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Autore: Oxatomide    21/02/2015    0 recensioni
La storia si incentra su uno dei sentimenti più comuni, eppure tra i più difficili da sostenere, tanto da catapultare il personaggio in un continuum di emozioni in cui non sa più ritrovarsi. Si tratta di una rappresentazione della ricezione dell'amore, tanto rilevante quanto alieno e rifiutato.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  1. Si sedette sulla solita panchina. Il legno, che una volta assicurava calore ed accoglienza, si poneva ora freddo e rigido come il marmo. Era un parco di modeste dimensioni, adornato in quel periodo da colori vivaci dell'autunno. Il rossore delle foglie, così caldo e profondo, ingannava il forte gelo che riusciva a penetrare il suo pesante giaccone in pelle, rigorosamente nero. Sollevò lentamente la testa, spostando di consuetudine i lunghi capelli dal suo viso, e osservò cautamente una foglia rossa ancora viva sull'estremità di un ramo; soffiò un lieve vento e il ramo si mosse facendo scivolare piano la foglia nel vuoto che, un attimo che sembrò un'eternità più tardi, si posò a terra, inerme. Nello stesso istante il giovane sentì l'aria pungente accarezzargli la faccia, pizzicando in mille punti le sue guance già dapprima dolenti. Fu subito scosso da brividi, tanto involontari quanto violenti, e si sistemò il giaccone per sfuggire a quel maledetto abbraccio rifiutato. Al centro del parco sorgeva in modo quasi bizzarro una struttura in legno, innalzata affinché i bambini potessero giocare spensieratamente. Eppure, oltre a qualche vecchio affrettato a spasso col cane su una strada adiacente, non vi s'addentrava nessuno. Persino i due parcheggi sui lati si mostrarono vuoti; era un parco isolato e al ragazzo andava bene così.
     
  2. Il freddo persisteva ma l'aria smise di spostarsi caoticamente, permettendo al ragazzo di scaldarsi a sufficienza. Si tolse la cartella e la posò di fianco a lui, per poi estrarre dopo una lunga ricerca un pacchetto di sigarette rosso. Ne paragonò subito il colore a quello della foglia; nel suo volto non s'intravide alcun'espressione, nonostante si fosse sentito fortemente disgustato da quel rosso artificiale di una sola tonalità. Nei suoi pensieri affiorò velocemente una figura dalle sembianze antropomorfe, quasi all'improvviso, ma egli non sembrò né stupito, né felice, solo curioso, tanto da perdere il suo sguardo nel vuoto. La figura si mostrò più reale adesso, seppur continuò ad essere vaga, imprecisa e dall'aspetto indefinito. Il ragazzo sospirò e si mise velocemente una sigaretta tra le labbra, come per distogliere i suoi pensieri, ma lo sguardo rimase perso, come quello adoperato da una mente stordita. Aprì leggermente il giaccone e prese un accendino dalla tasca interna, calda e confortevole, dopodiché accese la sigaretta con un gesto che parve più d'abitudine che volontario e controllato. Nell'aria s'innalzò una densa nuvola di fumo che saliva pigramente in alto, illuminata dai primi raggi del sole sparsi attraverso i rami di un albero. La tossica coltre fece fatica a disperdersi, lasciandosi trasportare per diversi metri. Sul suo volto apparve un leggero accenno di un sorriso, soprattutto quando guardò quella nuvola in lontananza da lui enalata. Guardò poi nuovamente per terra, scrutando con fatica l'erba per trovare quella foglia rossa di cui prima osservò la morte, ma non riuscì più a trovarla in mezzo alle altre; come se avesse legato, si sentì a disagio e la sagoma del suo sorriso più nascosto scomparì, lasciando spazio alla perenne espressione neutrale.
     
  3. La figura umana entrò nuovamente nei suoi pensieri. Il sole salì abbastanza da illuminare quel parco evitato ma non dimenticato. I colori, adesso, erano più forti e saturi nella luce della stella, contrastando tutto ciò che risultava spento nell'ombra. I pensieri del giovane presero una forma più reale ed attendibile; assunse un'espressione più sicura e cercò di identificare qualcosa di totalmente estraneo alla sua mente, quella figura. La percepì e capì che non si trattava di una creatura fisica, alle prime riflessioni, e che anzi non aveva nulla di fisico. La creatura si presentò bensì come un'entità, composta astrattamente di emozioni. Egli continuò ad aspirare e a godersi il fumo della sigaretta, scuotendola di tanto in tanto e guardando la cenere scendere lentamente come la neve. Fumava molto e considerava il tabacco un valido compagno di viaggio, un amico mortale che non lo deluse mai. Si sforzò di pensarci, ma era già occupato con quella creatura che non riuscì affatto ad ignorare. Poi, dopo un po' di tempo di cui perse totalmente la cognizione, egli comprese. Seppe tutto.
     
  4. Sulla strada dietro una linea di cespugli, alti quanto un uomo che schermavano il parco, il traffico s'intensificò. Diverse macchine cominciarono a percorrere quella linea retta a velocità urbana, ma il ragazzo non ci fece molto caso. Lo irritarono piuttosto i mezzi più grandi, come i pulman, dai quali diversi passeggeri si girarono per dare un'occhiata sospettosa al ragazzo seduto da solo sulla solita panchina. Tenne la sigaretta per colpire il filtro col dito medio; l'aria si riempì di cenere, il tabacco si disgregò ancora bruciante di quel arancione acceso, mentre il filtro cadde più lontano. Smise di tremare, strinse la fronte e socchiuse gli occhi. Dentro di lui i pensieri ardevano intensamente e non riuscì ad accorgersi di una coppia che camminava lentamente verso di lui. Non fu importante. Non poté esserci nulla di più importante. Fu sconvolto da un elemento più grande che riguardava lui direttamente. Si rassicurò, facendo finta di esserselo aspettato, ma non fu così. Lo volle inesorabilmente lui, non fece attenzione. Sulla figura mentale apparì un volto che non lo spaventò, ma che mise a tacere tutti gli altri pensieri. Lo occupò. Chiedendosi perché, incapace di voltare la mente altrove, decise di stordire se stesso e, quindi, anche i suoi pensieri.
     
  5. Si alzò quasi di scatto. Prese una sigaretta, si mise lo zaino in spalla e si promenò velocemente verso l'entrata. Il prato attuiva il suo passo pesante e deciso, un po' irregolare quando si sistemò i vestiti. Imboccò il marciapiede della stessa strada da cui prima si rifugiava e si accorse soltanto qualche metro dopo di essere passato di fianco alla coppia. Non seppe perché, né lo volle sapere, ma si girò per dare uno sguardo veloce. Il vento si mise di nuovo a soffiare e, egli, approfittando della posizione dei capelli opposta ad esso, accese la sigaretta. Osservando la coppia da dietro rimase terrificato: provò un forte desiderio di contatto, il freddo fu spazzato via dalla sensazione di un abbraccio e il solo pensiero di stringere una mano tormentò la sua stabile natura introversa. Fu completamente confuso. Qualcosa gli suggerì di vedere se stesso al posto dell'uomo che teneva salda la mano della donna. Irragionevole. Disprezzava quel desiderio con tutto l'odio che portava in sé, però adesso ne fu piacevolmente colpito. Si accorse di essersi perso nelle fantasie più irreali quando vide la sigaretta spenta. Proseguì la sua strada, promettendosi di non ripensarci mai più.
     
  6. Si riaccese la sigaretta. Il sole batté da dietro, scaldando la nuca che talvolta il ragazzo toccava sotto i capelli, meravigliandosi del calore. Era una strada circondata da case ed edifici perlopiù piccoli, e attraversata da parecchie macchine. Osservò ogni punto da cui poteva essere notato e con diffidenza continuò la strada fino al centro. Si notava una certa gloria e un certo benessere ormai lavati via, in quel posto, dove gli abitanti prosperavano e ora, pietosamente, si abbandonavano al declino e alla crisi. Il giovane notò un'anziana molto fragile, dal passo timido e svogliato, dirigersi verso una meta probabilmente nulla; portava addosso più oro di quanto il ragazzo avesse mai potuto avere. Lo assalì una tremenda malinconia a notare la signora che con fatica teneva un'aria aristocratica, camminando davanti ad un albergo di lusso abbandonato, sbiadito e corroso. Egli non sentiva più i piedi ma le gambe pulsavano di dolore; ciononostante non rallentò la sua andatura rapida ed entrò nell'unico supermercato.
     
  7. I suoi polmoni si riempirono di un'aria completamente diversa; all'interno del negozio l'aria fresca, inodore e fredda fu sovrastata da un'atmosfera veloce, pesante, tiepida e soffocante delle persone. Un'atmosfera alquanto odiosa per il ragazzo che cercò sempre di stare da solo, isolandosi laddove la presenza umana non l'assaliva così duramente. Erano in maggior parte vecchi, in quel luogo maledetto ed opprimente, che consultavano svariate volte i prezzi delle confezioni, scatole e barattoli colorati. Si mise alla ricerca di qualsiasi cosa potesse alterare temporaneamente il suo cervello; camminando lento tra gli scaffali si imbatté in una giovane ragazza di carnagione scura, decisamente troppo scura per passare inosservata agli occhi curiosi del ragazzo. Ella si voltò di schiena e risaltò, così, i suoi lunghi capelli neri, tra i più scuri che si fossero mai visti. Il suo corpo delicato era stretto dai vestiti notevolmente attillati; ella s'avvicinò per prendere della pasta dallo scaffale più basso, mostrando così un perizoma tanto sporgente quanto invitante. Nonostante un tale spettacolo potesse essere gradito ad una mente tipicamente maschile, il giovane continuò a tenere un'espressione di disprezzo che in certi attimi sembrò scolpita nella roccia. Arrivò allo scaffale delle birre. Si rammentò della foglia rossa quando vide i colori delle lattine, quella foglia che forse giaceva inerme sotto l'albero, o che forse il vento già portò via. Non seppe spiegarsi perché continuava a pensarci. Controllò fermamente le gradazioni alcoliche e prese due lattine con quella più alta, dopodiché si lanciò quasi furtivamente verso le casse. Non era un vero supermercato, era decisamente troppo piccolo. Si udivano passi, lamentele, discorsi e talvolta delle urla insoddisfatte di qualche bambino. Nella fila dell'unica cassa aperta attendevano già diverse persone; la giovane nera precedette il ragazzo, costretto così a starle dietro. Ella smuoveva lentamente le gambe nell'attesa, in modo ritmico e dolce, ma non apprezzabile da lui. Cercando di tenere la testa vuota, si ritrovò dinanzi la stessa figura che lo perseguitò nel parco; il desiderio divenne speranza, il freddo divenne pretesto e l'odio si zittì. Si chiuse e smise di tenere conto di ciò che accadeva all'esterno di lui, davanti ai suoi occhi. Pervaso da quell'entità benevola non si accorse nemmeno dello sguardo brutalmente malizioso della cassiera, quando pronunciò il prezzo delle due birre di mattina.
     
  8. Tornò al parco. Il percorso fu ugualmente veloce e sgradevole, ma il sole ora gli batté in faccia e la sua mente fu presa dalle emozioni. Lungo il tratto si soffermò a lato di una farmacia e si sentì addolorato, siccome non poté stordirsi coi suoi prodotti, certamente più voluti dell'alcool: era chiusa.
     
  9. Si sedette sulla solita panchina. Il sole già attraversò una buona parte del cielo limpido, di un azzurro spento, ingrigito, forse anch'esso stanco come la terra di quel autunno, stanco come la foglia rossa che cedette la presa e si abbandonò alla caduta. Il giovane, seppur inspiegabilmente confuso, non si sentiva affatto solo nel cercare di isolarsi e di trascorrere le giornate senza alcuna compagnia. Proprio grazie alla solitudine egli rendeva la sua confusione più spiegabile; il silenzio mutava in un interlocutore saggio, che ascoltava attentamente e lasciavi spazi immensi per le riflessioni, il buio mutava in un'ambientazione universale che lasciava il resto all'immaginazione e le idee diventavano importanti pezzi di un continuum mentale. Per lui, ogni volta isolarsi non fu un'esclusione, bensì una transizione fra due realtà separate. Stava bene. Affondò la piccola lingua di metallo nell'alluminio sottile e gracile e bevve quattro sorsi dalla lattina. Restò deluso dal gusto e sul suo viso si notò più obbligo che piacere. Sperò di liberarsi dalla morsa di quel pensiero che costantemente riappariva, sperò di non dover più sopportare quel desiderio, ma quest'ultimo sembrò solo più accentuato. Le emozioni in lui crollarono; riuscì a scorgere solo quelle nuove a galla, come nell'aria dove il caldo tende a risalire. Bevve ancora. Nel tempo di una sigaretta, come usò calcolare lui, finì la prima lattina. Sentì la testa leggera e una particolare insensibilità nelle braccia. Sputò diverse volte, approfittando della saliva notevolmente condensata. Calcolò attentamente il numero di sigarette rimaste, mettendo quindi una in bocca, dopodiché l'accese e si abbandonò al suo stesso peso.
     
  10. Gli pesò più la mente che il corpo. Incapace di reggerla, chiuse gli occhi aspirando avidamente dal filtro ed emettendo un lieve lamento a bocca chiusa. Non parlava molto, non proferì anzi nemmeno una parola in quella giornata, e quel suono risultò strano e fuori luogo persino per lui stesso. Fu strano, sì; fuori luogo? Si mise nuovamente a riflettere di testa propria e capì che quel lamento, anche perché involontario, fu parte di qualcosa che egli non controllò, ma che serrò la sua metaforica mano sul suo cranio, invadendolo e stringendolo fin dalle radici del suo spirito, del suo ego, della sua intera esistenza. Qualsiasi cosa fosse, ebbe un'importanza pressoché vitale. Si guardò le mani e piano chiuse i pugni, soffiò il fumo sopra per poi vederli riapparire intatti, fermi e forti. Quelle stesse mani che operarono con diverse sostanze, quelle mani sbiancate dal freddo, quelle che lo hanno condotto su sentieri troppo impegnativi, forse, per un principiante come lui. Aprì l'altra lattina.
     
  11. Il sole descrisse un'ampia ombra gettata dagli alberi sulla solita panchina, eppure il ragazzo non sentì freddo, né caldo, tremò solo inconsapevole per un paio di minuti. Si svuotò di percezioni inutili. Davanti a lui volavano numerosi insetti e per quanto fosse capace di intrattenersene, in quel momento non lo fece. In quel momento stava combattendo interiormente e non sembrò neanche avere le forze per notare l'ora, uno strumento di calcolo del tempo così relativo. Non si addentrò nemmeno nelle sue fantasie più vivide di un mondo irritato, scosso, cambiato e mutilato da un'apocalisse per il genere umano in cui sempre sperava. No. La vera apocalisse avvenne dentro di lui e si promulgava fin da quando osservò quell'indifesa foglia rossa. Segretamente da tempo sperava in una rivoluzione nella sua vita, ma non di questo genere. Dovette, seppur non volle, pensarci.
     
  12. Si riempì lo stomaco col liquido fermentato in modo abbastanza scadente. Sentì un aereo di linea passargli esattamente sopra, qualche cane abbaiò e le macchine emettevano il solito rumore a cui si abituò. Tralasciò una cosa fondamentale: il tempo. Il sole stava lentamente tramontando ed egli, straordinariamente, desiderò che rimanesse alto il più a lungo possibile. I suoi pensieri erano molto più raffinati al buio; provò quasi paura quando pensò di dover affrontare la sua mente nell'oscurità nello stato in cui attualmente si trovava. Sulla panchina di fronte a lui si sedette un uomo. Egli accompagnava il suo cane, un cucciolo, che portò subito in braccio. Ne andava fiero. Si mise a girare una sigaretta fatta a mano e l'accese, tenendo il cane al guinzaglio. Il ragazzo nascose le lattine dietro lo zaino; non volle guai, volle esclusivamente essere lasciato in pace. L'uomo, però, continuò a permanere e a parlare col suo cane, trattandolo come un essere umano. Fu senza dubbio questo il periodo più lungo: il giovane si sentiva male in quella compagnia e non attese altro che stare da solo coi propri pensieri.
     
  13. L'uomo se ne andò, e con lui se ne andò il disagio. Restò invece la turbolenta calma in cui il ragazzo non seppe più ritrovarsi, abbandonato dalle proprie scelte, dubitò persino della lingua in cui scorrevano più calcanti che mai i suoi pensieri. Il desiderio di percepire diversamente la figura che aveva in testa gli bruciava il cervello; sentì un bisogno tremendo di comunicare con quell'esistenza oscura, lo sentì naturale. Si disperò. Una giornata intera non gli bastò per comprendere interamente ciò a cui assistette. I colori del parco cominciarono a spegnersi, lasciando vivo lo sfondo della valle in cui il sole emanava ancora arduo un bagliore candido. Allo stesso modo cominciò a spegnersi la speranza nel ragazzo, da sempre emarginata ed ora urgente e richiesta. Si sforzò di studiare l'oggetto di quella speranza, un tentativo lungo ma inutile. Si sentì debole, incapace, represso e impotente dinanzi al mosaico, ormai completo, di emozioni. I suoi occhi si umidificarono; prese un foglio su cui scrisse velocemente, dopodiché lo mise nella tasca interna del giaccone.
     
  14. "Non disprezzatemi per quel ch'ho fatto. I sentimenti inondano tutti ed io non ho avuto la forza di restarne immune. Forse c'era più umanità in me di quanto credessi. Ho già vissuto il mio pezzo, ora vado a riposare."
     
  15. Si asciugò gli occhi. Fu una sensazione strana, rimasta al chiuso ed ora liberata. Pianse, e non figurò neanche esattamente per cosa; pianse, e non se ne diede una ragione. Fu solo certo che non avrebbe potuto convivere con quel peso che però lo liberò da tutto il resto: sentì quell'entità sedersi dall'altra parte della bilancia, ribaltando le difficoltà.
     
  16. Si alzò dalla solita panchina. Non ebbe il coraggio di guardare il cielo; non perché vi potesse risiedere qualche dio, al contrario perché quella coperta di azzurro scuro era ampia ed infinita, contrariamente alla vita del ragazzo. Raccolse una foglia rossa, senz'altro diversa da quella che vide prima, ma replicò la stessa nostalgia. Mise anch'essa in tasca e s'incamminò verso il ponte della stessa strada. Non si curò di prendere lo zaino, lasciò tutto. Si sedette sulla ringhiera, sentì il cuore battere nelle tempie, un battito che avrebbe giurato essere tanto potente quanto quello nel petto. Chiuse gli occhi e sentì il vuoto sotto di lui. Poco più di quattro secondi, i suoi ultimi istanti. Immaginò la caduta nel modo più dettagliato. Gli apparve di nuovo la figura. Questa volta la strinse e borbottò qualche parola intraducibile. Sentì tutto. Capì tutto. Si abbandonò al suo stesso peso.
   
 
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