Lettera
di un soldato
Guardami
madre. Guarda tuo figlio, divenuto una
macchina.
Guardami
padre. Guarda il tuo unico figlio,
pronto a difendere le tue fragili ossa, stanche per il lavoro in
fabbrica. Cosa vedi?
Guardami
madre. Guarda il tuo ometto: ora è un
fiero soldato.
Cosa
vedi? Vedi gli stessi occhi verdi o una fredda patina?
Guardatemi,
o genitori miei. Sono un soldato.
Guardate vostro figlio mentre è mandato lontano da casa.
Guardami padre, mentre
combatto il nemico. Rivedi lo stesso ragazzino al quale hai insegnato
tanto? O
sono cambiato?
Guardami
madre; tasta la mia paura mentre vedo
corpi privi di vita stramazzare al suolo, conscio che il prossimo
potrei esser
io.
Ma
non piangere mamma. Mi hanno insegnato a
morire e a non chiedermi il perché. E tu, papà,
non preoccuparti: sono un uomo
oramai, non fuggirò come un codardo. Dicono che non
c’è speranza di vittoria,
ma sino a che non verremo tutti sgozzati come agnellini non saremo
liberi da
questo inferno.
Guardate
il vostro ragazzo; sono un killer.
Vi
scrivo da questa guerra. Non so neanche per
cosa sto combattendo, né mi è dato saperlo.
Cammino al passo di marcia,
dimenticando come si fa a sognare, ogni, singolo, giorno.
Mi
hanno addestrato per uccidere, solo per poi
morire a mia volta, - la normalità- dicono i miei compagni
di reggimento.
Vorrei
poter tornare al tempo dei giochi puerili,
quando la guerra era solo una bruttura, una parola così
lontana e sporca nella
mia bocca da lattante. Ora è tutto così vero e
non c’è nulla che posso fare. Ho
dimenticato cosa voglia dire guardare il cielo senza il timore di veder
volare
ordigni; ho dimenticato la libertà di un cielo scoperto e
non terso di sangue e
dolore. Rivedrò mai la patria mia? Vi rivedrò
mai, genitori adorati?
Distanti
le serene, che sia giunta la mia ora?