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Autore: AnnabethJackson    21/02/2015    20 recensioni
| Percabeth | AU |
---------------------------TRAMA---------------------------
Annabeth ha 18 anni quando viene violentata. Subisce un trauma così profondo che non riesce più a sorridere, a ridere,a vivere. Nessuno è in grado di aiutarla ad uscire da quella bolla di indifferenza in cui è intrappolata.
Due anni dopo Annabeth non è diversa da quella maledetta sera, e il padre, l'unico uomo di cui lei si fidi ancora, non riesce più a vederla riversa in quello stato. Così convince la figlia a partire per il Brasile in veste di insegnante, ed è così che la ragazza fa una promessa a sé stessa: nulla avrebbe dovuto rinvangare il suo passato.
Annabeth però non sa che la scintilla perduta è proprio dietro l'angolo della bella Rio, mascherata da un ragazzo da cui deve stare lontana, dei bambini che amano la vita, e un amore inaspettato, per nulla voluto, ma in grado di innescare il processo di rinascita inevitabile.
------------------------DAL TESTO------------------------
«Non voglio spaventarti, non voglio allarmarti e sopratutto non voglio metterti fretta. Accettalo e basta. È importante che tu ti prenda tutto il tempo necessario, ma ho l'urgenza di dirti che...» mormorò.
E poi accadde, senza alcun preavviso. «Ti amo, Annabeth.»
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nico di Angelo, Percy/Annabeth
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love the way you live - La raccolta'
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Disclaimer:
'Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Rick Riordan; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'.


Capitolo 13


Fattoria, qualche giorno dopo

 

Annabeth

 

Quando avevo acconsento a partire per il Brasile, o meglio a quel progetto, quando ancora ero schiava di quel buio oppressivo che mi attanagliava la gola durante la notte e che mi stringeva lo stomaco in una morsa quando venivo sfiorata da un uomo, non potevo immaginare di trovarmi, in poche settimane a ringraziare Dio o chiunque ci fosse lassù, per avermi fatto dire di sì. Perché la verità era ben un'altra da quella a cui mi ero preparata all'inizio, ovvero quella di rimanere il fantoccio della Annabeth che ero stata una volta. Neanche nei miei più rosei sogni, praticamente inesistenti fino a quel giorno, avrei sorriso felice a qualcuno che non fosse mio padre, o Piper.

Perché sì, quella notte, finalmente, avevo sognato dopo ben due anni di incubi senza fine.

Avevo sognato come fa un bambino. Che cosa non lo ricordo, ma la sensazione che fosse qualcosa di bello aleggiò dentro di me finché non mi svegliai.

Pensai che Sandman, l'Omino dei sogni del film “Le cinque Leggende”, fosse finalmente arrivato anche nella mia stanza per ricoprirmi di polverina d'oro e inserendo unicorni alati e risatine infantili nella mia testa.

Quel pensiero ebbe il potere di farmi stampare un sorriso radioso sul volto, di quelli che riescono ad illuminare le giornate più buie e a far sorridere persino il musone dei musoni.

Quando, poi, mi ritrovai a fissare il mio riflesso nello specchio sopra al lavello, nel bagno che condividevo con Percy, non mi spaventai più di tanto nel trovarmi diversa. Certo, un sussultò scosse le mie spalle, ma la visione che mi si proiettò davanti era così diversa da quella a cui ero abituata, che il cambiamento non mi condizionò affatto.

La Annabeth che sorrideva di prima mattina, pochi minuti dopo essersi svegliata dopo una notte di sogni, con le guance rosse e gli occhi luminosi, non era la stessa che avevo fissato il giorno prima, con le occhiaie e gli occhi spenti. Era semplicemente l'opposto e, finché non l'avevo vista con i miei stessi occhi, non mi ero accorta di quanto ne sentissi la mancanza o meglio, la necessità.

La necessità di un cambiamento.

Non provai nemmeno a ricordare ciò che avevo sognato perché ero conscia che non sarebbe servito a nulla. Sapevo che, se volevo ricordare qualcosa a distanza di qualche ora da che mi ero svegliata, dovevo appuntarmi tutto su un foglio appena destata.

Quando però bussarono alla porta, desiderai intensamente tornare al calduccio sotto le coperte, al riparo da tutto e da tutti. Il problema non era la mia temperatura corporea, e nemmeno quella esterna. Per quella bastava il sole che già filtrava attraverso la finestra.

Il vero problema era affrontare chi c'era fuori da quella porta e che stava bussando con insistenza.

-Sapientona, forza è ora di uscire da quel bagno. Sei dentro da secoli e io avrei una certa urgenza di espellere i miei bisogni biologici. Sai com'è, la mia vescica ha una certa capienza la quale è meglio non superare.-

Ora, se un ragazzo giovane e carino -sì, perché non potevo negare ancora per tanto che Percy fosse oggettivamente carino- bussa alla porta del tuo bagno -va bene, del bagno in comune- per chiedere gentilmente di entrare ho qualcosa da ridire.

...okay, non vi ho fregato, lo so. Pure uno scemo avrebbe capito che non era quello il problema.

Il fatto era che nemmeno io sapevo quale fosse, il vero problema, e per una come me che era abituata a non avere problemi con i ragazzi era una tragedia. Sul serio.

Quando ci eravamo incontrati -o meglio, scontrati- la prima volta, lo avevo classificato automaticamente come uno da cui stare alla larga, uno scansafatiche, uno di quegli stronzi che ti prendevano e ti usavano finché non eri da cestinare. Scoprire, poi, che dovevamo lavorare, e vivere, gomito a gomito per sei mesi era stato uno shock, non lo nascondo.

Insomma ragazzi, provate voi a condividere un bagno con uno del genere, che lascia la tavoletta del water alzata e il lavandino completamente bagnato ogni mattina, dopo essersi rasato.

No, non ero stata affatto felice. Se poi aggiungevo a tutto ciò il suo comportamento da vero stronzo -io avevo una laurea nel riconoscere la specie- il quadro che ne usciva fuori non era affatto positivo.

Poi era successo qualcosa. Non so nemmeno io cosa fosse stato di preciso.

Forse era il fatto che io avessi scoperto il suo segreto, o meglio che lui mi avesse raccontato il suo segreto; forse si era accorto che non voleva fare la guerra con la sottoscritta per sei mesi.

O forse, e questa era l'opzione che mi spaventava più di tutte, avevamo cominciato a conoscerci, reciprocamente, nel profondo.

Dal Sabato in cui mi aveva portato in spiaggia, passavamo praticamente tutte le giornate assieme, ad esclusione delle ore in cui eravamo impegnati nelle lezioni e quelle destinate al sonno. Qualche giorno prima mi aveva addirittura chiesto di accompagnarlo ad un appuntamento con il detective privato che seguiva il caso di suo padre. Persino quando ero malata mi era stato accanto tutto il tempo, sebbene ci fosse il rischio che lo contagiassi.

In un certo senso io ero... ero... sì, è inutile girarci attorno: ero felice.

Io, Annabeth Chase, ero felice.

Non è di certo una frase che sentivo di poter dire tutti i giorni. Se mio padre fosse venuto a saperlo avrebbe invitato la nostra vicina di casa, che aveva più di novant'anni, a ballare sul pianerottolo a ritmo di una qualsiasi musica rap (e mio padre odiava quel genere di musica). Giusto per darvi un'idea di quanto lo avrebbe colpito.

E, sebbene il farlo super contento fosse un mio punto fisso, c'era qualcosa che mi bloccava dal lasciarmi andare a quella felicità. Avrei desiderato più di ogni altra cosa cancellare dagli occhi di mio padre la malinconia che vedevo sul suo volto quando pensava che non lo stessi guardando. Era diventato uno dei pochi obiettivi che mi ero imposta nella mia inutile vita.

Ma non potevo proprio.

Il problema era molto semplice da risolvere a fatti, ma non altrettanto da spiegare a parole. E poi c'era quel piccolo particolare chiamato paura che andava in giro a braccetto con la sua amica ansia.

Le due care amichette erano i cardini del mio problema.

Io, Annabeth Chase, ero una ragazza felice che non poteva abbandonarsi a quest'emozione perché le avversarie paura e ansia prendevano il sopravvento ogni volta che ripensavo ai momenti passati con Percy. Non lo facevo apposta, ma la mia mente non poteva fare a meno di rimandarmi immediatamente a quella notte e a come mi ero sentita.

La verità era questa: temevo nel profondo il contatto con Percy tanto che una volta avevo avuto persino un attacco d'ansia nel cuore della notte. Ero stata costretta a respirare in un sacchetto di carta che mi portavo sempre dietro per situazioni del genere.

Non potevo fare a meno di immaginare Percy al posto di Luke, come se nel profondo fosse un pervertito. Ovvio, subito dopo mi davo della stupida che si faceva paranoie assurde, costruendo castelli di sabbia mentali. Ma una vocina perfida dentro la mia testa non smetteva di sussurrarmi situazioni analoghe. Percy non era così, punto e basta.

Tutto questo, ovviamente, accadeva in privato, quando nessuno poteva sentirmi e vedermi.

Quando ero in pubblico o in sua compagnia, cercavo sempre di evitare certi pensieri e di concentrarmi su altri.

Non era poi così difficile visto che appena lo vedevo, in particolare quando girava per casa senza maglietta (il che accadeva troppo spesso per il miei gusti), le mie guance andavano a fuoco e imbarazzanti immagini di lui senza canotta mi perseguitavano per le ore successive.

Diciamolo chiaramente: era un supplizio infernale. Credete a me: sarebbe stato meglio se Percy fosse finito all'Inferno, magari proprio nel girone dei seduttori. Non che mi stesse seducendo, sia chiaro.

Era come se mi avesse preso sotto la sua protettrice. Non nei panni di un fratello iperprotettivo, ma in quelli di un amico fidato. E io mi sentivo male perché quando ero sola facevo pensieri poco lusinghieri nei suoi confronti.

Ero un ipocrita, ecco cos'ero. All'Inferno sarei dovuta andarci io, poco ma sicuro. C'era persino un girone tutto destinato a me!

Fatto sta che avevamo trascorso molti momenti insieme, e non potevo accusarlo di essere un tipo noioso.

Anzi.

 

***

 

Con lui scherzavo e sorridevo.

 

-Ehi Sapientona, non trovi che questo top valorizzi le mie forme?- disse Percy ammiccando, mentre con spingeva il petto in fuori.

Le lezioni erano da poco terminate e Percy mi aveva proposto di fare un giro al centro commerciale, per prendere un gelato e magari- testuali parole- soggiornare il mio guardaroba. Gli avevo fatto notare che il mio armadio era ben aggiornato e che non avevo affatto bisogno di nuovi vestiti visto considerato che quelli che avevo già erano sufficienti a riempire più di due valigie.

Ma per un gelato, che non mangiavo da tanto tempo, ero disposta a fare carte false. E poi era Percy che me lo aveva proposto.

Ovviamente, e la cosa non doveva stupirmi, Testa d'Alghe era riuscito a convincermi a fare prima un giretto per i negozi e poi a fermarci alla gelateria che avevo adocchiato all'entrata.

Per prima cosa eravamo entrati in un negozio di ottica, dove Percy si era fermato a provare tutti i modelli possibili ed immaginabili di occhiali da sole, facendo impazzire il commesso che cercava in tutti i modi di convincerlo a comprare questo e quel modello.

Non ero rimasta affatto sorpresa quando Percy mi aveva preso per un braccio trascinandomi fuori dalla porta, lasciando il povero commerciante sbalordito e con un numero non indifferente di occhiali da mettere in ordine.

Poi mi aveva spinto in un negozio di scarpe, sostenendo che avevo urgente bisogno di un paio di decolletè. Avevo protestato, sostenendo che avevo già abbastanza scarpe da riempire un'intera scarpiera, ma lui non aveva voluto sentire ragioni.

Così, quaranta minuti e due vesciche dopo eravamo arrivati alla cassa con un paio di scarpe rosa con il tacco alto, che mi piacevano molto, dove lui aveva tirato fuori la sua carta di credito. Tutte le mie proteste non erano servite a molto visto che alla fine era riuscito a convincere la commessa, con una strizzatina d'occhio e un sorriso ammiccante, a prendere i suoi soldi e non i miei.

Quando la ragazza dietro alla cassa aveva risposto all'atteggiamento ammiccante di Percy con un sorriso spavaldo di chi sa di piacere ai ragazzi, avevo voltato la testa perché avevo avvertito un senso di nausea stringermi lo stomaco.

Alla fine eravamo entrati in discount di abbigliamento e quella era stata la mia fine. Ecco come il mio sogno di gustarmi un gelato in compagnia di un amico era andata a farmi benedire.

Passando tra uno scaffale e un'altro il carico sulle mie braccia aumentava sempre più di vestiti che Percy continuava a passarmi, mentre ignorava qualsiasi mia protesta.

-Ma questa non è la mia tagl...-

-Shh, zitta. Va bene così.-

Finalmente, dopo infinite preghiere e suppliche di metter fine a quell'agonia, eravamo arrivato ai camerini. Credevo di esser finalmente al sicuro.

Mi sbagliavo.

Il supplizio era appena iniziato.

-Allora, mette in risalto le mie forme sì o no?- chiese nuovamente vedendo che non davo segni di voler rispondere.

Pensavo di dover provare tutti gli abiti che mi aveva passato? Beh, mi sbagliavo.

Se li voleva prova lui. Tutti quanti.

Che male avevo fatto per dover sopportare una tale pena?

-Certo Testa d'Alghe, accentua le tue poppe.- risposi ironicamente con voce atona.

-Allora non sono solo io che lo penso! Che dici potrebbe star bene con questa gonna?- disse alzando un pezzo di stoffa striminzito che, personalmente, non avrei mai avuto il coraggio di mettere.

E che lui voleva indossare.

Lui. Un maschio. Con il suo pacco in bella mostra.

O. Mio. Dio.

Repressi un conato di vomito.

-Ti prego, ti prego, ti prego. Dimmi che non lo vuoi provare sul serio.- lo implorai con un filo di voce. Se lo avessi visto in quello stato sarei morta sul colpo. Il mio cuore non poteva reggere un simile attacco.

Lui ghignò, ed ebbi paura quando un lampo di divertimento passò nei suoi occhi.

Non si metteva affatto bene.

-Che c'è Sapientona, evidenzierebbe troppo poco le mie forme?-

Diventai tutta rossa. Questa era una sfida a sire quello che pensavo. E che mi imbarazzavo a dire.

Ma in fin dei conti, io ero io, e sebbene fossi una ragazza tutto sommato abbastanza timida, una sfida era pur sempre un sfida. E il mio orgoglio non tollerava una sconfitta.

-Al contrario Testa d'Alghe, ti farebbe il culo enorme. Poi la vedo difficile rimorchiare le ragazze in discoteca.-

Percy incrociò le braccia al petto, appoggiandosi alla parete del camerino con un sorrisetto divertito sul volto. Era facile che una semplice frase diventasse l'inizio di frecciatine scherzose con quel ragazzo.

-Oh, povero me, come farò ora? Rimarrò zittello, dovrò comprare una casa in campagna e mi circonderò di gatti per rendere la mia misera vita un po' più felice. E tutto questo per colpa di una stupida gonna? Perché non mi hai fermato in tempo?- si lamentò fingendo una voce drammatica e addolorata.

-Vorrà dire che dovrò farti da badante finché non tirerai le cuoia.-

Il suo sorriso si allargò ancor di più. E la maglietta, già troppo piccola per i suoi pettorali, si alzò lentamente scoprendo la base dei pettorali. Deglutii per un attimo spaesata.

-Va bene. Ma ti assumerò solo ad un condizione.-

Alzai la testa inizialmente confusa, poi finalmente riuscii a connettere il cervello e a comprendere il significato di quello che mi stava dicendo.

-E sarebbe?-

-Se mi farai da badante dovrai indossare la divisa da infermiera sexy, altrimenti mi rivolgerò ad un'altra agenzia di collocamento.-

Malgrado sentissi un calore risalirmi le guance, riuscii a stirare le labbra in un sorriso sornione.

-Sogna, Testa d'Alghe, sogna che magari si avvererà.-

 

Percy era di più.

Molto di più.

 

***

 

Con lui ridevo ed ero felice.

 

La temperatura esterna aveva raggiunto il picco, e io cominciavo a rimpiangere l'inverno. Eppure odiavo quella stagione cosi fredda!

Grondavo sudore da tutti i pori, persino parti di me che credo resistenti alla sudorazione erano fradice. Indossavo solo una canotta, con le spalline più sottili il possibile, e un paio di shorts, il più corti possibile. Non potevo fare molto altro. Sfioravo già i limiti del pudico.

In quella casa non esisteva un condizionatore e, pensando a quei poveri angioletti nei quartieri poveri poco distanti da me, non credevo di avere nessuna pretesa al riguardo. Non sarei di certo morta per un po' di caldo. Un bel po'.

Ero seduta sulla poltrona di pelle in salotto che era uno dei pochi posti all'ombra in quella stanza, ma dopo due minuti capii che era stata una pessima idea. La mia pelle a contatto con quella della poltrona erano diventati un'unica cosa.

All'improvviso ricordai che la macchina che Percy aveva preso in affitto aveva il condizionatore funzionante. Detto fatto, corsi all'entrata dove trovai la chiave dell'auto nella ciotola delle chiavi di casa.

Finalmente un po' di fresco! Ringraziai tutti i santi e gli dei del cielo per quel piccolo paradiso. Era come aver superato il Purgatorio ed essere entrati nell'Eden.

Chiusi gli occhi, ripromettendomi che sarei stata lì solo per qualche minuto, giusto il tempo di non morire per asfissia.

-Che ci fai nella mia auto, Nocciolina?-

Il cuore mi saltò in gola per lo spavento.

-Oddio, Percy, mi hai spaventata!- brontolai portandomi una mano al petto. -Nocciolina?- chiesi poi con un sopracciglio alzato.

-È colpa di questo caldo. Mi fa perdere i colpi un po' alla volta. Comunque con quell'abbronzatura sembri una nocciolina tostata.- sorrise. -Io adoro le noccioline.-

Avevo come l'impressione che quell'affermazione avesse un doppio senso, ma scacciai l'idea quando Percy aprì di scatto la portiera.

-Forza, Sapientona, è ora del bagno.-

-Del bagno?- afferrai la mano che lui mi porgeva e mi lasciai tirare in piedi. -Grazie.-

-Di niente. Sì, del bagno. Questa ragazza ha bisogno di una bella lavata.- disse battendo la mano sul cofano dell'auto. -Mi aiuti?-

-Certo.-

Percy aveva già preso la canna attaccandola ad un rubinetto lì vicino. Un secchiello e alcune spugne completavano l'attrezzatura. Cominciammo a insaponare la macchina, ridendo e scherzando ogni tanto, ma per lo più restando in silenzio. In un ora riuscimmo a fare un lavoro con i fiocchi e al momento di passare la canna per lavare via il sapone, Percy mi fece una domanda.

-Che ci facevi nella mia auto?-

-Approfittavo del condizionatore. In casa stavo arrostendo.-

Mi appoggiai alla portiera che aveva appena lavato, osservando i bicipiti che guizzavano sotto alla maglietta di Percy, aderente alla pelle per il sudore che la imbrattava.

-Ah, sì? E perché non mi hai chiesto il permesso?-

Sorridendo furba, alzai il mento in segno di sfida.

-È un problema?-

-Certo che sì, Sapientona. Ti meriti una punizione?-

-Una punizione?- okay, ora non c'era più nulla da ridere.

-Una bella punizione coi fiocchi.-

-Che genere di punizione?-

-Una tipo... questa!- e così facendo indirizzò la canna nella mia direzione, bagnandomi dalla testa ai piedi in poco tempo.

E io, cercando di schernirmi con le braccia, risi perché era la prima volta che mi così felice di scherzare con un ragazzo.

 

Percy era di più.

Molto di più.

 

***

 

Con lui parlavo ed ero me stessa.

 

Adoravo il tramonto. Era forse il momento che preferivo nell'arco di tutta la giornata.

Non so spiegare perché, ma il sole che calava lentamente per scomparire dietro all'orizzonte, qualunque esso fosse, e che cambiava colore mi infondeva un senso di calma come poche altre cose.

Avevo appena finito di cenare con gli altri e, sebbene avessi insistito con Chintia perché mi lasciasse lavare i piatti, lei si era imposta, sostenendo che stessi già facendo molto con quei bambini e che, senza dubbio, dovevo essere stanca.

In realtà ero stranamente reattiva, e non volendo subito tornare in camere per dedicarmi interamente alla lettura, cosa che avrei fatto poco dopo, avevo deciso di fermarmi in terrazza catturata dalla luce rossastra del tramonto.

Era tanto che non lo ammiravo.

Era tanto che non mi sentivo così in pace con me stessa.

Tirava un leggero venticello estivo, e nessun rumore disturbava il silenzio ad esclusione delle fiandre mosse dall'aria.

Percy era comparso all'improvviso, ma non mi aveva spaventata. Ero solo sorpresa che non avesse nient'altro di meglio da fare.

La luce del tramonto tinteggiava i suoi capelli, solitamente corvini, di sfumatura morroni che lo rendevano strano, ma non per questo meno bello.

Perché sì, non avevo problemi ad ammettere che Percy era oggettivamente bello alla vista.

Si era appoggiato alla ringhiera, con il busto leggermente piegato in avanti, ed era rimasto a farmi compagnia, con lo sguardo perso all'orizzonte.

In un'altro momento sarebbe stato di troppo, ma finché rispettava il tramonto poteva stare dove si trovava in quel momento.

Poi, quando anche l'ultimo raggio di sole spariva dietro la linea del mare e il cielo si scuriva sempre più, lui parlò, ma a bassa voce, come se avesse avuto timore di spezzare quella strana atmosfera che si era creata.

-Lo conosci il mito di Aristofane?-

-Intendi quello citato nel discorso che Aristofane fa nel Simposio?- ricordavo di averlo studiato qualche mese prima per preparare un esame di Filosofia, ma i dettagli non mi erano chiari. -Non lo ricordo molto bene, a dire il vero.-

-All'inizio non esistevano solo i maschi e le femmine, come due sessi distinti, ma c'era una terza identità, l'androgino, che non era né maschio né femmina, ma entrambi. Un bel giorno questi tre esseri decisero di prendere il posto degli Dei dell'Olimpo, scalando le montagne come fecero i giganti Efialte e Oto. Ma, ovviamente, vennero sconfitti e Zeus, per punizione, decise che questi dovevano essere separati così, con l'aiuto di Apollo, recise in due parti distinte ogni individuo. Da allora ognuno di noi è destinato a vagare senza meta, sempre alla ricerca della metà che ci completi e di cui, dopo, non potremo più farne a meno.- il modo la sua voce catturava l'attenzione su di sé mi fece venire i brividi. Poche volte lo avevo visto così serio mentre parlava con me. -Tu credi a questo? Credi che ognuno di noi è destinato a incontrare la parte mancante, l'anima gemella?-

Qualcosa nella sua voce mi convinse a prendere sul serio quella domanda e a ragionarci.

Ma non sapevo neppure io a cosa credevo. Le mie certezze da due anni a quella parte era limitate.

-Sinceramente non credo all'anima gemella. Tutte quelle scemate sul colpo di fulmine, sul primo sguardo e sul destino sono baggianate raccontate ai bambini piccoli per farli sognare. Con questo non dico che l'amore vero non esiste, la mia amica Piper e il suo ragazzo Jason ne sono l'esempio, ma penso che sia molto raro. L'amore è qualcosa che costruisci giorno per giorno, basato innanzitutto sul reciproco rispetto.- feci una pausa per raccogliere le idee. -Non è che con la prima persona che incontrerò ora deciderò di costruire un rapporto d'amore solo perché lo rispetto. Ovviamente c'è qualcosa che mette inizio a tutto, un interesse comune, una persona in comune... qualcosa. Quindi no, non credo nell'anima gemella, ma credo in due persone con una profonda capacità empatica, due persone a cui basta uno sguardo per capire quello che l'altro vuole dire senza bisogno di troppe parole. Questo per me è il vero amore.-

Da dove venivano quelle parole? Sul serio pensavo queste cose? Fino a quel momento per me l'amore, e l'anima gemella, erano qualcosa che alla sottoscritta non potevano capitare, sopratutto per il fatto che non le volevo.

L'amore portava solo guai e sofferenza, e gli uomini erano dei bastardi. Ecco quello che pensavo fino a quel momento. Evidentemente dovevo ricredermi.

Azzardai una timida occhiata a Percy che mi stava guardando intensamente, come se cercasse di vedere al di là delle mie parole. E io mi persi in quegli occhi immensamente verdi, alla disperata ricerca di un'ancora che mi tenesse a galla.

-Sai, Sapientona, mi piace come ragioni.- disse alla fine, ridestandomi dalla trance in cui ero caduta.

-E tu, come la pensi?-

Alzò l'angolo della bocca, ma non sorrise.

-Penso che sia ora di andare a dormire.- e detto ciò ritornò in casa, lasciandomi senza una vera risposta.

Alcune volte, faticavo sul serio a capire cosa passasse nella testa di quel ragazzo.

 

Percy era di più.

Molto di più.

Era qualcosa di molto pericoloso per me.

 

 

***

 

-Eeeeeehiiiii...-

Mi destai piuttosto bruscamente dai miei pensieri quando Percy ricominciò a bussare con insistenza alla porta del bagno, miagolando con un gatto. Non era affatto quello il momento di farmi un esame di coscienza per molti motivi, uno dei quali stava aspettando che io mi dessi una mossa.

Annabeth, concentrati.

-Sei morta lì dentro? Sul serio, Sapientona, se non esci in fretta rischio di farla qui dove sono ora.-

Incredibile come la sua voce fosse salita di un ottava, diventando in poco tempo stridula. Doveva star soffrendo molto, ma io mi stavo divertendo troppo a sentirlo implorare.

-Ti prego lasciami entrare!- cercò di abbassare il pomello della porta ma io, ovviamente, avevo chiuso a chiave. -Dai, Sapientona! Farò qualsiasi cosa mi chiederai!-

Ridacchiai tra me e me. Così era troppo facile!

Presi il pigiama che mi ero tolta, e incalzai le ciabatte, poi aprii la porta.

Percy mi osservò meravigliato, con gli occhi leggermente socchiusi, come un povero martire che soffriva. Stava in una posizione buffa: piegato leggermente in avanti, con le gambe strette e le mani all'altezza delle sue parti basse.

Mi spostai leggermente di lato, lasciandogli lo spazio per entrare in bagno cosa che lui fece quasi nell'immediato, ma prima che riuscisse a chiudere la porta gli voltai le spalle e sorrisi.

-Lo sai vero di avermi appena promesso di fare qualsiasi cosa quando di sotto ci sono due bagni?-

E non ebbi bisogno di una risposta per sapere che aveva realizzato di essersi fregato con le sue stesse mani.

Tornai nella mia camera, all'improvviso consapevole di aver ridacchiato come una ragazzina davanti ad un complimento dal ragazzo che le piace un po' troppe volte quella mattina. Non ero molto sicura che questo fosse positivo, ma scacciai quel pensiero nei magazzini della mia mente, perché quel giorno volevo rimanere dov'ero, ovvero nel Paese delle Meraviglie, dove non esistevano lupi cattivi e stupratori nascosti dietro l'angolo.

Ma, purtroppo, il telefono squillò e io fui costretta a tornare alla realtà dei fatti. Con un sospiro presi il cellulare dal comodino e risposi alla chiamata.

-Ehi, Miss Brasile! Come sta la mia migliore amica?-













Angolo autrice:
No non sono morta, sì questo non è un miraggio. Ebbene dopo altri mesi di attesa, finalmente, ho trovato un po' di tempo per terminare questo benedetto Capitolo 13 che, vi devo confessare, mi ha fatto sudare sette camicie.
Allora, che ne pensate del capitolo? Vi è piaciuto? Vi posso solo dire che nel prossimo le cose cominceranno ad evolvere sul serio u.u
Devo dirvelo: mi stupisco ogni volta di quante persone leggano la mia storia, sul serio! Non potete immaginare il piacere che provo nel leggere le magnifiche recensioni che ogni volta mi lasciate *^* E ovviamente devo ringraziare chi mi scrive messaggi privati di incoraggiamento: siete come l'acqua per un assetato nel deserto.
Tornando a parlare del mio tempo di aggiornamento: sono consapevole che sono lentissima e che questo non è molto bello per voi che leggete, ma vi chiedo solo di mettermi nei miei panni: quest'anno, oltre ad essere un anno impegnativo a scuola, mi sono iscritta ad un sacco di attività extra che mi costringono a rimanere bloccata a scuola oltre l'orario delle lezioni per più volte in una settimana, inoltre suono nella banda del mio paese e seguo un corso di kick boxing. Quindi, vi scongiuro, cercate di capirmi. Non abbandonerò mai questa storia, anche a costo di sacrificare qualcosa per ricavarmi del tempo per scrivere, questa è una promessa (parola di scout). Solamente i miei aggiornamenti saranno lenti...
Vi voglio un mondo di bene, lettori miei <3
Un bacione,
Annie


P.S. Non sono mai stata una scout :P

 

  
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