Cristallizzazione: è una transizione di
fase della
materia da stato liquido a solido,
nel quale composti disciolti in un solvente solidificano, disponendosi
secondo
strutture cristalline ordinate.
CAPITOLO 8.
Torno a Marshall solo per prendere quello che mi serve.
Ieri mattina Xanders ha fatto in modo che a mia zia venisse recapitata
una raccomandata dal medico curante della mamma. A quanto pare non
è in condizione di rimanere da sola in questo momento,
perciò è meglio che si trasferisca da lei per un
po', fuori città.
Quando la incontro sul ciglio della porta, la zia mi stringe a
sé e borbotta un "dove
sei stata?" umido e plateale. Inzuppa la maglia che Shad
mi ha prestato proprio all'altezza della spalla, marchiandola con i
segni inconfondibili del suo mascara scadente. Aspetto che l'abbraccio
sia finito, poi indico la ragazza che mia ha scortato fin qui.
- Lei è Maria, l'amica di cui ti parlavo per telefono.
Maria sventola la mano per salutare, come se ci conoscessimo da sempre.
Non può certo dire a mia zia che ci siamo incontrate due
giorni fa, quindi si limita ad offrirmi una mano per portare
giù le valige.
- Andrò a stare da lei.
- Ma tesoro, Minneapolis è così lontana! Sei
sicura di non voler venire da me?
Faccio finta di pensarci di nuovo, e di struggermi d'indecisione. Mi
tiro le maniche della maglia fino a coprire i pugni, poi annuisco. Lei
singhiozza con rassegnazione.
In realtà mi ha sempre detestato, ma alcune persone
pretendono di portare il minor carico possibile di dolore, e non
aspettano altro che condividerlo. Mia zia è una di queste.
- Sicura. Non sarei di alcun aiuto, comunque.
Indico l'interno della casa.
Mia zia si morde le labbra come se volesse controbattere, ma alla fine
si passa una mano tra i capelli sbiaditi e mi fa promettere che
chiamerò tutte le sere. Mette un indice sopra l'altro,
costringendomi a rompere la croce formata dalle sue dita: mia nonna -
quella paterna, però - ci diceva che era come dare la
propria parola d'onore. Io e Lilith abbiamo costretto tutta la famiglia
ad adottare questo rito.
Trovo la mamma seduta sul divano con una tazza di latte ancora caldo
tra le mani, e la speranza che stesse meglio si rinseccolisce fino a
svanire. Mi dico che una volta uscita da qui non dovrò
sopportare di vederla in questo stato per molto tempo, ma subito dopo
il senso di colpa mi rivolta lo stomaco fino alla nausea.
Perché non la vedrò e basta.
Non vedrò questa donna spezzata,
né il suo gonfiore da psicofarmaci, né le sue
crisi inaspettate.
Ma non vedrò la mia mamma.
Mi siedo al suo fianco, dandole un bacio sulla spalla. Lei mette via la
tazza e mi poggia una mano sulla coscia, ma è come se la sua
massa corporea fosse evaporata e niente di lei fosse rimasto a parte le
ossa. Perfino quando le ho mentito su quali sarebbero stati i miei
programmi per le prossime settimane mi è sembrata del tutto
disinteressata.
- Vi raggiungerò, - dico.
- Ho solo bisogno di un po' di tempo.
Lei stringe gli occhi e so che sta per piangere.
- Non voglio che ci raggiungi.
Anche le sue parole sono inconsistenti come la sua presenza. Un tempo
mi avrebbero ferito, ma adesso strascicano un carico diverso: credo che
mia madre voglia proteggermi da quel seme di follia che si sta facendo
strada nella sua disperazione. Lo so, voglio sperarlo.
Perché devo avere fiducia, giusto?
Rimaniamo a guardare la foto di me e Lilith che la mamma tiene in
grembo: io ho un graffio sulla faccia che dalla tempia arriva fino al
mento, regalo del gatto bisbetico della nonna, e Lilith ci soffia
sopra. Sembriamo felici, ma è un momento che non ricordo
nemmeno di aver vissuto.
Mamma si appiattisce la foto sul ventre come se si fosse pentita di
averci messo al Mondo.
So che cosa sta pensando.
Se fossimo rimaste al sicuro, sospese in una culla di liquido
amniotico, tutto questo non sarebbe mai successo.
Vestiti,
scarpe, spazzolino e caricabatterie; portafoglio (vuoto), quaderno di
matematica (per far chiudere il becco a mia zia), chiavi e pettine. Non
credo di aver bisogno d'altro per il momento, ma per sicurezza
controllo di aver preso tutto il necessario.
Camera mia è perfettamente identica a come l'ho lasciata:
stretta, disordinata e poco luminosa. Una mattonella da bagno della
Villa basterebbe a farla sfigurare, ma... ma niente. Siamo seri: terrei
comunque la mattonella. Almeno quella potrei rivenderla e comprare dei
mobili nuovi.
Mi metto lo zaino in spalla e sfreccio lungo il corridoio, pronta per
sfuggire all'atmosfera sfiorita della casa e tornare a pensare
lucidamente.
Prima di scendere le scale rimango qualche secondo davanti a una porta
pallida, dalla verniciatura meno intaccata della mia, ma pur sempre
scadente. La mia mano indugia sulla maniglia come se avesse paura di
scoprire che scotta, e rimane lì fino a quando Maria non si
affaccia dalla tromba delle scale. Dice che non vuole mettermi fretta,
ma che sarebbe meglio ripartire.
- Sybil, - mormora, e un tono grave scolpisce fastidiosamente il suo
accento spiccato.
- Dobbiamo andare.
Tiro giù la maniglia tutta in una volta, trattenendo il
respiro.
Mia madre ha chiuso la porta a chiave.
Sento i passi di Maria che si avvicinano con estrema delicatezza, ma
lascio la presa prima che lei mi raggiunga o mi rifili una parola
gentile. Vado di sotto e recupero le mie cose, poi saluto tutti e mi
assicuro che la zia abbia comunicato alla polizia il nuovo indirizzo
della mamma.
Mi infilo in macchina, stringendo tra i denti la catenella che porto al
collo, e aspetto che Maria rassicuri la mia famiglia come da manuale.
Quando sale in macchina la prima cosa che fa è offrirmi del
cioccolato.
Lo prendo volentieri.
- Era la camera di tua sorella?
Sigillata, con le spalle voltate al resto della casa e tutti gli
oggetti di Lilith assopiti sotto uno strato di polvere.
Chissà se, girando la chiave, la mamma credeva che almeno
una parte di lei sarebbe rimasta a casa.
- Sì, - rispondo, mentre Maria si allaccia la cintura e il
motore brontola che vuole andarsene.
Lo capisco, e non posso che dargli ragione.
Mi
stiracchio come un gatto, arcuando la schiena in uno scricchiolare
sonoro delle spalle. Ci abbiamo messo più che all'andata,
perché viaggiare in pieno giorno implica dei limiti di
velocità che i Novi, se possono, non rispettano. Non mi
aspettavo che mi coprissero gli occhi anche questa volta, ma Maria ha
insistito che tenessi il casco ben stretto, e io non me la sono sentita
di discutere con lei. Me lo sfila appena metto piede fuori dalla
macchina, così posso approfittarne per dare un'occhiata alla
rimessa.
- Portiamo tutto in camera di Shad?
Faccio di sì con la testa. Seymour aveva preparato una
stanza tutta per me, ma sono due notti che io e Shad rimaniamo a
chiacchierare fino a tardi. Alla fine ha insistito affinché
rimanessi con lei, e io ho accettato subito: stare ad ascoltare quello
che mi racconta sui Novi, sulla Villa e sull'Oriente mi aiuta a
rilassarmi, e poi non mi va di restare da sola in un posto che conosco
appena, soprattutto adesso che Alphy è tornato a casa.
Seymour ha bisogno di più tempo per convincere la sua
famiglia, visto che ai suoi cari importa sapere che sta bene.
Il problema è che importa un po' anche alla sottoscritta.
Forse.
O almeno credo.
Shad è ancora di sopra quando ringrazio Maria e trascino
dentro i miei bagagli.
- Hey, - ansimo. Immagino di avere le guance rosse per lo sforzo e la
faccia stravolta per il lungo viaggio. Se all'andata non avessi dormito
in macchina, non avrei nemmeno la forza di stare in piedi.
- Bentornata!
- Siete partiti a notte fonda, - osserva.
- Cavolo, mi dispiace di averti svegliato. È che dovevo
essere a casa per le otto di mattina.
E io che pensavo di essere stata discreta.
Shad mi chiede solo quello di cui ho voglia di parlare, senza mai
essere invadente o inopportuna. Due sere fa, dopo aver scoperto
dell'attentato di DC, sono corsa qui senza tappe intermedie. Se avessi
affrontato la gravità di quello che era appena successo,
sarei crollata una volta per tutte. Ho dovuto rigettare la folle idea
che Lilith fosse coinvolta anche in questa faccenda, aggrappandomi a
qualcosa con le mani, la testa e il cuore.
Mi sono aggrappata a Shad.
Quando sono entrata c'era solo lei nella stanza, con l'occhio finto sul
punto di spegnersi e delle parti del corpo smontate. Respirava con un
cavo inserito nella gola, proprio all'altezza di un inserto meccanico.
Mi è sembrata sorpresa di vedermi, come se non si aspettasse
che qualcuno si ricordasse di lei in un momento del genere.
Cos'è che mi ha detto quella sera?
"Scarica."
Sono scarica come una
pila, come una batteria vecchia.
Io avevo voglia di mettermi a gridare, eppure mi sono data un comando
preciso: "fatti forza per lei, oppure esci."
Sono rimasta tutta la notte.
- I tuoi capelli, - ridacchia.
Mh?
Ero così sovrappensiero che non stavo ascoltando.
Mi guardo allo specchio. Ho i capelli pieni di nodi, ritti sulla testa
come se avessi preso la scossa, ma faccio finta di rimanere impassibile.
- Che c'è? - chiedo quando Shad mi passa la spazzola, - non
sai che così vanno di moda?
Si offre di darmi una sistemata, ma dal modo in cui sbircia la porta
capisco che è di fretta. Mi rifiuto di farle perdere altro
tempo, anche se avrei voluto parlare dell'altra sera. Nessuno mi dice
niente, riguardo l'esplosione dei due ospedali a DC. Seymour sostiene
che non mi riguarda e che loro sono stati informati solo
perché nei loro compiti rientra la salvaguardia del Paese,
ma questo che vuol dire?
Mi passo il pettine tra le ciocche arruffate, stringendo gli occhi per
il fastidio di doverle districare, poi le chiedo che progetti ha per il
pomeriggio.
- Ho una faccenda da sbrigare nei laboratori, - sospira. Il pensiero
non sembra piacerle molto.
A me però piace parecchio.
- Ti prego.
- Cosa?
- Posso venire anche io? Tipregotipregotiprego.
Do sfoggio di tutti gli strumenti persuasivi che possiedo. Arriccio le
labbra all'infuori, facendo sbattere le ciglia umide, poi congiungo le
mani verso di lei. Giuro e spergiuro che non toccherò niente
e che non le darò fastidio; che mi renderò utile,
se necessario, purché mi porti là sotto. Da
quando Leslie mi ha confidato che i sotterranei della Villa ospitano
laboratori di ogni sorta, ho aspettato solo di trovare l'occasione
giusta per entrarci.
- Credevo che fossi esausta, o che volessi andarci con qualcun altro.
Con chi altro vorrei mai passare il mio tempo, qui? Altri ragazzi si
sono offerti di accompagnarmi, ma la presenza di Shad è
confortante, anche solo perché le sue esperienze passate -
qualunque esse siano - la rendono più simile a me che ai
Novi. Forse è per questo che passa molto tempo da sola.
Finisco di sistemare i capelli in una coda alta e stretta.
- Sono pronta.
Shad camuffa un sorriso, facendomi strada con il cigolio regolare dei
suoi arti meccanici che si piegano. Adesso sta molto meglio, ma
sospetto che abbia bisogno di distrarsi almeno quanto me.
-
I sotterranei vengono rinnovati quasi ogni anno, in modo che possano
restare al passo con le nuove scoperte in campo tecnologico.
Senza dare troppo nell'occhio, Shad si dà un colpetto
sull'orecchio sinistro. Oggi emette uno stridio piuttosto fastidioso.
- Stai per entrare nel cuore pulsante della Villa: quasi tutti i
laboratori si trovano qui, e anche la palestra e i simulatori.
L'ascensore scende silenziosamente, come se nemmeno si muovesse, e
pochi secondi dopo siamo al piano inferiore. Non ricordo
quand'è stata l'ultima volta che mi sono sentita
così euforica da non riuscire a stare ferma. È
una bella sensazione, almeno fino a quando non realizzo che l'ascensore
si è bloccato.
Adesso ho la testa leggera, le dita che sfrigolano per l'impazienza e i
denti che coprono il labbro inferiore.
- Perché le porte non si aprono?
Mi ricordo del motivo per cui preferisco le scale. Claustrofobia. Se
non usciamo nel giro di un secondo le alternative sono due: o muoio o
sfondo la porta a testate.
- Bisogna completare una semplice successione numerica prima di avere
accesso al piano.
Una lunga serie di cifre si rincorre sulle pareti dell'ascensore, come
se fossimo rinchiuse in un televisore. Per me non ha alcun senso, ma
suppongo che sia stato fatto per tenere fuori da qui chiunque non possa
vantare il patrimonio genetico dei Novi.
- Sono la prima non-super-ragazza
a entrare qui dentro?
Shad ticchetta una cifra senza pensarci troppo, e le porte scivolano
sui lati.
- Per adesso sì, ma non è detto che -
Shad continua a parlare, ma io ho smesso di registrare qualunque suono.
Mio Dio.
Ormai dovrei aver imparato ad aspettarmi di tutto, ma questo, questo
è surreale. I miei piedi si muovono da soli, allontanandosi
dal centro dell'enorme ambiente circolare che ci avvolge. Tutt'intorno
si stagliano grandi blocchi di metallo addossati contro le pareti, e a
romperne la curva quattro corridoi tagliano la circonferenza come due
colpi incrociati di spada. Sono nel cuore di un'immensa croce.
Mi accorgo che Shad si è portata al mio fianco. Apre le
braccia a indicare quello che ci circonda, e per la prima volta non
cerca di nascondere i suoi arti sfregiati stringendoseli al corpo. Si
sente nel posto giusto, qui. Qui dove sembra che tutto sia possibile.
- Anche a me ha fatto lo stesso effetto, la prima volta. Ti piace?
Vorrei dire qualcosa di sensato, ma so che se ci provassi,
ciò che riuscirei ad articolare non renderebbe onore a
quello che provo; quindi lo penso e basta.
Tanto c'è qualcun altro che parla a posto mio.
- Se i sotterranei non venissero sterilizzati tre volte alla settimana,
ti consiglierei di chiudere la bocca.
Serro la mascella. A questo punto l'unica cosa che sopravvive sulle mie
labbra sembra un insulto alla Villa intera.
Mio.
Dio.
Lui no.
***
Nicholas
si inchina con simulata riverenza.
Deve essersi abituato ai miei ridicoli tentativi di tenergli testa e
anzi, scommetto che lo divertono un mondo. Roteo gli occhi e mi rivolgo
a Shad.
Se c'è anche lui, sono disposta - sebbene a malincuore - a
posticipare l'esplorazione di qualche ora.
Reichenbach scocca un dito per richiamarmi all'attenzione.
- Batteri. Non hai idea di quanti procarioti aleggino nell'aria.
Faccio finta di non vederlo nemmeno, ma prima sparisce e meglio
è per tutti.
- Shad, che cosa sono quelle grandi scatole di metallo?
Shad fa ruotare le dita meccaniche di trecentosessanta gradi, prendendo
tempo. Mi dispiace che si senta in imbarazzo per colpa mia
però... Facciamo che la colpa è del terzo
incomodo.
Nicholas indica gli aggeggi disposti sui settori circolari che
stringono i corridoi.
- Quelli sono gli spogliatoi, non vedi?
Non posso fare a meno di assumere un’espressione indignata.
- Gli spogliatoi, certo. Come ho fatto a non pensarci prima? Hanno
proprio l’aria di essere dei camerini. E io stavo sicuramente
parlando con te, come no.
Reprimo l’impulso di dargli un pizzicotto solo
perché mi ero ripromessa che lo avrei ignorato.
- Sbaglio o Seymour ti ha dato l'ordine di lasciarmi in pace?
- Quelle "scatole" sono abitacoli personalizzati, - continua.
- Ognuno di noi ha il proprio e ci basta entrarci dentro per metterli
in funzione: registrano la nostra condizione psico-fisica e ci
consigliano l’attività giornaliera più
opportuna, fornendoci il materiale di base necessario, naturalmente
lucidato a nuovo o, nel caso si tratti di una divisa, lavato, stirato e
profumato. Mi dispiace che la tua molliccia materia grigia non riesca a
concepire qualcosa che vada oltre gli armadietti della scuola; in caso
contrario avresti apprezzato il genio di quelli che li hanno realizzati.
Immagino che tu sia tra
questi.
- E comunque mi chiedo se ci sia ancora qualcuno che ascolta Seymour.
Shad non è capace di arrabbiarsi, ma le parole di Nicholas
sembrano mandarla in corto circuito.
- Chol, smettila.
- Oh, sì, tu. A che punto sei?
TU?
Che c'è, si è dimenticato che Shad ha un nome?
Nemmeno Lilith era così insopportabile! Anzi, lei riusciva a
dissimularsi alla meraviglia.
Prima che possa farglielo notare una delle cabine si apre di scatto e
mi fa sobbalzare. Ne sbuca fuori un ragazzo orientale dai lineamenti
familiari: è alto per essere asiatico, e ha le braccia
ricoperte di tatuaggi dai colori accesi. Perfino il nero è
pieno come se non si fosse scaricato del tutto. Forse i Novi utilizzano
sostanze particolari per disegnare sulla pelle.
Il resto del suo corpo è fasciato da una tenuta
blu elettrico, con inserzioni rigide sulle giunture.
- Arrampicata, Ren?
- La cabina dice che sono un po' fuori forma. Devo scalare quattro
chilometri e diciassette metri in sei giorni. Niente di eclatante.
Niente, certo, è che io dopo due piani di scale desidero
solo di essere lasciata morire in pace.
Ren viene a darmi un bacio sulla guancia, poi fa per mettersi due
cuffie enormi sulle orecchie.
- Ci vediamo dopo!
Infila uno dei corridoi obliqui seguendo il ritmo di una canzone che da
qui non riesco ad afferrare.
Approfitto del momento per rivolgermi a Shad.
- Andiamo? Adesso. Ti prego.
- Aspetta. Sharazad non ha tempo di portarti a spasso, oggi.
- Scusami?
- Ha ragione, Sybil. Il lavoro di cui ti ho parlato...
C'è di mezzo lui. Questo si era dimenticata di dirmelo. O
forse se ne ricordava perfettamente, ma sperava che se fossi rimasta
con lei Nicholas avrebbe rimandato l'attività.
Gli angoli della bocca di Shad fanno fatica a restare sù,
nonostante le venature di metallo che le attraversano le labbra lottino
contro il broncio. È chiaro che non ha voglia di aiutarlo.
- Non puoi farlo un'altra volta?
- No, - dice Nicholas.
Mi chiedo come si possa approfittare della gentilezza di Shad fino a
questo punto, e ridurne la preziosità a debolezza. Ha
risposto lui perché Shad non direbbe di no a nessuno.
Mi strofino le mani sui jeans, cercando di nascondere che ci sono
rimasta male. Volevo che fosse lei a guidarmi nei sotterranei, e adesso
è andato tutto all'aria per colpa di Reichenbach.
Perché è scontato che non ho intenzione di andare
con loro, dopo quello che Nicholas ha escogitato per ferirmi. Sono
passati due giorni da quando abbiamo parlato per l'ultima volta, ma da
allora Xanders gli ha minacciato che se dovesse darmi fastidio un'altra
volta, lo farà cacciare.
- Okay, allora. Ceniamo insieme?
- Appena ho finito ti raggiungo, se hai voglia di aspettarmi.
Mi sforzo di annuire.
- Adorabili, - dice Nicholas.
Proprio non riesce a non guardare tutti dall'alto in basso!
Si tira indietro i capelli chiari, avvicinandosi ad una delle tante
cabine. Punta la mano sulla sua superficie lucida dell'oggetto e fa per
entrare, ma qualcosa lo convince a voltarsi. Sembra ricordarsi solo
adesso che sono ancora qui, e aspetta che sia io a dargli una
spiegazione, come se non volesse sprecare fiato.
- Che vuoi? - sbotto.
- Io? Niente. Nemmeno la pace nel Mondo, se è per questo. Tu?
- Sono qui per fare il giro del Laboratorio, non dello spogliatoio dei
Novi. Mi accompagnerete almeno all'entrata, spero.
Shad prova a rassicurarmi, ma per lui è fuori discussione.
- Non ho intenzione di scarrozzarti tutto il giorno, creaturina.
Abbiamo delle cose da fare, e a meno che tu non voglia entrare nella
cabina con me, cose che non ti dispiacerebbe, suppongo, credo che
dovrai seguire Ren finché è ancora in vista.
Tiene aperta la porta scorrevole e mi fa cenno di accompagnarlo dentro,
con un ghigno scolpito in faccia da un artista e gli occhi verdi che
brillano.
Distolgo lo sguardo dal suo appena mi sento arrossire.
- Sto aspettando. Potresti essere l’unico sapiens a vedere
la cabina che ripiega la mia maglietta e mi porge una divisa attillata.
Sapiens.
Quella parola è come un pugno nello stomaco, quando
è lui a pronunciarla. Spingo la coda dietro la spalla,
costringendomi a fronteggiarlo di nuovo.
- Sarebbe squallido, sai? Entrare lì con te, intendo.
- Già, - ride lui, - non dirlo a me.
- Sarebbe proprio squallido vedere che prendi ordini da una scatola di
latta che ti dice come vivere la tua vita.
Giro sui tacchi, soddisfatta, e seguo quanto di visibile rimane di Ren.
Questa volta cede prima lui.
-
A cosa stanno lavorando Shad e Reichenbach?
- Non lo so, tesoro. Nessuno lo sa.
Ren si pulisce i goggles sui pantaloni della tuta. Mi tengo alla sua
destra, cercando di stare al passo con i suoi saltelli di riscaldamento
anche se parlare e corrergli dietro mette a dura prova la mia
circolazione da pantofolaia.
- Chol è gelosissimo dei suoi progetti. Ma proprio
maniacale. Come se qualcuno qui dentro fosse così infame da
rubargli le idee!
Chissà che idee, considerando di chi stiamo parlando. Chiedo
cortesemente a Ren di farmi strada invece che di guardarmi il sedere, e
suo malgrado accetta di accompagnarmi fino al primo laboratorio. Mentre
chiacchieriamo osservo le superfici immacolate del corridoio, tutte o
quasi tendenti al bianco. Lilith diceva che i colori hanno un grande
potere sul nostro sistema nervoso, e che l'assenza di
tonalità l'aiutava a pensare. È evidente che non
abbia mai sofferto della sindrome da pagina bianca, lei.
Rivolgo un sorrisetto complice a Ren.
- Tanto dovrò capitarci nel loro laboratorio, giusto?
- Ti piacerebbe! Chol ha chiesto di poter usufruire di un laboratorio
tutto per sé. Te l'ho detto: ha una gran testa, ma ci tiene
troppo.
- E immagino che Shad non si lascerebbe sfuggire una parola riguardo
quello che combinano lì dentro.
- Scherzi? Se le chiedi di tenere il tuo segreto, se lo porta nella
tomba.
Quella ragazza mi piace sempre di più. Mi pento di averla
abbandonata nelle grinfie di Nicholas senza aver protestato abbastanza.
- Staranno costruendo una risonanza magnetica, o che so io, - dice Ren,
e io mi fermo all'istante.
- Perché?
- Shad è un ingegnere biomedico, - dice, e il suo tono
adesso è serio.
- Il suo corpo se l'è costruito da sola. Aveva
già realizzato un prototipo di modello prima di... insomma,
prima. Poi lo ha migliorato. Il problema è che per adesso
è sopravvissuta all'impianto solo lei. Tutti i sapiens su
cui abbiamo sperimentato gli inserti sono morti, e questo proprio non
le va giù.
È passato più di un minuto quando Ren si decide a
precisare che questo non rende il suo progetto meno valido. Io aggiungo
che valido è dire poco, ed entrambi annuiamo, ma devo
ammettere che è difficile credere che una ragazza
così giovane sia riuscita a costruirsi un corpo meccanico
tutta da sola.
Ren si sgranchisce le gambe, prima di entrare in palestra. Flette il
busto di lato e mette in mostra i muscoli, e io non riesco a trattenere
una smorfia buffa: Shad mi ha confidato che lo fa con tutte le ultime
arrivate.
- Ti va una scalata, solo io e te?
- Grazie Ren, ma in palestra passo dopo, e poi finirei per ammazzarmi.
Sarà per un'altra volta.
Come no.
- Privo tentativo di spezzarmi il cuore: riuscito.
- Il resto dei laboratori di quest’ala si trova lungo il
corridoio, ma la palestra occupa quasi tutto lo spazio.
Ren si mordicchia un dito.
- Vediamo, dov'è che puoi andare? Biologia è il
prossimo. Seguono fisica e medicina che però sono occupate
da brutti ceffi. Troverai degli ascensori, ma procedono tutti
lateralmente: servono a collegare le braccia della Villa, nel caso tu
voglia entrare da qualche altra parte.
- Le braccia? Intendi i corridoi?
- Manchi di spirito d’osservazione, tesoro. La pianta della
Villa è formata da quattro braccia oblique che si incrociano.
- Come una X, sì.
Questo lo avevo capito.
- Come un cromosoma X. Prima si pensava che il segreto della nostra
specie fosse nascosto lì, ma non abbiamo ancora trovato
niente che spieghi perché noi Novi esistiamo.
- E detto tra me e te, - sussurra, avvicinandosi un po' troppo, - a me
non importa un accidente.
Quando
qualcosa ha il potere di meravigliarmi, capita che cominci a ridere
senza riuscire a spiegare perché lo sto facendo. Toni porta
una mascherina sottile sulla bocca e degli occhiali a fascia per
proteggersi, ma l’espressione sul suo viso è
inequivocabile.
- Sei la prima a trovarlo divertente.
- Scusa, è l’emozione. Non avevo mai visto nessuno
sparare alle piante.
In realtà non avevo mai visto niente di quello che si trova
qui dentro.
Entrare nel laboratorio di biologia è stato come
risvegliarsi nella corolla di un fiore: al centro della stanza macchine
di ogni genere occupano un settore circolare grande come il mio
soggiorno. Se anche riuscissi a trovare le parole per descriverlo, non
basterebbero a dare un nome a tutti gli strumenti che riempiono
l'infiorescenza. Riconosco diversi microscopi, fiale di diversa
grandezza e cilindri che emanano il freddo secco di un congelatore; ma
non c’è utensile che riesca a togliermi il respiro
come quello che poggia sui petali del laboratorio: centinaia di piante
e minerali dentro teche di vetro sono disseminate tutt'intorno a noi,
insieme a vasche d’acqua in cui minuscoli organismi brillano
sotto la luce sinistra dei raggi UV. E non mancano costruzioni di
cellule sezionate, colonie di moscerini dagli occhi bianchi, e
–
- Vuoi provare? - chiede Toni.
- Non lo so, e se poi la uccido?
- È una pistola pneumatica, non una calibro 9. Punti la
canna sulla foglia e premi il grilletto: i proiettili sono
microscopiche foglie d’oro ricoperte di DNA: arrivano al
nucleo e nei mitocondri senza danneggiare le pareti cellulari.
È semplice.
Mitoche?
Lo strumento è ingombrante. Il coltello si adattava meglio alle mie dita. Il pensiero mi fa inorridire, e Toni sembra
capirlo. Forse realizza che il rumore degli spari mi ha tormentato
abbastanza, così si offre di riprenderla in mano.
- Il laboratorio di fisica è proprio qui affianco, -
azzarda, ma io scuoto la testa.
- È tutto okay, ci provo. Hai detto che se
l’esperimento riesce la pianta sarà più
resistente alla siccità, vero?
Potrebbe crescere dove il caldo soffoca tutto il resto; dove le persone
non hanno acqua sufficiente per bere, figuriamoci per annaffiare un
bocciolo nella polvere.
Toni annuisce e io premo il grilletto. L'unico suono che sento
è il gorgoglio dell’acqua nelle vasche, e ancora
quello della mia risata.
Chissà che mi aspettavo.
Mi
affaccio dalla porta del laboratorio di fisica cercando di non fare il
minimo rumore: dentro ci saranno almeno sei o sette persone concentrate
su misurazioni, calcoli di grandezze derivate e procedimenti
cervellotici.
A dire il vero preferirei non entrare: mi sento come se fossi un'ospite
ingombrante, qua sotto, e anche se la curiosità lotta per
divorare ogni cosa con lo sguardo non me la sento di interrompere il
lavoro di tutti quei ragazzi. Alcuni di loro nemmeno si sono
presentati, la scorsa volta.
Sgattaiolo via e appena fuori mi guardo intorno per decidere il da
farsi: potrei tornare indietro ed esplorare un'altra delle tre braccia
della Villa, visto che anche il laboratorio di medicina che ho appena
sorpassato era impegnato.
Sto per andarmene quando qualcosa attira la mia attenzione.
È là, sul fondo del corridoio a sinistra, dove
s'interrompe la fila di luci: una scala.
Eppure Ren non me ne aveva parlato.
Mi avvicino un po' per contare i gradini, con la schiena che si lamenta
per il trattamento che le ho riservato nelle ultime ore. Prima sempre
seduta, adesso sempre in piedi.
Ficcanasare in giro non è esattamente ciò che un
ospite dovrebbe fare, ma i gradini sono appena una decina e io non
ricordo quando ho visto l'ultimo ascensore.
Faccio finta di stare prendendo in considerazione l'idea di tornare
indietro, se non altro per mettere a tacere la mia coscienza. Alla fine
però scendo la scala con una mano stretta attorno ringhiera,
per evitare di scivolare e sfracellarmi sul pavimento. Sono
così concentrata su dove mettere i piedi che quasi non mi
accorgo della grande porta di metallo che mi ritrovo davanti.
È... vecchia?
Rispetto a tutto il resto, intendo. La manopola che la tiene serrata
è resa opaca da uno strato di sporco, e l'oblò
che dovrebbe permettermi di sbirciarci attraverso è
così rovinato che per scoprire che cosa nasconde sono
costretta ad entrare.
Forzo la manopola e scopro che ruggine a parte è meno rigida
di quanto pensassi. Mi bastano due giri, e prima che possa rendermene
conto sono già dentro, con la porta che si richiude alle mie
spalle. Faccio qualche passo in avanti.
All'inizio scambio il bagliore fioco proveniente dal fondo del
laboratorio per un fuoco fatuo, e rischio di cadere. Indietreggio di
scatto, andando a sbattere contro qualcosa di duro e gelido. Lo stomaco
mi si attorciglia per lo spavento. Metto le mani davanti. Mi sento
ansimare. Qualcosa cigola e la polvere mi chiude la gola e non avrei dovuto finire qui
dentro come si esce da dove sono entrata?
Ritrovo l'equilibro.
Pian piano i miei occhi si adattano ai giochi di ombre che si
rincorrono sulle pareti della stanza, e la sorgente di luce assume una
forma definita: una proiezione colorata ruota su sé stessa,
pulsando di tutte le sfumature del verde. Mi viene la tentazione
esasperata di passarci attraverso e scomporne la struttura ordinata,
anche solo per scoprire che cosa succede. Un taglio netto. Mi faccio
strada un po' alla volta, ripetendomi che non è come stare
al buio.
Muovo la mano così in fretta che la reazione della sagoma di
luce mi sfugge. Ci provo di nuovo, questa volta con più
cautela, e il risultato è stupefacente. Faccio scorrere le
dita attraverso i piccoli globi luminosi, sfiorandole il calore
iridescente. Come se cercassero di sfuggirmi, i ponti fosforescenti che
li uniscono si curvano e separano gli uni dagli altri, fino a quando
tutta la figura si deforma in un tremolio di vapori.
- Non si dovrebbe mai rompere un legame chimico se non si è
sicuri di quanta energia può liberare.
Strappo il braccio dalla proiezione. Un incrocio di sibili improvvisano
il suono della stoffa fatta a pezzi.
A quanti spaventi devo sopravvivere prima di cadere a terra stecchita?
- Mi dispiace, - comincio, e mi pento una volta per tutte di essere
entrata qui dentro. Ho messo le mani su qualcosa che potrebbe valere
migliaia di dollari; se l'ho rovinato, sono rovinata. Deglutisco.
Un uomo alto e dinoccolato se ne sta ritto al mio fianco, tenendo
un'ampolla tra due dita. Una spolverata appena accennata di grigio sul
suo gomitolo di capelli suggerisce che sia più vecchio di
Seymour, e anche meno curato. Il suo camice è pieno di
macchie.
L'uomo batte un pugno sul muro e la luce si accende.
- Le molecole proiettate si ricostruiscono da sole, - sbadiglia, - non
c'è di che preoccuparsi.
Per sicurezza costringo le mani nelle tasche.
- Sei la sorella di Lilith Crowford.
Perfetto, un altro membro del suo fan club.
- Purtroppo.
L'uomo pare rianimarsi. Mi raggiunge in un'unica, grande falcata, e mi
dà una pacca sulla spalla. E un'altra, e un'altra, e
un'altra ancora, fino a quando la mia mia espressione
imbarazzata non gli suggerisce che è ora di finirla.
- Mi chiamo Sybil.
- Ostwald Crichton! - esclama, ma non capisco quale dei due sia il nome
e quale il cognome. Sto riflettendo sulla sua stranezza quando
l'ampolla che tiene tra le dita scoppia. A me scappa una parolaccia.
Ancora?
- Gambe su! - grida lui, e io mi sollevo su uno dei banconi con i piedi
lontani dal pavimento.
Il pavimento che fuma come se il liquido dell'ampolla lo stesse
mangiando strato dopo strato.
Crichton è appeso a una cappa di metallo a forma d'imbuto,
ma guarda con sincero interesse il disastro che ha combinato.
- Che peccato, pensavo che fosse un po' più spiritoso di
così.
Mi allungo sul banco da lavoro e afferro una maschera sottile, con una
specie di inalatore sotto il mento. Da un gancio poco distante recupero
degli occhiali di protezione.
- Oh, no, no, no, non ce n'è bisogno! L'ho solo agitato
troppo.
Crichton mi chiede di farci gocciolare sopra un'altra soluzione e di
asciugare tutto con un pezzo di carta: lì, lì,
proprio quella provetta. Versala tutta, da brava. Io non ribatto, ma le
dita mi tremano così forte che per poco il liquido schiumoso
non mi cade addosso. Quando ho finito Crichton si lascia andare e corre
dall'altra parte della stanza per annotare delle formule su uno dei
fogli sparpagliati in giro.
Lancio un'occhiata alla porta.
- Forse è meglio che vada, - comincio, ma lui è
entusiasta della mia presenza.
- Sai, ho letto la tesi di tua sorella sull'anomalia proteica
dell'anemia falciforme. Brillante, semplicemente brillante!
Quella che conosceva Lilith meno di tutti a quanto pare sono io.
Un dispositivo prende a squillare rumorosamente, e Crichton corre verso
un altro aggeggio dalla forma irregolare.
Comincio a pensare che abbia qualche rotella fuori posto; si precipita
da un lato all'altro del laboratorio come se a contenderselo ci fossero
forze invisibili, e ogni tanto mi chiede di passargli questa o quella
siringa dal contenuto sospetto.
Mi parla del suo lavoro senza che gliel'abbia chiesto, così
sono costretta a rimanere: è uno dei pochi adulti, qui
dentro. Insegna chimica ai giovani Novi da ventidue anni, ma il
laboratorio non sembra molto frequentato. Gli vado vicino per sbirciare
il contenuto del miscuglio che sta preparando, ma lui si ritrae per
istinto. Alla luce fredda dei neon riesco a vedere chiazze di barba
ispida che gli spuntano sulle guance, come se si fosse rasato male.
Quando mi sfreccia vicino annuso il tanfo che emanano i suoi vestiti e
reprimo un conato di vomito.
Uova marce, ho sentito bene?
Mi chiedo da quanto non esca da questa stanza, e come mai non ci sia
nessuno a indagare i segreti della chimica insieme a lui.
- Mi aiuti? - chiede.
Crichton mi passa degli strumenti incrostati e pieni di aloni di
calcare. Una parte di me diffida dalle sostanze che mi chiede di
maneggiare, ma l'altra ne è così affascinata che
non riesco a rifiutare. Faccio reagire i materiali seguendo le sue
indicazioni confusionarie, e alla fine ci prendo gusto. Devo solo
evitare di respirare con il naso.
- Sai, - mormora, scrivendo in aria con il dito che si muove
a tracciare numeri invisibili.
- Anche il suo piano lo è.
Brillante, intendo.
Impiego qualche secondo a capire che sta di nuovo parlando di Lilith.
- Il suo piano è
stato crudele e criminale.
La soluzione vortica ancora quando smetto di mescolarne il contenuto
con una stecca di vetro. Adesso che la polvere si è sciolta,
assomiglia all'acqua con lo zucchero di Jerome Ryars, e viene voglia di
provarne un sorso.
- Forse, ma se la cristallizzazione di un composto avviene troppo
velocemente, il cristallo tende sempre all'amorfismo. Alcune cose
richiedono del tempo.
Crichton afferra una pinza e pesca un grumo squadrato che fa pensare al
ghiaccio secco. Lo osserva sotto un microscopio arrugginito,
borbottando a bassa voce, poi lo lascia precipitare sul fondo di un
intruglio puzzolente.
- Non so se è di una reazione chimica che stiamo parlando, o
di mia sorella, - intervengo.
Sono arrivata fino a questo punto, allora: vedo nemici dietro ogni
maschera di cortesia, scorgo minacce tra le parole che non capisco,
confido nella possibilità che c'è sempre qualcosa
che può andare peggio.
La risposta di Crichton sembra arrivare da lontano; come se stesse
divagando, e all'improvviso non mi volesse qui. Come se fosse stufo di
avere attorno qualcuno che proprio non capisce.
Non vedi?
- Beh, tua sorella è un'ottima chimica, - dice solo, e poi
torna a scarabocchiare linee dritte e punti che per me non hanno alcun
senso.
Controllo l'orologio che ho al polso senza dare troppo nell'occhio:
sono qui dentro da più di un'ora, e nessuno si è
fatto vivo. Faccio passare un dito sui tubi trasparenti del
distillatore, ma lo sporco è così vecchio che la
polvere non viene via del tutto. Ho la prova che qui dentro non
è entrata un'anima negli ultimi due mesi. Nessuna a parte me.
Perché del resto Ren non mi aveva parlato di un laboratorio
di chimica.
- Se quello che si dice in giro è vero, Lilith è
anche un'assassina, - boccheggio.
- La riporterò indietro, e dovrà vedersela con
l'USD.
Crichton non stacca gli occhi dai suoi segni incrociati nemmeno quando
il foglio finisce e la matita scivola sulla superficie lurida del
bancone.
Serviva molto meno a convincermi che ha mentito, che non insegna un bel
nulla ai ragazzi che vivono qui e che c'è qualcosa di
profondamente sbagliato in lui; qualcosa che non funziona come
dovrebbe.
Poggio i miei strumenti con cautela.
Che succede se me ne vado senza salutare? E se mi invento una scusa
qualunque? Sono libera di andarmene quando voglio. O forse no. Dipende
tutto Crichton.
- Tua sorella è davvero, davvero un'ottima chimica , -
sorride.
Poi la porta del laboratorio si spalanca.
Nicholas ha la fronte sudata e i capelli biondo freddo appiccicati alla
testa.
Appena mi vede mi raggiunge con l'aria di chi ha fretta di andarsene:
mi afferra per il polso da sopra la felpa e si accorge che la mia mano
è nuda, scoperta, leggermente arrossata sulla punta delle
dita. Non mi ero resa conto di quanto mi bruciasse.
Nicholas non degna Crichton di uno sguardo, ma la vista del becher con
cui ho lavorato lo acceca di rabbia.
- Andiamo, - bisbiglia, e questa volta non oppongo resistenza. Mi ero
ripromessa che se mi avesse messo le mani addosso un'altra volta gli
avrei aperto la gola con le unghie, ma adesso è diverso. La
sua presa è urgente e decisa. Scioccamente ringrazio che la
sua pelle stia toccando nient'altro che stoffa.
Siamo quasi fuori quando Crichton strepita una manciata di parole
insensate.
- Mancava ancora l'agente ossidante al suo preparato!
Nicholas sbatte la porta con un calcio.
La
mia politica prevede di non rivolgergli parola, soprattutto se
è in questo stato. Avanza a testa alta, scrollandosi la
spossatezza di dosso a ogni passo, come se la maglietta che si
è infilato non tradisse - oltre le forme asciutte e toniche
del suo corpo - un alone scuro di sudore alla base della schiena, dove
l'occhio mi è caduto solo perché se non ti
cammina davanti Reichenbach non è contento.
Ora che ci penso mi ricorda qualcuno.
Lo seguo in silenzio fino al punto s'incrociano le braccia della Villa,
segno che siamo arrivati, e appena ci fermiamo mi schiarisco la gola
per richiamare la sua attenzione.
- Che cos -
- Che ci facevi lì dentro?
Non l'avevo mai sentito alzare la voce in questo modo. Nicholas
schiaffa una mano contro la porta della sua cabina, dove un raggio
sottile gli scannerizza le impronte una ad una.
- Secondo te? Mi avevate detto che potevo farmi un gir -
- Non ci dovevi entrare. Era dannatamente matematico che dovevi
rimanere fuori! Ti è sembrato un laboratorio in uso, quello?
- Io non -
- No, certo che no, ma ci sei entrata comunque! Perfino un protozoo
avrebbe capito di doverne starne alla larga, e i protozoi non ce
l'hanno un cervello.
- Ma che stronzo!
Non riesco a credere che sia serio.
Le porte della cabina si aprono alle sue spalle, rivelando uno spazio
più ampio di quanto mi aspettassi. Dentro ci sono
scompartimenti ordinati con precisione quasi maniacale: delle cuffie
per ascoltare la musica, plichi ordinati di fogli e qualche libro. Non
c'è traccia della corona che crede di poter portare in testa.
- Hai finito di ricordarmi quanto sono inferiore a te oppure -
- Non stavo -
- E fammi spiegare! Ti sei accorto che non permetti alle persone di
parlare?
Faccio per premermi le mani sugli occhi, ma lui le prende prima che
riesca a portarmele al viso. Cerco di divincolarmi e spingerlo via; lui
mi tiene a debita distanza, ma non mi molla. Non oso immaginare quanto
dobbiamo apparire ridicoli in questo momento.
- Non farlo. Hai la pelle tutta irritata per colpa di quello che hai
toccato.
Sto toccando te.
Nicholas recupera una borraccia d'acqua dalla cabina. Imbeve un piccolo
asciugamano e me lo passa, liberandomi i polsi. Smetto di mordermi
l'incavo della guancia.
Lui sembra ancora infastidito: ha le labbra stirate, ma ha differenza
della sottoscritta ha ripreso il pieno controllo di sé.
- Chi è quel tipo? - sbuffo, tamponando le macchie che si
allargano sui palmi delle mie mani. Pizzicano, ma il prurito
è sopportabile.
- Crichton? Un menomato. Ha avuto un incidente durante un esperimento
piuttosto delicato, e da quel momento non si è
più ripreso. Seymour lo tiene qui perché
è stato il suo mentore per molti anni.
- Mi sembra che tu stia esagerando. A me è sembrato solo
strano.
Solo? Nicholas piega la testa di lato e fa una smorfia.
Non aggiungo altro per non dargliela vinta.
- C'era odore di acido fenico, nel laboratorio. Tu odori di acido
fenico. Ha lasciato che lo toccassi, e guarda qual è il
risultato, - dice, additando un gonfiore che cresce a vista d'occhio.
- Mi dispiace informarti che lui ha parlato di... fenolo?
- Sono la stessa cosa, creaturina...
- Senti, gli era caduto per terra! Non sapevo che fosse un acido,
quando mi ha chiesto di asciugarlo.
- Adesso lo sai, quindi ricordati di passare in infermeria.
Rimaniamo di sotto per un po': lui perché deve cambiarsi, io
perché aspetto delle scuse che non arrivano. Mi parla da
dentro la cabina, mentre io cammino intorno al centro dell'atrio per
scaricare il nervosismo. È come se mi aspettassi di veder
sbucare Crichton da un momento all'altro.
- C'è un nuovo laboratorio di chimica, nell'altro braccio
della Villa. La prossima volta va' lì, intesi?
Non rispondo. Mi piazzo davanti all'ascensore e aspetto che esca.
Quando mi raggiunge gli lancio un'occhiataccia: se l'è presa
comoda, il ragazzo, e sembra sorpreso di vedermi ancora qui dopo il
silenzio degli ultimi minuti.
Ci guardiamo attraverso il riflesso sulle porte dell'ascensore.
Nicholas è tornato quello di sempre: viso bianco e affilato,
dalle proporzioni squadrate e calcolate al millimetro, e sguardo
attento dalle sfumature di giada. Una ciocca di capelli gli sfugge da
dietro l'orecchio, ricadendo sullo zigomo destro. Glielo devo
riconoscere: qualcosa per cui è lecito vantarsi non gli
manca.
- Che stiamo aspettando?
Non lo so.
- Crichton mi ha parlato di Lilith, - confesso.
- E di un piano. Secondo lui mia sorella ha ancora qualcosa in mente, o
almeno questo è quanto google-translate è
riuscito a tradurre dall'aramaico.
Non so perché glielo dico. E in questo modo, anche.
Dopotutto lo detesto. Per come mi ha trattata, per come mi tratta, per
come tratta tutti quanti. Per l'avermi spinta in macchina con la forza,
la sera dell'attacco, e per avermi puntato contro una pistola. Lo
detesto perché sa troppe cose. Sa come usare le parole e
come usarle per fare male. Eppure sento di doverlo confidare proprio a
lui, perché se è intelligente come dice, forse
riuscirà a capire che cosa sta succedendo, e a tracciare la
direzione ha preso la mia vita, e a calcolare se tornerà mai
quella di prima.
Il suo sguardo guizza oltre le porte, e solo quando entriamo e si
chiudono alle sue spalle si decide a degnarmi di una risposta.
- Crichton è difettoso.
Gli si sono letteralmente denaturate le proteine del cervello, - dice,
e per la prima volta il suo profilo appare indurito da una leggera
tensione.
- Stagli alla larga, creaturina.
- Ma se avesse ragione? L'esplosione di quei due ospedali a DC...
- Non ha ragione. Io ce l'ho.
I suoi occhi si incupiscono.
C'è qualcosa di nuovo di cui non sono stata informata, e se
perfino Nicholas se lo lascia sfuggire dallo sguardo, deve essere grave.
Studio il pavimento.
Penso a quell'uomo con le mani sporche di polveri, lo zolfo sul camice
e una molecola raggomitolata a fargli compagnia. Nonostante il suo
isolamento eremitico Crichton conosceva mia sorella, le sue ricerche,
le sue doti. Mi chiedo se per qualche ragione conosca anche le sue
ambizioni. Ma non posso tornare in quel laboratorio per scoprirlo,
questo è certo. Shad non me lo permetterebbe;
perché è di sicuro Shad che ha chiesto a Nicholas
di venire a cercarmi.
Apro e chiudo le mani per camuffare l'imbarazzo con l'interesse per un
ponfo dolorante, ma Nicholas non si lascia sfuggire la mia indecisione.
- Non rimanere da sola con lui, - ordina, - mai.
Questo tono tra il saccente e il misterioso mi ha stancato parecchio.
Faccio un passo oltre la soglia non appena arriviamo, figurandomi che
ci separeremo in questo modo: lui dirigendosi impettito verso camera
sua, impaziente di ficcarsi sotto la doccia, e io dileguandomi dalla
parte opposta, impaziente di non doverlo sopportare oltre.
Ma Nicholas non sembra soddisfatto dalla trama che ho in mente.
- Provo a indovinare, - dice, - non hai idea di che cosa fosse il
composto che ti stava facendo preparare.
Oh, adesso "So-tutto-io" dà anche ripetizioni di chimica!
Alzo le mani in segno di resa. Ci provo a non farmi mettere i piedi in
testa da Reichenbach, ma trova sempre il modo di darmi scacco. Arriccia
le labbra, ma senza compiacimento: l'ultimo che mi rifila è
un sorrisetto forzato.
- Idrazina
Amminoftalica. Si capiva dal ferrocianuro di potassio che
avresti dovuto aggiungere se non fossi arrivato io.
Delle volte ho la grave impressione che certe persone - Lilith, Alphy,
e i Novi - siano venute al mondo solo per prendermi in giro.
Rimango a fissarlo con il sopracciglio cucito più in alto
possibile.
- Sembrava interessante, prima che gli dessi un nome per impressionarmi.
- Luminol, -
continua lui.
- Ne prepariamo una versione più potente per la USD. In una
scena del crimine serve a rilevare tracce di sangue. Come quello di cui
tua sorella si è sporcata le mani.
Ah.
Me ne vado perché non trovo nulla che possa competere per
cattiveria. Arrivo fin dietro l'angolo, poi faccio dietrofront e mi
ricordo che sto ancora stringendo il suo asciugamano bagnato.
È strano, ma credo di aver trovato la risposta adatta a lui,
e sono pronta a tirargliela dritta in faccia.
Sono sicura che sia già sulla strada dei dormitori, quindi
mi precipito indietro senza un attimo di esitazione.
Ma quando arrivo lui è ancora lì, questa volta
con l'aria stanca e gli occhi chiusi, tanto che nemmeno fa caso a me.
Preme il pulsante dell'ascensore prima che possa raggiungerlo,
così aspetto di vederlo salire fino al piano dei dormitori e
mi maledico di non aver pensato prima alla frustata sul muso.
Le porte fanno per richiudersi e Nicholas si lascia scappare un sospiro
lungo, muovendo appena le labbra, come se anche il minimo spostamento
d'aria potesse piegarlo.
Quello che accade nei secondi che seguono la sua ritirata mi confonde.
Faccio un passo avanti per controllare, scuoto la testa e mi dico di
aver capito male, ma l'autoconvincimento non basta a nasconderlo.
A nascondere che l'ascensore non
sale.
Scende di nuovo nei laboratori deserti.
Angolo autrice:è
strano come la scienza riesca a suggerire
profonde riflessioni. Per esempio, consideriamo il fenomeno che
dà il titolo al capitolo e concentriamoci sull'acqua. Se la
raffreddiamo, essa diventa ghiaccio solido organizzato in strutture
incredibilmente complesse e precise. Basta vedere il fiocco di
neve che ho scelto per il banner. Ebbene, se il passaggio di stato
avviene troppo velocemente, questo non accade. Il cristallo diventa
amorfo, senza forma, caotico e - diciamocelo - parecchio brutto. Ma
allora
è proprio vero che nella vita non bisogna avere troppa
fretta,
eh? Questo Lilith lo ha capito di certo. Facciamo che io uso la stessa
scusa per giustificarmi del ritardo con la quale arriva questo
capitolo. E' che non mi convincevano - e non mi convincono tutt'ora -
alcune scene.
Non ho molto
tempo da dedicare a questa storia, purtroppo, ma cerco sempre di
impegnarmi al massimo. Non ci sono note particolari, quindi vi
ringrazio se siete ancora qui a seguire "Entropy"; significa molto per
me! <3 Un bacio, a presto (seh,
speriamo!).