Una
strega
Ero persa nella folla di centinaia e centinaia di uniformi nere, tutte
uguali,
molto insolite, in effetti. Davanti a me un omone di oltre due metri,
con una
fitta e nera barba incolta e una criniera altrettanto lunga e
selvaggia. “Seguitemi”,
disse, rivolto alla calca. Mi guardai intorno e mi accorsi che,
stranamente,
eravamo tutti bambini, più o meno della mia età,
tutti spaventati e, a un
tempo, incuriositi. Seguimmo il gigante senza fiatare, diretti
chissà dove,
circondati dal buio più totale. Intraprendemmo quello che
sembrava un sentiero.
No, forse era un bosco. Aspettai che i miei occhi si adattassero a
quell’oscurità
ed ebbi la certezza di trovarmi, effettivamente, nel mezzo di una
foresta. Quella
situazione era a dir poco bizzarra, ma non ci facevo caso. Usciti dalla
boscaglia,
mi si presentò davanti un grande lago nero. Non so
perché, ma associai quell’immagine
al Loch Assynt, un lago del Sutherland, in Scozia, che avevo visitato
per il
mio nono compleanno con i miei genitori. La leggenda narrava che in
quelle
acque vivesse una sirena, la “sirena di Assynt”,
ovvero Eimhir, la figlia
scomparsa di MacLeod, che, promessa sposa al Diavolo (Clootie, per gli
scozzesi),
per disperazione si gettò da una delle torri del castello
del padre, costruendosi
poi una nuova casa nelle profondità del lago. Quanto mi
piaceva quella storia …
e, guarda caso, anche all’estremità di quella
raccolta d’acqua, come nella
leggenda, c’era un castello, un grande castello con tante
torri figlie che
illuminava l’oscurità circostante con le sue
sfavillanti luci. L’omone ci
chiamò da lui, invitandoci a salire su un piccolo battello,
e poi ….
<<
Hermione! Hermione! >>.
La
voce di
mia madre mi riportò bruscamente alla reltà. Era
stato solo un sogno. Ma era
così realistico ...
<<
Mamma, sono sveglia >> le strillai in risposta.
Quel
giorno,
il 19 Settembre, compivo undici anni: era il mio ultimo anno di scuola
primaria. Mi vestii in fretta: erano già le otto, e non mi
piaceva ritardare a
scuola. Avrei dato il cattivo esempio, in qualità di
rappresentante di classe.
<<
Buon compleanno, Hermione Jean Granger >> mi accolse mio
padre, non
appena entrai in cucina.
<<
Grazie, papà. Sei sempre il primo >> gli
dissi, abbracciandolo.
Incredibile
come già alle otto del mattino profumasse di dentista: un
misto di colluttorio
e deodorante per ambienti. Dall’altra parte della stanza, la
mamma stava
preparando la colazione. Si avvicinò a me con la padella e
mi versò nel piatto
le uova e due salsicce.
<<
Auguri, amore >> disse, baciandomi sulla fronte e
accarezzandomi una
guancia. << Stai proprio diventando una signorina
>>.
Uscì
dalla
cucina e, dopo pochi secondi, fu di ritorno con in mano un pacco.
<<
Questo
è il tuo regalo da parte mia e di papà
>>.
Me
lo porse
e lo scartai, pur sapendo perfettamente cosa fosse. Erano mesi che la
pregavo
di regalarmi quel libro. Non appena ebbi di fronte il testo richiesto e
tanto
agognato, “Alla ricerca del tempo
perduto”
di Marcel Proust, non riuscii a trattenere le lacrime.
<<
Mamma, grazie mille! >> strillai, gettandomi tra le sue
braccia.
<<
Ricordati che è il romanzo più lungo del mondo
>> mi ammonì mio padre.
<< Ti sfido a leggerlo in tre giorni >>.
<<
Ci
metterà anche meno tempo, la mia Hermione >>
esclamò mia madre,
liberandosi dall’abbraccio e dandomi un altro bacio.
<< Però adesso
mangia, che è tardi >>.
Finii
in
fretta la mia colazione e mi preparai ad uscire. Scorsi della posta
nella
cassetta delle lettere ; la presi distrattamente e la gettai sul
tavolino del
salotto: sicuramente erano tutte tasse per mamma e papà.
Salii sullo scuolabus,
accolta da un inaspettato e – apparentemente - spontaneo coro di
“tanti auguri a te”. Che
strano, i miei compagni se ne erano ricordati. Li ringraziai e mi
sedetti in
prima fila, dietro all’autista, come sempre.
<<
Auguri, signorina >> mi disse lui.
<<
Li
ha obbligati a cantare per me, vero? >> gli domandai.
Ero
sicura
che c’entrasse qualcosa con quel coro d’auguri.
Annuì
in
risposta.
<<
E’
il minimo che possa fare, per una bambina speciale e dotata come lei
>>
mi sorrise.
Ammiravo
quell’uomo. Nonostante avesse almeno settant’anni
– come rivelavano i suoi
capelli argentei e le rughe sul volto -, il signor Bludedorme ogni
mattina
accompagnava noi studenti alla scuola della città, e tutto
gratuitamente. “E’ il mio
modo per tenermi in forma”,
diceva spesso. In quegli anni, parlando ogni giorno con lui, avevo
scoperto che
aveva ben due lauree, ed un’immensa cultura. Era stato lui a
consigliarmi di
acquistare il libro di Proust: “visto
che
divora libri come dolci, le suggerisco di cimentarsi con le opere di
Proust”,
aveva detto. Ormai mi conosceva molto bene, sicuramente meglio di tutta
la mia
classe, con cui non avevo proprio legato: erano tutti troppo
… normali. Normali e
banali. Per non
parlare del fatto che mi detestassero: non c’era un giorno in
cui non mi
lanciassero battutine. Per loro, io ero la “signorina so-tutto-io”, vittima ideale
dei loro scherzi crudeli. Ancora
ricordavo mestamente il giorno in cui, per non avergli passato il
compito di
storia, mi avevano chiusa a chiave nel bagno della scuola, lasciandomi
lì dentro
per quasi sei ore.
Durante
il
tragitto, iniziai a leggere il libro che mi aveva regalato la mamma,
trovandolo
stupendo sin dalla prima riga. A scuola, anche quel giorno i professori
non
furono per niente stimolanti; per colpa dei miei stupidi compagni,
tutt’altro
che studiosi, erano mesi che ripetevamo sempre le stesse cose. Decisi
quindi di
proseguire nella lettura, certa che nessuno mi avrebbe disturbata. E
infatti fu
così. Nessuno si degnò di scrivermi un
bigliettino di auguri, né di rivolgermi
la parola. Quando uscii da scuola, nel tardo pomeriggio, avevo solo
voglia di
tornare a casa a festeggiare con mamma e papà.
<<
Scusa il ritardo, Hermy. La figlia dei Kent non voleva aprire la bocca,
e ha
almeno tre carie >> si giustificò mio padre,
spalancando la portiera dell’auto.
<<
Non
preoccuparti >> dissi, salendo.
Ci
dirigemmo
verso casa nel più assoluto silenzio. Facemmo una sosta allo
studio dentistico
per prendere la mamma, ancora in camice.
<<
Il
signor Kent >> dichiarò, a mo’ di
giustificazione. << E’ quasi
peggio della figlia >>.
Una
volta
aperta la porta di casa, salii le scale, diretta nella mia cameretta.
Sul
letto, trovai un grande pacco tutto rosso, con un bel fiocco verde.
Lessi il
bigliettino d’accompagnamento: “Da
un
amico”. Mi affrettai ad aprirlo, curiosa, e scoprii
che si trattava di un
altro libro. Sul frontespizio campeggiava, a lettere d’oro,
il titolo: “Manuale degli
Incantesimi, Volume Primo”, di
Miranda Gadula. Non avevo mai sentito nominare quel testo,
né tantomeno quell’autrice.
Aprii il libro e trovai una dedica nella prima pagina: “A
Hermione Jean Granger, bambina incredibilmente dotata e con un acuto
spirito d’osservazione. A.S.”.
Che
libro
strano, pensai. Bussarono alla porta della mia stanza.
<<
Hermione, è arrivata questa lettera per te >>
dichiarò mio padre,
entrando.
<<
Per
me? >> esclamai, meravigliata.
Non
arrivava
mai niente per me, dai tempi in cui avevo annullato
l’abbonamento mensile ai
fumetti. Mi porse la lettera ed uscì. Era una busta spessa,
molto pesante, di
pergamena. Curiosamente, l’inchiostro era verde smeraldo: una
cosa insolita,
molto insolita. La voltai e scorsi un sigillo rosso porpora con uno
stemma strano:
una H con intorno quattro animali. Li osservai meglio: erano un
serpente, un
corvo, un tasso e un leone. Aprii la busta con mani tremanti, quasi
fosse l’ingiunzione
di un tribunale, e lessi:
“Cara signorina Granger,
siamo
onorati di informarLa che ha diritto a frequentare la Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Troverà
in allegato l’elenco dei libri di testo e di tutto
l’occorrente.
I
corsi inizieranno il 1° Settembre dell’anno prossimo.
Attendiamo
una sua risposta.
Con
ossequi,
M.
McGranitt”.
Scuola
di Magia e Stregoneria? Doveva
essere qualche scherzo dei
miei compagni. Eppure, effettivamente, c’era un elenco di
libri di testo, tra
cui figurava – guarda caso – il “Manuale
degli Incantesimi, Volume Primo”, di Miranda
Gadula. In un altro foglio c’era
un elenco di accessori, tra cui una bacchetta magica, un calderone in
peltro e
un telescopio, e di indumenti da indossare
“obbligatoriamente”. Ma perché proprio
quello scherzo? Che senso aveva? Decisi di sfogliare il libro di
incantesimi,
pronta a verificare la veridicità della lettera. Aprii una
pagina qualsiasi e
ne lessi uno: Wingardium Leviosa. Il
testo recitava: “Il Wingardium
Leviosa è
un incantesimo di Levitazione, il cui scopo cioè
è di far volare gli oggetti.
Fondamentale è che la pronuncia sia corretta, con
l’accento tonico sulla
seconda sillaba di entrambi i nomi – Wingàrdium
Leviòsa -, per non rischiare
effetti spiacevoli*, e che il movimento del polso sia esattamente
uguale a
quello riportato nella figura accanto. Insomma, agitate e
colpite!”. L’asterisco
rimandava ad una scritta a fondo pagina: “Vi
devo ricordare del Mago Baruffio, che disse “s”
anziché “z” evocando un
orso?”.
Divertente. Peccato che non avessi una bacchetta. Provai a
cercarla nel
pacco regalo, speranzosa, e, incredibilmente, la trovai. Una piccola e
sottile
bacchetta di legno. Dubitavo seriamente che sarebbe successo qualcosa,
ma tanto
valeva tentare. Agitai la bacchetta verso l’orsacchiotto di
peluche sul letto,
seguendo pedissequamente il disegno sul libro, e recitai quelle strane
parole, “Wingardium
Leviosa!”, sperando che
nessuno mi sentisse. E, incredibilmente, funzionò.
L’orsetto iniziò a levitare.
Quasi svenni per la meraviglia; non potevo credere ai miei occhi.
In
quel
momento, capii realmente chi ero: Hermione Jean Granger, una strega.