Si chiama
disperazione
“Nel destino di ogni uomo
può esserci
una
fine del mondo fatta solo per lui.
Si
chiama disperazione.”
- Victor Hugo -
- Harry Potter è
morto. -
Quella frase, quell’unica
frase ebbe il poter di farla crollare completamente e di colpo nulla
aveva più
importanza. Non importava che Tom Riddle fosse ancora vivo. Non
importava che
Piton fosse diventato il suo più fedele seguace. Non
importava che Hogwarts non
fosse più la stessa. Non importava nemmeno come lei ci fosse
arrivata. Harry
era morto e questo bastava, questo era tutto. Perché, se lui
non c’era più,
allora era tutto inutile, Tom Riddle sarebbe vissuto in eterno e il
mondo
avrebbe vissuto per sempre nell’oscurità.
Eppure una parte di lei
ancora si rifiutava di crederci. “Non è
possibile” si diceva, “è tutta una
bugia”. Ma allora come… come…
- M…morto?! – Balbettò alla
fine, incapace di dire altro.
- Certo che sì! Accidenti,
Severus, me l’ero perfino dimenticato. Quanto tempo
è passato! –
Tuttavia, quando si voltò a
guardarlo, Severus Piton non sembrava condividere
l’ilarità del suo padrone.
Anzi, una piccola espressione di dolore parve attraversargli il viso.
Ma
scomparve così velocemente che la ragazza pensò
di essersela solo immaginata. Le
incomprensibili espressioni del professore erano le ultime cose a cui
pensava,
mentre le parole di Tom Riddle avevano avuto il potere di fare breccia
nel
solido guscio di disperazione che si era creato attorno a lei.
- Che… che vuol dire “ quanto
tempo è passato”? -
Tom Riddle la guardò con
sufficienza e finta compassione, più una smisurata dose di
arroganza e di superiorità
che ben si leggeva sui suoi lineamenti delicati e terribili.
- Quello stupido ragazzino
pensava di potermi fermare. Il fatto che, per chissà quale
misteriosa ragione,
mi avesse “sconfitto” quando aveva appena un anno
gli aveva donato un’arroganza
senza pari. Arroganza che l’aveva portato a fermarmi di
nuovo, al suo primo
anno qui ad Hogwarts. Pensava di poter fare tutto, pensava di essere il
salvatore del Mondo Magico. Lui, un misero ragazzino di dodici anni
contro il
più grande mago di tutti i tempi. Da solo contro tutto il
mio potere. Aveva
un’arroganza senza limiti e quella gli è stata
fatale. – Rise di gusto, come se
quello fosse uno dei ricordi più belli della sua esistenza.
– Pensava
addirittura di poter fermare il Basilisco. -
- Harry ti ha fermato! –
Sbottò improvvisamente lei, incapace di trattenersi anche se
fosse stata in
gioco la sua vita. Ormai non aveva più niente da perdere.
– E ha fermato il
Basilisco. L’ha ucciso con la spada di Godric Grifondoro!
–
Una nuova ondata di ilarità
trasformò il viso del ragazzo che non sarebbe mai diventato
un mostro, almeno non
nell’aspetto. – Harry Potter ha tentato
di
fermare il Basilisco, ma non ha mai trovato l’accesso alla
Camera dei Segreti.
Era così esaltato dalla sua capacità di riuscire
a capire il linguaggio dei
serpenti che non ha esitato un attimo a seguire la voce del Basilisco
quando
l’ha sentita. Merlino solo sa che cosa aveva in mente di
fare. Probabilmente si
credeva superiore, invincibile. E’ morto a causa della sua
stessa superbia: ha
girato l’angolo e si è trovato di fronte
l’enorme serpente. Il bambino che è
sopravvissuto ucciso dal mostro dell’erede di Serpeverde.
– Assaporò quelle
parole come un piatto prelibato – E io… e io
riportato alla vita grazie alla
forza vitale di una ragazzina dai capelli rossi. –
La ragazza chiuse gli occhi.
Di cosa stava parlando? Quelle ultime parole risuonavano ormai vuote e
distorte
alle sue orecchie, come se, dopo tutto quello che aveva appreso in
quegli
ultimi istanti, non potesse sopportare nessun altra notizia. Si
sentì girare la
testa e una nuova ondata di nausea l’assalì. Si
costrinse a ricacciarla indietro
e ad avere la mente lucida.
- No! – Esclamò alla fine,
con tutta la forza che riuscì a trovare – Non
è andata così! Io ho scoperto che
il Basilisco circolava attraverso le tubature. Grazie a me Harry e Ron
hanno
scoperto che l’accesso alla Camera dei Segreti si trovava nel
bagno dove è
morta Mirtilla Malcontenta. Harry ha raggiunto
Ma Tom Riddle non la stava
più ascoltando. Ad un certo punto del suo discorso si era
fermato, congelato al
suo posto come sotto l’effetto di un Petrificus.
L’ilarità sprezzante che fino
a quel momento l’aveva trasformato in un ragazzo quasi umano era scomparsa e ora sul suo viso si
poteva leggere solo
rabbia, sospetto e forse… forse una punta di paura?
- Come fai a conoscere
l’accesso alla Camera dei Segreti? Nessuno lo sa. Nessuno
l’avrebbe dovuto
sapere! – Gettò un’occhiata a Severus,
sufficiente a farle capire che neanche
lui avrebbe dovuto venirne a conoscenza.
- L’ho appena detto. Harry
ha… -
- NO! – Sbottò lui, scattando
come un serpente al minimo segnale di pericolo – Tu menti!
Harry Potter è
morto. E’ morto, piccola mocciosa, è morto! Io
l’ho sconfitto e non può più tornare
per intralciare i miei piani.-
Perché si ostinava a
ripeterlo? Si chiese lei. Non poteva essere vero, lei sapeva che non
era vero.
Ma sapeva anche che, al contrario, erano Voldemort e Piton ad aver
dovuto
essere nella tomba e invece erano proprio lì, accanto a lei,
che la
osservavano, la parlavano, la giudicavano. Tutto quello di cui era
assolutamente certa stava crollando come un castello di carte e ad un
certo
punto le venne il dubbio che anche a lei fosse successo qualcosa e che
quello
fosse una specie di bizzarro aldilà dove ognuno di loro
riviveva all’infinito
gli istanti della propria vita secondo chi vi si trovava. Ma
quell’idea era
troppo assurda per essere plausibile, soprattutto perché lei
era viva, sapeva
di esserlo, ne era convinta! Ma ormai sembrava che tutte le sue
convinzioni
dovessero crollare da un momento all’altro.
- No, non è vero. – Sussurrò
dopo un po’ – Harry Potter era il prescelto e ti ha
distrutto. Io l’ho visto! -
- E tu chi sei per dire
questo? Chi, per affermare quanto stai dicendo? – Le chiese
lui, quasi avesse
bisogno di una risposta che confermasse quanto fosse bugiarda.
- Sono Hermione Granger. –
Rispose semplicemente, sperando che questo potesse bastare.
Tom Riddle si voltò verso
l’insegnante di Pozioni – Hai mai sentito questo
nome, Severus? –
- Mai in vita mia. -
La ragazza puntò lo sguardo
su di lui, sconcertata – Professor Piton , io sono stata una
sua alunna. Ero la
migliore amica di Harry e Ron. – Non sapeva nemmeno lei
perché si ostinasse a
ripetere quelle cose quando era evidente che per loro non erano altro
che
bugie. Ma doveva farlo. Lo doveva a sé stessa e alla sua
sanità mentale.
- E’ vero, Severus? -
- No, non l’ho mai vista, mio
signore. E io ricordo sempre i miei studenti. Mi sarei ricordato di
lei,
soprattutto se fosse andata in giro con Harry Potter. –
Tom Riddle parve soddisfatto,
mentre lei cominciava a sentirsi perduta.
- Una bugiarda! Una spia! –
Esclamò lui, quasi compiaciuto – Per conto di chi
sei entrata in questa scuola?
– Si era avvicinato di colpo, ma lei non si era mossa,
nonostante avrebbe
voluto fuggire da quella stanza come la peggiore delle codarde.
- Io frequento questa scuola. Sono
al settimo anno. –
- Bugiarda. BUGIARDA! – Ormai
urlava, senza alcun controllo. Gli occhi scintillanti d’ira.
– Chi ti ha
mandato? Forse quei quattro bacucchi che ancora si fanno chiamare
“Ordine della
Fenice”? Credevano forse che non ci saremmo accorti della tua
presenza? Che
avresti potuto circolare liberamente sotto le false spoglie di una
studentessa?
–
- Io sono… -
- Basta! – La interruppe di
nuovo lui – Questo affronto avrà delle
ripercussioni gravi. Nessuno deve
pensare di potermi aggirare. Severus! –
Quell’ultima parola schioccò come una
frusta – Falla portare nei sotterranei. Forse una notte al
freddo e in
compagnia dei topi basterà a farle sciogliere la lingua. E
se invece nemmeno
quello sarà sufficiente ricorreremo a metodi decisamente
più sgradevoli. –
Hermione non trovò più la
forza di dire altro. Quello che stava vivendo era un incubo, non
c’era altra
spiegazione.
Sprofondò in sé stessa e
nelle sue paure come se fossero una palude di acqua melmosa e scura,
che le
impregnava i vestiti e le ossa rendendola sempre più pesante
e trascinandola
giù, sempre più a fondo. Avvertì come
da lontanissimo il professor Piton
suonare un piccolo campanello d’argento e dopo pochissimi
secondi, o lunghe ore,
la porta dell’ufficio che si apriva.
- Mi avete chiamato, mio
signore? -
E improvvisamente ritornò a
galla, come se quelle semplici parole fossero state un braccio teso
pronto ad
afferrarla prima dell’agonia. Più delle parole,
però, era stata la voce a farla
ritornare in sé. Quella voce che le era così
tanto familiare, quella voce che
aveva imparato ad amare pian piano, senza alcun preavviso. Quella voce
che
ormai era tutto il suo mondo e che caratterizzava ogni singolo momento
felice
della sua vita. Quella voce che aveva dimenticato in quegli istanti
orribili e
si sentì immensamente colpevole per questo.
Non aveva ancora alzato lo
sguardo, ma sentiva prepotente la sua presenza accanto a sé.
Il suo corpo
reagiva istintivamente, anche in quel mondo assurdo e, se avesse avuto
anche
solo un minimo dubbio, in quel momento fu del tutto dissipato, certa al
cento
per cento che fosse lui.
- Si, signor Malfoy. –
Rispose Tom Riddle, seduto dietro la scrivania. Hermione non si era
neppure
accorta dello spostamento. Ormai tutti i suoi sensi erano rivolti al
ragazzo
che le stava affianco, immobile, il profilo rigido rivolto verso la
scrivania.
- Voglio che tu scorti la
signorina Granger nei sotterranei. E che sia sorvegliata a vista.
–
- Agli ordini, mio signore. –
Draco si avvicinò ad Hermione
con la stessa compostezza e rigidità di un soldato e con la
stessa freddezza la
afferrò per un braccio e la guidò fuori
dall’ufficio. In quei brevissimi
istanti non l’aveva guardata negli occhi neppure per un
momento, osservandola
superficialmente come se fosse stata niente di più che un
ordine da eseguire.
Mentre lei l’aveva guardato, a fondo, intensamente, cercando
nei suoi occhi il
minimo segnale del fatto che l’avesse riconosciuta. Ma quelli
erano spenti e
vuoti, come se uno spesso strato di nebbia celasse l’anima
burrascosa che di
solito vi leggeva così chiaramente. Sembrava un guscio
vuoto, un automa, una
statua di marmo senza sentimenti né volontà.
Il rumore della porta che si
chiudeva alle loro spalle la riscosse e lei si ritrovò a
scendere la ripida
scala a chiocciola guidata da quello che ora era diventato la sua
guardia e il
suo carceriere. Draco le stringeva l’avambraccio in una presa
salda, ma non
così forte da farle male.
Quando spuntarono nei
corridoi vuoti e silenziosi il suo primo istinto fu quello di
divincolarsi e
scappare, subito soffocato dal suo innato e dannato buonsenso. Davvero
pensava
di riuscire ad uscire da Hogwarts? E, se davvero ci fosse riuscita,
dove
sarebbe potuta andare? Non sapeva come fosse il mondo lì
fuori, non ora che
tutto sembrava stravolto, inconcepibile, incoerente con tutto quello
che sapeva
e ricordava. E poi… e poi ora aveva trovato Draco. Se
davvero avesse voluto
scappare avrebbe voluto farlo con lui.
Si voltò a guardarlo. Era
sempre lo stesso, nulla nel suo aspetto poteva farle pensare che fosse
cambiato
in qualche modo; eppure era inesorabilmente diverso. Non il ragazzo che
aveva
conosciuto, non il ragazzo che aveva amato.
- Draco… - Tentò lei, con un
lieve tremito nella voce.
Lui voltò la testa di scatto
e, per la prima volta da quando l’aveva visto, scorse un
barlume di umanità in
quei suoi occhi così belli – Come sai il mio nome?
–
“So molte cose di te”,
avrebbe voluto dirgli. Ma tacque. Lui la guardava ancora e
improvvisamente si
rese conto che era cambiato, sì. Era immensamente
più bello, seppur più magro,
sofferente. Quella bellezza che viene solo da chi ha sofferto tanto.
Aveva il
fascino dell’angoscia negli occhi.
- Non ti ricordi di me? –
Chiese alla fine.
Lui sembrò sorpreso, confuso,
ma poi parve decidere che non fosse il caso di indugiare e riflettere
troppo
sulle parole di una spia, una nemica che stava per imprigionare nelle
viscere
del castello di Hogwarts.
- Io non ti ho mai vista. –
Constatò semplicemente dopo qualche secondo, riportando lo
sguardo davanti a
sé.
Anche lei lo fece e, mentre
scendevano nei sotterranei, cercò di ignorare le lame di
ghiaccio che le
trafiggevano il petto ad ogni passo. Quelle lame che non erano state
così
dolorose nemmeno quando Tom Riddle le aveva detto che Harry era morto.
Draco la portò nella
parte
più profonda dei sotterranei, quella più fredda,
più umida, così buia che anche
la luce della torcia si rifugiava nelle ombre. Molto più in
basso dell’aula di
Pozioni.
Il ragazzo si fermò davanti
ad una cella oscura e angusta. Hermione poteva sentire le gocce di
umidità
scivolare lungo le pareti ricoperte di muschio e muffa. Non
c’erano finestre lì
sotto e l’unica fonte di luce era la piccola torcia che Draco
stringeva tra le
mani, la cui luce si rifletteva sinistra e verdastra sulle sbarre
stranamente
lisce e lucide.
Metallo magico, pensò.
Metallo che non poteva essere intaccato né dal tempo
né dalla ruggine.
Le sbarre erano conficcate in
profondità nella roccia del pavimento e si innalzavano per
quasi tre metri fino
a sparire nella volta gocciolante del soffitto. Non c’erano
aperture, né
passaggi attraverso i quali sarebbe potuta entrare. La grata si
stendeva da un
capo all’altro del muro senza alcuna interruzione di maniglie
o serrature. Si
stava appunto chiedendo come avrebbe fatto ad entrare quando Draco mise
una
mano sulle sbarre, abbassò la testa e chiuse gli occhi. E in
quel momento
Hermione si permise di osservarlo più attentamente.
Era decisamente più magro, il
profilo deciso della mandibola svettava sul suo viso pallido e la
camicia scura
che indossava mal celava l’ossatura spigolosa delle scapole.
Aveva la testa
piegata in avanti e in quella posizione i capelli biondi, e molto
più lunghi
del solito, ricadevano sugli occhi chiusi, mentre una ruga di
concentrazione svettava
sulla sua tempia candida.
Quando riaprì gli occhi e
alzò la testa la scoprì ad osservarlo e una
piccola e veloce espressione di
sospetto e curiosità passò sul suo viso.
- Entra! – Le ordinò,
guardandola ancora.
Lei impiegò qualche secondo a
capire, finchè non girò la testa e vide un varco
nella grata di ferro che prima
non c’era. Con passi incerti lei lo attraversò e
quello si richiuse dietro le
sue spalle.
La cella in cui si trovava
era appena più grande dello sgabuzzino delle scope al
secondo piano e
scommetteva che, se si fosse sdraiata sul pavimento, non sarebbe
riuscita ad
allungarsi completamente. Non c’erano finestre e
l’aria era fredda, umida e stantia.
Tossì un paio di volte quando quel sentore di muffa le
entrò in gola e
improvvisamente la consapevolezza di quanto stava vivendo la
colpì in piena
faccia come una secchiata di acqua gelida.
Era prigioniera! Era
prigioniera in una scuola che sembrava la sua ma che non lo era, come
se il suo
doppio malvagio fosse all’improvviso affiorato cancellando
quanto di bello,
allegro, caldo e luminoso c’era prima. E questo non valeva
solo per la
struttura, no, ma anche per le persone che vi vivevano. Persone che non
avrebbero più dovuto esistere e persone che esistevano
ancora ma in modo
completamente diverso. E poi c’era lei… che
inspiegabilmente era stata
catapultata in quel mondo assurdo, senza sapere se sarebbe riuscita
prima o poi
a ritornare nel suo mondo, quello
vero. Perché quello… quello era solo una
grottesca imitazione, un’imitazione
che le faceva paura, ancora di più perché era
completamente sola e abbandonata
a se stessa.
Il rumore di passi che si
allontanavano la riportò alla realtà. Si
girò di scatto e afferrò le sbarre con
la stessa disperazione con cui avrebbe potuto afferrare la sua ultima
scintilla
di speranza.
- No! Ti prego, non andare
via! Draco! – Urlò disperata.
Poco prima che la figura del
ragazzo venisse risucchiata dalle ombre, si fermò,
concedendo a lei di scorgere
ancora i riflessi biondi dei suoi capelli. Si girò,
guardingo.
- Ti prego, aiutami! – Continuò
– Non so cosa stia succedendo ma qui è tutto
diverso. Piton dovrebbe essere
morto, anche Voldemort e tu… -
- Nessuno lo chiama in quel
modo. – La bloccò lui, ritornando sui suoi passi
con espressione severa – Per
noi tutti è il Signore Oscuro. –
- Non è vero, non per te. Tu
lo odiav… lo odi! Io lo so! –
L’espressione di Draco,
dapprima guardinga, ora divenne furibonda – Che cosa stai
insinuando,
ragazzina? – La fronteggiò da dietro le sbarre. I
suoi occhi ora mandavano
lampi, ma Hermione vi vide anche qualcos’altro: paura.
- Lo so che ora non puoi dire
niente, ma io so cosa c’è dentro il tuo cuore.
– Cercò, solo con gli occhi, di
fargli capire che era sincera, che stava dicendo la verità -
Tu lo odi così
come lo odio io, se non di più. Ha rovinato la tua vita, ti
ha tolto gli anni
migliori della gioventù e ora sei costretto a servirlo per
paura che faccia del
male a te o ai tuoi cari. E non puoi nemmeno soffermarti su questi
pensieri, su
queste paure, perché hai il terrore che lui ti legga nella
mente e scopra
tutto, cioè che tu non gli sei fedele. -
Il ragazzo sbarrò gli occhi e
indietreggiò di qualche passo. Con un’angoscia
quasi febbrile si guardò
intorno, come se si aspettasse che Voldemort in persona sbucasse dalle
dense
ombre attorno a lui e lo uccidesse all’istante. –
Come fai a dire queste cose?
Chi te le ha dette? – La sua voce ormai era un sussurro
angosciato.
- Tu! Me le hai dette tu
stesso, Draco. Certo, me le hai dette in un tempo di pace, dove non
dovevi più
temere la minaccia di Voldemort, ma me le hai dette. E sono sicurissima
che le
pensi tutt’ora, non è vero? -
Hermione stringeva le sbarre
con disperazione mentre pronunciava quelle parole, forse sperando che,
quanto
più stringesse, più lui le avrebbe creduto. Ma
Draco la guardava confuso e
atterrito, scuotendo la testa.
- Quel tempo non esiste, non
è mai esistito. Sei solo una pazza! -
Lei fu assalita dall’angoscia
– Draco… -
- Io non so nemmeno chi tu
sia, come posso averti detto queste cose se non ti ho mai vista? E,
anche se ti
conoscessi, non avrei di certo pronunciato quelle parole
perché non è la
verità. Il Signore Oscuro è il mio padrone e a
lui va tutta la mia fedeltà. -
Hermione capì che stava
dicendo quello più per convincere se stesso che lei, ma non
potè fare a meno di
allungare comunque una mano verso di lui, attraverso le sbarre.
- Draco… ti prego! -
Il ragazzo guardò con occhi
vacui le dita che si protendevano verso di lui, ma non le
afferrò, né si
avvicinò per poter fare in modo che queste lo toccassero.
- Ti prego, guardami!
Possibile che non ti ricordi di me? Sono Hermione! – La voce
le si spezzò in
gola, mentre lacrime gelide cominciavano a rigarle le guance.
- Tu stai cercando di
manipolarmi. – Sbottò lui alla fine, ritraendosi
ancora di più dalla sua mano
protesa – Sei una spia. L’ha detto il Signore
Oscuro. Non devo fidarmi di te,
stai cercando di confondermi. – La guardava con occhi
accusatori, come se la stesse
incolpando di quanto stava dicendo, come se la stesse incolpando di non
poter
dimostrare quanto stava dicendo, come se volesse davvero
credere in quanto stava dicendo, ma non osasse minimamente.
Lei vide tutti quei
sentimenti contrastanti combattere dentro di lui una battaglia senza
speranza,
e perdere. Lo capì ancor prima di veder muovere i suoi
passi. Un passo
indietro, poi un altro e un altro ancora…
- No! Ti prego! Draco! -
Ma lui era già scomparso tra
le ombre. Il rumore dei suoi passi veloci che andava perdendosi in
lontananza.
NOTE
DELL’AUTRICE:
Un grazie infinito a chi,
sulla fiducia, ha messo la storia nelle seguite e nelle preferite e a
chi ha
recensito.
Come tutti gli aspiranti
scrittori, mi interessa moltissimo il vostro parere (che sia esso
positivo o
negativo) perciò recensite, mi raccomando!
Un bacione grande a tutti voi
e buona domenica.
Sundayrose