Piccole cose perdute.
IMPORTANTE: LEGGETE PRIMA DI
PROSEGUIRE!
Quella
che vi accingete a leggere non è una vera e propria fanfic,
né una raccolta. Ieri ho deciso di farmi un giro tra i vecchi documenti word, e
così facendo ho ritrovato un bel po' di fanfic SaNami più o meno vecchie che per un motivo o per un altro
non ho mai postato. In realtà non si tratta di vere e proprie fanfic, bensì di piccoli stralci scritti in vari periodi
della mia vita (perciò lo stile di scrittura è discontinuo) che pensavo di
continuare, oppure ho abbandonato perché non mi convincevano totalmente, o mi
sembravano troppo insignificanti per essere postati. Per questi motivi non vi
assicuro la qualità di ciò che state per leggere -non avevo voglia di
revisionarli, infatti molti pezzi sono ripetitivi oppure la punteggiatura non
mi convince appieno... ci sarà un motivo se all'epoca non li ho mai postati e_e
Quindi,
sappiate di starvi apprestando a leggere una serie di piccole fanfic incomplete,
che spaziano dal fluff più estremo al drammatico più strappalacrime.
Spero
le apprezzerete anche se non le ho mai ritenute all'altezza di esser
pubblicate, so quanto sia bello avere qualcosa da leggere sulla propria OTP e
credo che dare almeno a qualcuno la possibilità di leggere, complete o non, sia
sempre meglio che tenerle a morire sul pc ç^ç
****
Genere: AU
Premessa: qui avevo deciso
di cimentarmi per la prima volta nella scrittura di una AU scolastica, spinta
da un'amica e da alcune fan arts. Naturalmente ho
lasciato perdere dopo aver scritto l'incipit xD La
mia idea era quella di una Nami che per non pesare su
Nojiko riesce ad ottenere una borsa di studio per
accedere al liceo, dove fa la conoscenza di Sanji (il
latin lover della scuola) e poi le solite cose u_u Le
coppie sarebbero dovute essere SaNami, ZoRobin e LuHan <3 Buona
lettura!
Nami sbuffò, forse per la millesima
volta quella mattina.
Le
sottili pagine del libro di letteratura che teneva in grembo oscillarono ad una
fitta di vento e la ragazza si sistemò una ciocca di capelli più lunga delle
altre dietro l’orecchio, sforzandosi di rivolgere la propria completa e totale
attenzione alle righe d’inchiostro che scorrevano sulle pagine - ma non ci
riuscì, così come non c’era riuscita fino a quel momento.
Com’era
possibile che lui… che quell’idiota non voleva saperne di allontanarsi dalla sua mente?
Beh, sbuffò, non era
che di solito per liberarsi di lui bastasse semplicemente dirgli di allontanarsi. Le cose sarebbero state
assai più semplici in quel caso. Invece no, aveva provato e riprovato nel corso
degli ultimi due anni a liberarsi di lui, a trattarlo nel peggiore dei modi, a
far sì che si stancasse, ma lui era sempre lì, per lei…
e lei era sempre pronta a riprenderlo
con sé, d’altronde, sbuffando appena mentre gli permetteva di sederlesi accanto, dopo essersi resa conto di quanto
bruciasse il petto al solo pensiero di perderlo.
Il
rapporto tra Nami e Sanji
era sempre stato così, sin dal primo giorno di liceo.
Lui
era un anno più avanti, perciò quando Nami aveva
messo piede in quella scuola, due anni prima, la fama del ragazzo come latin
lover era già stata consolidata da un anno intero di corteggiamenti ai danni di
praticamente qualsiasi ragazza del suo anno e non, e le voci su quel tale Sanji che era stato beccato nei più remoti anfratti
dell’edificio con questa o quella studentessa si sprecavano. Nami non poté dire
di non essere rimasta colpita da lui quando lo incontrò per la prima volta
–certo, Sanji-kun era
ragionevolmente carino-, ma il fatto che fosse sempre circondato da due o
tre ragazze (probabilmente più grandi), e che appena una manciata di ore dopo
l’avesse beccato a strusciarsi con una di loro nell’angolo di un sottoscala
(durante quella che avrebbe dovuto essere, scoprì in seguito, una qualche
punizione per aver risposto in modo arrogante ad un professore) bastò a
dissipare ogni suo iniziale interesse.
Questo,
tuttavia, non accadde per Sanji.
Non
gli fu difficile notarla –la ragazza con la borsa di studio, dicevano, quella
senza genitori che era stata beccata a rubare nella sua vecchia scuola e perciò
espulsa-, e all’iniziale interesse per la fama controversa della nuova
studentessa si aggiunse, quasi immediatamente, quello dovuto alla sua
straordinaria bellezza. I capelli corti di Nami le
accarezzavano le spalle ed ondeggiavano quando camminava spedita per i
corridoi, la corta gonna –fin troppo corta-
che si spostava mostrando le lunghe gambe al ritmo dei suoi passi. Nami non guardava nessuno negli occhi, ma procedeva dritta
e fiera senza esitare, sforzandosi di
apparire insieme disinvolta ma non sfacciata, nella speranza che in tal modo le
storie sul suo passato smettessero di circolare più in fretta. Non poteva
permettersi di venire espulsa, non un’altra volta… Nojiko non l’avrebbe presa bene, non quando lei stessa era
stata costretta ad abbandonare gli studi per trovarsi un lavoro e provvedere alla
sorella minore.
Sanji rimase
letteralmente stregato da lei. La prima volta che gli passò accanto si ritrovò
quasi involontariamente a rovesciare il tè bollente che stava sorseggiando e
seguirla attraverso i corridoi, attratto dal sottile odore di agrumi che lei
emanava. E presto, prim’ancora di accorgersene, si ritrovò a seguirla sempre di
spesso, dovunque lei andasse, a cercarla con lo sguardo nella folla che usciva
dalle classi ed appostarsi nel corridoio del suo piano nella speranza di
incrociarla –dopotutto finire in punizione non era una novità per lui. Durante
i suoi appostamenti più o meno silenziosi, c’era una cosa che aveva imparato su
Nami –o meglio, sui suoi amici. Le persone a cui la
ragazza rivolgeva la parola potevano contarsi sulle dita di una mano: la sua
unica amica sembrava essere Vivi Nefertari, una bella
ragazza del primo anno che a quanto pare era molto ricca. Per quanto riguardava
i ragazzi, invece, ce n’era solo uno con cui Nami
sembrava trovarsi a suo agio, sorridere addirittura… Luffy, lo sconclusionato ragazzino dai capelli neri che
scorrazzava per la scuola in compagnia del suo inseparabile cappello di paglia,
indossando degli strambi sandali da spiaggia e finendo in punizione più spesso
di quanto Sanji stesso o il suo inseparabile quanto
odiato compagno di malefatte, Zoro, non facessero.
Gli
studenti della scuola avevano iniziato a considerare Zoro
e Sanji rispettivamente il braccio sinistro e la
gamba destra di Luffy, e loro non avevano alcuna
intenzione di smentire queste voci. Era stato Luffy a
raccattarli, ai tempi delle medie, a placare i loro animi inquieti col suo
innato sorriso e a ridare loro la voglia di lottare per raggiungere i propri
sogni, e non l’avrebbero mai scordato. Quando Luffy
li aveva raggiunti al liceo, un anno dopo di loro, era stato semplicemente
normale tornare ad occupare il posto accanto a lui, che sentivano spettargli di
diritto. Ma lo strambo ragazzino aveva un talento innato per attrarre a sé le
persone, soprattutto coloro che da tempo avevano smesso di lottare per sé stessi,
e cambiare in qualche modo le loro vite… questo è ciò
che accadde anche con Nami.
***
Genere: missing moment
Premessa: questa credo di
poterla considerare una flash completa, ma poiché non mi convinceva non l'ho
mai postata. Avevo voglia di scrivere qualcosa sul primo incontro su Nami e Sanji, però... boh, ancora
non sono convinta >_<
La prima volta che Nami
l’aveva incontrato, non avrebbe mai immaginato fosse così.
Era
un bel ragazzo, certo -ricordava di aver notato la figura slanciata del giovane
cuoco aggirarsi con disinvoltura tra i tavoli del Baratie
la prima volta in cui vi aveva messo piede, ancor prima che lui volteggiasse in
direzione del suo tavolo per servirle chissà quale bevanda deliziosa.
Poi,
di colpo la situazione era cambiata –era bastato un attimo, un’occhiata
all’avviso di taglia che pendeva su Arlong e Nami aveva ricordato d’un tratto la propria missione –di
non aver tempo per cose come ristoranti sul mare e compagni e bei ragazzi e
strambi pirati col cappello di paglia, e la cosa era finita così, ancor prima
di cominciare.
La
volta successiva in cui l’aveva visto, Sanji si
sbracciava per farsi notare dalla ragazza (“Namiii,
ti ricordi di me? Sono quello dell’altro giorno!”), ma lei non gli badò più di
tanto. Aveva altro a cui pensare, Nami, storie
vecchie di nove anni che parlavano di girandole ed alberi di mandarini sotto al
sole, e di sangue e lacrime e vite spezzate.
La
terza volta, Sanji le era apparso come nient’altro
che un lampo nero e dorato che si batteva furiosamente con Kuroobi
per la salvezza sua e della sua gente, incurante delle ferite che lo
ricoprivano e pronto a spalleggiare il capitano Luffy
a costo della vita.
Dopo,
tutto si era fatto confuso –c’era stata la battaglia,
la vittoria, e infine la libertà che era arrivata, totalizzante, simile ad una
ventata d’aria fresca che per la prima volta da nove anni soffiava su Cocoyashi, riportando il villaggio a vita nuova. A quel
punto la felicità era stata semplicemente troppa,
e Nami aveva capito che mai avrebbe smesso di essere grata a quei quattro ragazzi che pur
conoscendola appena si erano battuti per lei caricandosi il suo fardello di nove
anni sulle spalle. Sorrise –era da tempo che non le era più concesso, ma d’un
tratto sentì l’irrefrenabile bisogno di ridere di cuore.
Intorno,
la festa per la liberazione del villaggio proseguiva ininterrotta ormai da ore
senza che nessuno si stancasse di brindare, ridere e levare i calici al cielo,
tutti riuniti intorno a quel piccolo manipolo di pirati che da solo era
riuscito nell’impresa in cui molti avevano fallito. Guardandosi attorno, Nami vide Luffy divorare quintali
di carne, Zoro tracannare boccali di saké uno dopo l’altro ed Usopp
intento a raccontare agli abitanti del villaggio chissà quale impresa tanto
incredibile quanto infondata, e fu in quell’istante Nami
ricordò del quinto membro della ciurma –il ragazzo che ancora non aveva avuto
l’occasione di conoscere, quel cuoco un po’ strano che aveva combattuto per lei
pur non conoscendo altro che il suo nome. Lo cercò con lo sguardo tra la folla
e riuscì a scovarlo in un angolo, mentre fumava in silenzio con gli occhi fissi
sui festeggiamenti ed un mezzo sorriso sulle labbra. Lo raggiunse quasi senza
accorgersene, e prim’ancora di rendersene conto si era appoggiata alla parete
accanto a lui e lo scrutava di sottecchi.
«Na…Nami-san?» Sanji sobbalzò
appena accortosi della presenza della ragazza e quasi lasciò cadere la
sigaretta dalle labbra per la sorpresa. «E-ehm… Non
so se ti…»
«Sì
che mi ricordo», tagliò corto lei. «Sei il cuoco che ho incontrato al Baratie, quello che mi ha offerto il dessert».
L’espressione
sul volto di Sanji parve rilassarsi a quelle parole. Nami-san si era ricordata di lui!
«Oh,
a proposito, non so se te l’hanno detto ma io faccio parte della vostra ciurma adess-».
Lei
annuì. «So anche questo».
«Mmmh…». L’altro spostò il peso da un piede all’altro, a
disagio. «Allora, ehm… non vai a divertirti alla
festa?»
Con
sua sorpresa, Nami sorrise e rivolse uno sguardo
carico d’affetto agli abitanti del villaggio, che facevano baldoria insieme al
resto della ciurma. «No… per stavolta preferisco
starli a guardare».
Anche
Sanji sorrise. Riusciva a capire perfettamente cosa
intendesse con quelle parole.
«Oh,
a proposito… credo di non essermi ancora presentato
come si deve!» Di colpo il biondino schizzò in ginocchio e si rivolse alla
compagna, prendendole una mano tra le sue. «Io sono Sanji
il cuoco, signorina… per servirla». La guardò negli
occhi e sorrise, del sorriso entusiasta che dedicava solo a lei e che presto Nami avrebbe imparato ad apprezzare ed amare.
«Piacere
di conoscerti, Sanji… io sono Nami
la ladra, o la cartografa, come preferisci ~»
«Va-vanno bene entrambe le cose! Sei una ladra perché mi hai
rubato il cuore, ma mi hai anche mostrato la mappa che conduce al vero amore! ♥♥♥».
Il biondo, ancora in ginocchio, prese a strusciare il viso sulle mani della
ragazza che stringeva tra le sue, ma lei lo respinse prontamente con un pugno.
«Adesso
non esagerare! Dovrai darti un contegno se vuoi pensare anche lontanamente di
andare d’accordo con me, hai capito?!
«M-Melloriiiine… tutto quello che vuoi tuuuu….
~».
Nami si strinse
nelle spalle, rassegnata. «Beh, suppongo che dovrò abituarmici…».
Sospirò. «…Che dici, ci beviamo qualcosa, Sanji-kun?»
Le
grida di gioia di lui poterono essere udite, se possibile, fino ai confini
dell’East Blue.
«MELLORINE,
CERTO CHE SI’! E MI PIACE DA MORIRE QUANDO MI CHIAMI SANJI-KUN!»
***
Genere: fluff, slice of life
Premessa: In questa
ritroviamo i due gemellini a cui ho dedicato una
raccolta (anche quella incompleta....) Non riesco sinceramente a ricordare
perché all'epoca non l'avessi mai postata, forse pensavo di continuarla D: in
ogni caso, eccovi un po' di sano fluff!
Quella mattina Sanji
si sveglio all’alba, come al solito. Il sonno premeva pensante sulle palpebre
minacciando di richiuderle, ma il cuoco tentò di ignorare gli sbadigli che gli
nascevano in gola e costringersi ad abbandonare il letto caldo per recarsi in
cucina, dove la colazione aspettava di essere preparata. Lanciò un’occhiata al
suo fianco, sforzandosi di individuare al buio le forme addormentate accanto a lui… e il cuore quasi rischiò di sciogliersi alla vista dei
suoi due gemellini, tre anni a testa, rannicchiati
l’uno accanto all’altro tra le lenzuola, seminascosti dal braccio protettivo di
Nami. La piccola Belle riposava distesa su un fianco,
un ditino tra le labbra e l’altra mano a stringere il pigiama del fratellino, Zeff, accoccolato accanto alla mamma con un sorrisino beato
sul volto.
Aaah, com’erano carini… Sanji rimase immobile ad
osservarli per quella che gli parve un’eternità, concentrato solo sui due
corpicini che si muovevano al ritmo del respiro, sui capelli (biondi e rossi,
come quelli dei genitori), sulle dita sudate e chiuse a pugno e sulle piccole
ciglia posate sul viso, che donavano ai due un’aria quasi angelica. Quando i
suoi occhi si furono saziati della vista dei bambini, Sanji
spostò lo sguardo sulla moglie ancora addormentata e il cuore rischiò di mancargli
un battito, di nuovo: com’era possibile che ogni
mattina Nami riuscisse a sembrargli sempre più
bella? Non importava da quanti anni fossero sposati, non importava che avessero
addirittura due bambini, guardarla riusciva sempre a mandargli il cuore in
subbuglio. Certo non aiutava il fatto che Nami
indossasse una camicia da notte nera semitrasparente, coperta quel che bastava
per non impressionare i bambini… certo non aiutava
neppure il fatto che, dopo la gravidanza, la bellezza della donna non fosse per
nulla diminuita, anzi, se possibile non aveva fatto che aumentare. E non
aiutava neppure il fatto che Sanji non fosse riuscito
a toccarla per un’intera settimana… ebbene sì, constatò con amarezza. Da quando
i gemellini erano nati trovare un po’ di tempo da
trascorrere con Nami in intimità era sempre più
difficile, ma ora che i due avevano iniziato a muovere i primi passi… beh, stare da soli era diventato praticamente impossibile. Con un sospiro, Sanji spostò nuovamente lo sguardo sui piccoli, che naturalmente
anche quella notte avevano deciso di
dormire insieme a mamma e papà, e poi ritornò su Nami,
concentrandosi sulla scollatura evidente della camicia da notte, che lasciava
intravedere più di quanto lui potesse sopportare.
No, Sanji, smettila… oggi andrà
meglio, eh? Oggi troverete un po’ di tempo, ne sono sicuro. Adesso pensa alla
colazione.
L’ennesimo
sospiro, e il cuoco si costrinse ad abbandonare definitivamente le coperte e
scivolare fuori, nell’aria pungente del mattino. Si vestì in fretta, scegliendo
una camicia e una cravatta dall’armadio, poi camminò fino al lato opposto del
letto e si chinò su Nami, sfiorandole la guancia con
le labbra. A quel contatto lei si riscosse e stropicciò gli occhi, riuscendo a
mettere a fuoco solo dopo qualche secondo l’immagine del marito.
«Sanji-kun…», salutò, sbadigliando. «Già ora di alzarsi?
Dai, dormi un altro po’».
Lui
scosse il capo con uno sbuffo seccato. «Dimentichi che lo spuntino delle sei di
Rufy dev’essere pronto in
tempo, altrimenti sarà la fine».
Nami ridacchiò. «A Rufy ci penso io, tu torna a letto…
quante ore hai dormito stanotte?»
«Mmmh… abbastanza», temporeggiò lui.
«Quanto abbastanza? Hai dormito almeno
otto ore?»
Sanji deglutì,
palesemente a disagio. «E-ehm…»
«Sanji-kun? Quante ore?». Adesso Nami si sporse oltre il letto, avvicinando il marito a sé
per la cravatta –e naturalmente lui cedette, incapace di sopportare quella
vicinanza con lei senza che il cervello andasse in totale black
out.
«Cinque
ore», mormorò, arricciando le labbra.
Nami rimase immobile
per un attimo, a sbattere gli occhi e fissare il cuoco sfoggiando
un’espressione di crescente disappunto, poi sospirò e tornò a nascondersi tra
le lenzuola.
«Dopo
pranzo mi assicurerò personalmente che
tu dorma almeno un paio d’ore, idiota. Crollerai se continui così, e poi ti
occupi dei bambini per tutto il giorno al posto mio-».
Ma
fu interrotta da Sanji, che scosse il capo con
espressione speranzosa. «Veramente io avevo altri piani per dopo pranzo, oggi… piani che riguardano anche te, e che non contemplano
l’idea di dormire». L’espressione maliziosa che aveva negli occhi si riflesse
subito in quella di Nami, di colpo consapevole di ciò
che il marito aveva in mente.
«Ooh, vedremo… e poi, dimentichi
che in quel caso uno degli altri dovrebbe tenerci i bambini per un po’».
Sanji insistette.
«Troveremo qualcuno. Usopp».
«Ma
Usopp riempirebbe loro la testa di bugie… non c’è qualcuno di più affidabile?»
«Mmmh… che ne dici di Robin-chan?»
«Beh,
se anche lei non sarà impegnata in altre
attività con Zoro…».
Il
cuoco sbuffò, frustrato. «Chiunque. Andrà bene chiunque. Voglio soltanto
restate solo con te una fottuta mezz’ora, non chiedo tanto».
Nami ridacchiò e si
chinò a baciarlo, indugiando con le dita sul petto dell’uomo. «…Impaziente, eh?»
«Beh,
mi sembra ovvio… è una fottuta settimana che non riesco a toccarti».
«Ehi… non mi dire che stai contando i giorni?». La piratessa soffocò una risata per non svegliare i bambini.
«Certo!
Oggi sono sette giorni, cinque ore e ventotto minuti. Ventinove tra pochi
secondi».
Nami lo squadrò
inarcando le sopracciglia. «Tu sei matto».
«Lo
so». Si guardarono negli occhi, desiderando d’un tratto che fosse già ora di
pranzo, dopodiché Sanji sospirò e si chinò ad
accarezzare i gemellini, ancora profondamente
addormentati.
«Papà
e mamma oggi vorrebbero stare un po’ da soli, lo sapete? Pensate di riuscire a
lasciarli in pace per un po’?».
«Ehi»,
lo ammonì Nami, «non essere cattivo coi miei
bambini».
«Naah». Sanji si chinò a posare un
bacio tra i capelli dei due piccoli, diede un breve abbraccio alla moglie e poi
si avviò verso la porta. «Ci vediamo dopo in cucina. Cerca di riposarti un
altro po’, eh?»
«Sì,
sì… e tu non lavorare troppo».
Il
cuoco sorrise e scomparve dietro la porta. Poi Nami
si voltò verso i due figli, accartocciati tra le coperte, rimboccò loro il
lenzuolo e gli si rannicchiò accanto, sorridendo beata.
***
Genere: drammatico
Premessa:
anche
qui ritroviamo i due pargoli, ma il genere è ben diverso, per cui preparate
fazzoletti e cuoricino <\3 la mia idea era quella di inventare una storia
coerente secondo cui i mugiwara morissero in seguito
ad uno scontro con la marina, nel tentativo di impedirgli di uccidere i due
bambini (un po' come successe con Ace quand'era appena nato). Naturalmente la
cosa è improbabilissima, non credo che i mugi morirebbero ma boh, avevo voglia di creare
drammaticità D: nella mia testa, la storia sarebbe proseguita con qualcuno
(forse Tashigi, di cui Nami
ha dimostrato di fidarsi a punk hazard) che porta in
salvo i bambini a cocoyashi, e Nojiko
che si prende cura di loro da sola come all'epoca fece Bellmere.
E poi tutti i drammi dei due bambini a cui resta solo la lettera lasciata dai genitori,
e bla bla. Sempre perché mi
piacciono le cose allegre :D
Con la morte nel cuore, Nami barcollò verso la piccola culla situata accanto al
letto. L’avevano scelta lei e Sanji-kun insieme,
tanti mesi prima –quando ancora tutto sembrava avvolto in quell’ovattata
atmosfera di felicità, apparentemente destinata a durare per sempre. Al suo
interno, due minuscoli fagottini respiravano beati avvolti dalle coperte,
troppo piccoli per immaginare ciò che stava succedendo intorno a loro… per immaginare che la loro intera esistenza sarebbe
stata sconvolta ancor prima di iniziare, che negli anni futuri poco più che una
lettera ed una manciata di vecchie foto sarebbero rimaste a guidarli.
Sanji stava
affacciato alla culla, incapace di staccare gli occhi dalle due creature
addormentate. I suoi figli… i figli che non gli
sarebbe stato concesso crescere. Nami lo vide
allungare una mano incerta ad accarezzarne i visini, che a quel tocco si
stiracchiarono ed emisero un versetto divertito. Istintivamente Sanji ridacchiò, ma non fu una risata felice –gli angoli
delle sopracciglia restarono incurvati in un’espressione di dolore, e più che
ridere le parve che stesse piangendo. Nami gli si
avvicinò e si sedette sul letto, lasciandosi andare tra le braccia di lui che
l’avvolsero quasi d’istinto, senza staccar gli occhi dai due neonati.
«Oy…». Lo sentì sussurrare, la voce gonfia di lacrime
trattenute in fondo alla gola e rabbia repressa. «…Perché
non possiamo restare con loro, Nami-san? Perché non
possiamo goderci la nostra famiglia, ora che finalmente ne abbiamo una?». Parlò
interrompendosi più volte, incapace di mettere in fila più parole senza
rischiare che le lacrime vincessero l’argine degli occhi.
Nami non sapeva cosa
rispondergli. “Perché siamo dei pirati?” “Perché è l’unico modo per salvar loro
la vita?”. Ma nessuna di queste risposte le sembrò appropriata, non quando i
suoi due bambini sarebbero cresciuti senza di lei, non quando sarebbe stata
costretta a lasciarli andare ancor prima di averli conosciuti.
«Non
lo so, Sanji-kun», rispose semplicemente,
stringendosi nel suo abbraccio. Quasi senza pensarci allungò una mano in
direzione della culla, ignorando i dolori del parto ancora recente, e lasciò
che le dita sfiorassero i due visini addormentati ed i capelli, rossi per il
maschietto, biondi per la femminuccia. Le sembrava ancora assurdo pensare che
fino ad un giorno prima quei due bambini fossero stati dentro di lei, dove
poteva proteggerli e tenerli vicini… invece di esser
costretta a lasciarli andare per sempre, come stava per fare. L’idea della
battaglia imminente la spaventava, ma il pensiero di Bellmere
riuscì a darle forza. Morire per i propri figli, non era forse ciò che sua
madre aveva fatto per lei? La priorità erano loro, le due piccole vite che
sentiva il bisogno di proteggere. E Sanji doveva
pensarla allo stesso modo, perciò si voltò verso di lui…
ed incontrò i suoi occhi azzurri e profondi, quelli che l’avevano fatta
innamorare, gli occhi pieni di paura e coraggio di un sognatore.
«Nami-san…», gracchiò lui, la voce ancora impastata di
lacrime. La guardò negli occhi per un lungo istante, un istante lungo una vita,
e poi scattò in avanti e l’abbracciò, premendosela al petto quasi con disperazione.
«Scusami… scusa se ti lascerò morire, io… non sai quanto… q-quanto
vorrei impedirlo…. perdonami…
perdonami se non sono riuscito a proteggerti…».
In
un primo istante Nami non capì cosa intendesse dire,
ma poi tutto le fu chiaro, e sentì le lacrime pungerle gli occhi. Perché,
perché quell’idiota doveva sentirsi responsabile di una scelta che avevano
compiuto insieme, loro e la propria ciurma, unicamente per il bene dei bambini?
Perché doveva piangere per la sua morte… perché
doveva pensare di non essere stato in grado di proteggerla, quando anche lui
stava per gettar via la propria vita senza pensarci due volte? Nami non voleva morire… la sola
idea la spaventava, la spaventava a morte, ma in qualche modo sentiva che, con
lui e il resto della ciurma affianco, anche la morte sarebbe stata in qualche
modo sopportabile. Tutto per proteggere i suoi figli…
tutto per far sì che loro
continuassero a vivere.
«Sanji-kun, non è colpa tua. Lo faremo tutti insieme, no?
Tutti ci lasceremo morire a vicenda…». Si sforzò di
sorridere, ma riuscì soltanto a sollevare un po’ gli angoli delle labbra. «…perciò la colpa non è di nessuno di noi, non credi? Via
uno, via tutti. Insieme, come sempre». A quel punto un paio di lacrime
riuscirono a sfondare l’argine e si affacciarono dagli occhi, rotolando lungo
le guance. Perché non solo lei e Sanji avrebbero
perso la vita in quella guerra, ma anche Rufy, il loro Rufy, e
anche Zoro, sempre così forte, e il piccolo Chopper,
e Usopp, Franky, Brook, Robin… nessuno di loro
sarebbe sopravvissuto alla guerra per proteggere le vite dei bambini. Lo
sapevano fin dall’inizio, e così l’avevano accettato: per proteggere i due
componenti più piccoli della ciurma, i due compagni nati sotto il segno di
Cappello di paglia.
Sanji le si strinse
addosso, come deciso a godersi appieno quegli ultimi momenti insieme a lei. «E’
colpa mia», mormorò d’un tratto. «Se non ci fossimo innamorati, tu e tutti gli
altri non sareste stati costretti a…».
Nami non lo lasciò
terminare la frase. «Non dirlo neppure per scherzo!» Gli si allontanò quel
tanto che bastava per guardarlo negli occhi e gli prese il viso tra le mani,
impedendogli di distogliere lo sguardo. «Se noi non ci fossimo innamorati, non
soltanto gli ultimi tre anni non sarebbero stati come sono stati, ma soprattutto
loro due non sarebbero mai nati!». Indicò i due bambini, e vide Sanji stringere gli occhi come per darle ragione. «E’
questo che vorresti, Sanji-kun? Rinunciare alla tua
famiglia?».
Lo
vide scuotere il capo e poi chinare lo sguardo, sconfitto. «No…
loro due sono la cosa più bella che potesse capitarci».
A
quelle parole Nami si rilassò e sorrise intenerita,
gli occhi ancora lucidi. «Bene. E dato che non ci resta molto tempo, voglio
dirti una cosa… io non rimpiango assolutamente nulla
di ciò che è successo negli ultimi anni. Non rimpiango di aver incontrato Rufy, di esser diventata una piratessa,
di aver fatto parte di questa ciurma, di essermi innamorata di te, di averti sposato… di aver partorito i nostri bambini, non potrei mai rimpiangere nulla di tutto ciò. Se
potessi tornare indietro rifarei tutto esattamente allo stesso modo».
Stavolta
anche Sanji sorrise, il primo vero sorriso di quella
giornata. «Ti amo, te l’ho mai detto?»
Lei
annuì. «Tutti i giorni e tutte le ore, per tre anni. Ventiseimiladuecentottantuno
volte».
Il
cuoco la strinse a sé, ridacchiando sommessamente. «Non dirmi che le hai contate… E tu?»
Nami lo guardò negli
occhi, fieri e splendenti come la prima volta in cui gliel’aveva detto. «Ti
amo».
E
poi si baciarono, forse per l’ultima volta, mentre i due piccoli frutti del
loro amore riposavano ignari di tutto, davanti agli occhi di mamma e papà.
Heila! Qui è papà che vi parla. Come state, quanti anni
avete? State crescendo sani e forti? E soprattutto, vi ricordate di me? Vi ho tenuti
in braccio quando eravate appena nati, sapete? Aaah,
quant’eravate belli… vi ho amati fin dal primo
sguardo. Se siete diventati abbastanza grandi da poter leggere da soli, mi
auguro vi sia stato spiegato il motivo per cui io e vostra madre non abbiamo
potuto tenervi con noi pur volendolo con tutto il cuore. Ve lo assicuro… se non fosse stato l’unico modo per salvarvi, per
proteggere la vita di voi due che portavate il nostro stesso sangue, per nessun
motivo al mondo vi avremmo lasciati crescere da soli. Avrei voluto fare tante
cose insieme a voi, e invece… invece adesso l’unica
cosa che mi è concessa è tentare di mettere il più possibile di me e di vostra
madre in questa lettera, l’unico pezzo che ci sarà concesso lasciarvi di noi. È
buffo, perché proprio adesso, mentre scrivo, voi due siete ancora qui vicino a
me, posso ancora toccarvi e posso ancora coccolarvi, posso ancora sentirmi un padre… e intanto scrivo una lettera rivolta ai miei due
bambini, ormai così grandi da saper leggere da soli, e che probabilmente non
ricordano neppure il viso del loro papà. Avrei voluto vedervi crescere, lo
sapete? Avrei voluto proteggervi, coccolarvi, giocare con voi, insegnarvi tante
cose, guidarvi, anche restare a guardare mentre sareste diventati indipendenti… invece l’unica immagine che conserverò di voi
sarà quella dei due neonati meravigliosi che riposano qui accanto a me, troppo
piccoli per comprendere ciò che sta per succedere. Nami
è accanto a me, incapace di staccarvi gli occhi di dosso, e posso capirla. Come
si fa ad averne abbastanza? In una sola giornata dovremmo riempirci gli occhi
di voi per una vita intera, per tutta la vita che non ci sarà concesso vivere
insieme. Non odiateci, va bene? Noi vi amiamo, vi amiamo tantissimo. Siete il
mio sogno che finalmente si è realizzato, siete la concretizzazione dell’amore
tra me e vostra madre, siete… siete tutto ciò che io
avrei sempre sognato, una famiglia tutta mia, mia e di Nami,
il nostro legame di sangue, una famiglia da crescere insieme con tutte le
nostre forze. Non vi ringrazierò mai abbastanza per essere nati. Grazie, e
scusateci se non siamo stati in grado di vivere tutti insieme. Sono sicuro che
starete crescendo forti e felici insieme a Nojiko,
che di certo si prenderà cura di voi. Passato un buon natale, eh? E i
compleanni? Siete andati a scuola? Vedete di non mettervi nei guai con gli
altri bambini, eh? Belle-chan, tu sei tanto carina,
perciò vedi di non farli innamorare tutti di te. Non fidanzarti con nessuno
fino a che non avrai almeno vent’anni, okay? Lo prometti a papà? Invece tu, Zeff-kun… starai facendo strage di cuori, eh? Non per
niente, hai i miei occhi… vedi di conquistarle tutte!
Una volta
diventati adulti, vi auguro di trovare una persona che vi renda felici e
restare con lei per tutta la vita. Non
lasciate che nessuno distrugga la vostra felicità, promettetemelo. E lottate
sempre per i vostri sogni, anche se possono sembrarvi impossibili. C’è un mare
leggendario, da qualche parte nell’oceano, che il vostro papà ha cercato per
tutta la vita e che alla fine è riuscito a trovare, anche se il mondo non lo
saprà mai… ecco, io spero con tutto il cuore che un
giorno anche i miei due figli possano vedere quel mare con i loro occhi, e
spingersi fino ai limiti dell’oceano. Questo è il mio augurio per voi.
Avrei ancora
tante cose da raccontarvi, anni e anni di noi da mettere in questa lettera,
ricordi da affidarvi perché sentiate di averci conosciuti, perché ci ricordiate
almeno un po'.... ma non c'è più tempo. Stanno per arrivare, la priorità è
mettervi in salvo.
Siate sempre
forti, e sorridete. Papà e mamma vi hanno amati, e vi ameranno dovunque sarete.
***
Genere: hurt confort
Premessa:
e
restiamo allegri, yeeeeeeeeah <3 Questa è un po'
classica, l'anniversario della morte di Bellmere, un
po' di vino di troppo, Nami e Sanji.
Anche questa finisce sul più bello, ma dagli appunti che mi ero segnata credo
dovesse proseguire...... credo o_o
Entrarono in cucina barcollando,
entrambi scossi da lievi risate, il braccio sottile della navigatrice passato
intorno alle spalle del cuoco che la sorreggeva con un mezzo sorriso. Le guance
della ragazza erano arrossate e gli occhi piuttosto lucidi, e continuava a
biascicare parole che il compagno si sforzava inutilmente di comprendere.
«Nami-san,
si può sapere quanto hai bevuto?», le domandò preoccupato, sistemandola con
attenzione sul divano della cucina.
La rossa ridacchiò un po’ e si
passò con noncuranza una mano davanti al viso, di un colore pericolosamente
tendente al cremisi. «Non tanto tanto, Sanji-kun», balbettò, con voce impastata. «Solo che Zoro stava vincendo, e… lo sai,
che a me piace da morire vincere, no?».
Il cuoco le rivolse un rassegnato
cenno d’assenso e si diresse verso il piano cottura, prendendo ad armeggiare
con un bollitore ed alcune tazze.
«Ti preparo una tisana
rilassante, d’accordo? E poi ti do qualcosa da sgranocchiare per smaltire la
sbornia».
«N-non
sono ubriaca!». Nami si agitò un po’ sul divano e
sbuffò, incrociando le braccia al petto. «Ho solo bevuto un pochettino».
Sanji versò in po’
d’acqua nel bollitore, sospirando. «Dieci barili di sakè ti paiono un pochettino?».
«Oh, beh…
un pochettino tanto». Ridacchiò ancora, ed il cuoco
involontariamente le sorrise, intenerito; proprio non riusciva ad arrabbiarsi
con lei, nonostante avesse fatto una cosa stupida come indire l’ennesima gara
di bevute con Zoro e rischiare di rovinarsi la
salute.
Si trattava di quel giorno, poi.
Quel giorno che tutti gli anni
arrivava, impietoso, e si portava via i sorrisi di Nami-san
che lui tanto amava.
Accadeva tutte le volte.
Quel giorno arrivava,
semplicemente arrivava, all’improvviso,
senza che nessuno se l’aspettasse o sospettasse nulla –non erano tipi da far
caso alle date, loro. Ma lei, che di giorno in giorno annotava fatti ed
avvenimenti sul diario di bordo, non poteva evitarselo.
La data era li, crudele, scavava
la carta come fosse veleno. Impossibile passarci sopra.
Ogni anno il modo di reagire
della navigatrice era diverso, e nessuno riusciva a prevedere com’è che si
sarebbe comportata: poteva allo stesso modo rivelarsi particolarmente dolce e
gentile, oppure brusca ed irritabile più del solito, o semplicemente decidere
di non farsi vedere fuori dalla propria camera.
Quella volta, tuttavia, accadde
che Robin gettasse un’occhiata distratta alle piante di mandarino che
riposavano in un angolo, cullate dal vento, ed intercettasse lo sguardo scuro e
contrariato della navigatrice. Non le ci era voluto molto per collegare
quell’occhiata veloce all’incombere della fatidica data, ed aveva fatto in
tempo ad informare il resto della ciurma in modo da preparare un piano
d’azione.
Era stato cosi che, venuti
casualmente a conoscenza di una certa festa che in quei giorni era in corso
proprio in un paesino li vicino, si era deciso di ancorare la nave al piccolo
porto e prendervi parte, nel tentativo di distrarre la compagna dai propri
brutti pensieri.
Aveva funzionato a meraviglia.
Ed allo stesso modo Nami aveva capito perfettamente le loro intenzioni, certo.
Erano tutti cosi ridicoli e teatrali mentre
la informavano che “casualmente nella cittadina in cui erano sbarcati c’era una
festa, e forse sarebbe stata l’ideale per trascorrere una bella giornata
lontana da pensieri tristi”… sospirò. Come avrebbe fatto senza di loro? Loro
che erano, insieme a Nojiko e Cocoyashi,
tutto ciò che le restava al mondo. Tutta la sua famiglia.
“Quegli stupidi” sbuffò con un mezzo sorriso intenerito, mentre Robin
l’aiutava ad indossare un abito vagamente elegante che le aveva piuttosto casualmente preparato.
Forse quell’anno, perlomeno,
sarebbe riuscita a non pensare troppo a Bellmere-san.
Era stato inevitabile, tuttavia,
lasciarsi andare al piacere dell’alcool che scorreva pigro lungo la gola. Giù
un bicchiere, giù una bottiglia, una dopo l’altra, e perfino lei aveva finito per ritrovarsi
irrimediabilmente sbronza.
Era stato allora che,
allontanatasi a fatica dalla grossa botte alla quale stava appoggiata, la testa
che le girava pericolosamente, il familiare odore di spezie e nicotina l’aveva
avvolta.
«Tutto a posto?». La voce roca di
Sanji era colma di sincera preoccupazione.
Aveva avvertito le braccia sicure
ed affidabili del compagno sostenerla, e semplicemente vi si era abbandonata
-una sensazione fin troppo piacevole e rassicurante, alla quale da troppo tempo
non si lasciava andare.
Aveva lasciato che lui la
conducesse lontano dalla folla, fino al minuscolo porticciolo e poi a bordo
della nave, e si stupì un po’ quando, invece di condurla nella camera da letto
riservata alle ragazze, il biondo l’accompagnò invece su in cucina.
La sistemò con delicatezza sui
morbidi cuscini del divano e, seppur fosse sfinito dopo la lunga giornata, Nami lo vide affaccendarsi ai fornelli nel tentativo di
donarle un po’ di sollievo; un profondo moto d’affetto per il compagno
germogliò da qualche parte dentro di lei, ma venne immediatamente offuscato
dalla sbornia.
Tutto ciò che riuscì a fare fu,
quindi, ridacchiare e stringere le ginocchia al petto, l’orlo del vestito a
pizzicarle le gambe scoperte.
«Sei palesemente sbronza», ripeté
Sanji con una punta d’apprensione nella voce, in
risposta all’ennesimo “sono perfettamente sobria, Sanji-kun,
ma puoi dirmi perché stai indossando un copricapo indiano?” (Cosa che, con
tutta probabilità, il cuoco non pensava neppure lontanamente di fare).
Come
diavolo era
un copricapo indiano, poi…?
L’acqua calda riempiva il
bollitore, nel quale galleggiavano pigramente alcune foglie di the. Alle spalle
del ragazzo, Nami si rannicchiò di più sul divano e
calciò via i graziosi sandali col tacco che indossava, scagliandoli contro una
delle sedie di legno.
«Tutto a posto, Nami-san?». Sanji le scoccò di
nuovo un’occhiata impensierita, alla quale la compagna rispose con una
scrollata di spalle accompagnata da un “nulla di particolare. La sedia voleva
provarsi le mie scarpe”.
…
Sbronza, si. Ma quanto aveva bevuto per ridursi cosi…?
«Mia adorata,» sussurrò con
premura, «ti sto preparando un bel the. La caffeina fa miracoli contro gli
effetti dell’alcool, sai?». Non ricevendo risposta, rivolse all’amica
l’ennesima occhiata e la trovò ad armeggiare distrattamente con l’orlo del
vestito, lo sguardo rivolto verso qualcosa che evidentemente si trovava di
fronte a lei.
«Nami-san,
che…».
Un istante dopo la vide
sollevarsi con estrema lentezza dal divano ed avviarsi barcollante verso il
grosso tavolo che attraversava la stanza, reggendosi al legno quando lo
raggiunse. Sanji avrebbe voluto raggiungerla e
riportarla a forza sul sofà, dove avrebbe potuto distendersi ed evitare di oscillare in quel modo pauroso, ma
qualcosa negli occhi della ragazza glielo impedì.
Parevano più vigili,
d’improvviso, più consapevoli, e
perfino le mani tremavano un po’ meno mentre le allungava verso il pacchetto di
sigarette (le King’s Ground, quelle fumate da Sanji) che stavano posate sull’orlo del tavolo. Osservò la
scatola di carta tutta stropicciata per lunghi istanti, dopodiché la strinse
tra le dita e si avviò nuovamente verso il divano, gettandovisi con malgrazia.
Sanji non riusciva a
smettere di fissarla con un misto irragionevole d’ansia e curiosità.
«N-Nami-san»,
ripeté nuovamente appena la voce riuscì ad arrivargli in gola, «Nami-san, tutto a posto?».
Lei non rispose subito. Prese a
fissare il pacchetto di sigarette con intensità, dopodiché lo avvicinò al viso
e lo annusò, un sorriso strano a piegarle le labbra.
«Sanji-kun,
voglio provarne una».
Il biondo sgranò gli occhi e
quasi sputò fuori il the che stava assaggiando.
«Che hai detto, Nami-san..?»
«Ho detto», fece lei con estrema
naturalezza, «che voglio fumare una sigaretta. Dammi l’accendino, su».
Sanji la scrutò con
sospetto, gli occhi che correvano dal viso imbronciato della compagna alla
scatola biancastra che stringeva tra le mani.
«Nami-san,
non posso», disse lentamente. «Ti farebbe male, e lo sai bene. E poi, sei anche
ubriaca… si può sapere cosa ti sei messa in testa
stasera?»
Lei sbuffò ed incrociò le braccia
al petto, facendo risaltare la generosa scollatura. «Voglio fumare, ho deciso.
Dammi l’accendino».
Il biondo si sforzò di
distogliere l’attenzione dalla bellezza della compagna. Negarle qualcosa gli
faceva sempre male al cuore, ma stavolta era per il suo bene.
«No, Nami-san.
Ti fa male. Ed è la mia ultima
parola, quindi smettila di chiedermelo».
«Tu lo fai, però». Nami assottigliò gli occhi e strinse i pugni. «A te non fa male, Sanji-kun?».
Okay, a quello non sapeva
assolutamente come rispondere.
Era vero, fumare faceva male a
lui per primo, ma non per questo avrebbe permesso che la donna che amava si
rovinasse la salute per un motivo tanto stupido. No, decisamente. Per quanto
gli risultasse difficile avrebbe dovuto continuare a negare.
Raccolse tutto il coraggio che
aveva in corpo e si preparò ad affrontare i due occhioni
incantevoli che di certo l’altra gli avrebbe rivolto nel tentativo di
convincerlo a far ciò che voleva, come suo solito… ma
ciò che scoprì in quegli occhi fu, invece, solo una muta quanto disperata
richiesta.
«Lo sai, Sanji-kun?».
Nami sussurrò, lo sguardo chino sulla scatola che
ancora stringeva tra le dita e la voce paurosamente atona. «Anche Bellmere-san fumava».
Sanji c’impiegò
appena un attimo per capire.
Come aveva fatto a non pensarci? Si trattava di quel giorno, dannazione.
Tutto d’un tratto sentì crescere
dentro di sé uno smisurato bisogno di avvicinarsi a Nami,
alla sua Nami-san,
e stringerla. Gli parve cosi fragile, tutto d’un tratto, seduta tra i cuscini
con le ginocchia strette al petto, le guance arrossate e gli occhi lucidi, e
tutto ciò che desiderò fu starle accanto.
Fu per questo che, con un sospiro
ed un gesto deciso, spense la fiamma che stava scaldando l’acqua nel bollitore
e si diresse verso il divano, lasciandovisi cadere con rassegnazione. Incrociò
gli occhi castani della ragazza, offuscati dall’alcool eppure stranamente
consapevoli, e con una specie di brivido lungo la schiena le sfiorò appena le
dita, tirando fuori una sigaretta dal pacchetto.
«Una sola» disse con un tono che avrebbe dovuto essere severo, ma
che finì per apparire solo tenero.
Con uno sbuffo le allungò la
sigaretta, ne prese un’altra e se la portò alle labbra, dopodiché tuffò la mano
nel taschino della giacca e ne emerse stringendo una scatola di fiammiferi. Nami lo osservò affascinata mentre con rapidità ne estraeva
uno dalla scatola e lo avvicinava alle labbra, le mani a coppa a nascondersi il
viso ed un lieve filo di fumo che quasi immediatamente andava ad insinuarsi tra
le dita. Aveva sempre amato il modo insieme spontaneo ma vagamente studiato con
cui Sanji-kun compiva quel movimento apparentemente
insignificante; l’aveva osservato compiere quei gesti tante di quelle volte da
considerarli quasi scontati. Eppure, quella notte pareva esser destinata a
vedere tutto in modo diverso. Finalmente, aveva
capito.
«Forza, Nami-san…
vieni qui. Solo qualche boccata, però».
A quel punto Sanji
le si avvicinò, pian piano, finché l’estremità rovente della sigaretta accesa
non sfregò quella che la ragazza stringeva tra i denti. Erano cosi vicini che
avrebbe potuto contare i capelli lunghi e sottili di lei uno ad uno.
«Adesso», le sussurrò dolcemente,
«aspira un po’ di fumo. Non tutti ci riescono la prima volta, e sappi che non
avrà un buon sapore».
Nami annuì e fece
come il compagno le aveva consigliato. Con una punta di timore lasciò che il
fumo le entrasse in bocca, e…
«E’ terribile!». Quasi rischiò di vomitare.
Il biondo, rapido, le sfilò la
sigaretta dalle labbra e la gettò sul pavimento, schiacciandola con la punta
delle scarpe.
«Io te l’avevo detto, Nami-san. Spero che non ti venga più in mente di provare… una donna meravigliosa come te non è fatta per
qualcosa di cosi sporco».
Tu
non
sei sporco, Nami avrebbe voluto dirgli, ma gli
effetti della sbornia parvero tornare tutti all’improvviso. La testa girava,
gli occhi lacrimavano, lo stomaco pareva aver deciso di lanciarsi in qualche
strano tipo di danza. E l’odore era cosi vicino, quell’antico e familiare odore
di nicotina… Per qualche motivo, tutto d’un tratto
sentì l’irrefrenabile bisogno di piangere.
«Sanji-kun»,
rantolò, aggrappandosi d’impulso all’orlo della giacca del compagno, «Sanji-kun, sto male».
Un misto di sensazioni si affollò
negli occhi di lui. «Cazzo… lo sapevo che non avrei dovuto farti provare», inveì, e la fissò con
un misto di apprensione e colpevolezza. «Aspettami qui, vado a prenderti
qualcosa per..-».
Fece per alzarsi, ma la mano di
lei, che non aveva abbandonato la presa sulla spessa stoffa, lo trattenne.
«No, ti prego», mormorò, strattonandolo
debolmente, «… ti prego. Non lasciarmi qui. Non oggi… ti prego. Il... il tuo odore… mi fa star bene».
Per un attimo, Sanji credette di essersi
sbagliato. Nami-san aveva davvero detto…?
Non vi fu tempo per pensarci, comunque. Si sedette accanto a lei, che aveva
ripreso a tremare violentemente e non pareva intenzionata ad abbandonare l’orlo
della sua giacca –avrebbe potuto cingerle le spalle, altrimenti, o addirittura
abbracciarla, ma in quel modo gli fu
impossibile- e per la prima volta in vita sua si sentì impotente come non mai.
«Hai forse freddo, tesoro mio?»,
sussurrò con premura quando i brividi si fecero più evidenti, e lei annuì.
Allora, con dolcezza Sanji allontanò le dita della
ragazza dall’orlo di stoffa ruvida e si sfilò la giacca, sistemandola
delicatamente sulle spalle di lei.
«Va meglio, eh?». Nami annuì nuovamente e si strinse nelle spalle, mentre le
dita istintivamente correvano ad impossessarsi dell’orlo della camicia. Sanji sospirò profondamente e le passò un braccio intorno alle
spalle.
Rimasero per un po’ cosi, in
silenzio, un mutismo scandito dal respiro irregolare della navigatrice e dai
battiti tanto frenetici quanto rassicuranti del cuore –impazzito- del cuoco.
Poi, Nami
si chinò ad annusare la stoffa ruvida della giacca ed, inaspettatamente,
sorrise.
«Odora di Sanji-kun»,
disse ridacchiando, e fece dondolare i piedi nudi oltre il bordo del divano. «Nè, Sanji-kun, lo sai? Me ne sono
accorta solo adesso, e non so perché». Si sporse un po’ di più verso il
compagno, che istintivamente trasalì. «Anche Bellmere-san
fumava, come Sanji-kun. Ecco perché hanno lo stesso
odore, capisci? E’ per questo che l’odore di Sanji-kun
mi è sempre piaciuto cosi tanto. Sapeva di casa,
quell’odore, mi faceva star bene».
Gli sorrise, e lui si diede dello
stupido per non averci pensato prima. Era ovvio
che l’affermazione di poco prima
si riferisse a quello, cosa si era messo a pensare..?!
Egoista.
Lei sta male e tu pensi a te stesso. Strafottutissimo
egoista del cazzo.
D'istinto, intensificò la stretta
sulle spalle della ragazza.
«Ehi, Sanji-kun»,
disse poi lei, scrutandolo con un espressione indecifrabile, «ti va di
ascoltare?».
Lui scosse le spalle. «Se a te va
di parlare».
Nami annuì. «Mi va».
Fu cosi che ebbe inizio.
Da quel momento in poi, Nami, semplicemente raccontò. Narrò di Bellmere
e di Nojiko, di sorrisi e di bambine, di piante di
mandarino che bruciavano nel sole estivo, di pomeriggi trascorsi a scorrazzare
per le vie affollate del paese, di Cocoyashi, di
genitori trovati e poi perduti, di cose belle e brutte, di pianti e di risate.
Raccontò di aneddoti stravaganti, storie divertenti, soffermandosi su dettagli
minuscoli ed apparentemente banali. Aveva bisogno,
quella sera, che qualcuno -che lui
sapesse.
E accanto, semplicemente Sanji ascoltava. Ascoltava e macinava una sigaretta
sull’altra, senza distogliere lo sguardo, incurante del meccanismo quasi
diabolico che spingeva il bastoncino bianco a consumarsi di più, sempre di più,
fin quasi a bruciare le labbra –solo a quel punto, allora, il biondo si
ridestava per un istante, gettava il mozzicone sul pavimento di legno e lo
sostituiva immediatamente con una nuova sigaretta.
Accadde poi che ad un certo punto
della storia, non seppe ben dire quando, Sanji
percepì le dita della compagna abbandonare con stupefacente disinvoltura la
manica di stoffa ed appropriarsi della sua mano, stringendola insieme con forza
e tenerezza, e pur sforzandosi non riuscì a far a meno di ricambiare quella
stretta insieme tanto inattesa quanto necessaria.
Fu una notte strana, quella.
Notte in cui Sanji
si trovò insieme più vicino di quanto fosse mai stato alla donna che amava e
più desideroso ed incapace che mai di stringerla a sé e dirle tutto, finalmente, e Nami
avvolta dalla sensazione quanto mai rassicurante e nostalgica che lui riusciva
a provocarle semplicemente standole vicino.
In cui Sanji
l’amò cento volte più di prima e mai come allora la desiderò, e Nami lasciò che vent’anni di vita semplicemente
scivolassero via, venissero fuori mischiandosi alle decine di mozziconi
ammucchiati sul pavimento di legno.
Trascorsero più di un paio d’ore
prima che il folle racconto giungesse al termine, e nessuno dei due seppe dire
esattamente come fosse accaduto. La fine era arrivata, semplicemente, si era
insinuata tra le parole che scorrevano a fiumi sussurrando con fermezza “basta cosi”, e di colpo apparve ad
entrambi come la cosa giusta.
Fu più o meno in quell’istante
che, per la prima volta, presero coscienza delle dita saldamente intrecciate
tra loro, delle spalle che si sfioravano, del braccio di lui che con dolcezza
cingeva la vita sottile dell’amica.
Nami, stordita
dall’alcool e dai ricordi, quietamente si abbandonò all’antico e caratteristico
sentore di nicotina tipico del compagno.
Sanji, semplicemente,
per l’ennesima volta s’innamorò di lei.
Angolo autrice.
Yeeey, spero abbiate
apprezzato almeno un po'! E spero di non aver lasciato errori troppo gravi non
corretti oppure parole sostituite con "dgshxdfshfx"
(a volte lo faccio), ho riguardato tutto più volte e mi sembra di non aver
trovato nulla, in caso fatemelo notare X°°°
Volevo anche dirvi che ho letto e amato ogni singola fanfic
SaNami pubblicata in questi ultimi mesi, ma per
motivi di tempo ho potuto giusto aggiungere qualcosa ai preferiti e non commentare
per bene... spero di riuscire a farlo ;_; e spero anche di trovare
l'ispirazione per scrivere qualcosa di nuovo, dato che di tanto in tanto i feels si fanno sentire!
Alla prossima, si spera ~