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Autore: NeverThink    08/12/2008    1 recensioni
Poi, nel buio della notte, nel cielo coperto di nuvole, vedi il suo viso, quello marchiato a fuoco nella tua mente e senti le lacrime rigarti inesorabilmente il viso.
Le senti calde e pungenti rotolarti sulla pelle liscia, morbida e bianca. E ti rendi conto che lui non c’è, che, come le foglie al vento d’autunno è volato via, per non fare mai più ritorno.
Gli avevi donato tutto ciò che il tuo fragile cuore era capace di donare, avevi dato tutta se stessa e lui aveva fatto lo stesso.
Ma un giorno tutto è finito, senza un reale e preciso motivo.
[...] “Sono Audry Morel. Tu sei...” Sussurrai dopo essermi infilata sotto le lenzuola.
“Non hai davvero capito chi sono?” La sua voce era calda e bassa.
“Dovrei?” Chiesi confusa.
“No. Mi chiamo Robert. Robert Pattinson.” E nel buio delle notte, in quella piccola stanza mi lasciai cullare dal suo respiro, che tranquillo mi aiutò a scivolare nel mondo dei sogni.[...]
Cosa potrebbe accadere se Audry Morel fosse costretta a condiviere la stanza del college con un ragazzo? Cosa potrebbe accadere se lui fosse Robert Pattinson, ma il suo nome non le ricordasse nulla? Cosa potrebbe accadere se i due non si sopportassero?
Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo lo sai che vola e lo stesso fiore che oggi sboccia domani appassirà... cogli l'attimo, Audry.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note dell’autrice.
Salve a tutti. Voglio premettere una cosa prima di tutto. Questo capitolo è un capitolo di introduzione, Robert entrerà in scena nel prossimo capitolo (che è quasi completato e posterò presto). Sono contenta che il prologo sia piaciuto, spero davvero di non deludervi con il primo capitolo. Nel secondo ci sarà azione… si si…
Volevo ringrazi ere le persone che anno recensito:
Merion: Grazie mille! Spero di non averti delusa e spero che leggerai anche io secondo capitolo! A presto!
ElfoMikey: honey! Sono contenta di sapere che ti piaccia! Spero di non deluderti con questo! Alto fino al cielo e grande quanto il mare!
Luinil: ciao! Grazie per i complimenti, grazie davvero bella! Spero ti piacerà questo! Fammi sapere!
Kriscullen_: Ciao! Sono contenta che ti sia piaciuto il prologo! Questo capitolo, come ho già detto, è solo un’introduzione che spero comunque ti piaccia. XD  A presto!
Ed ora… enjoy!

CAPITOLO I

 

 

“Audry?” La voce di mia madre mi riportò alla realtà. Mi voltai a guardarlo distogliendo lo guardo dal libro che avevo sulle gambe.
“Domani non ci sarò.” Non risposi, oramai era un rituale.
“Quanto tempo?” Chiesi fredda.
“Credo… un paio di settimane.” Ritornai a fissare il libro. Senza rispondere. “Tesoro… è per lavoro. Tornerò il più presto possibile.” Con la mano mi accarezzò i capelli ramati. Alzai lo sguardo fissandola negli occhi, poi, con mio grande sforzo, sorrisi.
“Tranquilla mamma. Voglio solo che tu sia felice.” Cercavo di essere il più convincente e il più credibile possibile. Il suo viso si illuminò di un sorriso. Sorprendente come mia madre credesse a tutti i miei sorrisi, a tutte le mie espressioni. Ma erano tutte finte, tutte costruite e mai sen’era accorta, in un certo senso era positivo. Ma a volte, avrei voluto se ne rendesse conto.
“Quando parti?” Aggiunsi chiudendo il libro e poggiandolo sulla poltrona accanto al divano.
“Domattina presto.” Abbassò lo sguardo. “E’ stato tutto improvviso. Scusami piccola.” Sussurrò. Sapevo che non lo faceva di proposito.
“Tranquilla mamma. Oramai ho diciannove anni. So badare a me stessa.” Dissi cercando di sorridere, mentendo, in un certo qual modo. Sospirò e, baciandomi la fronte, si diresse verso il piano superiore.
Amavo mia madre, era la donna più bella del mondo, sia dentro che fuori. Lavorava per una casa di moda e fu per questo che, quando avevo sei anni ci trasferimmo da un paesino sperduto della Francia in California. Ero piccola e ambientarmi fu abbastanza facile. Ma mia madre non c’era mai e passavo i miei giorni da sola o dalla vicina che aveva settantadue anni. Almeno fino ai quindici anni quando finalmente imparai a badare a me stessa. Arrivata ai diciannove anni, oramai, lasciarmi sola per mia madre non era un più una preoccupazione o un problema e, a me, infondo piaceva starmene per conto mio.
Salì anch’io in camera. La finestra era aperta e il sole del tardo pomeriggio riscaldava la stanza tingendo ogni cosa d’arancione. Riposi il libro sul letto e mi ci stesi sopra con un tonfo. Sospirai guardando il soffitto bianco.
Avrei presto iniziato il college. Il solo pensiero di frequentare biologia mi faceva venire i brividi, ma, infondo era la scelta giusta, mi piaceva. Sarei stata per conto mio, lontano da mia madre, dal suo continuo tentativo di volersi far perdonare della vita che aveva scelto.
Le mie giornate in quella ultima settimana di settembre erano piuttosto noiose. Le mie mattinate erano fatte di lunghe dormite e i miei pomeriggi di lunghe camminate sulla spiaggia. La sera, bè, di locale in locale con la mia unica amica, l’unica che riusciva a sopportare i miei idioti sbalzi d’umore. L’unica che avrebbe fatto di tutto per vedermi felice, e le dovevo tutto.
Tutta la mia vita era un sogno, un sogno noioso. Era così che la consideravo.
Lentamente sentì il mio respiro farsi più pesante, regolare e tranquillo. Quando riaprì gli occhi il sole illuminava flebile la stanza. Mi misi a sedere con un forte emicrania. Mi portai un mano sulla fronte e mi resi conto che mi era addormentata. Non avevo le scarpe e un lenzuolo mi copriva. Guardai la radiosveglia.
Le sette del mattino?
Avevo dormito all’incirca dodici ore. Mi misi in piedi stiracchiandomi. Mi sentivo riposata, il colmo sarebbe stato non esserlo. Mi madre sicuramente la notte precedente era venuta a controllare che tutto fosse a posto, e, vedendomi dormire, mi coprì con il lenzuolo chiudendo la finestra.
Scesi rumorosamente le scale, come mio solito, e mi diressi in cucina.
“Mamma?” Nessuna risposta.
“Cèline?” Chiamai ancora. Quando varcai la soglia della cucina notai un biglietto piegato con cura sul tavolo.

Ciao tesoro. Mi dispiace non averti salutato come si deve questa mattina, ma non volevo svegliarti.
Tornerò presto te lo prometto.
Ti voglio bene piccola mia. Ti chiamerò appena l’aereo atterra.
Dimenticavo di dirti che sono in Florida.
Mamma.

Era la scrittura di mia madre. Impossibile confonderla.
“Florida?” Sussurrai scettica. “Vicino eh?” Poggia il foglio su tavolo e mi diressi verso il frigo. Avevo bisogno di succo d’arancia: il mio preferito.
Mia madre si era dimenticata di dirmi dove andava. Non era la prima volta, capitava spesso soprattutto perché le sua partenze erano improvvise. Non volevo deprimermi quella mattina pensando a mia madre e alle pochi attenzioni che durante l’infanzia mi aveva dedicato. Decisi così che era meglio uscire.
Magari sarei potuta passare dal negozio di tatoo dove Stephanie lavorava prima che iniziassimo insieme il college. Le avrei fatto un saluto. Più tardi sarei andata a controllare gli aerei per il college che si trovava nello stato di Wisconsin.
Feci colazione in fretta e mi vestì con straordinaria lentezza perché mi resi conto che erano soltanto le sette e mezza. Un’ora dopo dovevo ancora scegliere la maglia da mettere. Non ero una ragazza che curava particolarmente l’estetica, ma quella mattina andare lentamente era un obbligo.
Mi sporsi dalla finestra guardando il mare. Ebbene sì, vivevo davanti al mare e cosa più assurda… non sapevo nuotare. Pochi lo sapevano, era piuttosto imbarazzante. Dopo esserci trasferite qui Cèline cercò, molto spesso, di insegnarmi a nuotare, ovviamente, senza successo. Proprio non ci riuscivo e odiato il mare, era così... così… bagnato.
Riuscì a mettermi le scarpe e lavarmi i denti contemporaneamente senza rompermi l’osso del collo. Mezz’ora dopo ero sulle strade affollate di Long Beach.
“Stephanie?” Chiesi entrando nel locale, facendo suonare il campanello sopra di esso. Quel suono era parecchio irritante.
“Chi mi cerca?” Sentì la sua voce ma non capì da dove venisse visto che nel piccolo locale non c’era nessuno.
“Audry. Ma dove sei?” Chiesi dirigendomi verso il laboratorio. Ad un tratto la vidi scattare in piedi da dietro il bancone facendomi sobbalzare. La fulminai con lo sguardo.
“Sembri mia nonna. Ti spaventi per tutto.” Mi disse infilandosi gli occhiali. Scossi il capo.
“Se tu esci, così, senza preavviso è normale.” Risposi in mia difesa. “ E poi tua nonna è…”
“Strana?” Annuì. “Più simili di così.” La guardai torva e lei alzò gli occhi al cielo, poi prese un catalogo e me lo mise sotto il naso.
“Fatti un tatuaggio. Tingi la tua pelle, come faccio io, mia cara.” Feci una smorfia storcendo il naso.
“Non credo sia una buona idea. Ago fobia, ricordi?” Le dissi restituendole il catalogo. Rabbrividì al solo pensiero.
“Ah, giusto. Avevo dimenticato.” Ripose il tutto su uno scaffale.
“E poi non hai proprio tinto la tua pelle. Dovresti dire che l’hai macchiata.” Uscì da dietro il bancone e mi mostro la rosa sulla caviglia. Poi si avviò a un grande stereo, riposto con cura in un angolo della stanza.
“E’ tinta.”
“E’ macchiata.” Bofonchiai.
“Allora, hai fatto le valigie?” Cercò di cambiare discorso o saremmo andate avanti così per tutto il giorno. Inarcai un sopracciglio.
“Ma se partiamo fra poco più di due settimane.” Dissi ovvia. Lentamente si giro a guardarmi aggrottando la fronte.
“Audry… le due settimane sono passate. Audry, partiamo domani, ricordi?” Sgranai gli occhi nel sentire quelle parole e mi irrigidì.
“Domani? No! Partiamo il venticinque! Me lo ricordo bene!” Dissi con voce strozzata. Si alzò lentamente venendomi incontro e poggiandomi una mano sulla spalla.
“Oggi e ventiquattro.” Sgranai gli occhi e, inevitabilmente, mi feci prendere, come al solito, dal panico.
“Domani?” La voce mie era rimasta in gola. Stephanie annuì. Mi voltai di scatto e corsi via ignorando la sua voce che dalla soglia del locale gridava il mio nome.
C’era una questione urgente: avevo poche ore per preparare i bagagli. Un’impresa impossibile, ma non avevo alternativa. Afferrai il mio cellulare dalla tasca anteriore dei miei jeans scoloriti e composi il numero di mi madre, sperando che non fosse già salita sull’aereo. Dopo quattro squilli la chiamata fu aperta.
“Audry?”
“Mamma! Domani parto per il college!” Strillai.
“Lo so, tesoro.” La sua voce calma mi sbigottì talmente tanto che mi bloccai al centro della strada all’istante.
“Cosa?”
“Si tesoro. Non lo ricordavi? Guarda che è tutto pronto, tutti i documenti sono in camera. Me ne sono occupata io la settimana scorsa. I bagagli gli hai fatti, no? Di che ti preoccupi?” Sgranai gli occhi sorpresa.
Mia madre che organizza tutto?
Strabuzzai gli occhi qualche volta.
“E’ già tutto pronto?”
“Certo piccola!”
“Come ci arrivo nel Wisconsin?” Una cosa che sicuramente non aveva pensato. La sentì sospirare.
“Audry… hai l’aereo con Stephanie domattina alle atto.” Nella sua voce c’era rammarico. “Cosa ti succede?” Rimasi a fissar con sguardo vuoto il la strada grigia, resa ancora più chiara dal sole mattutino.
“Nulla, mamma.” Fu tutto quella che riuscì a dire con voce piatta.
“Non è da te dimenticare certe cose. Sei sicura che sia la scelta giusta?” Nulla era certo nella mia giovane vita, ma di sicuro, lo stato di Wisconsin era ciò che desideravo. Una delle poche certezze che allora avevo. Forse l’unica. Probabilmente era anche la cura all’apatia.
“Si, è ciò che voglio. Ti richiamo mamma. Ciao.” La sentì farfugliare qualcosa che sembrava un saluto e chiusi la comunicazione.
Consapevole di dover solo riporre i miei pochi abiti dentro una valigia rallentai i passo infilandomi le mani in tasca. Ero talmente tanto presa dalla routine, dalla noiosità delle mie giornate da aver totalmente perso la cognizione del tempo. Ero troppo occupata a compatire me stessa da aver scordato che giorno fosse.
Non era mai successo.
Ma presto, tutto, sarebbe cambiato.


Quando la mattina successiva mi alzai, realizzai per davvero ciò che mi stava succedendo: entro poche ore gran parte della mai vita sarebbe cambiata.
Il college.
Mi alzai lentamente dopo aver visto che la radio sveglia sarebbe suonata due minuti dopo. La disattivai. Odiavo quel suono.
Mi lavai vesti e feci colazione aspettando che Stephanie e sua madre passare a prendermi.
Le valigie erano poste con cura accanto alla porta di ingresso. Il clacson suonò e mi fiondai in macchina.
Ma chi mai avrebbe immaginato che, lì, in un’università come tante, avrei incontrato il mio peggior, e miglior, incubo?


   
 
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