

Benché non fosse affatto certo di come avrebbe dovuto sfruttarla, se ne rammaricò profondamente. Aveva smesso di credere alle coincidenze, almeno quando coinvolgevano la sua vita passata, per cui escludeva di essersi imbattuto in quella ragazza per puro caso. Proprio lei, degli oltre 7 miliardi di persone esistenti al mondo. Doveva esserci una qualche ragione, che a causa della sua titubanza non era riuscito a svelare.

Doveva rivederla ancora.

Questo fu il suo chiodo fisso per le ventiquattr'ore successive, cercando di venire a capo del problema di come fare a ritrovare una ragazza di cui non conosceva neppure il nome e non sapeva praticamente nulla, se non che verosimilmente studiava all'università di Domino e che utilizzava il treno per ritornare a casa. Cioè, come migliaia di altri studenti. Tuttavia, per quanto non fossero informazioni che l'aiutassero a restringere granché la sua ricerca, erano le sole di cui disponeva. Non gli restava che sfruttarle, per quel tanto che gli era possibile.

Fu per questo che il giorno seguente si risolse ad uscire dal lavoro mezz'ora prima e a tornare a casa non in limousine, ma prendendo lo stesso suburbano su cui l'aveva vista salire quello precedente. Di per sé come soluzione non gli era granché sconveniente: c'era una fermata proprio sotto la sede della sua società ed il tempo di percorrenza del tragitto era pressoché identico, eccettuato un breve tratto a piedi necessario a raggiungere la sua abitazione e che gli avrebbe solo offerto l'occasione per sgranchirsi un po' le gambe dopo le troppe ore trascorse seduto dietro la scrivania. Però nessuna di queste considerazioni valse a rendergliela gradita, ma soltanto sufficientemente tollerabile da poterla accettare, ed in via del tutto eccezionale.

Avrebbe potuto scrivere un trattato, sul perché odiava i mezzi pubblici.

In primo luogo, per l'intrinseca caratteristica che, per l'appunto, erano pubblici. Affollati di gente. Claustrofobici per il troppo assembramento umano che vi si accumulava quando l'offerta di spazio non riusciva a soddisfarne la domanda. Pieni di persone, di qualunque tipo e dunque anche della peggior specie, quella a lui più invisa: trasandata, chiassosa, maleducata ed invadente.

Secondariamente, erano scomodi, sporchi, maleodoranti, troppo caldi d'estate e troppo freddi d'inverno. Solo al pensiero di entrare in simili ambienti gli veniva il voltastomaco, e non riusciva a toccare nulla al loro interno senza temere il contagio di un qualche virus, ed ancor meno a prendervi posto senza poi desiderare farsi al più presto una doccia e bruciare all'istante i vestiti che vi aveva contaminato.

Terzo, erano inefficienti. Durante il tragitto insopportabilmente rumorosi e dissestati nell'andatura, fisiologicamente in ritardo nell'arrivare a destinazione. Sempre se la raggiungevano indenni, anziché essere colpiti da guasti, scioperi o cancellazioni varie ed eventuali. E lui non sopportava i fastidi di alcun tipo, né le perdite di tempo.

Per tutte queste ragioni, lui si spostava con i suoi mezzi di trasporto.

Ma, per quel solo giorno, avrebbe fatto uno strappo alla regola. Una volta, non di più. Non sarebbe mai sopravvissuto oltre, ed era disposto a fare giusto un tentativo, per lei.

Però, una volta salito sul mezzo, fu costretto a ricredersi. Era molto meno tragico di quanto si fosse prefigurato, con i dovuti accorgimenti: aveva scelto l'ultimo vagone, quello meno affollato, e si era seduto ad un posto sulle file più esterne e dunque lontane dagli altri passeggeri, ma non così esposto da esser molestato di continuo dal loro viavai attraverso le porte. Sembrava persino pulito, per quanto continuasse a non fidarsi abbastanza dell'igiene delle persone che avevano occupato in precedenza il sedile per arrivare ad appoggiarsi allo schienale. D'altronde non aveva bisogno di farlo, se stava piegato sul portatile. Se l'era portato apposta, per mettere a frutto la mezz'ora di viaggio che l'attendeva con qualcosa di più utile del guardare il panorama oltre il finestrino.

Però vi si affacciò quando, dopo un paio di fermate, il suburbano raggiunse quella nei pressi dell'università. Speranzoso, ma per nulla fiducioso di rivederla... ed invece, con suo enorme stupore, non solo la riconobbe sulla banchina, ma salì addirittura sul suo stesso scompartimento, gli si avvicinò e si sedette al posto corrispondente al suo.

Eppure, nonostante quest'incredibile fatalità, ne rimase deluso. Si era aspettato che accadesse quantomeno qualcosa, anche se non avrebbe saputo dire cosa. Era la ragazza cui era legato da millenni, ma vederla non gli provocò nessuna visione della sua vita passata, né lei diede alcun segno di riconoscimento. Anzi, lo guardò ancora meno di qualunque altro estraneo presente, rivolgendogli solo una fugace occhiata distratta...

Quando lui, invece, doveva sforzarsi per non farlo di continuo.

Contrariamente a quanto le apparenze davano ad intendere e la gente amava credere, infatti, lui si interessava moltissimo alle altre persone. Se dal suo comportamento questo non sembrava affatto, era perché in genere il suo interesse non durava più di una manciata di secondi. Gli bastava un'occhiata per vivisezionare l'aspetto altrui, studiarne i modi, decodificarne le parole, analizzando minuziosamente abbigliamento, gestualità e tono di voce. Senza peccare di superficialità, ma concentrandosi sulle caratteristiche predominanti in quelle che si trovava di fronte per poi catalogarle in base a come i tratti più salienti risultavano in linea con i suoi, in modo da sapere in anticipo se valeva o meno la pena di rapportarsi con loro e, di conseguenza, con quale atteggiamento relazionarvisi.

La stragrande maggioranza del suo archivio mentale era devoluta ad una miriade di file dalle dimensioni irrisorie, che non solo non desiderava ampliare ma a cui spesso non si preoccupava neppure di dare un nome, tanto li reputava insignificanti, per non dire fastidiosi. Li avrebbe volentieri cestinati, ma la prudenza gli consigliava di continuare a conservarli, in modo da riconoscerli con prontezza e poterli dunque evitare con altrettanta rapidità.

Erano gli scocciatori, i ruffiani, gli approfittatori.

In quanto tali li teneva ben distanti da sé, li etichettava con repulsione e li sbatteva senza troppi complimenti nel cassetto più squallido, perché non si facessero troppe illusioni, e lo chiudeva a doppia mandata, perché non provassero più a bussare insistenti alla sua porta in cerca di una raccomandazione, un lavoro, una promozione, un'intervista, un autografo, un prestito, un affare o qualunque altro tipo di favore. Quelli che volevano allungare i loro sporchi artigli su di lui per afferrare i suoi soldi, arrampicarsi sulla sua posizione. Che credevano bastasse toccarlo per diventare altrettanto famosi, venerarlo per entrare nelle sue grazie, avvicinarlo per imboccare una scorciatoia verso il successo.

Ma ancora più degradante era la collocazione che spettava ad un insieme di persone ben più numeroso, popolato da falliti, idioti e smidollati.

Con disprezzo venivano confinati ai piani più bassi, ma se non sapevano starsene al proprio posto allora non sprecava neppure del tempo ad ordinarli e li gettava a terra per umiliarli, per poterli calpestare qualora osassero di nuovo alzar troppo la cresta.

Se il primo gruppo era la feccia dell'umanità, quest'ultimo ne era la rovina.

Poi, chiaramente, c'erano anche delle classi più nobili ed elitarie, molto meno folte ma composte da voluminose cartelle. Quelle più fitte e dettagliate, aggiornate subito ad ogni nuova informazione, erano relative alle persone per lui più pericolose. Attuali rivali o potenziali nemici, concorrenti o sfidanti, non importava. In ogni caso con loro bisognava mantenere alta la guardia, pronti a difendersi da complotti, macchinazioni ed intrighi. Specialmente se astuti, falsi e manipolatori. Da tener sottocchio per prevenirne gli agguati o gli assalti frontali, scoprirne i punti deboli e cogliere le occasioni più propizie per schiacciarli prima che si potessero trasformare in una minaccia troppo seria, per distruggerli se rappresentavano già dei temibili avversari.

Nient'altro che ostacoli da togliere di mezzo per conseguire i suoi obiettivi, o vette da spodestare per affermare in qualunque campo il suo primato.

Il trattamento di questi ultimi, in realtà, non si differenziava poi molto da quello spettante a quei rari profili talmente straordinari da riuscire a suscitare in lui stima, ammirazione e dunque persino invidia... Ma queste persone più abili e dotate le posizionava nel posto che meritavano, il più dignitoso di tutti e talvolta persino inarrivabile: in cima agli scaffali, ma pur sempre in bella vista, a ricordargli costantemente della loro esistenza, finché non arrivavano ad ossessionarlo al punto da non poterne più soffrire la presenza sopra la propria testa, da arrivare ad odiarli con tutto se stesso.

Quelle erano le sue prede più ambite, le sfide da battere, i trofei che bramava sollevare, perché vincerli avrebbe significato superarsi, avvicinarsi alla perfezione.

La posizione intermedia, quella più sottomano e di agevole consultazione, era occupata da fascicoli che aveva collezionato nel tempo, scelti con cura in seguito ad una rigorosa selezione che esigeva di soddisfare una pluralità di requisiti tutt'altro che comuni. Dovevano essere persone intelligenti, se non brillanti. Competenti, preferibilmente specializzate. Precise, o ancor meglio minuziose. Efficienti e puntuali. Affidabili e riservate. Rispettose ed obbedienti. Di poche ma incisive parole. Proattive e propositive, tuttavia non così intraprendenti da prendere in autonomia decisioni che non gli spetterebbero.

Se il loro curriculum rispondeva alle sue esigenze, allora venivano ammesse ad un lungo periodo di prova disseminato di dure e costanti verifiche, per controllare che svolgessero a dovere il loro lavoro e non battessero la fiacca. Se riuscivano a resistere, a confermare le aspettative e a rivelarsi utili, allora venivano assunte a tempo indeterminato quali dipendenti, consulenti o collaboratori. I più meritevoli e leali promossi a fide spalle, cui assegnare le mansioni più delicate, e che talvolta autorizzava persino a rappresentarlo, ad agire in nome e per conto suo.

Erano davvero dei casi eccezionali, quelli, che considerava non semplici aiuti di cui necessitava per sbrigare questioni di bassa manovalanza, ma validi supporti per lui irrinunciabili ed insostituibili.

Periodicamente poi passava in rassegna tutto, per fare un po' d'ordine e pulizia.

Le informazioni superate, ormai vecchie, alla prima occasione le lanciava sbrigativamente nella spazzatura, nel tritacarte o nel camino per creare nuovo spazio.

Quelle passate, incancellabili ed indistruttibili, le imballava in ampi scatoloni da nascondere in soffitta o in cantina, rispettivamente distinguendo tra chi aveva scritto pagine importanti del suo diario da chi invece gliele aveva strappate brutalmente, tra chi gli aveva insegnato qualcosa e voluto bene da chi gli aveva funto da monito e fatto soffrire. Persone che avrebbe voluto dimenticare per non sentirne la mancanza o non ricordarne affatto l'esistenza, ma che non poteva scordare perché gli avevano lasciato parte di sé come eredità irrinunciabile, sottoforma di tesori preziosi o di debiti gravosi.

In entrambi i casi però si trattava di ricordi impolverati, memorie ricoperte dalle ragnatele, foto in bianco e nero, pagine ingiallite e sbriciolate dal tempo, parole ormai così sbiadite da risultargli illeggibili.

Da ultimo, ma primo per importanza, c'era il sacro libro che proteggeva in una solida cassaforte segreta, collocata nella sua stanza più intima e personale.

L'aveva rilegato con una copertina magnifica, e scritto di suo stesso pugno con amore e dedizione. Quello che leggeva più volentieri, ma che sfogliava sempre con attenzione per non sgualcirlo. Il solo che aveva munito in anticipo di svariate pagine bianche, certo che ben presto avrebbe desiderato riempire anche quelle e voluto assicurare a quella storia il maggior spazio possibile.

Quel volume, era la persona cui andava tutto il suo affetto.

Il bene a lui più caro, per cui sarebbe stato pronto a tutto e disposto a qualunque rinuncia pur di difenderlo ed impedire a mani indegne di rovinarlo o sottrarlo dalla sua custodia. Dopotutto valeva ben più di una qualsiasi altra edizione limitata, lui era unico ed irripetibile.

Questa era l'organizzazione e la gerarchia dei suoi rapporti interpersonali, un articolato sistema abbondantemente collaudato e perfezionato nel tempo ma che, per la prima volta, si stava rivelando inadeguato...

Non riusciva a trovare una collocazione valida per quella ragazza.

Ovunque gli sembrava fuori posto, gli veniva segnalato un errore. E questo, tutto per via di un problema a monte: aveva su di lei delle informazioni che altri gli avevano trasmesso e che non sapeva nemmeno se le appartenevano ancora, mentre i dati che era riuscito a raccogliere in prima persona erano incompleti, se non irrilevanti. Di punto in bianco si era ritrovato in mano una cartella che sentiva esser per lui di importanza vitale, quella che inconsciamente aveva cercato da sempre, ma non aveva la benché minima idea di quale fosse il suo effettivo contenuto... Tutto ciò che vi intravedeva quando provava a sbirciare al suo interno era un punto interrogativo, una domanda senza risposta, un problema sprovvisto di soluzione. E lui non sopportava vivere nell'ignoranza, né lasciare indietro questioni irrisolte. Aveva bisogno di capire chi fosse davvero quella ragazza, per poter decidere quale ruolo voleva rivestisse nella sua vita.

Dunque, non gli rimaneva che effettuare su di lei una ricerca fin quando non ci fosse riuscito. Per la precisione, un'indagine sotto copertura, che lo collocasse in un punto d'osservazione privilegiato sul suo obiettivo e che non tradisse però i suoi reali intenti, o avrebbe rischiato di vanificare ogni sforzo.

Per questa ragione mandò all'aria tutti i suoi propositi originari, ed anche il giorno seguente si premurò di uscire dal lavoro in tempo per prendere il suburbano su cui era salito quello precedente, scegliendo sempre lo stesso scompartimento e perfino lo stesso posto. Le probabilità che anche lei facesse altrettanto erano a dir poco ridicole, ma quello era il metodo più efficace di cui al momento disponeva per riuscire ad incontrarla di nuovo, o quantomeno a monitorarne gli spostamenti abituali andando per esclusione.

E, con sua somma soddisfazione, si rivelò quello giusto.

Quando il mezzo fu ormai prossimo a raggiungere la sua fermata, e lui si rivolse verso la banchina per scrutare tra la gente in procinto di salire, non tardò ad individuarla. E benché si stesse tenendo pronto ad alzarsi da sedere sollecito, per andarla a cercare in qualunque altro scompartimento si fosse diretta, non ebbe alcun bisogno di farlo: fu lei a raggiungerlo. Fece la sua eterea apparizione oltre le porte ed avanzò sicura lungo il corridoio.

Finse indifferenza, nonostante ne stesse curando con estrema attenzione gli spostamenti con la coda dell'occhio. Solo che quando arrivò in prossimità del suo posto iniziò a rallentare, gli si fermò accanto, si voltò a guardarlo. Fu un richiamo troppo forte perché gli riuscisse di ignorarlo, e sollevò il viso su di lei. D'istinto cercò i suoi occhi con i propri, ma non riuscì a trovarli, perché quelli sfuggirono subito via, disinteressati a quell'incontro. Vagarono per qualche istante in giro ed infine si posarono sul sedile corrispondente al suo, quello che aveva occupato anche il giorno prima, per poi andarlo a fare di nuovo.

Questo gli diede un'ulteriore conferma della tesi che aveva già abbozzato, ed in cui aveva riposto affidamento: non solo la sua ragazza del mistero sembrava prendere quotidianamente il treno sempre a quell'ora, ma era anche tanto abitudinaria da risultare prevedibile in modo quasi matematico. Non saliva di certo su quello scompartimento così esterno per comodità, né vi prendeva posto a caso. Dopotutto era già la terza volta consecutiva che gliel'aveva visto fare, dunque era appositamente per una sua scelta ben precisa e che poteva confidare avrebbe continuato a fare anche in futuro, benché sospettasse di averle sottratto proprio il suo preferito e di averla costretta ad accettare una soluzione di compromesso... L'aveva guardato con l'insistenza di chi si aspetta qualcosa, ed aveva abbassato lo sguardo con lo spaesamento di chi è costretto a rivedere i propri piani.

Non che fosse disposto a cederglielo, comunque. Anche lui lo trovava di suo gradimento, e soprattutto rubarglielo sembrava essere l'unico metodo efficace per attirare un po' su di sé l'attenzione di quella ragazza... Non l'aveva più degnato di una sola occhiata, da quando si era seduta. Si era messa ad ascoltare della musica rivolta verso il finestrino, ignorandolo di peso al pari, se non più, del giorno precedente, preferendo lo scorcio di un insulso panorama cittadino a quello della persona cui apparteneva più o meno indirettamente tutto ciò su cui avrebbe posato gli occhi. Normalmente le sarebbe stato solo grato di non asfissiarlo come di sicuro qualunque altra ragazza avrebbe fatto al suo posto e, comunque, riusciva a fare anche da quelli più distanti, ma si offese parecchio per quell'atteggiamento così noncurante. Forse stava semplicemente evitando di guardarlo di proposito, per eccessiva timidezza o per riserbo nei suoi confronti, ma non provava nemmeno a sbirciarlo di nascosto, neppure quando il transito di un passeggero lungo il corridoio gliene avrebbe offerto un più che valido pretesto.

E quando arrivò per lei il momento di scendere dal mezzo, gli passò davanti come se nemmeno si fosse accorta della sua esistenza.

Non sapeva proprio come interpretare il suo contegno. Un altro punto da aggiungere alla sua già lunga lista di interrogativi che la riguardavano, e di cui aveva davvero poche chance di liberarsi entro breve, almeno finché tutti i loro contatti si fossero risolti in quel modo. Inconveniente che l'indispose, ma non quanto s'indignò per come quella ragazza impudente si divertisse a farsi rincorrere. Per lui, ricevere l'attenzione altrui, in qualunque accezione, era naturale e scontato come respirare, ed invece ora si ritrovava costretto ad attirarla su di sé come se l'aria attorno si fosse all'improvviso rarefatta, facendolo annaspare alla ricerca dell'ossigeno che gli era necessario.

Non gradiva quella sensazione proprio per nulla, però doveva ammettere che nel suo complesso la situazione lo stava intrigando sempre di più. Era una specie di sfida, ed esercitava su di lui il fascino irresistibile della conquista.

Si trattava di un desiderio irrazionale, ma comunque era innegabile, che voleva rivederla ancora.

 


 

N/A - H^o^la!

Ebbene, ecco qui “la versione di Kaiba”, ladro incallito e stalker recidivo... D'altronde credo si fosse intuito che la sua presenza sul treno non era affatto un caso, e che la storia sarebbe stata un post-Canon, per come inteso nell'animeverse. Comunque, anche i prossimi capitoli narreranno a due a due le stesse situazioni viste prima dal PoV di Kisara e poi da quello di Seto, ma comunque non dovrebbe risultare troppo noioso dato che risulteranno parecchio diverse a seconda dell'osservatore. Le prossime coppie avranno una lunghezza variabile, ma si aggireranno per entrambi i protagonisti sempre sullo stesso numero di parole perché sì, sono fissata con i parallelismi.

Detto questo, vi ringrazio tantotanto per la lettura e vi do appuntamento a sabato prossimo!

XOXO

- Evee

 
   
 
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