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Autore: Har Le Queen    22/02/2015    6 recensioni
E se Ruki fosse la Superstar più acclamata del momento? E se la sua voce fosse come un faro nel buio, accogliente come un ritorno a casa dopo un viaggio durato secoli? E se Akira fosse l'unico a non poterla sentire?
[Reituki/Aoiha]
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sing for me

 

Finalmente dopo ore infinite la giornata di lavoro stava per giungere al termine, Akira chiuse l’armadietto con uno scatto e si lanciò verso l’uscita augurando a tutti un buon fine settimana; lui l’avrebbe passato nel riposo più assoluto, avrebbe mangiato fino a scoppiare e magari avrebbe anche potuto sfidare Yutaka a battere il suo record al nuovo gioco per la play. Non che fosse facile per lui, era una schiappa, doveva solo ammetterlo. E lui doveva ammettere che non vedeva l’ora di rivederlo, era stato a Narita per una settimana intera piena solo di duro lavoro e una routine sempre troppo scomoda. Decidendo di non pensarci più Akira sospirò, proprio come se quei pensieri fossero stati dei nuvoloni neri e fosse stato sufficiente soffiarci su per allontanarli, affrettò il passo impaziente di arrivare alla fermata della metro più vicina e non si accorse della macchina che era sbucata all’improvviso da una curva troppo stretta. Fece appena in tempo a fare un salto indietro, ma il paraurti colpì ugualmente il suo ginocchio, di sicuro quello stupido al volante ora stava suonando il clacson come un matto lanciandogli insulti di ogni genere. Poco male non poterlo sentire in quel momento.

Quando Akira alzò lo sguardo si ritrovò davanti la star del caffè, nonché colui che aveva cercato di evitare per tutto il giorno: Ruki. Era sceso dalla macchina gesticolando ed urlava così tanto che gli venne quasi da ridere, ai suoi occhi quando le persone facevano così sembravano solo dei matti che cercavano di scacciare mosche fastidiose, avevano delle espressioni così buffe e non se ne accorgevano neanche. 

«Vorresti anche avere ragione? Sei fortunato che non chiami la polizia!» Akira fu costretto a parlare nonostante avrebbe fatto volentieri finta di nulla ed indicò il segnale di divieto di accesso all’angolo della strada. Era un’infrazione da ritiro della patente. «Guarda dove vai la prossima volta!» una cosa era certa: se l’avesse messo sotto avrebbe dovuto pagarlo oro quanto pesava. Lo vide boccheggiare come un pesce rosso in una bolla di vetro e lo lasciò lì, non c’era altro da dire e lui voleva solo tornare a casa il più presto possibile. Il ginocchio gli faceva un po’ male, di sicuro gli sarebbe uscito un bel livido, ma era la giusta conclusione di una giornata cominciata col piede sbagliato.

Dopo pochi minuti si ritrovò all’interno della stazione più vicina, con movimenti fluidi recuperò la tessera magnetica che gli avrebbe permesso di entrare e raggiunse il binario affollato dove sbuffò, inalando e esalando l’aria riscaldata dai condotti di areazione e resa pesante da respiri e odori di tutte le persone che vi transitavano ogni giorno. Si sentiva nervoso, infastidito e non riusciva a togliersi dalla testa quello stupido di poco fa. Lui non capiva, nessuno capiva.

Quell’idiota sarebbe tornato a casa dimenticando quello che era successo e concludendo la sua giornata come se niente fosse, ma per lui equivaleva quasi ad una sconfitta personale perché ce la metteva davvero tutta a colmare la sua mancanza, osservava tutto sempre con maggiore attenzione rispetto agli altri e gli era bastato un solo momento di distrazione per essere quasi investito. E tutto perché lui quella macchina non l’aveva sentita arrivare. Avrebbe potuto evitarla se l’avesse sentita? A volte Yuu gli diceva che capitava anche a chi sentiva di non accorgersi di un rumore, ma questo non bastava a permettergli di mettersi il cuore in pace. Aveva paragonato Ruki ad un pesce rosso in una bolla, ma forse era lui ad esserlo e si sentiva proprio come se osservasse la sua vita da dietro un vetro e l’acqua densa e trasparente avvolgesse le sue orecchie in una carezza soffocante.

Yuu diceva anche che il silenzio ha un rumore, una specie di ronzio che diventa sempre più forte quando cerchi di non ascoltarlo, ma Akira non sapeva neanche cosa fosse un ronzio e, magari, un giorno avrebbe scoperto che nel suo silenzio non c’era posto neanche per quello. 

Quando fu sicuro di essere ben ancorato ad un palo e non cadere alla prima fermata recuperò il telefono che aveva chiuso in una tasca della borsa, avrebbe dovuto avvisare suo fratello; quando la sua mano strinse la plastica del cellulare, le sue dita si attorcigliarono per caso intorno ad un filo. Incuriosito Akira sbirciò nella tasca per scoprire che il filo apparteneva agli auricolari collegati al lettore di Yuu, doveva averlo lasciato lì il giorno prima quando aveva usato la sua borsa.

Per un po’ rimase a fissare quell’oggetto che lo aveva sempre affascinato, sapeva che dentro ci si poteva mettere la musica, ma non concepiva secondo quale legge fisica la musica potesse essere imprigionata in un file elettronico. Forse se avesse saputo cos’era davvero la musica avrebbe potuto capirlo, certo conosceva i principi fisici che si nascondevano dietro alla propagazione e alla ricezione del suono, ma erano sempre rimaste idee astratte per lui, se non addirittura impossibili. Come Babbo Natale o gli gnomi in groppa agli unicorni. 

Portare la musica sempre con sé e poterla ascoltare ovunque, in qualsiasi momento: doveva essere un sogno. E così, più per istinto che reale logica, districò il filo nero e si portò gli auricolari fino alle orecchie dove trovarono uno spazio perfetto in cui incastrarsi; sapeva quanto fosse stupido un gesto del genere, ma così la gente avrebbe pensato che era la musica a distrarlo dal mondo esterno e non la sua totale assenza di suono. Era bello fingere, anche solo per pochi minuti, di essere un normale ragazzo che tornava a casa dopo una lunga giornata di lavoro lasciandosi alleggerire dalle note graffianti di una canzone rock; se avesse potuto sentire era sicuro che il suo genere preferito sarebbe stato il rock perché adorava la cura che ci mettevano nel suonare i loro strumenti, il loro abbigliamento, il significato che sceglievano per i loro testi e la passione che mandava in estasi i loro volti persino nei video che vedeva in tv.

Il suo sguardo si posò su altri ragazzi che, come lui, si erano rifugiati dietro un paio di auricolari e per una frazione di secondo si sentì stupidamente come loro. Sapeva che tutto quello non faceva altro che distruggere tutti gli sforzi fatti in quattordici anni per adattarsi alla sua sordità, ma non riusciva a farne a meno. Doveva essere come gli altri. Doveva. O si sarebbe spinto troppo in là per riuscire a tornare indietro. 

All’improvviso si ricordò del cellulare, stava quasi per dimenticarsene e non aveva nessuna intenzione di sorbirsi una ramanzina senza fine, digitò velocemente il messaggio e tornò a concentrarsi sul mondo intorno a sé, doveva fare attenzione e scendere alla fermata giusta. Per ora, quella era l’unica cosa importante perché poteva fingere quanto voleva, ma tanto lui sapeva che la musica non c’era e non ci sarebbe mai stata.

 

*

 

Quando Akira girò le chiavi nella serratura, la porta si spalancò aprendo la visuale sul salotto illuminato dalla tenue luce artificiale della lampada sul piccolo tavolo all’ingresso. Si era aspettato di vedere Yutaka corrergli incontro come faceva di solito, invece dovette togliersi cappotto e scarpe e lasciare la borsa prima di raggiungere la cucina e trovare quei due impiastri intenti ad arrotolare il riso intorno a sottili strisce di salmone. Gli davano le spalle ed Akira notò che la tv era accesa sul solito canale musicale, il volume doveva essere alle stelle per questo non l’avevano sentito. Per qualche secondo accarezzò l’idea di restare lì, con la spalla contro lo stipite, e vedere quanto ci avrebbero messo ad accorgersi di lui. Ma poi, da bravo stronzo, decise che sarebbe stato molto più divertente farli spaventare.

«E meno male che il sordo sono io!» e come previsto i due idioti balzarono al suono della sua voce, Yutaka si voltò mostrando il suo bellissimo sorriso e gli si avvicinò per abbracciarlo facendo attenzione a non sporcarlo con le mani piene di riso. Quel sorriso valeva sempre più di mille parole. Il suo profumo era sempre lo stesso e la sua euforia contagiosa, riuscì quasi a sentirla sotto la pelle della braccia fino ai polpastrelli quando ricambiò la sua stretta. 

Come stai? Yutaka cercò di ripulirsi come poteva prima di rivolgersi al suo migliore amico.

Bene, tu piuttosto devi raccontarmi tutto. Il motivo principale del suo viaggio era un corso di aggiornamento sulle ultime tecniche di realizzazione dei dolci che tanto amava fare, anche se lui non ne aveva affatto bisogno, il suo era un talento naturale: riusciva a mescolare ciò che provava agli ingredienti, tanto che a volte ti sembrava di mangiare un pezzo del suo sorriso.

Prima ci aiuti con il sushi?

Qualcuno… Sottolineando volontariamente il gesto, Akira fissò suo fratello che nel frattempo si era voltato. Avrebbe dovuto aver già preparato tutto.

E dai, mi sono addormentato!

Che stronzo! Io a sgobbare e tu a dormire! Con un sospiro recuperò un grembiule dal cassetto in alto a destra e si sciacquò le mani sotto l’acqua fredda, non aveva intenzione di ritrovarsi sui vestiti quegli stupidi chicchi appiccicosi. Yuu, da dove comincio? Non gli era mai piaciuto il segno che convenzionalmente avrebbe dovuto usare per l’hiragana Yu, da bambino diceva che assomigliava ad una forchetta, perciò ne aveva inventato uno per lui; gli era sembrata una cosa molto divertente quando aveva sette anni, aveva immaginato di essere una spia dei servizi segreti in missione e quel segno scambiato con suo fratello fosse una sorta di codice che solo loro avrebbero potuto comprendere. Un segreto solo per loro, un linguaggio solo per loro due.

Dal cetriolo che ti piace tanto. Ma poi si chiedeva come aveva fatto a venir su così scemo.

Semmai da quello ci cominci tu e so pure che devi farci. Quando, però, il suddetto ortaggio gli finì in testa non gli restò altro che cominciare a sbucciarlo. Avrebbe dovuto aspettare per parlare con Yutaka, non era l’ideale gesticolare con le mani sporche rischiando di spargere riso ovunque. 

Ma Yutaka sembrò non pensarla come lui e richiamò la sua attenzione con una lieve gomitata. Com’è andata a lavoro?

Come al solito, anche se ho incontrato uno stronzo.

Chi è? Stavolta fu Yuu a parlargli.                        

Non so se lo conoscete, io non avevo mai sentito il suo nome. Si chiama Ruki. I due sbarrarono gli occhi increduli.

Ruki? Ruki il cantante?

Si perché? È davvero famoso?

Si, praticamente ovunque. Era stato Yutaka a dirglielo, ma non fu sorpreso che lui non lo conoscesse, i cantanti non erano di certo tra le sue preoccupazioni maggiori.

Per me è solo uno stronzo. Stasera mi ha anche messo quasi sotto con la sua stupida macchina supercostosa!

Yuu lasciò andare il coltello con cui aveva appena finito di tagliare il cilindro di riso e cominciò ad ispezionarlo ovunque. Ti sei fatto male? Dove? Il braccio? La gamba? Era diventato molto apprensivo con lui ultimamente, eppure quando erano bambini era completamente l’opposto; che si trattasse di un ginocchio sbucciato cadendo dall’altalena o di  un livido ricevuto come testimonianza della lite per il possesso del giocattolo più bello dell’asilo, Yuu aveva sempre fatto finta di niente persino quando correva da lui in lacrime. A distanza di anni capiva che lo aveva fatto per farlo crescere, ma sembrava che ora stesse recuperando tutti gli anni persi a non preoccuparsi. 

Non è niente, ho sbattuto solo il ginocchio, ma mi sono spostato in tempo.

Devi fare attenzione Akira.

Non è mica colpa mia! E non capiva proprio perché avrebbe dovuto esserla. Era lui a guidare contromano!

Poi mettici qualcosa sul ginocchio.

Si mamma!

Scemo! Yuu gli diede una piccola spinta non troppo energica, stava sorridendo, non era più preoccupato. 

Aki. Il suo migliore amico richiamò nuovamente l’attenzione del coetaneo. È così bello anche dal vivo?

Chi?

Come chi? Ruki.

A me non è sembrato un granché. È basso e praticamente è un manico di scopa.

Un giorno di questi posso sostituirti a lavoro? A me è sempre piaciuto e poi è bravissimo!

Lo ha detto anche il mio capo. Akira annuì per andare, subito dopo, a lavarsi le mani. Non aveva più voglia di preparare sushi, già era un miracolo che non avesse il suo solito mal di testa, l’ultima cosa di cui aveva bisogno era di un lavoro che richiedesse un’elevata dose di concentrazione. 

E si può sapere cosa ti ha fatto per essere odiato così tanto? Fu Yuu a chiederlo incuriosito.

Mi ha trattato da schifo! E poi è uno snob. E lui odiava i ragazzini viziati.

Magari era solo nervoso.

Magari è stronzo e basta. Non capiva perché dovesse per forza esserci una motivazione per la sua stronzaggine, certe persone lo erano e basta senza appellarsi ad una giornata storta o al mancato allineamento dei pianeti; quel Ruki lo era decisamente a prescindere.

O magari prepariamo la tavola così non moriamo di fame! Yuu s’intromise interrompendo la loro conversazione.  

Ogni tanto una buona idea!

 

*

 

 

Non ancora mi hai raccontato com’è andata. Akira fece sparire il primo pezzo di sushi, sapeva che sarebbe stato seguito da molti altri giusto per non farlo sentire troppo solo nel suo stomaco, magari accompagnati da un pizzico di wasabi.

Perché non c’è molto da dire, noioso come sempre.

Almeno fai quello che ti piace. Pensa a me: tutto il giorno a servire caffè a montati del cazzo!

Dai, non possono essere tutti cosi! Non rientrata nella forma mentis del suo buonumore il concetto che il mondo potesse essere un luogo senza luce, doveva per forza esserci un fiore in una roccia da qualche parte.

Non sono mica tutti come te Yutaka.

Lo so, prendi la moglie del capo per esempio: non fa altro che maltrattare tutti, persino quel poverino di Kouyou che non ha mai dato fastidio a nessuno.

Non lo avevano licenziato? Yuu intervenne prendendo un pezzo di sushi al tonno.

Non potevano soltanto perché ha rifiutato le avances della moglie del capo. È un tipo tranquillo, con la testa a posto, ha voglia di imparare e poi non l’avrei mai permesso, è pur sempre il mio allievo.

Ormai sono mesi che parli di lui e non ce lo hai ancora presentato, devo cominciare a pensare che non esiste? Ad Akira sembrò una giusta osservazione.

Esiste eccome, scemo!

E allora perché non lo fai venire domani sera a cena, è sabato.

Non saprei, ma potrei chiederglielo.

È gay secondo te? E Yuu se ne uscì così, tra un boccone e l’altro, senza un minimo di tatto.

Ma che ne so! Non è di certo la prima cosa che chiedo: ciao, piacere Yutaka, sei gay?

Chiedevo soltanto, poteva essere la volta buona.

Per te tutte le volte sono quelle buone Yuu! Akira avrebbe tanto voluto dargli anche uno scappellotto, non era possibile illudersi tanto sul filo rosso che avrebbe dovuto semplificati la ricerca. Fosse stato così sarebbe bastato tirare il filo per scorgere chi c’era dall’altra parte ed invece troppo spesso il filo si logorava, si sfibrava fino a spezzarsi.

Non è mica colpa mia se piaccio. Yuu assunse la posa sognante di una di quelle star del pop troppo finte per poter respirare davvero, magari di quelle che facevano strage di cuori tra le ragazzine tredicenni.

Ed ecco a voi la stronzata delle undici e venti!

È davvero così tardi? Yutaka sembrò risvegliarsi da un sogno, stava così bene insieme agli altri due da dimenticare che esistesse un concetto chiamato tempo. Devo scappare.

Resta dormire qui se così tardi. Non era certo la prima volta, a volte dormiva sul divano e a volte nel letto insieme a loro.

Domani lavoro, attacco alle otto.

È tutta una scusa per non lavare i piatti, di la verità.

Akira finse di essere scandalizzato dall’affermazione di suo fratello. Avresti il coraggio di farli lavare a lui?

Io avrei il coraggio anche di farle lavare a te. E lo disse con la naturalezza che avrebbe usato nel dire che il cielo è azzurro e il mare blu.

Che faccia da culo! E di tutta risposta Yuu si alzò dal tavolo sorridendo e mostrando soddisfatto il suo dito medio un po’ storto. Si adoperò per recuperare un contenitore da uno dei pensili per poter dare a Yutaka una bella porzione del sushi avanzato.

Nel frattempo Yutaka aveva recuperato tutti i suoi averi e, dopo aver preso la sua cena e salutato Yuu con un sonoro bacio sulla guancia, si era riavviato all’ingresso seguito da Akira. Allora vi aspettiamo domani a pranzo.

Lo trascinerò anche contro la sua volontà!

Buonanotte. Akira gli sorrise. 

Notte. Yutaka sparì dietro le porte specchiate dell’ascensore e Akira tornò in casa passandosi una mano tra i capelli castani e cercando, con un bel respiro, di fare un po’ di posto nel suo stomaco, come al solito non aveva saputo trattenersi davanti al suo piatto preferito e ora rimpiangeva la sua ingordigia. Quando arrivò in cucina venne colto da un brivido, la grande finestra che dava sulla veranda era aperta facendo entrare il fresco della sera, il suo cappotto lo aspettava sul tavolo proprio accanto ad una sigaretta. Sorridendo recuperò tutto ed uscì in veranda, si accomodò subito accanto a suo fratello sul piccolo divanetto imbottito, Yuu gli passò l’accendino ed anche la sua sigaretta prese ad ardere. 

Come mai qui fuori stasera? Per carità, era bello starsene lì insieme, ma non lo facevano spesso.

Yuu fece spallucce. Volevo vedere le stelle, ce ne sono tante stasera.

Se volevi baciarmi potevi anche evitare tutta questa messa in scena! Akira rise aspirando un’altra dose di nicotina, era frustrante doversi voltare ogni volta per guardare ciò che Yuu aveva da dirgli, se avesse dovuto racchiudere in una parola la sua sordità sarebbe stata proprio quella: frustrazione. Perché non poteva guardare le stelle come tutti gli altri mentre ascoltava la voce di suo fratello? Magari accompagnata dal rumore del vento, o del traffico in strada.

Ma quanto sei scemo! Anche Yuu rise e si lasciò scivolare leggermente sul divanetto allungando le sue gambe lunghe e incrociando i piedi.

Dopo qualche minuto Akira sospirò schiacciando ciò che restava della sua sigaretta nel posacenere, piaceva anche a lui starsene lì fuori a guardare le stelle, ma dopo un po’ cominciava a perdersi tra i suoi pensieri e non tutti erano felici perciò quando richiamò l’attenzione di Yuu se ne pentì immediatamente, ma lui era troppo curioso per lasciar stare.

Ora me lo dici, se no lo sai che non dormo!

Esagerato!

Dai!
Akira prese un bel respiro. Pensi mai a Kaito? Erano mesi che non toccavano quell’argomento, eppure qualcosa nel cielo gli aveva fatto ripensare a lui ed era stupido che gli venisse in mente ora, dopo una serata a dir poco fantastica. Yuu sembrò prendersi qualche attimo per riflettere e poi, lentamente, annuì.

Ma non penso a lui come immagini tu. Penso a lui per ricordarmi quanto possono essere stupide le persone e quanto lo sono stato io a fidarmi di lui.

Io... Le mani di Akira si fermarono a mezz’aria, sapeva che suo fratello l’avrebbe picchiato se avesse detto una cosa del genere, ma sentiva di doverlo fare ugualmente. Mi dispiace che sia andata così.

Non è mica colpa tua.

Si che lo è. Tu lo amavi e... E lui lo aveva lasciato quando aveva scoperto che suo fratello era sordo. Non lo biasimava per questo, tutti erano sempre pronti a lanciarsi contro le discriminazioni dei più sfortunati, ma non erano altrettanto pronti ad accettare la diversità quando gli era così vicino.

Akira, non voglio mai più sentire una stronzata del genere, mi hai capito? Ora nei suoi occhi brillava una strana luce simile alla rabbia. Se quel coglione mi ha lasciato la colpa è solo del suo cervello grande come quello di una gallina! Tu sei mio fratello e sei la persona più importante della mia vita, chi non accetta te non accetta me. Punto.

Io so solo che voglio vederti felice e non voglio essere un peso per te. Potresti vivere la tua vita e non sacrificarla per stare dietro a me.

Vuoi davvero essere picchiato stasera, dì la verità! Lo vuoi capire che io senza di te non vado da nessuna parte? Noi siamo Akira e Yuu Shiroyama e non permetterò a nessuno di mettersi tra di noi. Va bene? Akira si ritrovò ad annuire stringendosi un po’ di più nel cappotto. E non a causa del freddo. E poi, in realtà, sei tu che ti prendi cura di me. Effettivamente, la maggior parte delle volte, era lui ad occuparsi della cena, del bucato o delle pulizie, ma Akira non avrebbe mai pensato che fosse lui a badare a suo fratello. Io faccio solo danni, ti ricordi quella volta che ho tinto tutto il bucato di rosa? Akira scoppiò a ridere di gusto, non era stata la cosa in sé a farlo ridere fino alle lacrime quella volta, ma l’espressione di Yuu quando aveva tirato fuori il bucato dalla lavatrice ed era stato costretto a girare per casa con delle ridicole mutandine rosa finché non ne aveva comprate delle altre. Però tu poi tu sei scivolato sul pavimento bagnato! Ti sei fatto tutto il corridoio! Quella volta Akira aveva usato troppo detersivo, un attimo prima aveva posato il secchio e un attimo dopo si era ritrovato in camera da letto dove Yuu lo aveva preso in giro per due ore intere.

Parli tu che eri convinto che il forno a microonde potesse cuocere anche le uova.

Ma può!

Ma non col guscio!

Era bello ridere così spensieratamente, e lo era soprattutto non dover smettere per poter parlare, non c’era neanche bisogno di riprendere fiato. Andarono avanti per quelle che parvero ore, ma la luna era ancora alta quando decisero di andare a letto scambiandosi soltanto un’occhiata complice. 

Loro erano così: forti e spensierati come una risata.

 

 

   
 
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