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Autore: Beatrix Bonnie    23/02/2015    1 recensioni
Firenze, 1832
Margherita Imbonati, una giovane ragazza perbene, amante di filosofia e letteratura, che frequenta i salotti più in vista della città. Con la sua fede in Dio, ottusa ma genuina, sarà in grado di lasciare un segno indelebile nell'animo tormentato del conte Leopardi?
Bologna, oggi
Margherita Alberti, caotica docente di Religione e dottoranda in Teologia, talmente abituata ai suoi ritardi e alla figuracce da non farci più nemmeno caso. In una lezione improvvisata, con presente il nuovo insegnante di sostegno tanto carino, riuscirà a convincere i suoi indisciplinati studenti ad affrontare la vita con la giusta serietà?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Historia docet'
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II
Covinzioni


Firenze, settembre 1832

Sebbene è spento nel mondo il grande e il bello e il vivo,
non ne è spenta in noi l'inclinazione.
(Giacomo Leopardi, Zibaldone)

Margherita riteneva che settembre fosse il mese più bello per godersi Firenze. L'arsura estiva era stata mitigata dal vento settembrino, ma le giornate erano ancora limpide e il cielo tanto azzurro da parer dipinto. Se ne stava per delle ore intere appoggiata al parapetto del Lungarno, ad osservare il fiume che scorreva placido verso il mare.
«Non mi capacito di come abbiate fatto a convincermi» borbottò una voce alle sue spalle.
Margherita si voltò con un sorriso innocente. «Siete proprio un brontolone.» Adorava stuzzicarlo a quel modo.
«E voi siete una... una...» provò, senza trovare un aggettivo adatto.
«Oh, accidenti!» scherzò Margherita. «Al grande conte Leopardi mancano le parole.»
Il poeta fece qualche passo malfermo verso il parapetto. «Siete una donna con cui è davvero amabile conversare» ironizzò poi, levandosi il cilindro in segno di rispetto.
«Lo so» rispose Margherita, fingendosi deliziata. «Ed è per questo che adorate stare in mia compagnia.»
Il conte sbuffò, appoggiando il bastone da passeggio al muretto. «Si fa quel che si può, in mancanza di altre compagnie più piacevoli.»
Margherita si voltò a guardare lo scorrere placido dell'Arno. «Il vostro caro Ranieri tornerà presto, non temete» rincuorò l'amico, per quanto sapesse che la sua era stata una battuta di spirito per punzecchiarla.
Leopardi accennò ad un sorriso. «So che non vi piace.»
La ragazza si sforzò in ogni modo per evitare di incupirsi: doveva ammettere che probabilmente era gelosa dell'amicizia tra Leopardi e Ranieri, tanto più perché quest'ultimo, con i suoi modi da scavezzacollo innamorato, aveva una pessima influenza sul primo. «È un uomo senza Dio» riassunse alla fine, senza riuscire a trattenere una smorfia.
Leopardi rise. «Anche io sono un uomo senza dio.»
Di fronte a quell'evidenza, Margherita si rilassò e tornò a concentrarsi sulla conversazione, lasciando perdere le sue antipatie per Ranieri. «Lo so – concesse con un sorriso, – ma io sono sicura che quando Gli sarete davanti, Egli vi perdonerà ogni cosa per la sola bellezza delle vostre poesie. Anch'Egli si è beato ascoltando il suono dei vostri dolcissimi versi.»
«Quale sciocchezza!» proruppe Leopardi, quasi divertito da quell'innocente credulità. «Non c'è altra vita oltre a questa terrena e, credetemi, è già abbastanza.»
Margherita fiutò la possibilità di un bel dibattito. Sorrise: quella volta l'avrebbe spuntata lei contro il cocciuto poeta recanatese. «Oh, avete ragione, mio caro Leopardi, quando dite che questa vita è infelice» rispose accorata. «Abbiamo dentro di noi un'inclinazione alla bellezza, alla verità e alla grandezza, una tensione verso l'infinito, ma l'infinito non appartiene a questo mondo, dove ogni cosa è mortale. Se tutto si concludesse qui, avreste ragione a dire che siamo figli di una natura che è per noi matrigna malvagia.» Margherita notò che Leopardi la guardava con un misto di interesse e di sospetto: l'uomo ormai conosceva troppo bene le sue tendenze filosofiche e morali per credere che gli stesse davvero dando ragione. «Quello che non comprendo – continuò, – è perché non vogliate nemmeno soppesare l'ipotesi che l'uomo, invece che figlio di una matrigna che lo odia, sia figlio di un Padre che lo ama. Egli è il sommo bene, la somma bellezza e l'infinita verità; Egli è colui al quale la nostra vita deve tendere per soddisfare la sua inclinazione verso l'eterno, Egli è il nostro destino e Colui che dà senso alla nostra esistenza. Dio ci ha chiamati alla vita, non alla morte.»
Leopardi scosse la testa, rassegnato. «Non posso accettare questa vostra idea di dio» ammise con franchezza. «Se egli è davvero buono come voi dite, per quale motivo ci ha messi in questo mondo a soffrire, per poi prometterci nell'aldilà la ricompensa di ogni sofferenza? Non vi pare contraddittorio?»
Margherita non si fece scoraggiare. «Ma voi sbagliate la premessa, mio caro conte» gli rivelò con un sorriso furbo. «Dio non ci ha messi al mondo per soffrire.»
«Come no?» Leopardi sembrava confuso: non riusciva a capire dove volesse andare a finire il discorso contorto della giovane milanese. «L'avete detto anche voi che possediamo una naturale inclinazione verso l'eterno, ma siamo costantemente infelici perché nulla in questo mondo caratterizzato dalla morte può soddisfarla.»
«Appunto, nulla in questo mondo.» Margherita sorrise, come se avesse un asso nella manica e fosse pronta a rivelarlo. «Ma Dio non è di questo mondo» ricordò al suo interlocutore. «Egli è il naturale punto d'approdo della nostra inclinazione, l'unico in grado di soddisfare la nostra sete d'eterno già in questa vita, perché Egli stesso è l'Eterno.»
Leopardi sbuffò. Prese il bastone da passeggio e picchiò delicatamente la testa d'argento contro lo sterno della giovane ragazza. «A volte siete così incredibilmente testarda» la rimproverò.
«Non sono l'unica, io credo.» Margherita espresse in un sorriso tutto l'affetto che sentiva nascere verso quel cocciuto poeta di versi così sublimi.
Leopardi, improvvisamente imbarazzato, distolse lo sguardo e prese a fissare il fiume che scorreva placido verso il mare. «Ve l'hanno mai detto che avete un sorriso incredibilmente... bello?» farfugliò quasi a disagio, senza guardarla negli occhi.
«Siete il primo» confessò Margherita, appoggiandosi anche lei al parapetto per osservare l'Arno. «Ma d'altronde sono la vostra Aspasia, no?» ironizzò leggera.
L'imbarazzo di Leopardi sparì con l'ironia: era più facile giocare su quel campo con la giovane Imbonati. «Oh, e volete che vi scriva qualche bella poesia?» le domandò, fingendosi cavalier servente.
«Oh, no, no» rispose immediatamente Margherita. «Scrivete pure poesie d'amore all'affascinante Fanny.»
Leopardi corrugò la fronte. «Non voglio scrivere poesie d'amore per Fanny. Ha una bellezza divina, certo, ma non è altro che una dotta allettatrice*» confessò con franchezza.
«Ma non dovete scriverle davvero per lei!» spiegò Margherita, con una risatina. «Lei sarà la vostra donna-schermo, cosicché tutti crederanno che vi siate invaghito di lei, mentre voi nasconderete il vostro vero amore dietro quello falso per lei.»
«E quale sarebbe il mio vero amore?» indagò Leopardi, sempre stando al gioco.
«Io, ovviamente» rispose la ragazza, d'improvviso più seria. Eppure, ancora un'ombra di sorriso giocoso le increspava le labbra. «Perché io so che il vostro cuore arde per me.»
«Signorina Imbonati, state vaneggiando» tagliò subito corto Leopardi. Tuttavia, la fretta con cui aveva liquidato la questione sembrava nascondere ben altri sentimenti. «Non potrei mai innamorarmi di una donna così ottusa come voi siete» si giustificò, distogliendo gli occhi da lei. Ma sembrava che quella scusa dovesse servire a convincere più che altro se stesso.
Margherita non si scompose di fronte a quell'improvvisa freddezza, perché aveva come l'impressione che il poeta stesse facendo di tutto per mascherare qualcosa di diverso. «Quella che voi chiamate ottusità, mio caro conte Leopardi, è ciò su cui ho fondato la mia vita» gli rivelò sincera. «È ciò in cui credo.»



Bologna, oggi

La terra non stanca mai,
la terra è rozza, silente, incomprensibile a tutta prima,
la Natura è rozza e incomprensibile a tutta prima,
non scoraggiarti, continua, vi sono cose divine con cura celate,
ti giuro, vi sono cose divine più belle di quanto può dirsi a parole.
(Walt Whitman, Canto della strada)

Margherita trovò i ragazzi piuttosto silenziosi quando entrò in classe, sebbene fosse in ritardo di quasi dieci minuti – cosa che di solito provocava schiamazzi e passeggiate per l'aula e per i corridoi. Li salutò con il solito “buongiorno” e andò a sedersi al tavolo dove c'era appoggiato il computer, per compilare il registro e cercare su Google qualche immagine per quella lezione improvvisata. Benedisse mentalmente la LIM, la nuovissima lavagna digitale che era da poco stata installata in tutte le aule, grazie alla quale avrebbe potuto realizzare quell'idea assurda che le era balenata in testa. Si alzò dalla sedia, afferrò al volo il telecomando e, quando accese la LIM, l'immagine del busto di una procace signorina in biancheria intima riempì l'aula.
«Ho voluto partecipare anche io al gioco!» esclamò in risposta alle facce allucinate dei suoi studenti. Fu in quel momento che si accorse di una presenza estranea in aula: seduto in fondo, a fianco del ragazzo disabile, stava niente meno che il professor Ricci, l'insegnante avvenente contro cui era andata a sbattere quella mattina. Ottimo!, pensò. È proprio la mia giornata. Decise di ignorare la sua presenza e andare avanti con la lezione che le era venuta in mente.
«Dite che non sono io?» ironizzò poi, indicando l'immagine sulla lavagna. Abbassò lo sguardo, come per controllare che la sua misera seconda non si fosse magicamente gonfiata fino a raggiungere le dimensioni della modella che aveva scelto. «Forse no» ammise, strappando qualche sorrisetto ai ragazzi. Alcuni si rilassarono, convinti che la professoressa di Religione volesse solo sdrammatizzare un po'.
«Lei è la prima che non ci fa la ramanzina, prof» si azzardò addirittura a commentare Lorenzo, quel ragazzo vispo e dalla lingua incontenibile che sedeva sempre in prima fila.
«Ramanzina? Nah...» rispose Margherita, scuotendo la testa. Eccome se aveva in mente di far loro una lavata di capo, ma l'avrebbe fatta a modo suo. «Siete giovani, no? È stata solo una sciocchezza. Nulla di così grave...» cominciò a dire, prendendo a passeggiare davanti alla cattedra. «Sapete che vi dico? Fate bene a spassarvela! Avete tutta la vita davanti, perché prendersi delle responsabilità ora? Divertitevi, godete, svagatevi! Chi se ne importa del resto!»
I ragazzi cominciarono a scambiarsi occhiate perplesse: quella non era certo una teoria che si aspettavano di sentire da un insegnante, figuriamoci da una di Religione. Di solito, in quelle ore, si parlava di moralità, di comportarsi bene, di quello che la Chiesa diceva sull'aborto, l'eutanasia e i rapporti prematrimoniali. Ma con la prof Alberti non si poteva mai dar nulla per scontato, perché se ne veniva in classe sempre con delle idee bizzarre. Che quella volta avesse finalmente dato voce al credo dei giovani d'oggi, divertimento senza responsabilità?
«Tanto c'è solo una cosa certa, nella vita» continuò Margherita, ben consapevole dell'effetto che le sue parole stavano avendo sugli alunni. Tornò al computer, per selezionare la seconda immagine che aveva preparato: uno scheletro in una fossa comparve macabro sulla LIM. «Ed è questa.»
I ragazzi presero a sussurrare e a guardarsi intimoriti.
«Strano, vero?» ironizzò Margherita, rapendo di nuovo tutti gli sguardi su di sé. «La morte è l'unica e sola certezza della vita» continuò. «Ogni cosa, in questo mondo, è destinata a far questa fine. L'amore, la bellezza, la gioventù, l'amicizia... tutto finirà per morire.»
Stava dicendo cose ovvie, eppure i ragazzi pendevano dalle sue labbra. Forse nessuno gliele aveva mai sbattute in faccia in quel modo, per non rovinare la loro delicata adolescenza. Be', era giunto il momento di dar loro una svegliata.
«E sapete chi era già arrivato a questa conclusione?» domandò loro, selezionando la terza immagine. «Quest'uomo» lo presentò, mentre il quadro più famoso di Giacomo Leopardi riempiva la lavagna. «Quest'uomo, che – quando gli va bene – tra gli studenti è conosciuto come il depresso sfigato con la gobba, quello a cui Silvia non l'ha data... be', quest'uomo era un genio» continuò Margherita, cercando di far apprezzare anche ai ragazzi un poeta così spesso sottovalutato dagli studenti e che lei adorava immensamente. «Leopardi aveva capito, di fronte all'ottuso ottimismo e fiducia nel progresso del suo tempo, che la vita non è altro che disperazione. E questo perché in noi c'è un innato desiderio di felicità eterna, di amore eterno, di bellezza e di bene, ma nessuna delle cose del mondo ci può soddisfare nella nostra ricerca.»
Margherita fece una pausa per poter contemplare il ritratto del giovane poeta recanatese, il suo viso un po' sgraziato, il naso pronunciato, e quegli occhi blu così incredibilmente espressivi. «Sapete che vi dico?» chiese, voltandosi di nuovo verso i ragazzi. «Aveva ragione, aveva maledettamente ragione. Perché tutte le vostre idee dell'essere giovani, del divertirsi, del non pensare alle conseguenze... sono tutte stronzate!» Ormai Margherita era tanto infervorata dal discorso che non badava più nemmeno ad essere politically correct, come di solito era richiesto agli insegnanti.
«Non sarete giovani per sempre» li avvertì. «La vita, presto, vi chiederà il conto. Vi chiederà con quanta responsabilità avete affrontato i vostri impegni, quanta serietà avete messo nelle cose fatte.» Margherita guardò i ragazzi con intensità. «Le idiozie da quindicenni, lasciatele fare ai quindicenni. Voi ne avete quasi venti, di anni. Datevi una mossa. Scegliete ora di affrontare la dura e amara verità, la verità che la vita non è un allegro susseguirsi di feste e divertimenti. Perché a trenta o quarant'anni, sarà troppo tardi per accorgersene.»
I ragazzi parvero smarriti. Certo, si sentivano giovani e il predicozzo sull'assumersi le proprie responsabilità era stato riversato loro addosso tante di quelle volte da risultare quasi nauseante. Eppure, quella volta, c'era qualcosa di terribilmente vero, vivo e angosciante nelle parole della professoressa. Era quel senso quasi opprimente di essere in ritardo sulla propria vita, di essersi lasciati sfuggire l'occasione di crescere.
Margherita chiuse gli occhi per un attimo, lasciando che un po' di sana fifa si infiltrasse nei cuori dei suoi studenti. Era solo partendo da quel sentimento di incertezza e di vuoto che i ragazzi avrebbero imparato a interrogarsi sul senso della vita e a scendere da quell'assurdo piedistallo, dal quale tutto sembra dovuto, bello, divertente. E, finalmente, a prendere la vita con la giusta serietà.
«Ma io insegno Religione, giusto?» li interpellò, tornando a osservarli, questa volta con un sorriso che voleva essere speranzoso. «E per quanto non abbia alcun contenuto da insegnarvi, a detta di alcuni colleghi, non vi lascerò ciechi, a brancolare nel buio della disperazione» li rincuorò. «Una risposta a tutto questo c'è, perché, se voi guardate attentamente, in questa natura umana a prima vista rozza e incomprensibile, ci sono delle cose divine celate con cura. Noi desideriamo l'eterno, ma l'eterno non esiste in questo mondo, dove tutto è destinato a morire. Allora è come diceva Leopardi? Dobbiamo rassegnarci a quest'amara certezza?»
Margherita fece una pausa, come per invogliare i ragazzi stessi a dare un giudizio sulla questione nel proprio animo. Sorrise, facendo loro capire che per millenni gli uomini si erano interrogati, come si stavano interrogando loro in quel momento, ed erano giunti alle conclusioni più disparate; ma una in particolare le interessava. «Sapete, tutte le religioni ce l'hanno una risposta diversa dalla disperazione: si chiama Dio» disse semplicemente. «Dio, secondo le religioni, è quell'Essere che può soddisfare il nostro desiderio innato di eternità, il naturale punto d'approdo della nostra inclinazione, l'unico in grado di appagare la nostra sete d'infinito già in questa vita, perché egli è l'Eterno cui puntiamo, che non appartiene a questo mondo corruttibile.»
Margherita si fermò, rendendosi conto da alcune facce perplesse dei suoi studenti che nel suo ruolo di docente non poteva andare oltre. Dopotutto, il suo era un insegnamento culturale, non certo catechistico. «Non sto in nessun modo cercando di convertirvi» li rassicurò, cercando di rendere il suo messaggio significativo per tutti, al di là delle credenze di ciascuno. «Dico solo che avete raggiunto un'età in cui bisogna porsi certe domande. Vivere nell'illusione che tutto sia bello e positivo solo perché siete giovani è quanto meno sciocco.» Li guardò con intensità uno a uno. «Se non riflettete seriamente adesso, se non vi prendete le vostre responsabilità adesso, dopo sarà troppo tardi.»





* La definizione "dotta allettartice", che si può parafrasare come “esperta seduttrice”, è tratta dallo stesso Leopardi: si trova nella poesia Aspasia (che gli studiosi ritengono dedicata alla fine dell'infatuazione del poeta per Fanny), Canti XXIX, vv. 20-21.





Ebbene, ecco qui il primo capitolo della storia che ho scritto per il conters Questo è ciò in cui credo, di cui a breve i risultati.
Insomma, entriamo nel vivo delle convinzioni delle due protagoniste: per quanto entrambe amino Leopardi, il loro orizzonte è ben diverso da quello del poeta recanatese. Lo so che ultimamente parlare di fede è demodé, ma io non ci vedo nulla di male: non credo che qualcuno potrebbe sentirsi offeso nel leggere questa storia; al limite, può non condividere le opinioni delle due Margherite, ma il bello di questo mondo è che ci sono tante opinioni diverse, no? =)
Grazie a tutti quelli che seguono. Ci vediamo presto con l'epilogo (e spero con i risultati del contest).
Beatrix

ps. Leopardi ha scritto davvero delle poesie d'amore per la bella Fanny... sono quelle che appartengono al cosiddetto "Ciclo di Aspasia". Ma siamo sicuri che siano state scritte davvero per Fanny, come ritengono gli studiosi? E se fosse stata solo una donna-schermo di dantesca memoria...? ;)

   
 
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