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Autore: Carlos Olivera    07/12/2008    11 recensioni
Oggi sono qui, accanto a voi, per raccontare una storia.
La storia di un conflitto antico, risalente alle origini della vita, che vede un manipolo di valorosi guerrieri confrontarsi fra di loro in duelli all'ultimo sangue.
Ognuno di loro ha la propria storia, le proprie emozioni, e ognuno è speciale. Tuttavia, solo uno di loro, colui che si eleva su tutti, possiede dentro di sè la forza necessaria per arginare, una volta ogni due secoli, un potere sconosciuto ed oscuro, che fin dalla notte più antica brama di ritornare in questo mondo per portare a termine il suo operato.
Sono stato testimone del passaggio di un epoca. Ho conosciuto guerrieri di grande valore, e ho ammirato il loro coraggio. Lasciate che vi racconti... la loro storia.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Millennium War'
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PROLOGO

PROLOGO

 

 

All’interno del tempio, regnava un’oscurità quasi totale.

  L’unica fonte di luce in quell’immenso androne, la cui volta, stupendamente affrescata, era sorretta da dodici, possenti colonne, incise fino a sembrare dei giganteschi papiri, era fornita da grandi bracieri che, appesi a delle aste d’oro sporgenti dai muri, anch’essi pieni di dipinti e geroglifici, ardevano incessantemente.

  Un gran numero di persone, tutti uomini, tutti coperti quasi completamente da lunghe tuniche marroni e voluminosi copricapo simili a cappucci, restava in piedi a sguardo basso, pronunciando senza sosta una strana litania, molto probabilmente un’antica preghiera risalente agli albori della storia.

  Quella massa vociante formava una specie di corridoio naturale che, dal grande portone di bronzo decorato, ora chiuso, conduceva sino alla statua di Nepthys, la dea alata guardiana del mondo dei morti, divinità protettrice della tribù; ai piedi di questa vi era un grande altare di pietra, al cui centro era conficcata, fino a metà della lama, leggermente ricurva, una spada bellissima, fatta interamente d’oro, con l’elsa tempestata di pietre preziose e un’incisione finemente decorata raffigurante l’Occhio di Ujat.

  Accanto all’altare, alto, imponente, stava un uomo, un uomo anziano, a giudicare dalla folta barba grigio perla che spuntava dal cappuccio; la sua tunica, a differenza di quelle degli altri sacerdoti, era di un colore bianco sfavillante, in netto contrasto con la sua pelle scura.

  Ad un cenno solenne dell’anziano, i battenti della porta cominciarono lentamente ad aprirsi, emettendo un forte cigolio, solo in parte represso dal continuo salmodiare. Passarono alcuni secondi, poi, dall’oscurità della stanza attigua, uscì un giovane, un ragazzo di forse diciassette anni; vestiva come un soldato dell’antico Egitto, con una sorta di gonnellino bianco di lino ricamato d’oro, una veste leggera che gli copriva il busto, il torace e le spalle, due strisce di tessuto blu che si intersecavano all’altezza del torace, un paio di raffinati sandali in cuoio e, per finire, un lungo mantello bianco.

  La sua pelle era scura, ma non quanto quella degli altri presenti, che tendeva quasi ad un color terra; i capelli, piuttosto lunghi, e leggermente scompigliati, erano più neri dell’ala di un corvo. Neri erano anche i suoi occhi; aveva un’espressione fiera, austera, che lasciava trasparire sicurezza e coraggio.

  Appena le porte si richiusero alle sue spalle, il ragazzo prese a camminare lentamente verso l’altare, fermandosi subito prima dei due gradini che permettevano di raggiungere il punto in questione, situato sopra una terrazzetta.

  «Giovane guerriero!» disse il vecchio con voce roca, affaticata, ma anche profonda e autoritaria «Dimmi il tuo nome!»

  «Mi chiamo Toshio.» rispose lui dopo qualche secondo «Principe Ereditario della Tribù di Nepthys.»

  «Questa spada sarà il tuo giudice. Se sei davvero degno di impugnala, e di assolvere al compito che il cielo ha voluto affidarti, non rifiuterà di essere estratta da te».

  Il ragazzo allora salì gli ultimi gradini, fermandosi davanti all’altare, e nel tempio calò il più assoluto silenzio; l’unico rumore percettibile era il crepitare del fuoco sui bracieri. Attese qualche istante, poi, apparentemente senza traccia alcuna di dubbio o insicurezza, afferrò saldamente l’impugnatura della spada, tirandola verso l’alto; l’arma scivolò via dalla fessura senza alcuna difficoltà, e quando fu completamente estratta la sua lama, illuminata dal fuoco, brillava più del sole.

  «Gli dèi hanno deciso.» proseguì il vecchio «Tu sarai il nostro difensore al prossimo torneo.»

  «Onorerò fino alla morte l’incarico che mi è stato affidato.»

  «Terrò alto il nome della mia gente, assolvendo a questo sacro compito con fede e dedizione.»

  «Il nome dell’autorità conferitami dal cielo, io ti nomino Difensore di Nepthys. Il nostro popolo ti saluta e ti onora. Tu sei il nostro guerriero. In te riposano le nostre speranze.»

  «Sono onorato dalle vostre parole.» rispose Toshio con un leggero inchino

  «Ascoltami con attenzione, figlio mio. La spada che ora stringi con forza nella tua mano per secoli ha vegliato sui tuoi predecessori. Essa, come saprai, può essere impugnata solo per una giusta causa, e solo da un cuore forte. Semmai un giorno il tuo spirito dovesse vacillare, i tuoi ideali crollare, il tuo spirito convertirsi all’oscurità, la spada ti abbandonerebbe.

  Non permettere mai al seme del dubbio di germogliare nella tua anima. Tu e i tuoi compagni siete i custodi di questo mondo, è vostro dovere confrontarvi nel nome della giustizia e dell’onore.»

  «Lo terrò sempre a mente, padre. Le Vostre parole mi accompagneranno da qui alla fine dei miei giorni.»

  «Vai allora, figlio mio. Il tuo viaggio è appena iniziato».

 

Domenica 27 Luglio

Città di Uminari

Ore 08:03

 

Keita Ichinosuke si era svegliato quella mattina con il morale alle stelle; era talmente euforico che, una volta ogni tanto, non fu necessario alcun richiamo da parte della madre o della sorellina Sayuri per riuscire a farlo alzare.

  Del resto, ormai era quasi fatta.

  Ancora un giorno, e finalmente sarebbero cominciate le vacanze estive.

  Canticchiando e fischiettando come un bambino al suo primo giorno d’asilo, il ragazzo saltò giù dal letto e corse immediatamente in bagno, tirandosi a lucido da capo a piedi.

  Il suo era un viso gentile, amichevole, arricchito da una folta capigliatura castano scura e ingentilito da due grandi occhi di un marrone tendente quasi al rosso.

  Non era mai stato uno scansafatiche, anzi aveva fama di essere un gran lavoratore, ma da sempre aveva trovato la vita scolastica alquanto stretta. Non che fosse uno spirito libero o uno scatenato di prim’ordine; semplicemente, non si trovava a suo agio a scuola, forse a causa del suo ottimo rendimento, che gli era valso numerosi nemici, invidiosi dei privilegi che potevano venire dall’essere il secondo studente col più alto livello d’intelligenza.

  Indossata la divisa scolastica, limitata naturalmente, causa un caldo asfissiante, ai calzoni neri e alla camicia bianca a maniche corte, Keita scese velocemente in cucina; sua madre Kimiko, come al solito, si prodigava al fornelli, la sorellina invece era già uscita; quel pomeriggio, alla sua scuola elementare, si sarebbe tenuto l’annuale festival della cultura, quindi era necessario andare via prima per ultimare i preparativi.

  Il ragazzo aveva fatto così in fretta a prepararsi che poté concedersi il lusso di sedersi e fare colazione in tutta calma, quando invece di solito, proprio a causa della sua proverbiale pigrizia, finiva sempre per mangiare una fetta di pane tostato mentre correva come un pazzo per le strade della sua città.

  «Oggi vi consegneranno le pagelline, vero?» domandò la madre passandogli una ciotola di riso

  «Sì, esatto. Ce le consegnerà alla quinta ora il professor Fujitaka.»

  «Hai dei programmi per il pomeriggio?»

  «Pensavo di andare a fare un giro con Shinji e Nadeshiko.»

  «Ricordati di essere alla scuola di Sayuri entro le sette. Sì è impegnata tanto per il suo concerto.»

  «Sta tranquilla, ci sarò. Promesso».

  A colazione conclusa Keita recuperò la sua cartella, riposta sulla sedia accanto all’ingresso già la sera prima, quindi uscì.

  La città di Uminari, situata sulla costa orientale del Giappone, un centinaio di chilometri a nord di Tokyo, si presentava quella mattina in pieno fermento; i lavori per l’allestimento della festa dell’estate erano ormai quasi ultimati, e la domenica successiva le strade si sarebbero colorate della luce di decine di lampade.

  Keita era abbastanza in anticipo da potersi permettere di camminare in tutta calma, guardandosi piacevolmente attorno mentre percorreva la strada pedonale acciottolata che tagliando in due il vecchio centro cittadino arrivava fino al suo liceo.

  Persino il professore addetto al controllo degli studenti al cancello della scuola, il burbero professor Kogure, rimase senza parole nel vederlo arrivare così di buon’ora, tanto che per un attimo pensò di stare sognando; era una situazione decisamente troppo anormale.

  Keita aveva appena passato il cancello, quando, distrattosi per salutare un gruppo di amici che giocavano a calcio, urtò inavvertitamente uno studente che stava fermo davanti a lui, cadendo a terra.

  «Scusa, mi dispiace.» disse immediatamente.

  Rialzato lo sguardo, si trovò a tu per tu con Takeru Minamoto, la leggenda del Club di Kendo, pluridecorato campione studentesco.

  Fra tutti gli studenti, era certamente quello che poteva vantare uno dei più folti gruppi di ammiratrici, questo per via sia del suo aspetto per nulla trascurabile sia per la sua incorruttibile fama da “duro”.

  Alto quasi un metro e ottanta, vestiva sempre e comunque con la divisa intera, completa anche di giacca, e più di una volta Keita si era domandato come facesse a resistere al caldo asfissiante. A dispetto della stragrande maggioranza dei suoi compagni aveva una pigmentazione della pelle piuttosto scura, ma non c’era da restarne sorpresi, visto che era originario di Okinawa, dove aveva sede la famosa compagnia del padre, specializzata nel trasporto marittimo.

  Quando Keita, pur assoggettato da quel gigante, gli rivolse un secondo ringraziamento, lui non rispose, limitandosi a fissarlo coi suoi occhi neri più taglienti di una spada; anche i capelli erano neri, portati a spazzola.

  «Fa più attenzione.» disse tornando sui suoi passi.

  Keita restò un momento ad osservarlo, poi, riavutosi dal senso di gelo lasciatogli da quello sguardo, si rialzò da terra, raggiungendo rapidamente l’atrio della scuola.

  La stessa, identica reazione del professor Kogure la ebbero i pochi studenti presenti nella sua classe nel momento in cui il ragazzo aprì una delle due porte d’ingresso augurando il buongiorno.

  Fra coloro che risposero al suo saluto c’era una ragazza, la cui sola espressione sorridente fu che sufficiente per far arrossire Keita come un anguria.

  I capelli, di un castano chiaro, arrivavano fino alla base del collo, con lunghe frange che coprivano quasi interamente la fronte e le orecchie.

  Gli occhi erano di un verde smeraldo che lasciava abbagliati, e il suo sorriso gentile avrebbe sciolto qualunque cuore.

  Indossava la regolare uniforme scolastica, e al collo portava un pendente circolare, forse di legno, su cui erano raffigurate otto lunghe linee rosse, quattro per lato, simili alle ali spiegate di un angelo.

  «Buongiorno, Keita.»

  «B… buongiorno, Nadeshiko…».

  Si sedettero ai propri posti, uno di fronte all’altra, e dopo poco venne loro incontro un altro ragazzo; aveva un’aria molto sbarazzina, capelli biondi corti e arruffati che andavano in tutte le direzioni e occhi azzurri, nascosti dietro ad un curioso paio di occhiali da vista rettangolari.

  «Ehilà, gente. Come butta?»

  «Salve, Shinji.»

  «Keita. È raro vederti qui a quest’ora. Devo presupporre che il mondo stia finendo».

  Nadeshiko, che forse era l’unica a trovare divertenti le battute di Shinji, rise leggermente, approvando la sua idea.

  Quei tre avevano un grado di affiatamento che aveva del prodigioso; si conoscevano da diversi anni, Keita e Shinji addirittura dalla prima elementare, e in tutto quel tempo erano rimasti sempre insieme.

  Nessuno sapeva bene quale fosse il collante che li teneva uniti; forse il loro carattere gentile e spontaneo, che pur risultando un’ottima qualità veniva talvolta considerato da alcuni semplice ingenuità.

  Di certo, non avevano interessi in comune; Nadeshiko era iscritta da due anni al club di letteratura, e aveva già avuto modo di farsi conoscere pubblicando alcuni racconti di argomentazione fantasy che tanto si rifacevano a quella cultura favolistica europea che tanto amava, Shinji invece da un anno faceva parte della squadra di karate ed era conosciuto soprattutto per i suoi micidiali calci, tanto da guadagnarsi il soprannome di “gamba d’acciaio”.

  E Keita… beh, Keita non aveva interessi in particolare, anche se già da qualche tempo aveva cominciato ad interessarsi al mondo della scherma, questo forse grazie anche a suo padre, un famoso archeologo specializzato nella raccolta e nella catalogazione di armi antiche.

  D’un tratto, pochi minuti prima che suonasse la campanella, la porta si aprì nuovamente, e in classe entrò un ragazzo dall’aria tenebrosa coi capelli argentei, occhi blu profondi come l’oceano e un’espressione seri,a composta; la sua sola vista fu più che sufficiente a mandare in visibilio tutte le ragazze, tranne Nadeshiko, che si limitò semplicemente a rivolgergli un cenno di saluto.

  Il suo nome era Johan Von Karma, il solo studente in grado di superare Keita in fatto di rendimento; considerato la punta di diamante della scuola, aveva un quoziente intellettivo pari a duecento, oltre ad una straordinaria predisposizione a qualunque tipo di attività fisica.

  Ciò nonostante, era considerato unanimemente una persona del tutto inavvicinabile, con un carattere freddo come il ghiaccio che nulla sembrava in grado di scalfire.

  Parlava pochissimo, stando sempre per conto suo, e non intrecciava rapporti con nessuno.

  Come suggeriva il suo cognome era straniero, per la precisione era il secondogenito dell’illustrissima famiglia tedesca dei Von Karma, che annoverava tra i suoi antenati uomini e donne di grande rilevanza per la storia europea e che anche dopo più di sette secoli di storia ancora riusciva ad imporsi sul panorama politico ed economico del vecchio continente.

  Appena entrato Johan andò a sedersi al proprio posto, ignorando totalmente gli sguardi sognanti e le moine di tutte le ragazze della classe, che svenivano ogni qualvolta lui le guardava anche solo per caso.

  Dopo poco suonò la campanella della prima ora, e da quel momento Keita cominciò a contare febbrilmente i minuti che lo separavano dalle tanto agognate vacanze; solo sette ore, poi tutto sarebbe finalmente finito.

Alle cinque precise, alla chiusura delle attività extrascolastiche, presero finalmente il via le vacanze estive; gli studenti cominciarono a lasciare in massa la scuola, augurandosi rispettivamente buone vacanze e promettendo di tenersi in contatto per organizzare serate al karaoke o allegre giornate in spiaggia.

  La maggior parte degli studenti sapeva che in ogni caso si sarebbero quasi sicuramente rincontrati nella festa d’estate che ci sarebbe stata di lì a qualche giorno, altri invece, coloro che potevano permetterselo, sarebbero invece immediatamente partiti per le località di villeggiatura.

  Keita, Nadeshiko e Shinji uscirono tutti insieme, come facevano sempre, dirigendosi al bar gestito dalla famiglia della ragazza per concedersi un tè freddo prima di separarsi; Nadeshiko sarebbe rimasta al locale per dare una mano, Shinji aveva la lezione di arti marziali e Keita lo spettacolo della sorella.

  Passando davanti all’ingresso per la famosa strada pedonale, lungo la quale stava il bar obiettivo della loro passeggiata, i tre amici videro che proprio lì accanto era stato allestito il banchetto di una lotteria promossa proprio dall’associazione dei commercianti che avevano i loro negozi lungo quella via.

  A giudicare dalla gran folla che si era riunita tutto intorno il premio in palio doveva essere davvero appetibile.

  «Che sta succedendo laggiù?» domandò Keita

  «Sembra una lotteria.» rispose Shinji «Che ne dite, tentiamo la sorte? Dopotutto» disse poggiando amichevolmente la mano sulla testa di Nadeshiko «Abbiamo qui la grande dea della fortuna».

  Eh già.

  Perché, fra le altre cose, Nadeshiko si era guadagnata la fama di persona incredibilmente fortunata; più di una volta aveva dato prova del suo “dono”, se così lo si voleva chiamare, indovinando le pagine dei compiti a sorpresa semplicemente aprendo a caso il libro o riuscendo a prevedere anzitempo i risultati delle partite di calcio o baseball più in bilico.

  Non appena riuscirono, a forza di sudori e spintoni, a farsi largo tra la marea di gente, non ebbero problemi a poter guadagnare per primi il diritto di girare l’urna; infatti, era usanza molto comune in quel tipo di lotterie di mandare avanti a sé quante più persone possibile, in modo da far esaurire velocemente il numero di biglie di ferro ed avere così più possibilità di imbroccare quella giusta.

  «Venite, venite!» diceva uno dei quattro addetti «Tentate la fortuna alla nostra lotteria!».

  Ogni giocata costava trecento yen, così Keita e gli altri decisero in comune accordo di metterne cento ciascuno e poi lasciare tutto nelle mani di Nadeshiko.

  «Scusate, che cosa si vince?» chiese Shinji

  «All’interno dell’urna ci sono quattro biglie d’oro. Ognuna di esse permette di vincere un biglietto per un fantastico viaggio di due settimane attraverso l’Europa».

  Nel sentir pronunciare il nome Europa Nadeshiko sembrò cadere dalle nuvole, e i suoi occhi già brillanti si fecero più luminosi di due pietre preziose.

  L’Europa: fin da bambina non aveva mai desiderato altro che poter vedere quella terra straordinaria, ricca di storia e di tradizioni; molte volte aveva cercato coi suoi genitori, che condividevano il suo stesso sogno, di provare ad organizzare un viaggio, anche di piccola portata, ma con un bar da mandare avanti e due figlie da mantenere era dura riuscire a mettere da parte i soldi per una simile impresa.

  Ora le si prospettava l’occasione per realizzare il suo sogno, e mai come in quel momento pregò di essere davvero, almeno un po’, quella dea della fortuna che molti ritenevano che fosse.

  Avvicinatasi all’urna, afferrò leggermente la manovella, e un istante prima che iniziasse a farla girare Keita ebbe come l’impressione di vedere il monile della ragazza illuminarsi leggermente di una luce rosata.

  Tutto intorno calò il più assoluto silenzio, con il rumore delle biglie che giravano vorticosamente nell’urna a fare da contorno a quella situazione carica di tensione.

  Nadeshiko girò molto a lungo, poi, quando sentì che era giunto il momento, si fermò, lasciando che il fato facesse il suo corso.

  Una, due, tre, quattro; e nella zona sembrò essere passato un vento glaciale.

  I dipendenti della lotteria erano forse i primi a non credere ai loro occhi; che scusa avrebbero inventato con gli sponsor per giustificare il fatto di essere stati costretti a chiudere baracca e burattini prima ancora di poter rientrare nelle spese?

  Tutte e quattro le biglie d’oro erano lì, sul piatto, in bella mostra.

  «Non…» disse Keita «Non ci credo… Ma…»

  «Hai…» disse Shinji

  «Ho…».

  Poi, un boato assordante scosse l’intera strada; tutti esultavano, anche chi non aveva vinto. Come si poteva non essere felici, o quantomeno allibiti, davanti ad una simile manifestazione di buona sorte?

  Nadeshiko corse immediatamente al bar per mostrare i biglietti alla sua famiglia, ma nel tempo che lei e gli altri impiegarono ad arrivare lì la notizia si era già sparsa a macchia d’olio.

  Tuttavia, prima ancora che potesse cercare di fare un qualche progetto su come spendere al meglio quell’incredibile colpo di fortuna, i suoi genitori misero immediatamente i puntini sulle i; erano stati loro tre a mettere insieme i soldi per la lotteria, quindi era giusto che fossero loro a godere di quel premio.

  Shinji e Keita protestarono, dissero che era più giusto che in Europa ci andassero Nadeshiko e la sua famiglia, ma alla fine vennero convinti, così, sedutisi ad uno dei tavolini all’esterno del locale, presero a fantasticare sull’incredibile viaggio che li attendeva.

  «Sarà una vacanza magnifica.» disse Keita «Tu sognavi da anni di vedere l’Europa, o sbaglio?»

  «Sì, hai ragione. Coltivo questo sogno da quando era bambina. I miei genitori ci sono stati in luna di miele, e io ho sempre desiderato di poterci andare, un giorno.»

  «Beh, dea della fortuna.» disse Shinji sorseggiando il suo tè «A quanto pare i tuoi sogni si sono avverati.»

  «Però, ora che ci penso.» intervenne nuovamente Keita «Noi siamo in tre, e i biglietti sono quattro. Chi portiamo con noi?»

  «Questa è una bella domanda. Che ne dici di Sakamoto? O Matsuida?».

  Sfortunatamente, qualcuno aveva in mente ben altri progetti.

  Non tutti quelli che avevano assistito alla vittoria dei tre ragazzi avevano erano stati contenti per loro; fra questi c’era un povero studente universitario che per poter fare colpo sulla ragazza dei suoi sogni regalandole quel viaggio da favola non aveva esitato a spendere una vera fortuna in biglietti della lotteria, biglietti che di colpo erano diventati completamente inutili.

  Tuttavia, questo non era bastato a farlo arrendere; in un modo o nell’altro avrebbe ottenuto quel premio. Proprio per questo aveva seguito Keita e gli altri fino al bar, senza mai perdere di vista la cartella di Nadeshiko, all’interno della quale c’erano i biglietti di viaggio e tutti i documenti necessari.

  La cartella in questione era ora appoggiata su una sedia, e loro erano distratti; se fosse stato rapido e preciso non si sarebbero neanche accorti di nulla e lui l’avrebbe fatta franca sotto al loro naso.

  Alzatosi dalla panchina al quale era seduto, e cercando di essere il più disinvolto possibile, si avvicinò con estrema cautela al tavolo, poi, quando fu proprio accanto alla sedia, nell’istante in cui tutti e tre i ragazzi avevano lo sguardo rivolto altrove, afferrò saldamente la maniglia della cartella.

  La foga del momento purtroppo finì per tradirlo, e quando fece per allontanarsi colpì accidentalmente la gamba della sedia, facendola cadere; subito Nadeshiko e i suoi amici si accorsero della sua presenza, e lui, che tutto voleva fare fuorché rinunciare a qualcosa che considerava suo, partì a razzo, portandosi via il suo tesoro.

  «Ehi tu, fermo!» gridò Keita andandogli dietro, seguito in breve anche da Nadeshiko e Shinji.

  Ne nacque un inseguimento furioso, ostacolato e reso ancor più faticoso dalla marea di persone che a quell’ora cominciavano a riversarsi nella strada pedonale per fare un po’ di shopping o per concedersi semplicemente un po’ di riposo dopo le fatiche del lavoro.

  I tre ragazzi correvano a più non posso, gridando con tutto il fiato che avevano per attirare l’attenzione.

  «Fermatelo! Mi ha rubato la cartella!».

  Il ladro però si faceva sempre più lontano, e se fosse riuscito ad uscire dalla zona pedonale si sarebbe disperso nel traffico serale, diventando imprendibile.

  Mancavano solo cento metri alla fine dell’acciottolato, quando quel poveraccio ebbe la sfortuna di capitare sulla strada di Takeru, che tornava in quel momento dall’allenamento serale.

  Il ragazzo, attirato dalle urla di Nadeshiko, si girò, e con una forza a dir poco erculea colpì il ladro allo stomaco con la sua spada da kendo, facendogli tanto di quel male che, abbandonato il suo bottino, dovette allontanarsi da lì gattonando.

  Keita, Nadeshiko e Shinji arrivarono dopo pochi secondi, trovando Takeru con in mano la cartella della ragazza.

  «Takeru!?» disse Nadeshiko cercando di riprendere fiato

  Lui aggrottò leggermente le sopracciglia, quindi restituì il maltolto alla proprietaria.

  «Gra… grazie.»

  «Stai attenta la prossima volta.»

  «Lo… lo faro…» rispose lei con vocina da formica; dopotutto, quel bestione era alto almeno trenta centimetri più di lei

  «Ehi.» disse sottovoce Shinji all’orecchio di Keita «Ma quello non è Minamoto della quarta sezione?»

  «È proprio lui».

  Takeru, conclusi i propri obblighi, fece per andarsene, ma appena ebbe mosso il secondo passo Nadeshiko lo richiamò.

  «Takeru, aspetta».

  La ragazza esitò a lungo, poi, messa una mano nella cartella, ne prese fuori uno dei quattro biglietti.

  «Ecco… per ringraziarti… vorresti accettare questo?»

  «Che cos’è?»

  «È un biglietto per un viaggio in Europa.» disse con il suo solito, innocente sorriso «Se a te fa piacere, vorrei invitarti a venire con noi».

  Shinji e Keita erano visibilmente sorpresi; certamente non si aspettavano che la situazione potesse prendere una piega simile, ma cercarono di tornare sobri quando la loro amica si rivolse a loro.

  «Per voi non è un problema, vero?»

  «No, no.» risposero insieme «Nessun problema. Anzi, sarebbe un piacere».

  Lui non rispose, né commentò, lasciando come al solito che fosse il silenzio a parlare per lui; poi, proprio quando Nadeshiko stava per ritirare la mano, lui afferrò il biglietto, mettendoselo in tasca.

  «Sono con voi.»

  «Ne sono felice.» disse la ragazza riacquistando il sorriso «E grazie ancora».

  Takeru fece un cenno, forse addirittura accennò un sorriso, poi girò i tacchi e se ne andò, stavolta definitivamente.

  Così, in un modo del tutto imprevisto, la squadra era creata.

  Quella sera, ognuno dei tre amici si addormentò pensando con ansia e gioia crescenti a tutte le incredibili meraviglie che li attendevano dall’altra parte del mondo, in quella terra verdeggiante chiamata Europa, coi suoi castelli, le sue chiese, le sue piazze, e i suoi misteri.

 

 

Nota dell’Autore.

Salve a tutti!

Eccomi qua con un’altra delle mie storie strampalate.

Questa storia, come i miei lettori più appassionati avranno notato, costituisce una rielaborazione del primo episodio della saga Millennium War, iniziata come fan fiction ispirata ad un anime/manga e ora rivisitata in chiave completamente fantasy, con nuovi personaggi, nuove vicende e nuove ambientazioni.

Inoltre, giusto per togliermi uno sfizio che coltivavo da tempo, ho deciso di trasformare questo episodio, ma anche tutti i successivi, in un grande Crossover in cui appariranno personaggi provenienti dai contesti più svariati (anime e manga, ma anche libri celebri e videogiochi), inseriti però in un contesto completamente diverso, e nella maggior parte dei casi anche con un carattere diverso.

Non si tratta solamente, per la verità, di un semplice sfizio, ma i motivi reali di questa scelta verranno chiariti più avanti.

Qualcuno forse avrà già notato delle somiglianze o dei nomi alquanto famigliari.

Bene, ho parlato anche troppo.

Spero di aver catturato il vostro interesse, e mi raccomando, fatemi sapere!

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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