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Autore: Locked    22/02/2015    4 recensioni
Questa FF partecipa al Glee Big Bang Italia.
"Perché essere anime gemelle significa molto di più che amarsi per tutta la vita."
Questo era esattamente il genere di frasi melense che Kurt Hummel avrebbe creduto di poter ritrovare nella carta spiegazzata di un cioccolatino di San Valentino - o in una versione arrangiata della proposta di matrimonio del proprio fidanzato Blaine Anderson, insomma.
Non avrebbe mai potuto immaginare quanta verità una simile frase potesse effettivamente nascondere.
Dal testo:
[Dopo una lotta – impari, a detta di Blaine – contro gli scatoloni ricolmi di vecchi oggetti inutilizzati che ‘continuano ad uscire fuori dal nulla, Kurt!’ la sua testa riccioluta riemerse dal ripostiglio con un vecchio lettore di videocassette nelle mani e una luce brillante negli occhi.
“Okay, Kurt, potresti spostarti? Non ho posto per sedermi.”
“Blaine.”
“Ho capito che non volevi alzarti, ma se per favore potresti scorrere—“
“Blaine quei due-- i due sullo schermo, siamo noi.”

"Oh mio Dio."]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note iniziali:
Eccoci qua. Non avevo stabilito un giorno, è vero, ma mi sono resa conto che la domenica mi è abbastanza comoda per pubblicare quindi ... Here we go!
Grazie a chi ha recensito il prologo, Anna_Vik, Klaineintheheart e kissmycollarbones. E grazie alle venticinque (VENTICINQUE!!!) persone che hanno messo questa storia tra le seguite. Siete meravigliosi.


 
A Paola. Forse non hai ancora capito perché questa OS è per te, ma ... Be', lo capirai presto.
Ti voglio bene.

 




28 febbraio 1945

L'aria fischia, le orecchie di Blaine fischiano, i proiettili veloci come missili e rimbombanti come tuoni in un temporale estivo fischiano. È come se l'intero mondo si sia fermato, all'infuori di quel fazzoletto di terra fradicia di sangue e ricolma di cadaveri di compagni, amici e fratelli morti, dilaniati ripetutamente da pallottole vaganti e letali.
Ed è lì, tra i tuoni dei proiettili e le scintille lampanti dei fucili carichi di morte, che infuria la tempesta incessante della Seconda Guerra Mondiale.
Blaine Anderson, diciott'anni e una vita in bilico tra uno schiocco di arma da fuoco e l'altro, imbraccia un fucile pesante come le anime delle persone che ha ucciso. Pensava sarebbe stato difficile, all'inizio, sbriciolare vite umane col fragore degli spari delle armi; ma col passare del tempo la sua innocenza e purezza gli sono state strappate via dall'anima come radici maligne di piante velenose.
Uccidi o sarai ucciso, Blaine.
Se lo ripete continuamente nella testa, finché il suo corpo non se ne convince; ma il suo cuore no. Ha fatto un patto con la guerra: può togliergli tutto –  l'ingenuità di un ragazzino che ha vissuto solo una manciata di anni, la forza nei muscoli e nelle vene di rialzarsi dopo una caduta –, ma non il suo cuore, i suoi sentimenti. Perché Blaine non è una macchina, è sangue e ossa e amore e vita, e non vuole perdere neanche una briciola di ciò che veramente è.
Un proiettile solitario, roteando frenetico, lo colpisce al braccio destro e la presa stretta attorno alla vita a cui si sta aggrappando con caparbietà disperata si fa sempre più leggera e flebile.
Un'altra pallottola gli sfregia la pelle, ustionandogli e ferendogli il fianco sinistro, e ormai sta urlando. Non sa cosa, lui sta solo gridando, scosso dai singulti di un dolore stordente e accecante.
Si accascia su se stesso, mollando la presa da quell'arma di distruzione totale, ed improvvisamente la terra fredda e umida contro la sua guancia rigata di lacrime e polvere da sparo è quanto di più comodo abbia mai potuto desiderare. Scivola nell'oblio dell'incoscienza con l'arrendevolezza di chi si abbandona al proprio destino.
 
*
 
“Kurt, occupati di lui! Sta perdendo moltissimo sangue, mettilo su quella barella lì!”
Sente una presa salda circondargli il torace e le gambe e vorrebbe tanto, così tanto, aprire gli occhi per capire ciò che gli sta succedendo attorno, ma è come lottare contro una marea. Come se fosse intrappolato da catene pesantissime al fondo di un oceano, e sollevare le palpebre fosse difficile come risalire in superficie per lasciare che l’ossigeno gli affondi nei polmoni.
I rumori perdono consistenza, poi, sfumandosi ai contorni, e tutto è di nuovo vuoto.
 
*
 
“Resta con me, resta con me, resta con me.”
Questa volta, al suo risveglio, i suoni sono più nitidi, arrivano netti ai suoi padiglioni auricolari, incidendogli i timpani. E’ più semplice anche aprire gli occhi. La vista mette a fuoco ogni cosa come un vecchio obiettivo di una macchina fotografica, finché la figura ovattata di un ragazzo vestito di bianco davanti a lui non diventa precisa; così precisa da far male.
“Oh, grazie a Dio.”
Ma rimanere a galla è faticoso e Blaine non ha più forza nelle vene. Le palpebre gli si abbassano inesorabilmente sulle iridi ambrate prive ormai di ogni scintilla di vitalità, come sipari che si uniscono al centro di un palcoscenico vuoto.
"No, no, no, no; non chiudere gli occhi! Non chiudere quei maledetti occhi. Resta qui, guardami."
Il ragazzo vestito di bianco - un bianco così bianco da infiammare le retine - gli afferra il volto delicatamente, la presa sulla sua pelle è della consistenza delle nuvole, e lo ruota cautamente.
"Riesci a vedermi?"
Muovere i muscoli significa compiere uno sforzo sovrumano, al momento; ma Blaine non può e non vuole che la voce del ragazzo che lo sovrasta si tinga di preoccupazione lacerante. Forse è un angelo; così si spiegherebbe la lucentezza intrinseca dei suoi occhi azzurri, che sembrano aver derubato il mare del suo blu e averlo colato nelle proprie iridi, e il bianco, bianco bianco bianco che lo circonda, avvolgendolo come un'aura.
Quindi solleva appena la testa ed annuisce - spera che il proprio gesto possa essere interpretato come un annuire, almeno - e tiene gli occhi fissi in quel blu così blu da togliere il fiato nei polmoni.
"Bravissimo, riesci a parlare? Qualsiasi cosa, dimmi qualsiasi cosa."
La sua mano destra si riempie di un calore che sembra quasi liquido, e Blaine decide che è definitivamente morto. Perché non esiste a questo mondo un calore liquido, e forse perché non esistono neanche ragazzi con degli occhi così blu.
"A’elo" biascica. Corruccia vagamente le sopracciglia perché da quando in qua il non saper più parlare è un effetto collaterale della morte?
Quindi digrigna i denti ed ignora le lame affilate di coltelli ricurvi che gli dilaniano la gola e ripete, "Sei ... un", un respiro profondo, altro dolore gli si propaga nel petto come una goccia di sangue che deturpa e l'acqua trasparente, "angelo" mormora col respiro corto.
Le ultime cose che percepisce, prima di ripiombare nell'oblio del sonno, sono il calore liquido nella propria mano che assume una sfumatura più solida e un paio di occhi azzurri che si allargano e si colmano di quella che pare incredulità.
 
*
 
Quando si risveglia per l'ennesima volta è sicuro di non essere morto.
Perché i morti non possono sentire quel dolore. Un dolore lacerante e stordente, caldo come fuoco e soffocante come una marea, definito e preciso, che gli trapassa da parte a parte un braccio e gli si incanala nei muscoli del fianco sinistro.
"È normale che ti faccia male, ora. Tieni, bevi questo." L'angelo – che no, non sembra più un angelo, ora che i sensi di Blaine sembrano risvegliarsi dopo un letargo anestetizzato – si avvicina a lui con un bicchiere d'acqua trasparente nelle mani. Gli raccoglie le spalle tra le braccia, delicato e attento, così attento a non provocargli neanche una scintilla di dolore in più di quello che già sente scorrergli come lava nelle vene. Blaine ingurgita l'acqua come se fosse ossigeno dopo un'apnea, ingoiando prepotentemente ogni goccia del liquido nel bicchiere, rendendosi conto solo in quel momento di quanto realmente ne avesse bisogno.
"Ancora." Una voce gracchiante che non riconosce nemmeno come propria sputa fuori quelle poche sillabe. "Per- favore." E il sorriso che s'imprime soffice sulle labbra del ragazzo dagli occhi azzurri – così azzurri da poter rimpiazzare il cielo d'estate – è così bello che non importa quanto dolore provochi, tutti i muscoli del viso di Blaine sorridono in risposta.
"Torno subito." Il tocco caldo sulla sua schiena scompare e riappare in una frazione di secondo ma è già troppo. Ha bisogno di quell'appiglio tanto quanto ha bisogno dell'aria che gli fluisce nei polmoni e dell'acqua che butta giù a grandi sorsate.
Il ragazzo sorride ancora, timido, a denti celati e cuore aperto.
"Mi hai fatto morire di paura, sai?" mormorano quelle labbra morbide, due lembi di pelle ora tormentati dagli incisivi bianchissimi.
"Mi ... dispiace?" trova il modo di dire Blaine, la voce roca e stentata.
"Oh, oh mio Dio" singhiozza il ragazzo, nascondendo il volto tra le mani di scatto, come se ci fosse qualcosa di cui vergognarsi nelle sue lacrime. "Io – scusami ma –" si asciuga le guance rigate di sentieri bagnati con le maniche dell'uniforme.
Un'uniforme da infermiere.
Guerraguerraguerra.
Ecco cosa sta cercando di ripetere il cervello di Blaine, ecco cosa sta finalmente realizzando. Non ci sono angeli nelle infermerie delle trincee, ci sono infermieri. Infermieri bellissimi anche con le gote rosse, i capelli scarmigliati e gli occhi cerchiati dal nero dell’insonnia; infermieri bellissimi anche quando piangono, con la bocca coperta dal polso e gli occhi colmi di meraviglia.
"Quando sei arrivato ti davano già per spacciato ma –" prende un respiro profondo, boccheggiando per qualche istante in cerca di ossigeno e parole giuste. "Ma io ho visto qualcosa di diverso ... Tu continuavi a combattere, sei stato attaccato alla vita con una forza che non avevo mai, mai mai mai visto prima. E Dio!, sembra così impossibile che tu sia qui perché tutti se ne vanno. Tutti. Ogni corpo che esce martoriato da quella stupida tempesta che di pallottole vaganti se ne va ma tu no. Oh –, oh mio Dio io ... Scusa, questo non è per niente professionale e –"
"Scusami," mormora Blaine e l'altro riprende fiato. Perché come si fa ad avere fiato dopo un miracolo? "Scusami per averti ... chiamato angelo," gli occhi nocciola, così nocciola, gli si tingono d'imbarazzo.
E il ragazzo sorride, sorride sorride sorride tra le lacrime in tempesta nei suoi occhi; e Blaine non ha più alcun dubbio – come se mai ce l'avesse avuto – che quel ragazzo sia uno degli esseri viventi più meravigliosi che abbia mai incontrato.
 
*
 
"Non so neanche il tuo nome."
"Kurt."
"Kurt," ripete. Il nome gli rotola sulla lingua e si espande nell'oscurità della piccola stanza in cui Blaine è relegato da giorni.
"Kurt, quando guarirò?" Gli scoppi terrificanti delle bombe in lontananza riempiono la bolla di silenzio che fluttua nell'aria dopo quella domanda.
“Presto, Blaine; te lo prometto.”
“Conosci il mio nome?”
Riesce a vedere il ragazzo – Kurt, riesce a vedere Kurt annuire una volta, prima che l’oblio del sonno diventi una tentazione troppo grande e la testa gli si accasci sul cuscino.
Forse è la carezza di un angelo, quella che sente impalpabile sulla guancia. Forse ha solo bisogno di guarire.
 
*
 
Le sue ferite si stanno rimarginando con la stessa placidità con cui i ciuffi di nuvole bianche fluttuano e ondeggiano nell'aria nelle miti giornate primaverili. Ed è frustrante.
I giorni scorrono rigidi sul calendario appeso alla parete. Ci sono mattine leggere, che si aprono col sorriso gentile ed assonnato di Kurt, così stordente da riempire lo stomaco di Blaine di migliaia di farfalle svolazzanti. Ci sono pomeriggi imbarazzati, in cui Kurt deve cambiargli le bende sul fianco e scoprire quei lembi di pelle – relegati sotto la casacca bianca – che nei suoi diciott'anni di vita non sono mai stati visti da nessuno. Ci sono pasti magri ma allegri, accompagnati dalle chiacchiere leggere come bolle di sapone di Kurt; ci sono notti insonni, tormentate da incubi e scoppi isterici di lacrime e frastuoni di bombe.
Ma più di tutto c'è Kurt, KurtKurtKurt, che è la costante di quell’equazione lenta e piena di variabili che è sua guarigione.
E Kurt ha diciannove anni, Kurt viene da Lima, Ohio - e forse questa è una di quelle coincidenze. Perché Lima e Westerville sono a una manciata così misera di chilometri che insomma, quante possibilità c'erano? -, Kurt ama la vita ed odia la guerra, Kurt ha tanti sogni ed una voce bellissima con cui raccontarli.
Ma più di tutto Kurt lo travolge, riempiendo le sue giornate di vita, donandogli goccia dopo goccia la forza necessaria a stringere i denti ed ignorare il dolore costante che gli pulsa nelle vene. E i giorni semplicemente corrono.
 
*
 
8 agosto 1945

“E’ finita, Blaine! E’ finita! La guerra è finita!” E Kurt gli corre incontro, stringendolo in un abbraccio così forte da far male al respiro e far bene all’anima. Perché tutto di colpo sembra andare bene, le sue ferite sono guarite e il semplice realizzare che quell’incubo che lo attanaglia da anni sia finito, sbriciolato, distrutto, sfumato nell’aria come polvere è abbastanza da fargli pizzicare le iridi di lacrime.
Lacrime felici, questa volta; lacrime che valgono la pena di essere piante e poi raccolte dalle labbra di Kurt in tanti piccoli, soffici tocchi che non sono neanche baci. Il bacio è quello che segue quegli sfioramenti della consistenza delle nuvole, quello che per un attimo stordisce entrambi, spiazzandoli completamente. Quello che Kurt non accorge di aver cominciato e che Blaine non si rende conto di completare, lasciando che le proprie labbra combacino con le sue. Sono timidi entrambi; forse, negli impercettibili sprazzi di lucidità che li colpiscono tra un sospiro e l’altro, capiscono cosa realmente stanno facendo.
E sembra impossibile, ma è qualcosa a cui entrambi non hanno mai pensato. Fantasticato l’uno sulle labbra dell’altro? Oh, sì; certo che sì. Ma immaginato che sarebbero concretamente entrate a contatto in un morbido e dolce bacio, scambiato svolazzante in una mattina assolata d’agosto, aggrappati l’uno all’altro come se da quello dipendesse la loro stessa vita? No. Non avevano nemmeno mai osato sperarlo.
E forse avrebbero dovuto continuare a non farlo, ma è troppo tardi. Non importa che quel morbido sfioramento li abbia poi portati a sorridere e a dividersi con uno schiocco soffocato, a rimanere l’uno nelle braccia dell’altro, l’uno nell’anima dell’altro. Non importa che abbiano trattenuto il respiro più di quanto sia umanamente possibile, come a voler bloccare quel singolo, perfetto istante per sempre. Non importa che i loro occhi si siano fusi in una tenera armonia di azzurro venato di ambra.
Perché sono sufficienti due secondi, due flebili, insignificanti, enormi secondi per ribaltare tutto. E Kurt si tira indietro, mormora qualcosa d’indefinito e sfugge alla sua presa, lasciando che un vuoto freddo e spoglio colmi la sua assenza in un vortice di nulla.
“No, no no no no. Dio! Sono così stupido … io—“ Non ha il coraggio di guardarlo negli occhi. Non ci riesce e fa male; è come se qualcosa si fosse sbriciolato nel cuore di Blaine, frantumandosi in migliaia di piccoli frammenti e consumandolo come legna al fuoco. “Io—Scusami, non avrei dovuto—Non dovrei—“
“Kurt, va tutto bene, ti prego—“
“No,” grida lui con rabbia, le lacrime che gli sgorgano dagli occhi e dal cuore e dall’anima.
“Per favore.” La disperazione impressa nel tono di voce di Blaine lo fa vacillare giusto per un istante, un singolo e mutevole istante in cui i suoi occhi si riempiono di una scintilla tanto brillante quanto fugace.
Kurt scappa e Blaine si accartoccia a terra.
 
*
 
31 dicembre 1945, 23.56.

Lo aveva cercato dappertutto. Blaine aveva setacciato ogni angolo dell’ospedale, scavalcando ogni essere vivente troppo impegnato a metabolizzare in sorrisi colmi di sollievo che la guerra è finita; ogni angolo della trincea, stringendo i pugni ed impedendo che le lacrime di rabbia e di paura scivolassero sulle proprie guance e disegnassero sentieri sconnessi e bagnati; ogni ospedale o centro di ricovero della città perché deve pur essere da qualche parte.
Si è arreso — No. Non si arrenderà mai; ma si è dovuto fermare e tornare a vivere – a provarci –, riabbracciare i propri genitori ed affondare nella tranquillità di una vita monotona, dopo anni di frastuoni di bombe e di cuori in gola nel buio della notte. Sono passati quarantasette giorni, da quando ha smesso di cercarlo.
Ne sono passati centoquarantuno da quando è affondato per l’ultima volta in quelle iridi celestiali e ha saggiato la consistenza di quelle labbra invitanti per una meravigliosa frazione di secondo.
 
*
 
Di certo non si aspetta di vederlo sorridere, gli occhi puntati al cielo e un’ombra di amarezza nei suoi lineamenti dolci, a meno di quattro minuti dalla mezzanotte che scandirà la fine di un anno terribile e l’inizio di qualcosa di nuovo.
Ed è come se tutto ricominciasse a girare per il verso giusto quando Blaine, una birra in mano e la bocca spalancata, si rende conto che è lui, è davvero lui. Fa quasi male rivederlo, perché non è cambiato per niente; la pelle candida, accentuata dalla luce della luna e dei falò accesi tutt’intorno a riempire di scintille quegli ultimi minuti dell’anno; lo sguardo fiero, fisso e nitido, quasi a non voler solo guardare, ma a voler sfidare quella distesa tersa e lentigginosa di stelle; il corpo sinuoso, appoggiato solo con la schiena e con un piede al muro di quel locale squallido dove Blaine ha passato la sua serata, in compagnia della stessa bottiglia di birra che non è ancora riuscito a terminare.
E poi Kurt si accorge di lui, ed è tutto così frenetico e lento insieme che per un attimo Blaine è stordito. Si avvicinano, divorando quei metri di distanza come se fossero pane e loro fossero gli esseri più affamati del mondo. E forse lo sono davvero. Non si sono resi conto di quanto effettivamente siano stati affamati l’uno dell’altro finché le loro braccia si stringono prepotentemente e i loro visi affondano nell’incavo del collo dell’altro e semplicemente respirano.
“B— Blaine, come stai?” gli chiede, e quella voce, quella voce sarebbe capace di farlo tremare da capo a piedi come un uragano e poi cullarlo nel sonno come la più dolce delle ninnananne.
“Dove sei stato? Perché — Perché sei scappato? Kurt, io ti ho cercato dappertutto. Ho setacciato ogni angolo della trincea e ti ho cercato in città e ho chiesto a tutti, tutti di te ma —“
Ormai le lacrime scendono libere sui loro volti, mescolandosi le une alle altre in una pioggia di emozione e dolore. Ma va bene così.
“Avevo paura che non mi volessi,” sussurra l’altro, scostandosi leggermente all’indietro per potergli guardare il volto, e la luce nei suoi occhi è così pura e spaventata che Blaine si sente completamente sopraffatto da tutto quanto.
“Come avrei mai potuto non volerti?”
“Dieci! Nove!”
“Ma io ti ho baciato.”
“Otto! Sette!”
“E io non mi sono tirato indietro. Non mi tirerò mai indietro da te, Kurt.”
“Sei!”
Kurt tace, Blaine sorride.
“Cinque!”
Kurt sorride, Blaine annuisce.
“Quattro!”
“Ti amo, Blaine Anderson.”
“Tre!”
“Ti amo anch’io.”
“Due!”
“Blaine, mi dispiace così tanto di essere scappato—“
“Uno!”
“Kurt, sta’ zitto.”
La folla che li circonda esplode in grida di felicità e in scambi affettuosi di auguri per un felice anno nuovo, ma tutto è ovattato per Kurt e Blaine, persi l’uno nelle labbra dell’altro, l’uno nelle lacrime dell’altro, l’uno nel cuore dell’altro. Quando si separano, qualche istante più tardi – perché avranno tutto il tempo del mondo, poi, per i baci appassionati e profondi –, le mani di Blaine cingono e stringono la schiena di Kurt, pressandosi lievi contro gli strati di vestiti, e le dita dell’altro s’intrecciano nei suoi ricci scomposti.
“Felice anno nuovo,” si sussurrano, le labbra appena dischiuse e le palpebre che svolazzano.
 
“Kurt, quelli eravamo noi.”
“Io non—io— Mi sto spaventando, sai?“
“Io … Anch’io, credo. Però eravamo bellissim—Ahi! Non provare più a lanciarmi un cuscino in faccia!”
“Ti rendi conto che hai appena ammesso che quei due eravamo noi, vero? Forse ho davvero bisogno di una cura, perché questa non può essere altro che un’allucinazione e mi sto seriamente preoccupando per la mia sanità mentale e — Blaine Anderson! Non puoi prendere e baciarmi mentre sono psicologicamente instabile!”
“Shh, Kurt; sta iniziando un’altra storia!”
“Oh, mio Dio.”







 
Note:

Scusate, scusate, scusate se non riesco a dire nulla di particolare questa volta. La verità è che le riprese di Glee sono finite e si sono portate via parte del mio cuore, quindi al momento non sono in grado di mettere insieme nulla.
Spero che possa esservi piaciuta, questa "prima lifetime".

Oh e, in caso qualcuno se lo fosse chiesto, le ultime parole, quelle in corsivo e a destra, sono dei Klaine che guardano la cassetta. :3
Spero si capisca. **

- Elena
   
 
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