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Autore: Touch the sound    22/02/2015    2 recensioni
Dei lunghi capelli neri su quella pelle così pallida, i suoi occhi erano chiari e belli. Gli occhi azzurri gli erano sempre piaciuti.
[Chris-Ricky]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8 - Right or wrong?
Ricky scese le scale di corsa e diede un'occhiata in giro, non vedeva i suoi genitori fra tutti i camerieri che girovagavano per la casa intenti a togliere tutti gli addobbi. Gli si accelerò il battito cardiaco quando pensò che probabilmente l'avrebbero ucciso per quello che stava per fare, ma non ci pensò due volte prima di correre fuori. Arrivato in strada svoltò a sinistra e corse più che poteva. Chris, nel tragitto dal negozio alla casa di Ricky, gli aveva detto che abitava verso la periferia, gli aveva dato delle indicazioni, quindi si diresse deciso in quella direzione. Era praticamente senza fiato, ma continuò imperterrito. Nel momento in cui, indeciso, stava per imboccare un vicolo non troppo stretto ma abbastanza buio, sentì delle urla e in lontananza vide delle luci, probabilmente erano sirene. Si avvicinò a quella zona. Non c'era mai stato, i suoi genitori spesso ne parlavano male, dicevano che nei "quartieri dei poveri" un Olson non ci avrebbe mai messo piede, e poi ci ridevano su.
Si avvicinò alle persone che, numerose, avevano circondato una casa difronte alla quale vi era un'ambulanza ferma. Le sue orecchie sentivano così tanti rumori, i suoi occhi vedevano così tanti volti sconosciuti. Si distingueva un pianto disperato.
Di fianco a lui passò un ragazzo poco più alto di lui, aveva gli occhi scuri e i capelli completamente rasati, quasi gli fece paura.
«Hei, scusa» disse timidamente Ricky richiamando la sua attenzione.
«Sai che è successo?»
Il ragazzo lo guardò dalla testa ai piedi, quasi con disprezzo. Sembrava che però andasse di fretta quindi gli rispose velocemente.
«No»
Lo vide correre verso la calca e scomparire. Si sentì osservato mentre guardava quella scena da lontano. C'erano persone che probabilmente l'avevano riconosciuto e si stupivano di vederlo lì.
Qualche secondo dopo l'ambulanza partì e tutti si misero ad un lato della strada per lasciarla passare liberamente. In un attimo tutte quelle persone scomparvero, rimase solo una ragazza che piangeva, una donna che l'abbracciava e quel ragazzo con cui lui aveva parlato. La ragazza chiedeva di Chris e gli altri due la rassicuravano. La donna salì in macchina seguita dai due ragazzi e poi si misero sulla strada per l'ospedale.
Ricky rimase fermo sul ciglio della strada. Cercava di capire cosa fosse successo, ma ormai non c'era più nessuno e anche se avesse voluto, non avrebbe potuto chiedere informazioni a nessuno. Era indeciso sul dafarsi. Se quel Chris era il suo Chris, allora avrebbe voluto tanto correre da lui.
«È proprio un figlio di puttana» disse una voce alle sue spalle. Si voltò e vide un uomo con una bottiglia di birra in mano.
«Ha nove vite come come i gatti e sai su chi pesa? Su di me, dicono che dovrei prendermene cura, ma io nemmeno lo volevo un figlio malato»
Ricky pensò che probabilmente fosse ubriaco.
«Lo vedi questo?» gli chiese l'uomo avvicinandosi di un paio di passi e puntandosi un dito sull'occhio destro. Ricky annuì notando il grosso livido violaceo.
«Me l'ha fatto l'amico di quello lì... come si chiama? L'altro figlio di mia moglie... Christopher» disse gesticolando come un matto.
«E sai perchè? Perchè lui dice che gli ho rubato i soldi, ma io non ho rubato niente... anzi, sì, ma lui non ha nessuna prova eppure mi fa picchiare dai suoi amici» continuò con quel tono incredulo, mentre Ricky era a bocca aperta. Lo stomaco gli si strinse dolore. Se quello era il padre di Chris e quella storia che aveva raccontato era vera, significava che Chris non aveva una vita tanto semplice. Ma questo era ovvio, in quei brutti quartieri nessuno ce l'aveva.
«Mi dispiace» disse in un sussurro.
«Sa dove l'hanno portato?» gli chiese poi tirando fuori tutto il coraggio che aveva. Parlare con sconosciuti, tra l'altro ubriachi, non era una delle cose che gli riusciva bene. L'uomo ci pensò un pò su.
«Il... Saint... ehm... Saint Anem-»
«Saint Anemon Hospital?» lo bloccò Ricky con la voce spezzata da un brivido d'eccitazione. L'altro annuì e lui cominciò a correre di nuovo. A circa metà strada si fermò e si mise una mano sul petto mentre rifletteva. Suo padre, qualche volta, per andare in ospedale ed era in ritardo prendeva una scorciatoia, ma in così tanti anni non aveva mai imparato con precisione quale di quelle stradine era la giusta. Chiuse gli occhi qualche secondo e quando li riaprì, ne imboccò una, quella che gli sembrava la più giusta. Quando si ritrovò difronte all'ospedale sospirò sollevato. Probabilmente, dopo quella sera, non si sarebbe mai più confuso.
Dentro l'ospedale la temperatura era più calda e bastò quello a rilassarlo. C'erano tante persone e gli infermieri scorrazzavano a destra e sinistra, chi più indaffarato e chi meno.
«Ehi, Richard»
Ricky guardò di fronte a sè e vide una donna robusta, con i capelli ricci e un sorriso smagliante andargli in contro. Lui odiava gli ospedali, ma quell'infermiera gli stava simpatica. Ogni volta che andava lì era l'unica a sorridergli, gli altri probabilmente pensavano solo che lui fosse il figlio del dittatore che li costringeva a lavorare anche il sabato sera.
«Ciao, Emma»
«Che ci fai qui? Non è il compleanno di tuo padre oggi? A proposito portagli i miei auguri»
«Sì, grazie... io... Emma, io sto cercando un ragazzo che hanno portato qui in ambulanza circa dieci minuti fa, non lo so cosa gli è successo, non conosco il suo nome, ma i-io...» disse tutto d'un fiato e con lo sguardo disperato. 
«Ehi, rilassati... Richard, stasera sono arrivate così tante ambulanze e poi io non posso dirti i nomi dei pazienti»
«Sì, lo so, ma... va bene, scusa, non fa niente, resterò un pò qui poi andrò a casa» disse rassegnato. Non sapeva nemmeno perchè volesse sapere cosa era successo. In fondo, se Chris avesse voluto dirglielo l'avrebbe fatto. 
«Puoi solo fare una chiamata a mio padre? Gli dici che sono venuto qui solo perchè ho saputo che un mio amico è stato male»
La donna annuì e si allontanò. Ricky si diresse verso la sala d'attesa e si sedette. Cercò di rilassare tutti i nervi tesi che aveva nel corpo, poi si alzò e uscì dall'ospedale. Rabbrividì e si strinse fra le sue stesse braccia. Si guardò intorno distrattamente in procinto di incamminarsi verso casa, ma qualcosa lo costrinse a fermarsi. Quel ragazzo, quello con cui aveva parlato fuori casa di Chris, era a qualche metro da lui seduto su una panchina, si stava accendendo una sigaretta. Non sapeva se avvicinarsi, non era stato tanto gentile con lui, ma forse l'avrebbe aiutato. Andò a sedersi accanto a lui senza dire niente. Si sentiva molto a disagio, lui non era quel tipo di persona che si avvicina a chiunque senza pensarci su duemila volte.
«Che cazzo vuoi da Chris?» gli chiese il ragazzo senza aspettare che Ricky parlasse.
«Io non... non voglio niente, voglio solo... parlargli»
«Senti, ci puoi parlare quanto vuoi, ma sappi che per lui non sei niente»
Ricky si accigliò sentendosi offeso.
«Perchè?» chiese incredulo. Quel ragazzo non lo conosceva nemmeno, per quale motivo lo stava trattando così?
«Se tu non ti fossi messo in mezzo, stasera probabilmente non saremmo qui a sperare che suo fratello si salvi... sparisci» disse il ragazzo arrabbiato. 
«Trevor»
I due ragazzi seduti sulla panchina voltarono contemporaneamente lo sguardo verso l'ingresso dove c'era Chris che li guardava. Ricky vide il ragazzo accanto a lui alzarsi e andare verso Chris con decisione. Li sentì parlare fra di loro, ma non capì cosa si stessero dicendo, sembrava che stessero quasi litigando senza però alzare la voce. Trevor dopo un pò andò via e Chris si avvicinò a Ricky e si sedette. Lo guardò a lungo mentre l'altro se ne stava con lo sguardo basso e tremava leggermente.
«Come hai fatto a sapere che ero qui?» gli chiese.
«Ti ho seguito, poi ho... ho visto l'ambulanza e...» lasciò la frase in sospeso senza aggiungere il dettaglio di suo padre ubriaco che aveva parlato male di lui.
«Jonathan è autistico e ha dei problemi al cuore e ai polmoni... lo so che Betsy sa quali medicine deve prendere, ma questo non significa che devo lasciarglielo fare... è tutta colpa mia, lei è molto responsabile, ma ha pur sempre dodici anni» disse guardando il vuoto. Sembrava che si stesse odiando profondamente, la sua voce e il suo viso esprimevano rabbia.
«Betsy sarebbe...»
«Mia sorella» disse subito Chris con una punta di orgoglio. Si ritrovò anche a pensare che lei e Jonathan erano le uniche persone per cui lui avrebbe dato anche la vita. E immaginare suo fratello in quel letto, così piccolo e indifeso, gli stava provocando delle fitte dolorose allo stomaco.
«Devo tornare dentro» disse, ma non si mosse, non riuscì ad alzarsi. Ricky lo guardò esitante, non sapeva cosa dirgli o cosa fare. Chris sembrava combattuto fra il voler tornare dai suoi fratelli e qualcos'altro, qualcosa che Ricky non riusciva a decifrare.
«Ricky, mi dispiace per quello che ha detto Trevor» disse Chris con risentimento.
«Non fa niente» mormorò l'altro e Chris non potè non perdersi in quegli occhi che gli stavano sorridendo. Ricky sentì le guance pizzicargli, ma per una volta decise di non pensarci, decise di lasciarsi andare a quella sensazione, decise di far finta che quell'imbarazzo non lo stesse rendendo ridicolo, decise che guardare Chris fosse più importante di qualunque altra cosa. E c'era quel silenzio che sapeva di complicità, e le luci intorno che parevano diventare piccole lucciole danzanti, e il suo cuore che batteva a ritmo di una melodia inesistente, i loro caldi sospiri che si condensavano nella bassa temperatura della notte, e la mano di Chris che calma si poggiò sul viso di Ricky, gli sfiorò una guancia e poi le labbra, le sue dita che si insinuarono appena fra i suoi capelli e lì arrestarono la loro corsa. Ricky socchiuse gli occhi assaporando quella carezza, quando li aprì ebbe un fremito, non riuscì a reggere il peso dello sguardo di Chris che si avvicinava sempre di più, e allora guardò quelle labbra leggermente dischiuse e così invitanti. In un istante le sentì sulle sue. Fu un bacio casto, semplice, un tocco timido ma allo stesso tempo caloroso e suggestivo. Ricky non avrebbe voluto lasciar andare quelle labbra morbide e dolci, ma non lo trattenne quando non lo sentì più così vicino. Si sorrisero e, ancora, quell'atmosfera romantica li teneva legati. 
Quando Chris si alzò, Ricky lo seguì con lo sguardo e rimase quasi senza fiato, dal basso di quella panchina gli sembrò come una montagna che si innalzava su un mare calmo, sotto un cielo sereno. Si sentiva piccolo, ma protetto da quella roccia che si levava alta e imponente.
«Vai a casa, Ricky, è tardi» gli disse Chris e Ricky abbassò lo sguardo, riprendendosi di colpo. Si alzò.
«Sì e tu d-devi... andare nel... devi...»
«Devo tornare dentro» disse Chris senza nemmeno sforzarsi di trattenere una risata per quel balbettare, per quel suo modo di fare spesso impacciato.
«Sì» sussurrò Ricky.
«Ci sentiamo, okay?»
Ricky annuì e Chris si allontanò scomparendo oltre le porte scorrevoli dell'ospedale. Subito dopo Ricky si portò una mano sul petto e respirò pesantemente. Quel ragazzo gli causava spasmi involontari e tremendamente piacevoli al cuore, allo stomaco e nei pantaloni.  

Ricky si diresse in camera sua a testa bassa. Suo padre gli aveva fatto una lavata di testa perchè era uscito di casa senza avvertire e, secondo lui, qualche maniaco avrebbe potuto rapirlo, qualche macchina investirlo e qualche strano animale trasformarlo in un mutante.
Si mise a letto e sorrise. Non riusciva a smettere, ricordava la sensazione di avere Chris così vicino a lui e gli sembrava quasi di averlo ancora di fronte. Aveva tanta voglia di sentire la sua voce ancora e ancora, l'avrebbe ascoltata possibilmente fino alla nausea.
Si mise sotto le coperte e quel calore lo portò presto a sbadigliare e addormentarsi di colpo. 

L'ora di ginnastica sembrava non voler passare. Ma almeno Ricky se ne poteva stare tranquillo, seduto sul pavimento della palestra a guardare il vuoto, a pensare tanto profondamente da annientare il rumore dei piedi scalpitanti dei compagni di classe, del pallone che passava di mano in mano e che di tanto in tanto si schiantava per terra, delle grida dell'allenatore, dei battiti delle sue mani quando qualcuno segnava qualche punto.
Ricky stringeva forte il suo cellulare. Di solito, in quella situazione, avrebbe pensato a quanto odiava quella scuola, a quanto sarebbe voluto essere da qualche altra parte con i suoi amici o da solo, con la sua musica. Ma in quel momento non si concentrò molto su quanto non sopportasse il rumore del fischetto dell'allenatore, la sua mente viaggiava verso Chris. 
Stringeva il cellulare combattendo contro quella voglia incontrollabile di chiamarlo. Voleva sapere come si sentiva o, forse, quello nemmeno gli importava, gli importava sapere se quello che era successo la sera prima non era stato solo un sogno.
«Ricky»
Quella voce lo distrasse e istintivamente gli occhi corsero verso la direzione da cui proveniva quel suono. Dalla porta degli spogliatoi intravide Ryan che lo fissava e si accigliò. Di solito a quell'ora lui era nel bel mezzo dell'ora di algebra.
Vide che gli stava facendo cenno di andare verso di lui, allora, stando attento a non farsi vedere da nessuno, corse verso gli spogliatoi e si chiuse la porta alle spalle.
«Che ci fai qui?» chiese Ricky.
«Niente, il vecchio non c'è e io sono scappato dall'aula... ti va di fumare?»
Ricky lo guardò esitando. Non si erano parlati da quando avevano avuto quella piccola litigata sul balcone della scuola, ma Ryan era andato da lui come se non fosse mai accaduto e Ricky sorrise perchè non se l'era presa per quelle parole rabbiose che gli aveva detto.
«Okay»
Anche sul viso di Ryan si accennò un sorriso e insieme si avviarono verso l'uscita di sicurezza.
«Ho saputo che hai parlato con Devin» disse Ryan camminando a testa bassa mentre tirava fuori un pacchetto di Marlboro dalla borsa.
«Già» rispose timido Ricky accettando di buon grado la sigaretta. Arrivati sul retro della scuola si sedettero per terra e cominciarono a fumare in silenzio.
«Come ti va la vita?» gli chiese Ryan dopo un pò.
«Ehm, bene... direi» mormorò Ricky.
«Sicuro?»
Un sospiro rispose alla domanda posta di Ryan che si preoccupò perchè Ricky sospirava in quel modo solo in caso di profonda tristezza o confusione.
«Che c'è?»
«Niente» rispose Ricky. Non poteva dirgli quello che stava facendo di nascosto da tutti. Non poteva assolutamente fargli sapere che stava letteralmente perdendo la testa per un ragazzo.
«C'entra Martha?»
Ricky stava quasi per scuotere la testa, ma poi annuì. Solo così poteva liberarsi da quella situazione.
«Non vuole lasciarmi in pace, devo farle capire che fra noi è finita»
«Allora vai da lei e diglielo in faccia»
Ricky gli sorrise come a ringraziarlo del consiglio, ma avrebbe voluto bruciarsi con la brace di quella sigaretta invece che farla illuminare un pò di più ad ogni tiro. Odiava dover mentire ai suoi amici, loro erano la parte più bella della sua vita.

Stare seduto a tavola insieme ai suoi genitori era un'impresa, ma gli piaceva molto. Teneva gli avambracci verso il tavolo e lo sfiorava appena, la schiena dritta e la bocca ben chiusa mentre masticava. I suoi genitori ci tenevano a certe cose, soprattutto sua madre. Suo padre, invece, gli obbligava a seguire il galateo solo in presenza di ospiti. 
Era da un pò che non riusciva a togliersi il sorriso dal volto e questo sorprese sua madre che era abituata a vedere il perenne broncio stampato sul volto del figlio.
«Cosa ti rende così felice, Richard?» gli chiese prima di bere un sorso d'acqua. Il ragazzo mandò giù il boccone e la guardò ancora sorridendo.
«Niente, è solo una bella giornata»
Il suo sguardo corse verso sinistra, dove era seduto suo padre.
«Papà, oggi posso venire in ospedale con te?»
«Vuoi fare visita al tuo amico?»
Ricky annuì.
«Va bene, allora appena hai finito di pranzare corri a prepararti»
«Grazie» disse Ricky senza sembrare troppo eccitato all'idea di rivedere Chris. Quell'espressione sorridente ce l'aveva proprio questo, perchè aveva combattuto la paura e l'aveva chiamato. Si era sentito in imbarazzo e insiecuro quando Chris gli aveva detto che gli avrebbe fatto piacere rivederlo anche se era ancora in ospedale. 
Si leccò lentamente le labbra immaginando quelle di Chris e cercando di ricordare la sensazione che aveva provato mentre le stava baciando. Socchiuse un attimo gli occhi mentre sentiva una piacevole sensazione allo stomaco. Anche se tutta quella storia lo spaventava e lo imbarazzava parecchio, non vedeva l'ora di baciarlo di nuovo, di sentire le sue mani che lo sfioravano. 
Smise di mangiare lasciando ancora un pò di cibo nel piatto e si alzò correndo in camera sua. Sapeva di aver vagato un pò troppo con l'immaginazione, ma sentiva che con Chris poteva permetterselo. Nonostante quella situazione gli mettesse paura, si faceva coraggio perchè dentro di sè sapeva che era esattamente quello che voleva. Stare con Chris gli sembrava fin troppo giusto. Gli piaceva tutto di lui e, diversamente dai discorsi classisti di suoi padre, a lui non importava se era cresciuto in un quartiere povero. Chris era pienamente all'altezza, era intelligente e gentile, e anche se non gli era stata impartita un'educazione particolarmente severa, sapeva come comportarsi. 
Si guardò allo specchio e vide qualcosa sul suo volto, forse erano i suoi occhi, brillavano e non riusciva a credere a quanto gli piacesse vedersi con quell'espressione. Non si era mai ritenuto un bel ragazzo, ma nemmeno si era fatto dei complessi sul suo fisico, semplicemente non aveva mai avuto un parere su se stesso. Ma in quel momento vedeva il suo sorriso e gli piaceva.
«Ricky, sei pronto?» gridò la voce rauca di suo padre che, probabilmente era in fondo alle scale. Poteva immaginarselo, nella sua camicia e il soprabito lungo e nero. Si sistemò velocemente i capelli e afferrò una felpa indossandola mentre correva per il corridoio.
Salutò sua madre con un cenno della mano e uscì di casa con suo padre.
In macchina stettero per un pò in silenzio, mentre la radio mandava una canzone che a Ricky non piaceva. L'ansia gli stava attanagliando lo stomaco e sentiva un formicolio poco piacevole partirgli dalle gambe e salirgli lungo la schiena. Vide con la coda dell'occhio che suo padre stava abbassando il volume e quel gesto catturò la sua attenzione.
«Come si chiama questo tuo amico?» gli chiese mentre teneva lo sguardo fisso sulla strada.
«Chris» sussurrò sperando che suo padre ricordasse di averlo visto la sera prima al suo compleanno.
«Ah sì, come mai è in ospedale?»
«Ehm, non lo so, ieri sera suo fratello si è sentito male e credo l'abbiano ricoverato visto che è ancora lì» rispose nervosamente il ragazzo torturandosi l'unghia dell'indice.
«Ieri sera me l'hai presentato, quindi lo conosci da poco»
A quel punto Ricky si sentì come il colpevole di un omicidio che veniva interrogato. Dove voleva andare a parare con quelle domande? 
«Infatti, saranno un paio di settimane più o meno»
Lo vide annuire e per un pò restò in silenzio. Ricky tirò un sospiro silenzioso mentre si rilassava, ma subito dopo tornò sugli attenti perchè suo padre riprese a parlare.
«Chi sono i suoi genitori?»
Ricky aggrottò la fronte.
«Papà, per quanto a te possa sembrare una cosa spregevole, quando un adolescente incontra qualcuno non va ad indagare sul suo albero genealogico»
Suo padre emise una sottilissima risata.
«Io non voglio che mio figlio frequenti brutte compagnie, noi abbiamo una reputazione»
Quel commento fece innervosire Ricky. Il suo tono di voce faceva trasparire la poca fiducia che aveva in lui. Era come se nella testa di suo padre lui non fosse abbastanza maturo da poter capire se una persona era "buona" o "cattiva". Probabilmente non aveva l'esperienza di un adulto, ma non era nemmeno un idiota e sapeva quali erano le persone da cui tenersi lontano.
«Papà, per favore» riuscì a dire solo quello e la conversazione morì in quel punto. Fortunatamente, pensò Ricky che, guardando l'espressione di suo padre, capì di non averlo convinto. Sperò con tutto se stesso che non cominciasse ad indagare nella vita di Chris, altrimenti sarebbe stata davvero la fine. Aveva fatto così anche con Josh e Devin e quel comportamento aveva infastidito Ricky al punto che per un certo periodo non gli aveva rivolto la parola, nemmeno una saluto.
Arrivati in ospedale, Ricky cercò di liberarsi velocemente dalle grinfie di suo padre e andò dritto al reparto che gli aveva indicato Chris. Cercò la stanza e prima di entrare chiuse gli occhi e prese un paio di respiri. Sembrava quasi che l'aria non volesse arrivare pienamente ai polmoni, il cuore gli batteva forte. 
Bussò un paio di volte e subito sentì una voce femminile che lo invitava ad entrare. Andò in panico per un secondo, giusto il tempo di mettere la mano sulla maniglia e abbassarla. Non sapeva chi avrebbe trovato oltre quella porta. Aveva sperato di stare solo con lui.
Entrò cautamente e vide subito una ragazza -la stessa che aveva visto piangere fuori casa di Chris e, probabilmente, era sua sorella- che era seduta su una sedia e teneva per mano il ragazzo steso sul letto, lui teneva gli occhi chiusi. 
«Ehm, ciao, io... sono Ricky, un ami-»
«So chi sei» disse velocemente la ragazza con un tono duro, quasi infastidito.
«Chris è andato a prendere qualcosa da mangiare, dovrebbe tornare presto»
Ricky annuì chiudendo la porta, ma non riuscì a muoversi. Si sentiva a disagio e sentiva le guance accaldarsi. La ragazza lo stava scrutando attentamente e probabilmente fu quello a metterlo in imbarazzo.
«Ehm... come sta?» chiese il ragazzo con la sua naturale gentilezza.
«Non lo vedi?» rispose lei con sgarbatezza. Ricky guardò verso il letto e vide solo tanti macchinari intorno a quel corpicino indifeso. Non ci capiva niente, ma da alcuni discorsi di suo padre aveva capito che quanti più tubi circondavano un paziente, più la situazione era grave. Ne riuscì a contare tre o quattro.
Abbassò lo sguardo e si infilò le mani in tasca, erano leggermente sudate.
Trattenne il respiro per lunghi secondi che gli sembravano interminabili. Gli capitava spesso di fermare volontariamente la respirazione, lo faceva quando era parecchio stressato, nervoso e, in alcuni casi, imbarazzato.
Riprese a respirare regolarmente quando sentì la porta alle sue spalle aprirsi. Si voltò e finalmente vide il volto di Chris che sembrò illuminarsi.
«Ciao» mormorò Ricky sentendo le gambe diventargli come gelatina. Chris lo guardò incapace di dire qualcosa. Vederlo dopo una notte insonne era come una ventata d'aria fresca.
«Chris, io avrei anche un tantino fame» 
La voce di Betsy li distrasse e Chris si affrettò a darle la busta che aveva in mano.
«Sono andato da Darrel, come volevi tu»
Gli occhi della ragazza sembrarono accendersi mentre tirava fuori il suo panino. Chris sapeva bene perchè le piacevano tanto quei panini, ma cercava sempre di ignorare le vere ragioni.
«Come stava?» chiese lei.
«Dietro un bancone, affettava prosciutto»
«Ma non Darrel, suo figlio, idiota»
Chris sospirò e Ricky si lasciò un pò andare, ridendo leggermente a quella scena.
«Betsy, quel tipo ha la mia età e tu non ci condividerai nemmeno l'ossigeno, chiaro?»
«Ma fatti gli affari tuoi» rispose Betsy acida.
«Tu sei affare mio e quindi si fa come dico io» 
Ricky si morse il labbro inferiore a quelle parole. Sentirgli pronunciare quella precisa frase con quel preciso tono di voce, così protettivo e autoritario, aveva scatenato in Ricky qualcosa che nemmeno lui riuscì a spiegarsi. Si sentì in colpa a pensare che in quella situazione lui stesse pensando solo a quanto diavolo fosse sexy. Lui, la sua voce e quelle maledette labbra che avrebbe voluto mordere ogni minuto di ogni ora di ogni giorno della sua vita. Non si era mai sentito tanto superficiale in tutta la sua vita. C'era un ragazzino intubato e due fratelli che litigavano per un motivo apparentemente futile, ma che stava palesemente infastidendo la ragazza, e lui riusciva a pensare solo a quanto avrebbe voluto portarsi via quel ragazzo bizzarro e senza sopracciglia.
«Chris, se questo continua a guardarmi così gli spacco la faccia» pronunciò Betsy guardando Ricky con aria di sfida e lui spostò subito lo sguardo.
«Betsy» disse Chris a denti stretti, guardandola male. Non aveva idea del perchè si stesse comportando in quel modo, ma a momento opportuno l'avrebbe rimproverata.
«Vieni, Ricky, andiamo un pò fuori»
Ricky seguì Chris in silenzio. Sentì bene Betsy che diceva a suo fratello che era un bene se lo portava via da lì, ma fece comunque finta di niente. Non sapeva cosa le aveva fatto di tanto terribile da meritarsi quel trattamento.    
Uscirono dall'ospedale e Chris andò a sedersi sulla stessa panchina della sera prima. Ricky esitò prima di raggiungerlo. Si sedette accanto a lui e schiuse le labbra come se davvero avesse qualcosa da dire, ma non era così. 
«Mi dispiace per mia sorella, lei non è sempre così, non so cosa le sia preso» disse Chris aprendo un pacchetto di sigarette e accendendosene una subito dopo. Ricky non riuscì a credere di non essersi accorto che Chris avesse un pacchetto di sigarette in mano. Era talmente preso dai suoi stessi pensieri che non si sarebbe accorto di un meteorite in procinto di colpirlo in pieno.
«Non fa niente» sussurrò per poi voltarsi verso di lui e guardarlo negli occhi. Voleva parlargli di quel bacio, voleva sapere per lui cosa aveva significato, voleva sapere se anche lui ne voleva disperatamente un altro, se anche a lui era piaciuto così tanto.
«Sei stanco, vero?» gli chiese infine. Non capì nemmeno da dove diavolo fosse uscita quella domanda.
«Sì, tanto, è stata una delle notti più brutte della mia vita, ma è passata come passano tutte le cose brutte» 
Ricky pensò che i suoi genitori dovessero essere davvero fieri di lui, ma gli tornò in mente la chiacchierata avuta con suo padre. Gli fece pena, ma allo stesso tempo provava ammirazione. Probabilmente quel ragazzo con gli occhi sfiniti aveva passato tante nottate brutte, tante giornate brutte, forse era stato più volte preso a pugni da una vita troppo ingiusta, ma era lì e nonostante tutto trasmetteva forza e sicurezza. Ricky avrebbe dato di tutto pur di poter essere come lui. Invece era solo un nanetto un pò effeminato che gridava alla vista di un insetto.
«A cosa pensi?» gli chiese Chris notando il suo sguardo perso.
«Che ho paura degli insetti» rispose Ricky svogliatamente, ma subito dopo si coprì la bocca con una mano. Chris rise.
«Wow, a me invece fanno schifo i ragni, piccoli o grandi che siano, dovrebbero estinguersi» disse poi cercando di mettere Ricky a suo agio. Adorava vedere quel rossore comparire in fretta sulle sue guance, ma immaginava quanto per lui fosse scomoda quella situazione.
Si sorrisero e Chris continuò a fumare con i gomiti poggiati sulle ginocchia e lo sguardo perso verso la strada. Ricky, invece, riprese a torturarsi le unghie e fissava le loro ombre sull'asfalto consolandosi con il tepore che avvolgeva tutta la città quel giorno. Anche senza guardarlo poteva sentire quella presenza costante, che anche con lo sguardo velato dalla stanchezza splendeva come una candela appena accesa.
Qualcuno alle loro spalle si schiarì la voce attirando l'attenzione dei due ragazzi. Ricky si rabbuiò appena vide quella splendida ragazza dai capelli biondi che guardava Chris dietro quegli enormi occhiali da sole. Ebbe il presentimento che presto Jane avrebbe attirato tutta l'attenzione su di sè e Chris si sarebbe dimenticato della sua presenza. 
Fu tutto molto veloce: lei salutò Ricky quasi con una smorfia e lui ricambiò con un accenno di sorriso; un attimo dopo Jane era seduta -senza che Ricky potesse capirne il motivo- sulle gambe di Chris. Ricky li ascoltò con discrezione. Di solito non gli importava molto ascoltare i discorsi degli altri, soprattutto quando non lo riguardavano. Riusciva a percepire che la preoccupazione di Jane verso Jonathan non era del tutto autentica, sembrava più che lei fosse lì per mettere in mostra le tette, per mostrarle a Chris. Quel pensiero rimbalzò nella mente di Ricky per qualche minuto e si accorse di provare una sensazione molto, tanto strana. 
Capì che que sentimento incontrollabile era gelosia quando vide che la ragazza prese quello che rimaneva della sigaretta di Chris e se la portò alle labbra e poi, con naturalezza, afferrò la mano di Chris e la diresse sulle sue cosce; tenne la sua mano su quella di Chris come per assicurarsi che non la spostasse mai. Sapeva che Jane lo stava facendo apposta, altrimenti per quale ragione avrebbe dovuto sedersi sulle sue ginocchia con tutto lo spazio libero che c'era? Perchè avrebbe dovuto fumare la sua sigaretta? Perchè avrebbe dovuto mettersi una sua mano in mezzo alle gambe? Perchè avrebbe dovuto fare tutti quei falsi sorrisi? 
Ricky strinse i denti reprimendo quella voglia crescente di scappare da quella situazione solo quando si rese conto che Chris lo guardava. Lo stava guardando nonstante Jane stesse provando ad attirare il più possibile la sua attenzione.
La ragazza parlò ancora e ancora e Chris seguì distrattamente i suoi discorsi. Ricky la trovò tanto superficiale da provare disgusto. Ma non si accorgeva che Chris non aveva voglia di parlare delle sue doppie punte? O, se se ne accorgeva, perchè continuava a raccontare stronzate?
«Io dovrei tornare da mio fratello adesso» disse Chris d'un tratto sovrapponendo la sua voce a quella di Jane. Lei sbuffò quasi e poi guardò l'orologio che portava al polso. 
«Io ho gli allenamenti fra un pò, me ne vado» disse alzandosi. 
«Verrò a trovarti» la sua voce era improvvisamente diventata meno acuta, più profonda. Chris le sorrise appena e la guardò mentre si allontanava.
«Credo si senta davvero tanto sola» sussurrò Chris senza spostare lo sguardo.
«E dovresti tenerle compagnia tu?» rispose Ricky indispettito. Sul viso di Chris comparve un sorrisetto che tentò di trattenere con scarsi risultati. Trovava interessante che quel ragazzo potesse essere tanto trasparente. Si lasciava andare a dei commenti che altri non avrebbero avuto il coraggio di fare e questo, pur risultando sgradevole e inappropriato a volte, era la conferma che non potesse nascondere sentimenti e sensazioni di ogni genere. E poi andava matto per quella sua solita espressione imbarazzata, di chi sa di aver parlato troppo. Chris l'avrebbe definito come il disegno di un paesaggio naturale perchè, per quanto gli scenari potessero essere diversi, i colori e tutte le loro sfumature rimanevano sempre le stesse.

Trevor era arrivato da circa cinque minuti con la donna che aveva visto Ricky la sera prima. Si chiamava Rose e sembrava tanto gentile, non come Trevor e Betsy che si ostinavano ad essere suoi nemici. Quella situazione non era bella, ma a Ricky non importava, c'era Chris e gli bastava.
Da quando Trevor e Rose erano arrivati, Chris e sua sorella avevano preso a litigare perchè lui voleva che se ne tornasse a casa per riposare, ma lei era contraria, voleva restare con suo fratello. Mezz'ora dopo Betsy si arrese e lasciò la stanza. Per l'ennesima volta erano rimasti soli. Ricky guardò Chris e gli sembrò pensieroso.
«Chris» sussurrò quasi impercettibilmente, ma l'altro lo sentì. Ricky non sapeva perchè aveva pronunciato il suo nome, nè cosa dirgli in quel momento allora tentò -balbettò come non mai- di chiedergli a cosa stesse pensando.
«Ho tanto sonno» si lamentò Chris.
«Prova a dormire un pò, io potrei... non so... posso restare qui e se dovesse svegliarsi ti chiamo»
Chris scosse subito la testa.
«Grazie, ma non posso... non c'ero quando ha chiuso gli occhi, devo essere qui quando li riaprirà»
Ricky lo trovò un pensiero molto dolce. Ormai erano lì già da qualche ora e Ricky si era posto mille domande. Voleva delle risposte. Alcuni aspetti di Chris, del suo carattere o della sua vita erano coperti da una specie di ombra scura. Era curioso di sapere tutto di lui, voleva conoscerlo in tutte le sue sfaccettature.
«Posso farti una domanda?» gli chiese.
«Certo»
«Ehm... non vorrei farmi gli affari tuoi ma... tua madre? Cioè i tuoi genitori perchè non sono qui?»
Chris lo guardò con evidente stupore. Non si aspettava una domanda simile.
«È un casino, non so nemmeno da dove cominciare... anzi, ho già cominciato, loro non sono qui perchè sono un casino e non mi dispiace nemmeno, se fossero qui probabilmente ci faremmo cacciare dall'ospedale»
«Perchè?»
«Oh, tu non hai assolutamente idea di quello che siamo capaci di combianare io e mio padre se cominciamo a litigare, e ti assicuro che lo facciamo ogni volta che ci vediamo... io tento di mantenere la calma e il più delle volte ci riesco, ma altre volte è impossibile... diventa una gara a chi urla di più, spesso anche a chi... a chi picchia più forte» disse abbassando lo sguardo. Se ne vergognava. Lui non era violento, non era una di quelle perosne che passava facilmente alle mani, ma con suo padre era difficile trattenersi.
«Sai, lui... lui ha i suoi cazzo di problemi e se la prende con sua moglie che a sua volta se la prende con noi e, ovviamente, noi di conseguenza ce la prendiamo con lui... Quello che odio è che io mi faccio in quattro per tirare avanti e per quadagnarmi la fiducia dei miei fratelli, e poi basta una giornata storta, basta una parola fuori posto, una minima scintilla e tutto quello per cui lotto ogni giorno va a puttane... Una sera Betsy mi urlò in faccia che aveva paura di me, mi disse che ero diventato come lui e che... che io non potevo essere... che io... io non potevo essere una bestia, un mostro come lui»
Ricky percepì tutta la fatica e lo sforzo che faceva per raccontare quella storia, allora si alzò dalla sua sedia e si avvicinò a Chris. Gli posò una mano sulla spalla tentando di rassicurarlo.
«Non devi dire altro, va bene così»
Chris lo ringraziò con lo sguardo e tornò a fissare Jonathan. Rimasero per qualche minuto nel silenzio opprimente di quella stanza asettica. Ricky stava ricominciando a trattenere il respiro e stavolta perchè si era accorto di avere ancora la mano sulla sua spalla. Fortunatamente era alle sue spalle e così Chris non poteva accorgersi di nulla.
«Ricky» disse Chris senza voltarsi verso di lui.
«Quello che è successo ieri sera è stat-»
«Lo so, non dovevamo, è stato solo uno stupido errore» disse Ricky atono. Aveva paura di sentirsi dire che era stato uno sbaglio o, forse, aveva paura del contrario. Se a Chris fosse piaciuto, lui avrebbe dovuto affrontare la realtà che tentava di nascondere anche a se stesso.
Chris restò a bocca aperta. Non poteva crederci, pensava che a Ricky fosse piaciuto tanto quanto a lui.
«Io... a dire il vero a me...»
Ricky si sentì mancare la terra sotto i piedi.
«Chris... oddio, non era quello che volevi dire? Perchè se non è così p-puoi dirmi quello che volevi dire» 
Chris rimase fermo per un pò, giusto il tempo di riflettere sul da farsi. Poteva dirgli che per lui era stata la cosa più bella che gli era capitata negli ultimi anni, o poteva affermare che si erano solo fatti prendere dal momento e che davvero non avrebbero dovuto farlo. Il dilemma era sorto per colpa delle risposte di Ricky, l'avevano confuso.
Decise di alzarsi e di guardarlo negli occhi. Non ebbe la forza o il coraggio di mentire. Sapeva che se ne sarebbe pentito se non gli avesse detto la verità.
«Ricky, io sono una di quelle persone che di solito riflette prima di fare qualcosa, ma ieri non ne ho avuto bisogno, non ho dovuto riflettere, non ho nemmeno avuto paura di sbagliare» disse avvicinandosi sempre di più a Ricky che lo guardava con gli occhi leggermente sgranati. Stava tremando e Chris se ne accorse.
«Q-quindi tu... volevi» balbettò Ricky intimorito ma allo stesso tempo rincuorato.
«Già, volevo baciarti la prima volta che ti ho visto, e anche la seconda e la terza e la quarta, e ne ho voglia anche adesso»
Ricky continuò a guardarlo con quell'espressione, si sentiva come pietrificato. Poi le mani di Chris corsero verso il suo viso e lentamente scesero verso il collo. Ricky emise un sospiro dettato dal quel piacere puro e incontrollabile che si era sparso velocemente nel suo corpo. Vedeva Chris sempre più vicino e, per una volta, decise di non restare in completa passività, decise di dargli una risposta eliminando ogni distanza, tagliando quel filo d'aria che distanziava le loro labbra calde e bramose.




Okay, finalmente si sono baciati, contenti? Io sì!
Scommetto che siete incazzati neri per la lunghissima attesa, ma spero che ne sia valsa la pena. Al prossimo capitolo, baci :3
  
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