Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
Segui la storia  |       
Autore: Paganel    24/02/2015    0 recensioni
Può l'odio tramutarsi in amore? Un assassino può amare? Perché, si sa, l'amore vince su tutto. O no? [Justin Bieber]
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




Chapter three - Carpe diem.



Guardare i muri della mia cella era divenuto il mio passatempo.

Ero rinchiusa là dentro da ore e avrei dovuto farci l'abitudine, ormai.

Secondo i miei calcoli, doveva essere ormai sera, e il giorno dopo ci sarebbe stata la festa.

Non volevo per niente andarci, soprattutto se il mio accompagnatore era Daemon. Speravo davvero che Jason si fosse sbagliato.

Con quello non ci andavo per niente d'accordo.

Fissai la parete di fronte a me, mangiucchiandomi le unghie. Me le guardai. Il mio smalto rosso era ormai andato a farsi benedire, e quelle che una volta erano le mie bellissime unghie, ora erano tutte corte e storte.

Beh, sapevo che non era quello il problema principale e che dovevo preoccuparmi ad uscire di qui, ma dopo essere uscita da questa dannatissima cella, capii che era dannatamente difficile.

La porta si aprì, rivelando Daemon. La pistola spuntava dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni in pelle a cavallo basso e notai le supra rosse.

Questa volta portava gli occhiali da sole e una canottiera nera, e un cappello della NY anch'esso nero.

Era troppo figo per essere un assassino.

Lo guardai piegando le ginocchia al petto e appoggiando il mento su di esse. Il suo sguardo fu su di me in un batti baleno.

«Devi venire con me.» disse.

«La festa?» non avevo bene la percezione del tempo, quindi per quanto ne sapevo poteva essere l'una di notte come le due del pomeriggio.

«No.» strinse la mascella senza dire altro. Dio quante donne doveva avere ai suoi piedi anche solo facendo quel gesto insulso?

Mi alzai esitante, e Mr Rabbia mi prese per un braccio trascinandomi garbatamente fuori dalla porta.

Alzai gli occhi al cielo e lasciai che mi portasse da Jason.

Quando fummo nel suo ufficio, lui non c'era, e dovemmo aspettarlo per circa dieci minuti.

Il silenzio regnava in quella stanza, e decisi (a mio rischio e pericolo) di romperlo.

«Perché ti fai chiamare Daemon?» gli chiesi, voltandomi verso di lui che era in piedi accanto alla mia sedia.

La sua mascella si irrigidì: «Perché è il mio nome?» ribatté scocciato.

Scossi la testa: «No, non è vero» maledetta io e la mia lingua lunga.

Mi guardò e se il suo sguardo avesse potuto, mi avrebbe incenerita all'istante. Si avvicino, prendendo il mio viso tra le mani in una stretta talmente forte che mi fece provare dolore.

«Ma ti pare che venga a dire a te il mio vero nome? Perché non ti fai i cazzi tuoi? Non ti sto chiedendo molto, cazzo.» digrignò tra i denti e mi lasciò andare e la mia schiena andò a sbattere contro lo schienale della sedia.

Due istanti dopo arrivò Jason, quello che riconobbi come uno spinello tra i denti. Lo spense sul posa cenere e si abbassò gli occhiali da sole sul naso, guardandoci.

«Dunque, Mare e Daemon. Perché vi ho convocati qui?» il suo tono e il suo sguardo non promettevano niente di buono.

Deglutii, avvicinandomi a Daemon che, anche se non lo dava a vedere, era nervoso. Non capivo perché cercavo protezione da Mr Rabbia, che probabilmente sarebbe stato il primo a volermi ammazzare.

Tutto questo era assurdo!

«Perché?» lo incitò impassibile il ragazzo accanto a me.

Jason appoggiò i palmi aperti sulla scrivania e ci scrutò, gli occhi leggermente appannati e inespressivi.

«Sanno della festa.» digrignò l'uomo.

Daemon sgranò leggermente gli occhi: «Gli sbirri?»

Jason annuì, più incazzato che mai.

A sentir nominare la polizia, provai un senso di sollievo. Mi mancava La mia famiglia... Kim...

Daemon mi lanciò un'occhiata fugace, e io abbassai lo sguardo.

«E da lì potrebbero arrivare alla nostra sede. Dobbiamo andarcene di qui. Dobbiamo andare in Quebec, lì non ci troveranno.» si rimise in piedi ritto, e cominciò ad andare avanti e indietro.

Il mio sguardo passava dall'uno all'altro come una pallina da ping pong.

Avrei dovuto trovare un modo per scappare. Loro adesso erano confusi, e non avrebbero fatto caso se fossi scappata.

Persi metà dei loro discorsi cercando di escogitare un piano per scappare, quando sentii il mio nome.

«Si ma.. Jason! E di lei che ne facciamo?» mi indicò, quasi fossi un giocattolo vecchio. Lo guardai offesa e ferita. Ma mi ignorò.

Preso dall'esasperazione l'uomo alzò il tono: «Non lo so! Uccidila, rapiscila, facci quel cazzo che vuoi! Io voglio solo scappare, ok?» si passò le mani tra i capelli, e si voltò a guardare fuori dalla finestra.

«Cominciate a prepararvi. A mezzanotte Bower farà scoppiare questa casa, così non ci troveranno.»

Non mi preoccupai nemmeno di chiedermi chi dannazione fosse quel Bower. La cosa che mi preoccuoava era: cosa Daemon avrebbe fatto di me? Sentii lacrime minacciare di scendere lungo le guance, e non sapevo quanto mi sarei trattenuta.

Daemon venne a prendermi un'ora più tardi.

«Andiamo, tra mezz'ora faranno scoppiare la casa» mi prese per il braccio e mi puntò la pistola alla tempia. Rabbrividii.

Non proferii parola e lasciai che mi conducesse fuori dall'edificio che per giunta non sapevo nemmeno dove si trovasse. Non avrei nemmeno saputo arrivarci.

Aprì la portiera di una macchina sbattendomici dentro e sbattei la testa contro il bracciolo della portiera opposta.

Sentii un dolore lancinante alla testa e gli occhi si annebbiarono.

Al lato del passeggiero vi sedeva un ragazzo riccio. Questo si girò verso di me e i suoi occhi verdi luccicarono al chiarore lunare. Spaventata mi appiattii contro il sedile portandomi le ginocchia al petto.

La porta al lato guidatore si aprì e Daemon porse la pistola al ragazzo riccio, prima di sedersi.

«Puntagliela addosso e assicurati che non scappi. Se prova a scappare ti do il permesso di ferirla»

Interdetta, mi sporsi di poco: «Da quando in qua sei tu a decidere della mia incolumità?» sentii ancora gli occhi pizzicare, ma non avrei mai pianto davanti a lui.

Notai il riccio fare un sorrisetto.

Daemon si girò con un luccichio negli occhi che mi spaventò: «Da quando ho la tua vita in pugno, bambolina» si inumidì le labbra e si girò, ingranando le marce.

Pestò il pedale dell'acceleratore e partì.

Mancavano due minuti a mezzanotte, il che significava che mancava pochissimo che la casa esplodesse.

Il ragazzo mi puntò la pistola continuando a guardare davanti a sè, lo sguardo serio e teso, e ogni tanto buttava l'occhio verso di me.

Io continuavo a guardare fuori dal finestrino pensando a Kim, a quanto mi mancava, a quando avrei voluto abbracciarla in quel momento.

Poco dopo si sentì un botto.

La casa era esplosa.

Non mi voltai, e nemmeno i miei due accompagnatori lo fecero. Daemon accelerò.

Passò una mezz'ora buona, e il biondo prese una viuzza interna.

Stordita e assonnata, guardai fuori dal finestrino, vedendo solo alberi e nebbia.

Iniziai ad agitarmi sul sedile. Ecco, ora mi ammazzano, pensai. Cominciai a tremare al solo pensiero che mi avrebbero uccisa e non avrei più rivisto la mia famiglia. Non capivo più niente, avevo dannatamente paura.

Guardai la pistola che il ragazzo riccio continuava a puntarmi addosso dalla nostra partenza, e guardai Daemon cercando di capire le sue intenzioni. Lui però era perennemente concentrato sulla strada pronto a captare qualsiasi tipo di segnale. Il mio sguardo si soffermò sulle sue mani strette attorno al volante, le nocche quasi bianche dalla pressione con cui stringeva la presa. Le braccia nascoste dalle maniche lunghe della felpa. Mi ritrovai a pensare alla sua famiglia. Cosa ne pensavano loro della vita che aveva intrapreso il figlio? E perché Daemon aveva scelto la strada del male?

La macchina improvvisamente si fermò di fronte ad una casa circondata dai boschi. Mi aspettai di vedere spuntare un orso da un momento all'altro.

«Da qua.» disse brusco Daemon prendendo di mano la pistola al riccio. Uscì dall'auto aprendomi la portiera e strattonandomi fuori.

Rimasi in silenzio. Era arrivato il mio momento? Volevo piangere. Questa volta permisi ad una lacrima, una sola, di uscire. Me la asciugai con il braccio. Lo avrei guardato negli occhi con tutto l'odio che ero capace di provare mentre morivo. Contrariamente ad ogni mia aspettativa, entrammo in casa. Più che altro, sembrava una sorta di rifugio sperduto in mezzo al nulla. Eravamo in Quebec? Non era possibile, il viaggio era durato troppo poco. Mi guardai intorno. Era accogliente. Sulla sinistra, si estendeva una stanza con un enorme camino in mezzo e delle panchine addossate al muro che lo circondavano. Davanti a me si estendeva l'ingresso e esattamente di fronte a me una rampa di scale strette e a chiocciola salivano verso il piano superiore. Sulla destra una semplice tavolata lunga, e accanto alle scale la cucina. Era davvero accogliente, e non sarebbe dovuto essere male passare qualche giorno là dentro, se non fossi stata presa in ostaggio. Avrei potuto godermi meglio quel posto.

Daemon parlò: «Allora: tu-si rivolse a me- dormirai nella mia stanza. Harry -guardò il riccio- tu dormi dove cazzo vuoi. Ah, e accendi il camino» detto questo salì le scale. Dormire con lui non mi entusiasmava, ma avevo imparato a capire che obiettare serviva a poco se non volevi rimetterci la vita, soprattutto se si parlava di Daemon.

Mi guardai attorno, terribilmente a disagio, e ad appesantire la situazione c'era pure il riccio a mettermi l'ansia con il suo sguardo costante sul mio corpo.

«Posso...ehm...c'è un bagno?» guardai Harry e mi sforzai di guardarlo negli occhi verdi. Questi sorrise rivelando due dolci fossette: «Nel sotto scala» indicò le scale.

Annuii e mi diressi nel sotto scala, dove effettivamente di apriva una porta. Vi entrai e mi spogliai. Mi guardai allo specchio. Certo non era il massimo lavarsi e poi rivestirsi con i propri vestiti sporchi, ma dovevo abituarmici. Che scelta avevo? Improvvisamente non mi importava. L'unico mio obiettivo in quel momento era uscirne viva, qualsiasi cosa sarebbe capitata.

Daemon's pov

Le tubature cominciarono a sibilare. Sembrava un lamento, e quando ero piccolo e ci venivo con mio padre e mia madre, pensavo fossero i fantasmi. Allora mi rannicchiavo sul mio letto, sotto le coperte dello stesso letto che stavo disfando in quel momento per mettervi le lenzuola, e mi coprivo le orecchie. Stringevo a me la scimmia di peluche che mi regalò mio padre per il mio quarto compleanno e aspettavo che finisse. Poi il rumore terminava e mia madre saliva per darmi la buona notte. Ancora non riuscivo a credere che sarei ritornato in quel posto, un giorno. Ma andare in Quebec in una sera era inammissibile. Così riconobbi la strada, e ricordai. Il mio istinto mi portò a girare per quella dannata viuzza, ed eccomi qui. Ma l'odore familiare, i muri, tutto era esattamente come l'avevo visto l'ultima volta, ossia dieci anni prima. Poi successe quel che successe, e cambiai ogni cosa. Mi allontanai dal passato e da tutto quello che mi ricordava la vecchia vita. Incontrai persone nuove, uno stile di vita nuovo. Avevo tutto ciò di cui avevo bisogno: puttane, soldi, casa, macchina, vestiti... Ero spesso arrivato a chiedermi cosa stessi aspettando, perché non ci avevo pensato prima? Perché ero un emerito coglione.

«Wow, un vero record» una voce profonda alla mia destra mi ridestò dai miei pensieri.

Mi voltai verso Styles, che stava appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate e un ghigno da coglione in faccia.

Alzai un sopracciglio: «Cosa?»

Si inumidì le labbra e si mosse sul suo posto: «C'è una ragazza nuda nella tua stessa casa, e tu non sei ancora andato a scopartela.»

Mi morsi il labbro, cercando di soffocare un sorriso.

«Ero convinto che fossi tu.»

Cercai di controllarmi. L'idea di America nuda sotto un getto di acqua calda mi eccitò parecchio, ma dovevo mantenere la mia posizione di assassino crudele e spietato. Prima o poi sarebbe finita nel mio letto, ma quando avrei voluto io.

«E adesso? Non corri giù?» le tubature smisero di sibilare.

Scossi la testa: «Non è la ragazza che mi porterei a letto» scrollai le spalle con fare innocente.

Invece lo era eccome. Era bella, un fisico stupendo e delle labbra che sembravano fatte per stringersi attorno al mio uccello. Eppure la detestavo. C'era qualcosa in lei di familiare, ma non in senso buono. Avrei voluto ucciderla.

«Ah no?» Harry aggrottò la fronte e fece per voltarsi verso il corridoio. «Dove sono i vestiti che abbiamo preso per lei?» nel frattempo stavo rifacendo il letto, e alzai lo sguardo verso di lui: «In macchina.» e indifferente tornai a risistemare il letto.

Tornai a pensare ad America. C'era qualcosa in lei che detestavo, ma non riuscivo a starle lontana. E la consapevolezza che fosse nuda a pochi metri da me non aiutava. Forse avrei potuto divertirmi un po'.

Sorrisi inumidendomi le labbra e uscii dalla stanza.

America's pov

Non mancava niente in quel bagno. Asciugamani, spazzola, phon, specchio.... Era tutto al suo posto. Tranne i vestiti. Amen, avrei usato quelli sporchi; con tutto quello che stavo passando era l'ultimo dei miei problemi. Mi avvolsi l'asciugamano attorno al corpo e con l'altro più piccolo mi tamponai i capelli, fino a spostarli tutti a destra, strizzandoli per bene.

Dopo quella doccia avevo decisamente un aspetto migliore. Le occhiaie persistevano, ma il viso era più pulito, i capelli pure e io mi sentivo più a mio agio con me stessa. Sentivo la mancanza della mia famiglia come mai prima. Quel gesto, così abituale... Sospirai, pettinandomi i capelli in modo che avessi la riga in mezzo, e andai alla ricerca del phon. Dopo essermi rialzata ed aver recuperato il phon dal mobiletto sotto al lavandino, guardai allo specchio e quasi mi venne un infarto. Daemon era lì, appoggiato al muro dietro di me divertito e... Famelico. Il suo sguardo non l'avrei mai dimenticato. Era così che guardava una persona mentre la uccideva? Sembrava avesse voluto sbranarmi, e poi mi ricordai di essere solo in asciugamano.

Instintivamente mi coprii il seno, anche se già coperto dalla stoffa ruvida, e mi appoggiai al lavandino, stordita dai suoi occhi così intensi e magnetici: «C-cosa vuoi da me?». Conoscendolo avrebbe potuto violentarmi, e io ero stata stupida a spogliarmi con un assassino in casa. Anzi, due. Deglutii quando cominciò ad avvicinarsi con passo felpato, gli occhi completamente scuri e un ghigno spaventoso e sexy allo stesso tempo. Cercai di appiattirmi verso il lavandino - come se potesse servire a qualcosa- stringendo le braccia attorno a me. Non volevo che mi toccasse, bello o non bello. Era difficile ragionare se mi guardava in quel modo, però.
Non lasciarti ingannare, Mare. Presi un respiro profondo.

«America, non è stato molto saggio spogliarti con due assassini in casa.» era ormai a un metro da me, e potevo vedere gli occhi completamente scuri. Era eccitato, e questo provocò uno strano tremore in me. Le gambe sembravano voler cedere.

Cercai di mettere distanza tra noi: «Non volevo che tu condividessi il letto con una che puzza come un barbone» cercai di mantenere un tono deciso, cosa che non mi riuscì. Diminuì sempre di più la distanza tra noi, fino a ridurla a una ventina di cm. Fece un mezzo sorriso: «È gentile da parte tua. Ma io non sono una persona molto riconoscente. Il mio motto è "Cogli l'attimo", e mai è stato più azzeccato» si avvicinò ancora di più, fino a farmi sentire il suo respiro sulle mie labbra. Sospirai, sorpresa per l'effetto che ebbe su di me in quel momento. Una parte di me avrebbe voluto baciarlo e sentire la consistenza delle sue labbra. Sentire come si univano alle mie. L'altra invece, la parte razionale, mi vietava categoricamente di provare anche solo a sfiorarlo. Le sue mani vagarono sulle mie gambe nude non coperte dall'asciugamano, fino a salire e trascinare la stoffa via con sè. Arrivò al sedere, nudo, e strinse le mie natiche con entrambe le mani in una stretta che mi risvegliò.
Se non lo mando via, mi fa del male.

Se la verità non fosse stata così evidente, avrei voluto che si avvicinasse a me in quel modo perché sentiva di doverlo fare, in poche parole che non si avvicinasse a me per scoparmi e basta. Poggiai entrambe le mani sul suo petto muscoloso. Ignorai l'impulso di mordermi il labbro e lo spinsi via. Mentre lo allontanavo allungò un braccio sfilandomi l'ascigamano di dosso. Rimasi completamente nuda davanti a lui. Sentii gli occhi pizzicarmi e un terribile senso di umiliazione invadermi. Come poteva essere così poco rispettoso? Se prima pensavo alla strana sensazione mentre era vicino a me, ora non potevo che essere disgustata anche dalla sua sola presenza. Raccolsi l'asciugamano da terra con le lacrime agli occhi, e me lo avvolsi velocemente per evitare che mi guardasse ancora. Si morse il labbro e successivamente se lo inumidì. Cominciai ad avere la vista annebbiata, tutto ciò che volevo era piangere. L'unico uomo che mi aveva vista nuda prima fu mio padre quando ero appena nata, dopodiché nessuno. Avrei voluto condividere il mio corpo con qualcuno che a me ci tenesse davvero, non con il mio rapitore. Quanti anni aveva poi, diciotto? Diciannove? Ma in quel momento era l'ultimo dei miei problemi. Mi avvolsi nell'asciugamano, lottando contro le mie lacrime che aspettavano impazientemente di uscire: «Sei un maiale!» urlai, più per sfogarmi che per sgridarlo. La rabbia era tanta, ma se fossi rimasta un minuto di più, lo avrei ucciso con le mie stesse mani. «Uno sporco, lurido e bastardo maiale pervertito!» e dopo aver urlato uscii dalla stanza, permettendo alle mie lacrime di uscire. Uscii dal sottoscala e sentii la porta d'ingresso chiudersi. Mi ritrovai davanti Harry che non appena vide il mio viso, appoggiò quelli che dovevano essere indumenti nella tavolata, raggiungendomi. Ci mancava che anche lui mi violentasse, e mi allontanai nonostante vedessi nel suo viso preoccupazione. Vedendomi così spaventata e in asciugamano, sospirò fermandosi sul posto. Veva capito tutto. Continuai a singhiozzare davanti a lui. «Io.. Non voglio farti del male, America. Lo giuro» fece un passo, e io indietreggiai.

Era divertente come una persona che poco prima mi puntò la pistola contro, diceva di non volermi fare del male. Lo guardai male. Harry abbassò lo sguardo e sospirò, per poi alzare i suoi occhi verdi su di me. Erano bellissimi. «Non ti avrei mai e poi mai sparato. Non sono così insensibile». Sembrava sincero, purtroppo le circostanze non mi permettevano di fidarmi più di tanto.

«Eppure fai parte della gang che mi ha rapito» sostenni. Avvolsi le braccia attorno al mio busto. Ero bagnata e c'era aria. Stavo letteralmente tremando. Harry se ne accorse, andò a prendere gli indumenti e me li porse: «Ecco, questi li abbiamo presi per te. C'è anche l'intimo. Ora vai su che prenderai freddo.» accennò un piccolo sorriso. Guardai i vestiti, poi il riccio. Non c'era traccia di malvagità nei suoi occhi. Sembrava... Buono. Che ci faceva là? Quel ragazzo, nonostante tutto, mi infondeva fiducia. Presi i vestiti e ricambiai il sorriso con uno fugace per ringraziarlo. Al contrario di Daemon, io ero riconoscente. Sentii la rabbia crescermi dentro e mi ricordai che doveva ancora essere rinchiuso in bagno. Mi girai, salendo le scale a chiocciola. Avrei dovuto dormire con quell'essere? Dopo quello che mi aveva fatto, nemmeno per sogno ci avrei dormito assieme. Mi girai di nuovo verso Harry, che stava guardando il cellulare. Forse lui sarebbe potuto essere il mio "guardiano". Era sicuramente più sensibile.

«Harry?» lo chiamai in un sussurro. Pensai che non mi avesse sentito, e invece alzò la testa, e mi ritrovai a guardare ancora una volta nei suoi occhi verdi. Mi inumidii le labbra, in imbarazzo e abbassai lo sguardo sui miei piedi nudi. Non lo conoscevo e già gli chiedevo di dormire con me. Sperai che capisse. «Ecco, io non mi fido di Daemon. Non voglio che dorma con me. Non dopo...» sospirai, sentendo il mio respiro spezzarsi e gli occhi inumidirsi. Fortunatamente mi interruppe e mi sorrise mostrando ancora una volta le sue dolci fossette: «Non c'è problema, America. Puoi venire da me. Così, se ti va, mi racconti cosa quel testa di cazzo ti ha fatto» il suo sguardo era affettuoso, e la sua voce profonda era calma e controllata. Ricevetti in qualche modo la sicurezza che mi mancava. Mi girai e andai nel bagno del piano superiore a cambiarmi. C'era di tutto. Una felpa enorme dell'obey (e sottolineo dell'obey), una gonna a vita alta nera, un top bianco, un paio di jeans skinny, un paio di pantaloni della tuta neri e una serie di slip e reggiseni che stranamente erano della mia taglia. Chi doveva aver pensato a tutto questo? Mi sentivo come nel trio alla Harry Potter, solo che ero un ostaggio. Sicuramente era stato Haz a pensarci. D'altro canto, era lui che era entrato in casa con il pacco di riba, forse era andato a comprarla.

Elettrizzata, mi infilai prima gli slip, poi la felpa e un paio di pantaloncini neri corti che trovai dopo. Mi guardai allo specchio. Ero dimagrita leggermente da quando ero stata rapita, e mi ricordai che non mangiavo niente da tre giorni, e non sentivo nemmeno il bisogno di mangiare. Uscii dal bagno con i vestiti sporchi da una parte, e i puliti dall'altra. Entrai in camera di Harry, trovandolo seduto sul letto. «Hey» attirai la sua attenzione appoggiando gli indumenti lavati nel letto e reggendo quegli altri in un braccio. Glieli indicai: «Dove li metto?» lui mi guardò e si alzò prendendomeli di mano: «Dalli a me, li metto a lavare» e mi sorrise. Mi sentivo così bene con il suo sorriso. Ricambiai, e mi sedetti sul materasso matrimoniale appoggiando la schiena alla testiera del letto e abbracciandomi le ginocchia. Le immagini di Daemon poco prima mi fecero rabbrividire, al modo in cui mi guardava, e al modo in cui mi aveva umiliata. Mai come in quel momento disprezzai il mio corpo e quell'essere malvagio e bello da morire.

Sentii delle grida e la porta d'ingresso sbattere. Poco dopo Harry fu in stanza. Lo guardai, in attesa che mi dicesse cosa fosse successo. Si sedette accando a me imitando la mia posizione, tenendo le gambe lunghe distese davanti a sè. «Che è successo?» chiesi titubante. Stare con quei tipi mi rese piuttosto vulnerabile.

«Ah, niente di cui tu ti debba preoccupare. Gli ho solo detto che si sta comportando da cretino e si è offeso. Tornerà» mi sorrise. Guardai davanti a me appoggiando il mento alle ginocchia: «Per me può anche non tornare» dissi, imbronciata. Mi sentivo triste, e avevo un bisogno di piangere quasi doloroso. Haz ridacchiò e si voltò verso di me, facendomi d'istinto girare il viso per guardarlo. «Daemon ha avuto un passato tormentato, devi essere piuttosto incline al perdono se vuoi stargli vicino. È così che viviamo. Lui fa le cazzate, e io lo perdono. Anche se ciò non giustifica ciò che ha fatto. Comunque, pare abbia capito il suo errore» mi sorrise. Io sbuffai: «Si, certo» uno come lui non comprende mai i suoi errori. Rise: «Si, lo conosco. Non ti chiederà mai scusa, ma è già tanto se si rende conto» tornò a guardare davanti a sè, incrociando le gambe, poi tornò a guardarmi, il suo sguardo serio. «Comunque vada, Mare, ti assicuro che non lascerò mai che ti faccia del male.»

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber / Vai alla pagina dell'autore: Paganel